BENE ABBIAMO
ALTRO TEMPO - e tutti noi non pensavamo affatto di dover
dire grazie alla turchia - LA GUERRA SLITTA UN PAIO DI
GIORNI - e questo perche' la FRANCIA E LA GERMANIA - si
sono rifiutate di difendere questa nazione turca - da
sempre filoamericana - da eventuali attacchi. CARO BERLUSCONI - impari
a fare politica - se invece di lanciarsi in un sonoro
sissignore nei confronti di BUSH - avesse riflettutto -
ora andrebbe tutto - e per tutta l'europa - molto bene.
DA - LA REPUBBLICA
Bocciata la
mozione del premier che chiedeva il via libera
Se ne riparlerà martedì prossimo. L'opposizione esulta
Turchia,
il Parlamento
boccia le truppe Usa
ANKARA - Colpo di
scena ad Ankara. Il Parlamento turco, dopo settimane di
rinvii, ha bocciato la risoluzione presentata dal premier
Abdullah Gul sull'ingresso e il dispiegamento di decine
di migliaia di truppe americane sul suo territorio.
Tecnicamente, si è trattato di mancato raggiungimento
del quorum, ma l'effetto è lo stesso e Washington non ha
gradito lo stop.
Mentre all'esterno dell'aula si svolgeva una grande
dimostrazione pacifista, dopo diverse ore di discussione,
la risoluzione, che autorizza anche le truppe turche ad
entrare in territorio iracheno in caso di guerra, viene
messa ai voti: 264 sì, 251 no, 19 astenuti. Sembra
fatta. Le agenzie di stampa battono la notizia del via
libera per il Pentagono. Ma l'opposizione turca (CHP) non
ci sta e contesta la validità del voto in base
all'articolo 96 della Costituzione.
Per approvare una
mozione del governo serve infatti la maggioranza del 50%
+1 dei deputati presenti e votanti. Quindi, su 533
deputati presenti, servivano 267 voti. Il clima si fa
teso. Tocca al presidente della Camera, Bulent Arinc,
dichiarare la nullità del voto. La mozione è bocciata.
Se ne riparlerà il 4 marzo.
"Un risultato storico - dice il Chp - in sintonia
con il sentimento dell'opinione pubblica turca". Si
capisce che molti deputati del partito di governo,
l'islamico Giustizia e Sviluppo (AKP), hanno votato
contro la mozione. Il premier convoca il comitato
centrale per domani. Urge una decisione. Si deve capire
se presentare un'altra mozione dallo stesso contenuto,
cercando da qui a martedì prossimo di conquistare quei
tre voti mancanti, magari tra gli astenuti.
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PER L'AMERICA
NON BASTA MAI - in questo modo tiene sotto pressione il
mercato del petrolio, che rimane a prezzi esagerati,
perche' c'e' sempre la possibilita' della guerra, e la
famiglia BUSH guadagna con la sua multinazionale
petrolifica ed anche l'america rientra per poter pagare i
soldati in colonia a baghdad.
DA - LA
REPUBBLICA :
Al via lo
smantellamento. Ma la Casa Bianca rimane critica
Colloqui "buoni" fra gli ispettori dell'Onu e
Bagdad
L'Iraq
distrugge i missili
Iniziate le operazioni
BAGDAD - Il
governo di Bagdad ha avviato la distruzione dei missili
al Samoud 2, di cui l'Onu aveva chiesto l'eliminazione.
Per ora il governo di Bagdad ne ha distrutti quattro,
come previsto per la giornata di oggi. Il lavoro
ricomincerà domani.
Ma i preparativi per la guerra non si fermano. I
riflettori sono oggi puntati su Bagdad dove è iniziata
la prima fase della distruzione dei missili proibiti. E
dove si susseguono gli incontri tra ispettori dell'Onu e
membri del governo. Incontri definiti "buoni"
dal generale Amir Al Saadi, consigliere scientifico di
Saddam Hussein. Ma il risultato ancora non convince la
Casa Bianca, che in un comunicato ufficiale parla
nuovamente di "inganni". E mentre il cardinale
Pio Laghi si accinge a partire per Washington, dove
consegnerà al presidente Bush una lettera di Giovanni
Paolo II su pace e disarmo, a Sharm el Sheik, in Egitto,
si è svolto il vertice della Lega Araba.
Lo smantellamento
dei quattro missili Al Samoud ("vietati" dalle
Nazioni Unite, in quanto la loro gittata supera il
massimo consentito di 150 chilometri) è avvenuto
nell'area di Taji, una zona isolata a 40 chilometri della
capitale Bagdad. Rispettato anche lo scadenzario: il capo
degli ispettori Onu, Hans Blix, aveva posto proprio il
primo marzo come data entro la quale doveva iniziare
l'eliminazione dei missili.
Anche il portavoce degli ispettori in Iraq, il giapponese
Hiro Ueki, ha commentato positivamente l'esito dei
colloqui con gli iracheni, aggiungendo che domani sarà
annientato un altro dispositivo-chiave degli arsenali
missilistici di Bagdad: lo stampo per adattare
all'alloggiamento degli Al Samoud, la componente solida
del loro propellente. Il funzionario ha ribadito che
"tabella di marcia e piano d'azione" sono stati
messi a punto anche per i prossimi giorni.
A Mosca la distruzione dei missili è considerata uno
sviluppo significativo, una dimostrazione del fatto che
"l'Iraq sta effettivamete disarmando". Positivo
anche il giudizio del governo di Parigi: "Un passo
importante, dimostra l'efficacia delle ispezioni".
Ma Washington non si lascia convincere: la distruzione
dei missili "è un elemento della partita di
inganni", dice un comunicato della Casa Bianca,
ricordando che la risoluzione 1441 delle Nazioni Unite
chiede un disarmo "completo e totale" dell'Iraq
e non "pezzi di disarmo".
E se dall'Iraq giungono segnali di cooperazione, il
Vaticano annuncia una nuova iniziativa per arginare il
rischio di un conflitto: Giovanni Paolo II ha scritto un
messaggio al presidente americano George W. Bush, che
sarà portato a Washington, lunedì, dal cardinale Pio
Laghi. Cioè a pochi giorni dalle dichiarazioni dello
stesso Bush, che aveva detto "Non ci faremo
influenzare dal Vaticano". "Il cardinale Laghi
- ha detto il portavoce vaticano, Joaquin Navarro Valls -
sarà latore di un messaggio di Sua Santità e avrà modo
di illustrare la posizione e le iniziative intraprese
dalla Santa Sede per contribuire al disarmo e alla pace
in Medio Oriente".
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QUESTA SI CHE
SI PUO' RITENERE UNA NOTIZIA - finalmente gli arabi si
fanno sentire - ora l'america e' veramente in crisi -
fino ad OGGI gli arabi avevano dato consenso alle mosse
militari USA - anche perche' e' a loro che vendono il
petrolio... vuoi vedere che si svegliano ? - CHE SADDAM
sia un dittatore non c'e' ombra di dubbio - ma proprio
per questo dobbiamo tutti pensare al popolo dell'iraq.
DA - LA
REPUBBLICA.
L'altolà della
Lega Araba:
"No alla guerra contro l'Iraq"
Duro
scontro tra la Libia e l'Arabia Saudita
SHARM EL-SHEIKH
(Egitto) - "La Lega Araba non prenderà parte a una
guerra contro l'Iraq" che "sarebbe una minaccia
alla sicurezza di tutta la nazione araba". E' un
netto "no" al conflitto quello che arriva dai
ventidue paesi della Lega Araba a conclusione del vertice
dedicato alla crisi irachena, a Sharm el-Sheikh, in
Egitto. Il documento uscito dal summit è chiaro:
respinge un attacco contro l'Iraq e giudica questa
ipotesi "un'aggressione" cui nessuno dei paesi
membri ha intenzione di prendere parte. Anche se il
comunicato non esclude, esplicitamente, la possibilità
di prestare assistenza logistica a una coalizione
internazionale decidere una guerra. Il Kuwait e tutti gli
Stati del Golfo Persico stanno già ospintando decine di
migliaia di militari statunitensi e concedendo le loro
basi e porti.
Nel documento i dirigenti arabi "denunciano i
tentativi che mirano ad imporre cambiamenti di regime
nella regione del Medio Oriente e ad interferire negli
affari interni di questi paesi" e affermano che
"tocca solo ai popoli dell'area di decidere della
sorte dei propri regimi". Il comunicato invece non
fa inoltre alcun accenno all'iniziativa degli Emirati
Arabi Uniti a favore dell'esilio di Saddam Hussein e di
un mandato provvisorio dell'Onu e della Lega Araba in
Iraq. "Nessuno ha manifestato interesse a discutere
della proposta degli Emirati - dice il segretario
generale Amr Moussa - .Non ci riguardano i cambiamenti di
regime, non è il nostro compito".
La Lega però ha
anche rivolto un appello a Saddam Hussein affinché
rispetti le risoluzioni delle Nazioni Unite. I capi di
Stato e di governo hanno inoltre convenuto
sull'opportunità che la distruzione delle armi di
sterminio eventualmente in possesso dell'Iraq avvenga con
strumenti pacifici e sotto l'egida delle Nazioni Unite.
Chiedendo che agli ispettori Onu per il disarmo sia
concesso più tempo per portare a termine il loro lavoro.
Il summit ha visto contrapposti i paesi tradizionalmente
filo-americani, su cui si è concentrata la pressione di
Washington perché imponessero la loro linea di condanna
dell'Iraq, e il fronte più radicale. C'è stato anche un
momento di forte tensione tra il leader libico Muammar
Gheddafi e il principe ereditario saudita Abdullah. Uno
scontro così forte che ha portato alla sospensione,
temporanea, del vertice. A quanto si apprende Gheddafi
avrebbe accusato il regno saudita di lavorare per gli
americani. Secca la replica di Abdullah: "Il mio
paese non è un agente del colonialismo". Ma il
leader libico non si è fatto zittire e ha chiesto
provocatoriamente: "Questo allora significa che non
ci sono basi militari americane?". A quel punto la
delegazione saudita aveva deciso di abbandonare
definitivamente i lavori, ma è poi rientrata in aula su
insistenze degli egiziani, dei siriani, dei
rappresentanti del Bahrein e degli stessi libici.
Al vertice è stata inoltre decisa l'istituzione di un
comitato ristretto, formato da Libano, Bahrein e Tunisia,
oltre al segretario generale, cui spetterà avviare una
serie di contatti internazionali.
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ALTRO CHE
MATERIALE INUTILE - come dice il ministro martino... I
PACIFISTI fanno un buon lavoro - e queste azioni sono da
non dimenticare -
DA - IL MANIFESTO
:
CATANIA
Il
molo arcobaleno
I
pacifisti rallentano lo sbarco di mezzi della Us Navy da
una nave di linea partita da Napoli e diretti a Sigonella
Ore di fronteggiamento tra i manifestanti e le forze
dell'ordine. Poi lo sbarco di materiale: probabilmente
rampe per il carico degli aerei militari. Oggi
manifestazione in città
PATRIZIA ABBATE
CATANIA
Sono rimasti per ore sul molo, a urlare slogan e
dispiegare cartelli e bandiere arcobaleno, i pacifisti
catanesi che ieri mattina hanno tentato di bloccare il
cammino di due automezzi della Us Navy diretti a
Sigonella, imbarcati sulla nave di linea Partenope
che collega Napoli al capoluogo etneo. Il blocco è
riuscito solo a metà: intorno alle 14,15, dopo una
sfiancante attesa - l'approdo era avvenuto poco dopo le 9
- i due mezzi, che avevano viaggiato confusi tra tir
carichi di merci e auto private, sono riusciti a lasciare
il porto tra i «vergogna, vergogna» scanditi dai
presenti, e hanno continuato il loro viaggio via terra
verso la base militare che dista pochi chilometri dalla
città. Ai pacifisti è rimasta la soddisfazione di aver
comunque ritardato lo sbarco, le cui procedure sono
andate avanti lentissime. Cosa ci fosse in realtà
attaccato a quelle due motrici militari stipate proprio
in fondo alla stiva nessuno ha saputo spiegarlo con
esattezza, probabilmente rampe che vengono utilizzate per
caricare gli aerei militari. Chi è riuscito a salire
sulla nave non ha comunque potuto raggiungere la stiva,
mentre da più parti si tentava di accreditare la
versione che si trattasse sì di pezzi di rampe destinate
a Sigonella, ma per uso civile, visto che lo scalo ha una
doppia funzione. Una versione che sembrerebbe aver
convinto i rappresentanti della Cgil partecipanti al
presidio, che per tutta la mattinata sono rimasti
anch'essi lì, «soprattutto per testimonianza, e per
capire meglio», spiega Giusy Milazzo della segreteria
provinciale; mentre Agrippina Pozzagli della Filt
specifica che «è importante capire bene cosa si sta
trasportando, perché se si tratta di materiale civile
non abbiamo diritto a protestare...».
Sono state lunghe ore di gelo e di rabbia, oltre che di
distinguo. E c'è scappata anche qualche scaramuccia tra
poliziotti e militari della Capitaneria e i pacifisti che
- grazie al tam tam partito nella serata di giovedì
dallo scalo napoletano, dove altri attivisti erano
riusciti a far ritardare la partenza - già alle 8 si
erano ritrovati a decine davanti ai cancelli del porto.
Lì, nel tentativo di sbarrare loro l'entrata, due
poliziotti sono rimasti lievemente feriti mentre a
qualche manifestante sono arrivate manganellate. Ma la
tensione per fortuna si è sciolta subito, mentre i
pacifisti conquistavano il molo e via via crescevano di
numero, fino a diventare un centinaio, rappresentanti del
neonato coordinamento catanese «Fermiamo la guerra» del
quale fanno parte tra gli altri il Social Forum, l'Arci,
Attac, Cgil, Rifondazione, collettivi studenteschi e
universitari e vari centri sociali. Che per oggi si sono
già dati appuntamento in via Etnea per sensibilizzare i
passanti nella strada dello shopping. E già programmano
una grossa manifestazione per il 23 a Sigonella, davanti
a quella base che «è certamente la più strategica e
importante del Mediterraneo» e verso la quale, si teme,
continueranno ad arrivare camion carichi di guerra.
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IO HO IMPARATO
CHE QUANDO BERLUSCONI dice una cosa - ne fa tutta
un'altra - da sempre e' cosi' - e' una tattica la sua -
talmente semplice - che come parla bisogna organizzarsi
per il contrario :
DA IL MANIFESTO
La doppiezza di
Berlusconi
Il premier dice che senza Onu sarebbe «nefasta», ma si
prepara e attacca i lavoratori che la boicottano
C. ROS.
«Credo che sia un fatto talmente nefasto, quello di una
azione militare contro l'Iraq fuori dall'Onu, che non
penso nessuno si caricherà di una responsabilità così
grave». Solo che Silvio Berlusconi, nel fare questa
affermazione, non spiega se si riferisce all'alleanza con
gli Stati uniti di cui fa parte o al Consiglio di
sicurezza dal quale invoca da tempo il via libera alle
armi, pena la perdita di credibilità delle Nazioni
unite. Da parte sua è il ministro degli esteri Franco
Frattini che spiega le parole del premier come un monito
agli alleati: «Il presidente del consiglio - spiega - ha
confermato quello che l'Italia ha più volte detto in
diverse sedi, innanzitutto cercando di convincere il
presidente Bush a incanalare la sua azione nell'ambito
delle Nazioni Unite». Allo stesso tempo, però, Frattini
continua a mantenere in vita l'ambiguità della posizione
del governo: «L'Italia cerca in ogni modo, con il
convincimento e la persuasione, il ricorso ad una
soluzione pacifica - dice - ma cerca anche che sia
riaffermata la credibilità delle Nazioni unite e del
Consiglio di sicurezza».
La dichiarazione del premier sembra calibrata invece per
smentire le indiscrezioni pubblicate nei giorni scorse
dal francese Figaro
circa l'impegno del cavaliere a persuadere i parter
europei alla guerra in nome della realpolitik. Tant'è
che Frattini chiosa: Berlusconi «ha smentito con i fatti
quelle indicazioni che gli attribuivano, e attribuivano
anche all'Italia, una volontà diversa» da quella della
pace e della tutela del prestigio dell'Onu.
E anche il presidente della camera Pierferdiando Casini -
ai ferri corti con il cavaliere sulla vicenda Rai -
spezza una lancia a favore della diplomazia italiana.
«Stiamo lavorando tutti perché le Nazioni unite abbiano
un ruolo da protagonista e per la pace - dice -
Naturalmente questo non può significare una sorta di
rassegnazione davanti a regimi dittatoriali». Tanto per
salvarsi la coscienza - e la protezione d'oltretevere -
comunque Casini parteciperà al digiuno per la pace del 5
marzo.
Intanto il cavaliere non perde l'occasione per
polemizzare con i pacifisti italiani e in particolare con
i lavoratori. Secondo quanto riferito ieri nel corso
della conferenza stampa a palazzo Chigi, i treni
boicottati dai Disobbedienti «trasportavano mezzi e
attrezzature militari, ma non armi» e, soprattutto, sono
ormai giunti tutti a destinazione. Il premier compiace
perciò dell'operato delle forze dell'ordine: «I
convogli hanno svolto il proprio tragitto come deve
essere garantito dai trattati in vigore con il Patto
Atlantico - dice - I manifestanti hanno avuto modo di
esprimere il proprio dissenso e devo lodare le forze
dell'ordine, per essere riusciti ad evitare ogni
scontro». Semmai c'è da censurare la «mancanza di
riservatezza da parte dei dipendenti pubblici». Cioè i
ferrovieri che hanno denunciato i trasporti bellici.
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HANNO CATTURATO
LA MENTE DELL'11 SETTEMBRE - ma come al solito si sono
dimenticati di fornirci le prove della sua
colpevolezza.... gli americani - che spettacolo - e lo
hanno beccato proprio quando la guerra sembra ancora non
avviarsi - caso strano...
DA - IL CORRIERE
DELLA SERA
Arrestato il
«regista» dell'11 settembre
Pakistan, agenti
dell'Fbi e dei servizi segreti di Islamabad hanno
catturato Khalid Mohammed, uomo chiave di Al Qaeda
ISLAMABAD -
Khalid Sheik Mohammed, uno dei terroristi di Al Qaeda
più ricercati, considerato la mente degli attentati
dell'11 settembre, è stato arrestato assieme ad altre
due persone a Rawalpindi, città nel nord-est del
Pakistan.
LA CONFERMA - Qualche ora prima della conferma che si
trattasse di Khalid Sheik Mohammed, il ministro
dell'interno Faisal Saleh Hayat aveva parlato
dell'arresto di tre «sospetti»: un pachistano e due
«stranieri», nei pressi di Islamabad.
Gli arresti sono stati eseguiti a Rawalpindi, nel
nord-est del Paese, non lontano dalla capitale pakistana.
L'azione è stata rapida e non ci sono state sparatorie.
Il governo pachistano, per bocca del ministro
dell'informazione Sheikh Rashid Ahmad, ha già annunciato
l'estradizione negli Stati Uniti di Khalid Sheik
Mohammed. «Non sappiamo quando avverà. Potrebbe essere
domani o fra una settimana» ha detto il ministro.
CHI E' L'ARRESTATO - Khalid Sheikh Mohammed è kuwaitiano
e ha 37 anni. E' il nipote di Ramzi Yousef, cioè l'uomo
che nel 1993 ideò e coordinò il primo attentato al
World Trade Center. Il nome
di Khalid Sheikh
Mohammed è stato fatto da Abu Zubaydah, ex numero tre
della stessa rete terroristica, attualmente nelle mani
degli americani.
Per la cattura di Khalid Sheikh Mohammed l'Fbi aveva
offerto una taglia da 25 milioni di dollari. Gli
americani puntano il dito contro di lui anche per il suo
coinvolgimento nel piano - messo a punto a Manila, nelle
Filippine, nel 1995 - che prevedeva il dirottamento e
l'abbattimento in contemporanea di 12 aerei commerciali
americani in volo dall'Asia agli Stati Uniti.
Le informazioni raccolte dai servizi segreti occidentali
lo davano, infine, come l'organizzatore di un progetto,
datato 1999, per assassinare il Papa durante una visita nelle
Filippine.
L'INTERVISTA - Assieme a Ramzi Binalshibh, Khalid Sheikh
Mohammed
rilasciò una sconvolgente intervista al giornalista
Yosri Fouda di Al Jazeera, in cui Mohammed si
autodefiniva capo militare di Al Qaeda.
Nellintervista il ricercato affermava che, prima di
decidere per lattacco alle Torri gemelle e al
Pentagono, avevano anche valutato la possibilità di
colpire centrali nucleari.
Uno degli altri due arrestati in Pakistan si chiama Ahmed
Quddos. Sul suo conto non è stata diffusa alcuna
informazione se non i dati anagrafici riportati sulla sua
patente di guida.
L'AMICO ATTA - Secondo il dossier dell'intelligence
americana sul suo conto, Mohammed in questi anni avrebbe
tenuto i contatti tra i vertici di Al Qaeda e le cellule
terroristiche sparse in tutto il mondo. Stando alla
documentazione avrebbe incontrato nel 1999, ad Amburgo,
in Germania, Mohamed Atta, uno dei kamikaze dell'11
settembre per mettere a punto i piani degli attacchi.
Infine gli viene attribuita una responsabilitá anche
nelle stragi contro le ambasciate americane in Africa del
1998 che provocarono oltre 200 morti.
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ECCO COME DA
TEMPO CERCANO DI ROVINARE I GIOCHI - per poi lasciar
gestire il tutto alla pay tv - infranto il sogno dei
giocatori
DA - IL
MESSAGGERO :
«Libera
concorrenza anche per i giochi»
Baldassarre:
ora non prevale il più efficiente, ma chi firma la
migliore convenzione
di CORRADO
GIUSTINIANI
ROMA - Per mezzora si è tolto
il cappello di presidente dimissionario della Rai,
Antonio Baldassarre, per indossare quello di presidente
della Sisal, che da tre anni e mezzo gli calza a
pennello. E lanciare un bel sasso nello stagno, al
Convegno internazionale sui giochi: «Noi, Sisal, ci
attendiamo una legge di sistema che garantisca la libera
concorrenza. La situazione in Italia è deprecabile. Non
viene premiato il più efficiente, come richiede il
mercato, ma chi sigla la miglior convenzione con lo
Stato».
Brusii di sorpresa nellaula della Scuola superiore
delleconomia e delle finanze, che ospitava i
lavori. Ma come, non è Sisal uno dei tre concessionari
monopolisti del mercato italiano? Da una parte cè
Lottomatica che gestisce loro del lotto (7,8
miliardi di euro lanno, come ha ricordato il suo
vicedirettore Piero Alberti, con 7 milioni di consumatori
che giocano tutte le settimane). Oro del lotto e non
solo, perché Lottomatica grazie alla rete dei tabaccai
cura anche pagamento di multe e bollo auto, schede
telefoniche, biglietti di teatro e partite.
Dallaltra cè Snai, che regna sulle scommesse
ippiche. E Sisal, con il Superenalotto, affidatole con
decreto del ministero. Sisal vorrebbe di più, è forse
invidiosa di Lottomatica? Innervosita perché lo scorso
anno la raccolta del Lotto è progredita del 7,14 per
cento, mentre il 2002 del Superenalotto è andato
maluccio, con quel calo dell8,96 per cento? O
invece la proposta del presidente emerito della Corte
costituzionale è proprio nellinteresse del
mercato? Vero è che Baldassarre ha lanciato
unaltra interessante idea: «Una quota
dellincasso dei giochi vada a specifiche attività
sociali. Dobbiamo seguire lesempio della lotteria
nazionale inglese».
La finalità sociale esposta da Giovanni Petrucci,
presidente del Coni, è quella di finanziare in modo
serio, senza elemosine, lo sport italiano. Dal suo
discorso si è ben capito che il Coni non ha ben digerito
il fatto che, con il passaggio per legge della regia di
tutti i giochi allazienda dei Monopoli, gli sia
stata soffiata la gestione delle schedine. «Da parte
nostra cè ampia collaborazione - ha detto -
Vogliamo far valere la nostra esperienza». Ma intendeva
altro, Baldassarre, che aveva ricordato come la Sisal
investa sui poveri dellAfrica.
Una «legge di sistema» lha invocata anche Luciano
Consoli, amministratore delegato di Formula Giochi, la
società del Bingo. «Vogliamo sì ununica cabina
di regia, ma per un mercato che deve essere senza
barriere e senza privilegi. Stimo molto Lottomatica e
Sisal, ma debbono poter crescere altre società».
Consoli ha invocato anche una rete più grande e con
sportelli unici, «perché i giocatori non debbano
passare più per tre o quattro parrocchie prima di
trovare il prodotto che cercano». Sugli stessi concetti
ha battuto Luigi Paganetto, preside di Economia a
Torvergata: secondo lAntitrust, ha ricordato, il 75
per cento del marcato è in mano a Lottomatica e Sisal.
I giochi hanno conquistato il cuore del potere politico e
sono fra i migliori investimenti economici. Negli ultimi
dieci anni, nonostante la crisi generale, hanno avuto una
crescita del 10 per cento lanno. «Mentre
lItalia partecipa per il 5 per cento al prodotto
lordo mondiale, per i giochi siamo al 10» ha informato
Pier Domenico Gallo, presidente di Meliorbanca. La loro
torta e di quasi 16 miliardi di euro, più 15 di
clandestini da debellare.
Dai giochi si arriva anche al vertice della Rai, come
dimostrano Baldassarre e Marco Staderini, ex consigliere,
appena dimessosi anche da presidente di Lottomatica. Ma
resterà disoccupato per poco. Di lui si parla per il
vertice Inpdap o, più probabilmente, per quello della
Sogei, alla quale sarà delegato, fra le tante cose,
anche il controllo di rete sui videogiochi. Daltra
parte un ex funzionario della Sogei, lingegner
Vitaliano Casalone, è stato di recente arruolato nel
corpo di quelli che un tempo i giornali chiamavano
"007 del fisco", per essere immediatamente
distaccato, come esperto Secit, presso i Monopoli, a
curare lidoneità del parco macchine per il gioco e
lintrattenimento.
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DAVVERO
SCONVOLGENTE IL CASO DI SOFRI - anche perche' se non lo
si lascia libero al piu' presto dobbiamo continuare a
seguire il figlio alla 7 - e sta diventando drammatico...
DA - IL
MESSAGGERO
Voleva andare alla
Corte europea. No del tribunale e polemiche
Strasburgo negata a Sofri
ROMA Al
processo davanti alla Corte Europea di Strasburgo,
Adriano Sofri non ci sarà. Lo Stato italiano, che in
quel processo Sofri è citato in giudizio, gli ha negato
il permesso di espatriare. Non è socialmente pericoloso
- hanno ammesso i giudici del Tribunale di sorveglianza
di Firenze - ma non è previsto che un detenuto possa
interrompere la pena che sta scontando in Italia per
andare allestero. E Sofri sconta 22 anni di carcere
come mandante ideologico dellomicidio Calabresi.
Sofri non polemizza, ma fa notare che la sua presenza
sarebbe stata simbolicamente importante in un momento per
lui così delicato. Unanimi le reazioni politiche:
decisione assurda. E Gianni Sofri, fratello di Adriano,
parla di «incredibile accanimento».
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BERLUSCONI
GRIDA DI GIOIA - TREMONTI mette il naso fuori e fa
sentire la sua - ma i conti restano disastrosi :
da - IL SOLE 24
ORE
Il 2002 si è
dunque concluso per l'economia italiana, in linea con le
più recenti attese, nel segno della stagnazione: la crescita
del Pil è
stata di appena lo 0,4% e per trovare un valore più
basso occorre tornare a quasi dieci anni prima (1993).
Una performance così modesta colloca il nostro paese
nelle posizioni di coda nell'area dell'euro, cresciuta in
media dello 0,8%, mentre solo la Germania è riuscita a
fare peggio (+0,2%). La fase di diffuso ristagno è da
ricondurre a una serie di fattori negativi, dalla
persistente debolezza della domanda interna alle
difficoltà delle esportazioni per la crisi di importanti
mercati di sbocco. Il 2003, a sua volta, non si presenta
granché meglio; preoccupano, infatti, sia l'evoluzione
sempre molto incerta dell'economia
americana >, sia gli incombenti
rischi di guerra e la conseguente instabilità
geopolitica. La ripresa sarà necessariamente lenta e
prenderà vigore non prima del 2004.
Dopo la
prolungata battuta d'arresto che ha interessato ben
cinque trimestri consecutivi - dal secondo del 2001 allo
stesso periodo dello scorso anno - l'economia italiana
nel secondo semestre 2002 è tornata a crescere, ma solo
di poco: +0,3% e +0,4%, rispettivamente, l'aumento
congiunturale del Pil e +0,5% e +1,0% quello tendenziale
annuo nel terzo e quarto trimestre, con una crescita
acquisita per l'anno in corso pari allo 0,5%, quella
cioè che si otterrebbe nella media del 2003 se il
livello del Pil restasse invariato nei quattro trimestri.
La stima preliminare
dell'Istat sul quarto trimestre 2002
- i dati definitivi e completi dei conti economici
trimestrali saranno diffusi il prossimo 10 marzo - mette
in evidenza un profilo congiunturale poco più che
stagnante, su cui ha peraltro esercitato qualche
influenza la composizione del calendario. Ma non si
tratta di un dato a sorpresa: è questa la dinamica della
crescita prevalente in Europa e l'Italia non può certo
fare eccezione. Il modesto recupero del quarto trimestre,
in particolare, è sostenuto dagli investimenti fissi
lordi, mentre dovrebbe essere negativo il contributo
delle scorte, a differenza del primo semestre dell'anno.
Ancora debole è risultato, inoltre, l'andamento dei
consumi privati.
Sull'onda della
sensibile frenata della congiuntura internazionale, l'economia
italiana -
com'era, del resto, nelle attese - aveva fatto segnare
già nel 2001 un netto rallentamento del suo ritmo di
sviluppo. Dopo la buona performance dei primi tre mesi,
il Pil non aveva infatti registrato ulteriori aumenti nei
successivi periodi, andando così a chiudere l'anno su un
incremento medio dell'1,8% (dal 3,1% messo a segno nel
2000), ma solo grazie al trascinamento dell'ultimo quarto
del 2000 e del trimestre iniziale del 2001. L'eredità
lasciata al 2002, in termini di accelerazione in entrata
per l'anno in corso, è stata dunque leggermente negativa
(-0,1% l'effetto trascinamento), a causa del deludente
risultato del quarto trimestre 2001 (-0,1% la variazione
congiunturale e +0,7% quella tendenziale).
La decelerazione
dell'economia italiana è stata, soprattutto, la
conseguenza dello sfavorevole andamento dell'industria
manifatturiera, mentre i servizi e le costruzioni hanno
messo in evidenza una relativa tenuta, sia pure con una
dinamica in netta frenata. Dal lato della domanda
interna la
perdita di colpi della crescita ha risentito del ristagno
dei consumi privati e della battuta d'arresto degli
investimenti. Per quanto concerne i consumi delle
famiglie, hanno influito sia l'erosione del potere
d'acquisto, indotta dal risveglio dell'inflazione nella
prima metà del 2001 e successivamente dall'effetto
changeover dell'euro, sia le negative conseguenze del
crollo della fiducia, con l'emergenza terrorismo di
settembre. Sulla debolezza degli investimenti si è fatta
sentire, invece, l'attesa della nuova legge di
incentivazione fiscale (Tremonti bis), insieme al
peggioramento della congiuntura internazionale. E' andata
meglio, infine, la domanda estera netta; ma ciò è dovuto
in larga parte alla caduta delle importazioni.
I dati in dettaglio sui conti
economici nel terzo trimestre del
2002, così come quelli dei trimestri precedenti,
confermano, in sostanza, il netto ribaltamento della
ripresa produttiva avviatasi nella seconda metà del
1999, che nella prima parte del 2001 ha proceduto su
ritmi modesti e sensibilmente al di sotto delle
ottimistiche previsioni di inizio anno. La tenuta
congiunturale si basa soprattutto sul settore dei
servizi, mentre continua a essere negativo il ciclo
dell'industria, così come quello degli investimenti in
macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto; è sempre
fiacca la dinamica dei consumi privati (0,9% la crescita
annua, dopo la variazione negativa dei due precedenti
trimestri). La fase espansiva dell'economia italiana ha
raggiunto un picco nel primo trimestre del 2000 (+3,5%
tendenziale), per poi via via rallentare, fino a portarsi
su un incremento del 2,6% nel primo trimestre 2001 e
arrestarsi del tutto (crescita zero) all'inizio del 2002.
L'andamento congiunturale è apparso discontinuo, anche a
causa della distribuzione delle giornate lavorative. Alla
forte crescita del primo trimestre 2000 si sono alternati
periodi di quasi stagnazione e successivo recupero. La
frenata ciclica, in ogni caso, è stata sensibile.
I segnali
provenienti dagli indicatori anticipatori del ciclo
economico, come quelli elaborati dallIsae-Banca
d'Italia e da Ref.Irs - che individuano con alcuni mesi
di anticipo i punti di svolta dell'economia - registrano
una decelerazione a partire dai mesi primaverili del 2002
e, poi, si stabilizzano nel corso dell'autunno. Il
rallentamento di questi indicatori, in particolare, è
legato alla caduta del clima
di fiducia delle famiglie e alla
debolezza della domanda interna. La ripresa produttiva,
nonostante la frenata conseguente al caro petrolio, ha
mostrato, nella sequenza dei dati trimestrali, una
discreta tenuta fino al primo trimestre del 2001, dopo un
prolungato periodo di tendenziale ristagno, tale da
avvicinare l'economia italiana alla media europea (l'area
dell'euro, in particolare, è risultata in crescita del
3,5% e dell'1,4%, rispettivamente nel 2000 e nel 2001).
Le valutazioni e i giudizi sulla tendenza
della produzione e della domanda sono man
mano diventati negativi, mostrando una sempre più
diffusa incertezza, che condiziona il clima di fiducia e
le decisioni di spesa degli operatori.
Anche sulla
domanda interna i problemi non sono mancati: la
compressione del reddito disponibile delle famiglie, con
un potere dacquisto in crescita zero tra
moderazione salariale, inflazione sempre significativa ed
elevata pressione fiscale, ha determinato
unevoluzione dei consumi privati che è proceduta
un po' con il freno tirato, rendendo così ancora deboli
i sintomi di ripresa delleconomia. Questa crescita
a piccoli passi ha, dunque, portato a un consuntivo
di
aumento del Pil per il periodo 1996-2002 pari ad appena
l'1,7% in media. Secondo i dati della contabilità
nazionale, nel dettaglio per grandi settori il modesto
aumento del Pil registrato nel corso del 2002 è
attribuibile al settore dei servizi e alla tenuta
dell'edilizia, favorita dalle misure di incentivazione
delle ristrutturazioni residenziali e delle opere
pubbliche. Il contributo dell'industria
manifatturiera dopo un mediocre 2001
(+0,9% in termini annui), è tornato a essere negativo
(-0,8%) nella formazione del valore aggiunto, così come
accade ormai da tre anni per l'agricoltura.
28 febbraio 2003
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CHE PENA
RAGAZZI QUESTA LEGA - peggiora di giorno in giorno :
DA - L'UNITA'
Castelli
difende il razzismo contro l'Europa
di
Luana Benini
Alla Lega
lEuropa dei trattati non è mai piaciuta. Gabbie,
vincoli, li ha sempre considerati. LEuropa? Era
«Forcolandia» quando si trattava di opporsi al mandato
di cattura europeo. «Noi siamo per dare allEuropa
il meno possibile» è sempre stato limperativo
bossiano. Che la Lega avrebbe cercato di seminare macigni
sulla strada della costruzione europea era scontato.
Il ministro
leghista alla Giustizia, Castelli, lo aveva promesso
qualche tempo fa: «Su razzismo e xenofobia ci sarà una
grande battaglia in Europa». Parlando al suo elettorato
«padano» aveva già agitato il tema: «Vedo benissimo
il piano che sta venendo avanti in Europa. Il mandato
darresto sui reati di razzismo e xenofobia. Nei
prossimi mesi tenterò di smontare questo piano». Detto,
fatto. LItalia, grazie a Castelli è stato
lunico paese a mettere il veto e bloccare il
pacchetto di misure destinate ad armonizzare in Europa le
norme e le sanzioni in materia di lotta al razzismo e
alla xenofobia.
E ieri Castelli
ha rispolverato accenti da giuramento di Pontida, lancia
in resta: «In Europa tira una brutta aria, i nazisti
rossi cercano in tutti i modi di negare ai cittadini la
libertà di esprimere le proprie opinioni. Ma la Lega si
oppone e si opporrà sempre a questi tentativi. Non
vogliamo più rivedere i roghi dei libri in piazza».
Ma i roghi dei
libri e la libertà di espressione qui ci entrano poco o
niente, così come le nuove invettive del ministro contro
la «sinistra liberticida». Il più sferzante è
Giuseppe Fioroni, Margherita: «Blocco delle leggi
antirazziste come nel 1938 con i Savoia? Tutti sanno come
andò a finire: lItalia non solo bloccò le leggi
antirazziste ma ne promulgò di razziali. il ministro
castelli potrebbe anche farsi spiegare da qualcuno che
differenza cè fra libertà di espressione e offese
razziste. basta che non se lo faccia spiegare da
Bossi...». Le norme europee in questione puntano a
«tutelare valori fondativi unificanti» dice il diessino
Pietro Folena. La realtà è che lo stop della Lega a un
testo che riscuote il consenso unanime di tutti gli altri
Stati membri «la dice lunga sulla deriva illiberale di
chi pensa che lItalia possa andare per conto suo».
Castelli a
Bruxelles ha spiegato dunque agli allibiti partner la sua
opposizione ad un testo che, secondo lui «minaccia la
libertà di opinione». Minaccia la libertà della Lega,
ribattono nel centro sinistra, di poter scorrazzare su un
crinale pericoloso in continuità con le sue radici,
laddove ciò che per gli altri è un valore fondativo,
per la Lega diventa un antivalore. Come dice Giovanni
Russo Spena (Prc) «teme che potrebbero essere
incriminate le porcherie che quotidianamente i leghisti
dicono e fanno contro gli immigrati, costruendo odio,
pulsioni di paura collettiva».
Lanno scorso Berlusconi giurava soddisfatto a
Valencia che ormai non doveva più rassicurare i partner
internazionali sulla Lega. Ora il premier tace. In
compenso spunta, a difesa di Castelli, il presidente
forzista della Commissione Giustizia della Camera,
Gaetano Pecorella.
A riprova che
lasse Fi-Lega nella coalizione di centro destra non
sono bruscolini. «Ormai - commenta Enrico Buemi, Sdi -
è sempre più chiaro che la Lega detta la linea al
governo. Il suo è un ricatto strisciante che alcune
volte esce fuori come in questo caso, altre volte resta
più nascosto...». Pecorella ha giustificato
completamente la decisione di bloccare la normativa di
Bruxelles: «Prima bisogna definire quali reati
dopinione resteranno nel nostro ordinamento e poi
si deciderà a cosa dobbiamo aderire in Europa». Ha
spiegato: «Se si dovesse eliminare oggi il reato di
opinione sia in materia politica, sia in materia
religiosa e razzista, sarebbe incompatibile aderire in
Europa a certi trattati».
Questo lascia
intendere che Fi spalleggerà Castelli in barba alla
solitudine europea dellItalia. «È una vergogna
assoluta - dice la responsabile giustizia della Quercia
Anna Finocchiaro - La politica di questo governo ci sta
portando allemarginazione in Europa. Ci sono
argomenti come quello del razzismo e della xenofobia sui
quali non si può giocare. Farlo significa oltraggiare
non solo lItalia, la sua cultura e la sua storia,
ma anche lEuropa. Perché è chiaro che la scelta
di introdurre queste norme anti-razziste nasce dalla
storia comune di tutti noi, di questo continente, del
secolo che è appena trascorso». Per il verde Pecoraro
Scanio «Castelli è un irresponsabile e deve
dimettersi»: «Sono particolarmente scandalizzato da
questa vicenda. Una volta bloccate le norme
anticorruzione, poi le norme antirazzismo, si sta
offrendo una immagine del nostro paese che è francamente
offensiva».
Il suo compagno
di partito, Paolo Cento, chiede al ministro di «riferire
in Parlamento e di verificare qual è la volontà di
tutte le forze politiche sul tema». Anche Russo Spena
annuncia: «Chiederemo conto del comportamento del
governo giovedì in Parlamento, nel corso del dibattito
già fissato sulla Convenzione europea». Per ora il
ministro Castelli risponde picche. Dice di aver già
affrontato il tema durante una audizione alla Commissione
della Camera che si occupa delle Politiche
dellUnione europea. Resta da vedere se centristi e
An sono disposti a buttare giù questo ulteriore rospo.
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piu' volte la
destra ha detto di aver votato in favore della guerra -
quando il centosinistra - sicuramente bigotto - ha
chiesto l'unione per bombardare il kossovo - ma questa
bellissima intervista spiega tante cose :
DA - L'UNITA'
Assurdo
paragonare l'intervento in Iraq con quello in Kosovo
«Paragonare la guerra allIraq allintervento
della Nato in Kosovo è unassurdità. Nel 99
cerano migliaia di profughi albanesi kosovari, oggi
non cè nessuna emergenza umanitaria». Predrag
Matvejevic, scrittore croato e docente
allUniversità di Roma La Sapienza, non ammette
paralleli tra Baghdad e i Balcani, chi li fa - dice -
«prende in giro lopinione pubblica». Invitato
donore alla conferenza romana sulla presentazione
ufficiale della candidatura della Croazia alla Ue,
Matvejevic lascia intravedere lurgenza di questo
passaggio, tanto più quando soffiano tempi di guerra e
larea mediterranea rischia di accusarne i
contraccolpi. Oggi Matvejevic fa parte di un gruppo di
saggi che affianca il presidente della commissione
europea Romano Prodi, «per piegare - dice - la politica
dellUnione Europea verso il Mediterraneo». E per
evitare che lapertura ad est dellUnione
europea «si faccia a scapito dellarea
mediterranea».
Si tende in questi
giorni a fare un parallelo tra lintervento nel
99 in Kosovo contro Milosevic e lattacco
allIraq di Saddam Hussein. È possibile il
confronto?
«Mi sembra un assurdità. Io ero contro i bombardamenti
anche nel 99. sono andato a protestare con i miei
studenti davanti alla base di Aviano da dove partivano
gli aerei carichi di bombe. Ma a parte questo, mi
sembrano due situazioni completamente differenti.
Milosevic aveva espulso dal Kosovo 600.000 kosovari
albanesi in modo crudele e spietato. Sono stato ad
Otranto ad accogliere i profughi che arrivavano in Puglia
stremati, era una situazione tragica.
Non cè niente di simile nelleventuale
intervento in Iraq, oggi non cè unemergenza
umanitaria, ci sono altre ragioni. Comparare queste due
situazioni per trovare una giustificazione alla scelta di
seguire la politica americana è un modo per ingannare
lopinione pubblica».
Il segretario
americano alla Difesa Donald Rumsfeld ha fatto una
distinzione tra giovane e vecchia Europa, preferendo la
prima che ha scelto di stare con gli Usa. Come spiega la
linea dei "giovani europei"?
«Il discorso di Rumsfeld è inaccettabile. La cosiddetta
vecchia Europa ha un retaggio culturale e
politico-culturale che rispetta la propria autonomia, non
accetta di assoggettarsi a obiettivi che le sono
estranei. Io sono contento del fatto che entrino in
blocco nella Ue i paesi dellest, ma sono stato
sorpreso del fatto che abbiano dimostrato una concordanza
totale, non dico totalitaria, al momento di decidere tra
guerra e pace. Forse quelli che erano abituati ad avere
uno statuto di satelliti dellUnione sovietica, non
hanno saputo evitare in questa circostanza di
assomigliare a dei vassalli».
Anche il governo
croato ha firmato un documento di solidarietà agli Stati
Uniti.
«Sì, ma il presidente croato Stipe Mesic è invece
decisamente contrario allintervento in Iraq. Il
primo ministro Racan al contrario sarebbe favorevole alla
soluzione americana, sia pure condendola con la salsa di
una nuova risoluzione delle Nazioni Unite. Ma al momento
non cè ancora una decisione, malgrado le forti
pressioni degli Stati Uniti che chiedono di poter usare
le basi e lo spazio aereo.
La Croazia cerca di prendere tempo, di orientarsi anche
seguendo lEuropa (il premier Racan ha concesso il
sorvolo e il rifornimento alle forze Usa ma solo agli
aerei civili, ndr). Io personalmente devo dire che questa
divergenza di opinioni ai vertici dello Stato mi piace,
è un segno di vitalità, di democrazia».
Lei insiste sulla
necessità di agganciare allEuropa il Mediterraneo,
sua sponda naturale e tramite verso altre culture. Quale
rischi vede profilarsi nel caso di un conflitto in Iraq?
«Questarea già soffre molte contraddizioni,
retaggio di un passato recente che ancora dura e che la
guerra non potrebbe che peggiorare. Penso alla Palestina
e ad Israele, al Libano, a Cipro, agli stessi Balcani.
Purtroppo questo non è come dovrebbe un mare di pace, le
condizioni che vive sembrano spingere più a dividere che
a unire. Per questo sono favorevole alla presenza della
Croazia in un blocco dellUnione Europea che sappia
difendere i valori del Mediterraneo, ancorandolo alla
pace».
I Balcani e la
Croazia in particolare lamentano la diffidenza
dellEuropa continentale. Perché?
«Da parte dellEuropa continentale sentiamo riserve
e incomprensioni, una griglia di lettura diversa, che non
riesce a capire il sud. Da qui il pericolo che si apra un
fossato tra il continente e la sponda mediterranea, un
fossato che diventa un abisso sullaltra sponda,
quella africana: una spaccatura che sarà ancora più
drammatica se scoppierà la guerra in Iraq».
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E UN'ALTRA
BELLA INTERVISTA - per spiegare il futuro del lavoro che
ci attende - anche questa settimana ho finito con la mia
domenica storica... vi aspetto alla prossima :
DA - L'UNITA'
"Più
flessibile, molto precario. Ecco come cambia il
lavoro"
MILANO A preoccupare di più è la precarizzazione dei
rapporti di lavoro. Ma a pesare sono anche
lincertezza sul fronte previdenziale e le
difficoltà di ritrovare unoccupazione una volta
persa lattuale. È quanto emerge
dallinchiesta - cui oggi lUnità dedica un
inserto - promossa dai Ds sul «Lavoro che cambia» i cui
risultati verranno illustrati oggi a Bologna nel corso di
un convegno cui prenderanno parte, con gli altri, il
segretario della Quercia, Piero Fassino, e i leader di
Cgil, Cisl e Uil, Epifani, Pezzotta e Angeletti.
Uninchiesta, come ha sottolineato Fassino, che
marca il ritorno del partito ad una tradizione iniziata
negli anni settanta. Dei dati più significativi parliamo
col sociologo del lavoro Aris Accornero.
Accornero,
cè una tendenza che emerge con più nettezza da
questa inchiesta? Si parla molto di mobilità, di
flessibilità: cosa emerge dal campione?
«Guardiamo a quanti hanno cambiato lavoro, nella loro
vita professionale. Il 30% lo ha fatto una volta, il 25%
da tre a cinque volte, il 10 per cento più di cinque
volte. Solo il 2% non lo ha mai cambiato. È un segno
evidente del lavoro che cambia. Ventanni fa la
percentuale di quanti non hanno mai cambiato sarebbe
stata molto più alta».
Ci sono differenze
di trattamento tra chi ha cambiato molto e chi non si è
mai mosso?
«Anzitutto chi ha cambiato più spesso guadagna di meno
e viceversa. Dal punto di vista sociale è ingiusto. È
ingiusto che chi si muove di più, in questa era che fa
della mobilità un valore, venga penalizzato».
Il 16% del
campione analizzato dichiara di avere rapporti di lavoro
flessibili, cioè di non avere un posto fisso. Come viene
vissuta questa condizione?
«In generale si può dire che chi imbocca questa strada
si ritrova poi con maggior frequenza a fare altri lavori
temporanei: il doppio della media».
Quindi non si
tratta semplicemente di una tappa verso il posto fisso.
«È difficile dirlo. Il 50-55% di quanti si avviano
lungo questa strada ci rimangono a lungo, anche se non
per tutta la vita lavorativa. Soprattutto in alcune fasce
di età questa condizione è molto penalizzante, anche
perché tra un lavoro e laltro non esistono tutele,
nemmeno con la legge appena approvata».
Ma preoccupa la
flessibilità o è vissuta come unopportunità?
«Sette su dieci si dicono preoccupati. Più del 50 %,
però (più al nord che al sud, per la verità), in caso
di perdita del posto pensa di riuscire a trovare un nuovo
lavoro nellarco qualche mese, e il 18% in poche
settimane. Questo dimostra che il mercato del lavoro non
va male e che la disponibilità a muoversi non manca».
Tornando al
discorso generale, il lavoro piace o no?
«Rispetto al passato, conseguenza
dellorganizzazione post-fordista, il lavoro
soddisfa di più. Le differenze, comunque, restano. Sia
in base alla professione che in base che al settore in
cui si presta la propria opera. Quadri, professionisti,
dirigenti, lavoratori autonomi sono più soddisfatti
rispetto agli operai. Chi lavora nellindustria lo
è un po meno. In generale, però, le soglie sono
più elevate che in passato».
Un tempo il lavoro
era quasi sinonimo di fatica. Lo è ancora?
«Al primo posto nella classifica del disagio, indicato
dal 45% degli intervistati, oggi viene lo stress. È una
percentuale altissima. Quindici-ventanni fa al
primo posto cera la fatica. Anche la ripetitività,
una lagnanza classica, oggi viene dopo un altro fattore
di disagio: la burocrazia interna alle imprese. Quelle
stesse imprese che esaltano la flessibilità, cioè, si
impongo con la loro rigidità. Poi, al quarto posto,
parente stretta della burocrazia, viene la struttura
gerarchica, che le imprese continuano a mantenere.
Significa che, a dispetto degli sbandierati
"organigrammi piatti", i livelli del potere
aziendale restano molti».
E per quel che
riguarda prospettive e sicurezza?
«Il 55%, soprattutto uomini, ritiene di avere buone
prospettive professionali, anche se non sono viste tanto
legate alla carriera. Riguardo la sicurezza, invece, solo
la metà, e soprattutto coloro che hanno qualifiche
elevate, ritiene il proprio posto abbastanza sicuro. E
ciò nonostante l84% degli interpellati sia
titolare di contratto a tempo indeterminato. Anche questo
è un segno dei mutamenti in atto. Un quarto, poi, si
ritiene poco sicuro, mentre laltro quarto si sente
insicuro. Ventanni fa le cose erano diverse».
In base a cosa
varia questo sentimento di insicurezza?
«I più insicuri, come ovvio, sono gli apprendisti e
coloro che hanno le qualifiche più basse. Ma questo
sentimento varia anche in relazione alla dimensione
aziendale. Più lazienda è grossa più ci si sente
sicuri (e si guadagna di più), anche se diminuisce la
soddisfazione».
Oltre il 56% di
quanti hanno risposto al questionario è iscritto al
sindacato, il 28,8% ha la tessera dei Ds. Qual è la
richiesta più frequente che viene loro avanzata?
«Più unità nel sindacato, anzitutto. Lo chiede oltre
la metà del campione, il 68% degli iscritti ai Ds e il
63% di quelli della Cgil, mentre scende appena sotto la
media tra gli iscritti a Cisl e Uil. È un dato
significativo».
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un bacio -
luana
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