DOMENICA 16 FEBBRAIO 2003. questa notizia e'
importante ... soprattutto vi invito a leggere quanto
hanno scritto DARIO FO E FRANCA RAME su bin laden...(
NELL'ULTIMO NAMIR - WWW.NAMIR.IT ) viene fuori sempre
all'occorrente... e' evidente che oramai - o non
esiste... oppure lavora per gli USA - ... molti di voi
penseranno che sono matta... ma guardate l'ultima
cinematografia ... riescono a far parlare attori che non
ci sono piu' - IL CORVO E' UNO DEI TANTI ESEMPI - ,
attraverso i computer.... e' facilissimo, basta prendere
un testo lungo e letto dall'attore, anche
pre-registrato...in questo caso di bin laden.... il
computer ne analizza vocale per vocale, poi si pigia su
una tastiera e viene fuori la voce .... come se fosse lui
a leggerlo. VOGLIO FARE COME SAN TOMMASO - finche' non
tocco non credo.... in questo caso - finche' non vedo.
IL PROBLEMA E'
CHE ORA SI POTREBBE CRITICARE INTERNET per questa scusa,
cercando di bloccare le organizzazioni contro la guerra e
per la pace... questo e' uno strumento tecnico che in
qualche modo tenteranno di recuperare e controllare.
DA LA
REPUBBLICA -
Secondo un
giornale arabo il messaggio di Bin Laden
sarebbe stato mandato in onda da un sito Internet
Osama,
minacce sul Web
"Combattete l'America"
Ma
non c'è alcuna prova che la voce sia la sua
DUBAI - Osama Bin
Lader è tornato a farsi sentire. Questa volta ha usato
un sito Web in lingua araba. Ad aver ottenuto la
registrazione del suo proclama è il giornale in lingua
araba Al Hayat, pubblicato a Londra. Il quotidiano
sostiene che il miliardario saudita, nel nuovo proclama
in cui chiama Bush "idiota" e "faraone
della nostra era", minaccia nuovi attacchi contro
obiettivi americani in tutto il mondo. E anche in questo
messaggio, Bin Laden fa riferimento all'imminente attacco
americano all'Iraq, invitando i musulmani a mettere da
parte la paura e a combattere. "Nella registrazione,
Osama promette di continuare la lotta contro gli
americani chiedendo ai paesi islamici di sconfiggere gli
Stati Uniti", scrive Al Hayat.
Secondo Bin Laden sarebbe possibile sconfiggere l'America
guidata da un presidente "idiota" che vuole
essere il "faraone della nostra era "lanciando
una "crociata che dividerà la regione per
l'interesse di Israele". Di una "grande
Israele", che includerebbe anche "una porzione
dell'Arabia Saudita". "E' chiaro - dice la voce
- che l'attacco all'Iraq è parte di una serie di
attacchi che verranno lanciati alle nazioni dell'intera
regione, inclusa la Siria, l'Iran, l'Egitto e il
Sudan".
Una lunga
registrazione in cui, come nel messaggio mandato in onda
dalla tv Al Jazeera l'11 febbraio scorso, Bin Laden torna
a parlare dell'attacco alle Twin Towers. "I
militanti dell'11 settembre - continua il messaggio -
hanno distrutto gli idoli dell'America e mandato con il
naso nella polvere gli Stati Uniti. Hanno dimostrato come
possono essere sconfitti ed umiliati. Musulmani -
conclude - non abbiate paura dell'America perché
l'abbiamo sconfitta ripetute volte e sono il popolo più
vigliacco sulla faccia della terra".
Il quotidiano saudita scrive che la registrazione è di
buona qualità, e cita un islamista, di cui non fornisce
il nome, secondo il quale Bin Laden avrebbe fatto questa
registrazione dopo quella inviata ad Al Jazeera la scorsa
settimana. Ma al momento non è stato possibile
verificare se la voce è o meno quella di Osama Bin
Laden. Né sul sito è indicata la data della
registrazione o dell'arrivo della cassetta audio.
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STAI A VEDERE
CHE ORA SIAMO NOI a volerla questa guerra... non date
credito a questi toni, spesso servono solo a recuperare
consensi... per poi continuare a fare i propri comodi,
... interessi.
DA - LA
REPUBBLICA
Una nota della
Casa Bianca dopo i cortei pacifisti
"Anche noi speriamo ancora in una soluzione
pacifica"
"Non
è Bush a volere la guerra
dipende tutto da Bagdad"
Rumsfeld:
"In caso di attacco non saremo soli"
dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI
WASHINGTON -
Aveva sperato a lungo di poter ignorare la voce del
mondo, ma alla sera qualcosa Bush ha dovuto dire, di
fronte alle immagini e agli slogan contro di lui, che si
inseguivano dagli schermi delle tv libere. Ha fatto
rispondere quasi con sprezzo, non dal suo portavoce
Fleischer, ma da una segretaria dell'ufficio stampa della
Casa Bianca, con un comunicato per dire che "anche
il Presidente spera ancora in una soluzione pacifica e la
pace dipende da Saddam Hussein". Una concessione
verbale a quella parola, pace, che milioni di persone
hanno ripetuto nella prima manifestazione
"global" per la pace, avvenuta in un mondo dove
la globalizzione può rivoltarsi anche contro chi l'ha
inventata e predicata.
Ma sembrava che Kofi Annn, il segretario delle Nazioni
Unite dove è in scena il dramma della grande lacerazione
occidentale, aspettasse questo segnale, perché quasi
contemporaneamente, diceva alla televisione di una
nazione araba, di un emirato del Golfo, Abu Dhabi, che
"una seconda risoluzione del Consiglio di Sicurezza
potrebbe essere necessaria, per chiarire che Saddam
Hussein ha violato l'ordine di disarmare e le ispezioni
non possono andare avanti all'infinito". Un modo per
tentare di ricucire quello che è stato strappato, di
impedire che questa guerra sia non soltanto la fine della
Nato come alleanza politica, ma dell'Onu come speranza,
richiamando gli Usa alle responsabilità internazionali
ma anche i governi dissidenti alla necessità di prendere
una decisione.
A questa ipotesi
di una risoluzione generica e annacquata, invocata da
Tony Blair, lavorano da ieri mattina i consiglieri del
war council, del consiglio di guerra riunito nel lungo
week end della Festa del Presidente, alla Casa Bianca. I
cortei mirati contro Bush non hanno spostato di un giorno
il calendario dell'invasione, né fermato l'invio di 46
mila nuove body bags, di sacchi di vinile per i cadaveri,
che il Pentagono ha aggiunto alle 31 mila già nel Golfo,
ora che la proposta di cremare i caduti è stata
respinta, dopo la reazioni delle famiglie dei militari
alla notizie. Ma hanno dato forza agli argomenti di
Blair, che in privato scongiura Washington di cercare a
ogni costo quella copertura formale dell'Onu con la quale
i governi "che ci stanno", come il suo, lo
Spagnolo, l'Italiano, devono farsi scudo davanti alla
crescente impopolarità dell'invasione.
Il Presidente aveva deciso di ignorare le manifestazioni
e di parlare soltanto alla propria gente, nel discorso
radio del sabato, per invitarla a "stare
calma", a non "cadere nel panico" che il
suo stesso governo aveva scatenato con la corsa nevrotica
ai nastri isolanti e ai teli di plastica per sigillare le
case.
Lo aveva confortato, nella sua scelta, il solito Donald
Rumsfeld, il settuagenario ministro della Difesa che ha
fatto della guerra la sua ultima crociata e della
affermazione dell'imperio americano la sua ultima
missione di vecchio cold warrior, di combattente della
guerra fredda. "Non saremo affatto soli in
guerra", aveva detto consegnando una medaglia al
governatore militare dell'Iraq designato da tempo, il
generale Tommy Franks. "Tutti gli Stati arabi del
Golfo sono segretamente con noi, meno uno, e si
nascondono per non irritare le loro piazze, ma quando
avremo vinto, si manifesteranno". Non si era negato
neppure l'ormai classico insulto agli oppositori.
"Il dibattito è un fatto normale e comprensibile.
Semplicemente, qualcuno impiega più tempo di altri a
capire".
Era stato, George Bush, confortato nella sua linea dura
anche dalle reazioni dei giornali americani che lui
considera di opposizione, e che sono invece scesi
compatti in campo contro la Francia e gli altri
dissidenti. Il Washington Post aveva scritto che
"anche se ad altri governi saltano i nervi, gli
Stati Uniti devono assicurare che questa volta il
dittatore (Saddam, ndr) soffra le serie conseguenze che
si merita", in un editoriale solenne. Il New York
Times aveva fatto eco: "Blix e Baradei non possono
continuare a giocare a nascondino" e il
"Consiglio di Sicurezza non può perdere altri mesi
sfogliando rapporti vaghi. Serve il completo e immediato
disarmo di Saddam", dove naturalmente disarmo è
l'eufemismo politically correct per dire guerra.
Ma la voce della protesta è stata troppo forte, troppo
globale e troppo politicamente trasversale, perché la
Casa Bianca potesse ignorarla. Ecco la piccola
concessione, il fiorellino verbale offerto alle ansie di
tanta gente, ricambiata dalla concessione di Kofi Annan
per una risoluzione Onu che ponga limiti al gioco del
"gatto e del topo" di Saddam con gli ispettori.
La strategia del colosso americano è stata già decisa
da tempo, ma chi ha sfilato nelle vie del mondo può
consolarsi pensando che una lontana eco delle loro grida
ha battuto alle finestre blindate dello Studio Ovale.
"Il Presidente vede la forza come l'ultima ipotesi,
e tutto dipende da Saddam Hussein. Tra i diritti che noi
difendiamo nel mondo c'è anche quello di riunirsi e di
dimostrare pacificamente". Come dire, e certamente
non a torto, che se quei milioni hanno potuto marciare e
scandire i loro slogan contro Bush a Roma, Berlino,
Mosca, Londra o Tokyo lo devono, in non piccola parte,
proprio all'America.
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questo e' una
posizione errata politicamente - AZIZ puo' dire quello
che vuole... ma noi soprattutto abbiamo il compito di
salvaguardare e difendere la pace... cosa piu' importante
e drammatica di una risposta sicuramente sciocca data ad
un giornalista... la realta' e' che a roma e' diventato
difficile muoversi se non si parla prima a destra e poi
ancora a destra... veltroni inoltre ha firmato per la
proposta dei radicali - disarmare saddam e far dirigere
il tutto all'onu - da sempre succubi degli stati uniti -
e non ci dimentichiamo che seppur clintiano - il sindaco
di roma e' stato sempre filoamericano e lo ha dichiarato
con passione spesso non trattenuta.
Roma: Veltroni
si rifiuta di incontrare Aziz
ROMA - Il previsto incontro del sindaco di Roma Walter
Veltroni con il vicepremier iracheno Tareq Aziz, previsto
alle 9 di oggi non è avvenuto perché ieri sera il
sindaco ha inviato ad Aziz una lettera, spiegando che non
c'erano le condizioni. Veltroni lo ha reso noto a margine
della convention per la candidatura di Enrico Gasbarra a
presidente della Provincia di Roma. Ai giornalisti che
gli hanno chiesto se la lettera è stata motivata
dall'atteggiamento di Aziz nella conferenza stampa presso
l'Associazione Stampa Estera, Veltroni ha risposto:
"Roma è città del dialogo e della pace, dove
israeliani e palestinesi si incontrano e dal mio punto di
vista non è accettabile che si dica ad un giornalista
israeliano 'non rispondo alle sue domande perché lei è
israeliano".
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SCALFARI VA
SEMPRE LETTO... speriamo che non dimentichi che quando si
parla del popolo europeo... l'italia con le sue scelte
politiche istituzionali non ne fa parte... ed e' una
tragedia !
DA LA REPUBBLICA
E' stato il
battesimo
del popolo europeo
di EUGENIO SCALFARI
MOLTI e molti
milioni di persone hanno riempito ieri le piazze di mezzo
mondo e in particolare d'Europa manifestando per la pace
e contro la guerra. Rappresentavano l'avanguardia
militante dello spirito pubblico che anima in questo
momento il nostro continente, come dimostrano i sondaggi
svolti in tutte le nazioni europee; sono cifre
impressionanti sulle quali occorre riflettere.
Impressionanti soprattutto quelle registrate in Spagna e
in Gran Bretagna, due paesi nei quali i rispettivi
governi hanno da tempo dichiarato il loro appoggio alla
decisione degli Stati Uniti di muoversi contro l'Iraq
"con le buone o con le cattive", cioè con la
sponsorizzazione dell'Onu o senza di essa. In Italia si
registrano percentuali analoghe: l'80 per cento si
dichiara contrario ad una guerra americana senza
l'approvazione dell'Onu, il 71 per cento contrario anche
qualora quell'approvazione ci fosse. Più o meno negli
stessi termini si esprime il popolo dell'intero
continente.
È vero che i governanti democraticamente eletti debbono
possibilmente precedere e non supinamente seguire le
opinioni spesso rapidamente mutevoli dei loro elettori,
ma è del pari vero che nei regimi democratici decisioni
così impegnative come la guerra o la pace non possano
esser prese senza il consenso della grande maggioranza
del popolo. La differenza tra democrazia e oligarchia
risiede proprio in questa necessaria consonanza tra
l'azione di governo e lo spirito pubblico. Quando poi non
solo la consonanza sia debole ma addirittura sia
sostituita da una contrapposizione netta e profonda,
l'oligarchia inclina verso l'autoritarismo e il rischio
gravissimo di una spaccatura tra il cosiddetto paese
legale e quello reale diventa incombente, con tutte le
possibili conseguenze che ne derivano.
Noi europeisti di vecchia data ci lamentiamo spesso della
mancanza di un'unica voce europea che interpreti i valori
e gli interessi del nostro continente nei consessi
internazionali e attribuiamo questa lacuna alla
persistenza degli egoismi nazionali che continuano a far
premio su una visione comune. Purtroppo è ancora così:
le "cancellerie" stanno ancora aggrappate al
loro piccolo potere e lo difendono con le unghie e con i
denti come se fossimo ancora ai tempi del Congresso di
Vienna. Ma proprio qui, su questa delicatissima
questione, è accaduto negli ultimi mesi il fatto nuovo
perché è la prima volta, assolutamente la prima, che il
popolo europeo si è manifestato unitariamente e
univocamente su un tema capitale che contiene al tempo
stesso valori ideali e interessi politici ed economici.
Quella voce unitaria che i governi non riescono ad
esprimere è sorta dal basso ed è risuonata con
assordante fragore dalle piazze di Londra, di Madrid, di
Roma, di Parigi, di Berlino e di cento altre città tra
l'Atlantico, il Mediterraneo, il Mare del Nord.
Ciò che i
trattati e le convenzioni non hanno ancora saputo
compiere l'ha fatto il popolo europeo, milioni e milioni
di giovani e anziani, di donne e di uomini d'ogni
religione o senza religione. L'Europa sta nascendo:
questa è la novità sconvolgente. Qualcuno ieri,
commentando lo spettacolo che le televisioni mandavano in
onda da Piazza San Giovanni e da Hyde Park, si chiedeva
con un pizzico d'ironia: "Vedo che cantano e
ballano, ma che cosa c'è da ballare?". Ironia
patetica perché c'era invece moltissimo per ballare e
cantare: se nasce l'Europa all'insegna della pace e della
solidarietà, quello è un giorno di grandissima festa e
così infatti è stato il 15 febbraio del 2003.
* * *
Resta tuttavia l'ipotesi della guerra, ancora una volta
rinviata ma nient'affatto scongiurata né dalle pur
imponenti manifestazioni di massa né dalla esplicita
contrarietà della Francia, della Russia, della Cina,
della Germania a consentire l'imprimatur delle Nazioni
Unite alla politica dei falchi di Washington. Il nuovo
appuntamento con gli ispettori dell'Onu (l'ultimo, ha
detto Colin Powell) è stato fissato al primo marzo; il
ministro degli Esteri francese aveva chiesto per loro un
mese, ma ha ottenuto soltanto quindici giorni. Poi - come
Bush ripete dallo scorso novembre e ancora ieri - "o
con voi o senza di voi" a meno che Saddam non si
arrenda senza condizioni. La diplomazia francese ha fatto
miracoli per fermare la gigantesca macchina di guerra
americana ma senza nulla togliere alla tenacia di Chirac,
finora questa partita si è giocata in qualche modo sul
velluto.
Sapevamo tutti infatti che l'armata americana avrebbe
portato a termine i suoi preparativi soltanto nella prima
quindicina di marzo. Fino a quel momento, cioè appunto
entro i prossimi quindici giorni, si stanno utilizzando i
tempi morti poiché l'esercito Usa ancora non è del
tutto pronto, è attesa nelle acque del Golfo l'ultima
portaerei che attraversa il canale di Suez proprio in
questi giorni, gli ultimi cinquantamila riservisti sono
stati richiamati quattro giorni fa, da Londra sono
partiti l'altro ieri i contingenti dei "Royal
Marines" e un altro reggimento di cavalleria
corazzata. Dilazionare fino al primo di marzo l'ultimo
rapporto degli ispettori non costa nulla alla strategia
Usa anche se, per attendere il voto finale dell'Onu,
bisognasse arrivare fino a metà del mese prossimo.
Saddam si arrenderà entro queste pochissime settimane?
Consegnerà le famose armi che gli vengono
perentoriamente attribuite? O darà la prova d'averle
distrutte? E in questo caso sarà creduto? A quel punto
il gioco si farà estremamente duro perché il tempo
sarà completamente scaduto e la clessidra non avrà più
sabbia. Molti osservatori scommettono che la Cina, la
Russia ed anche la Francia, arrivato il momento della
verità, rientreranno nei ranghi, ma c'è un serio motivo
per dubitare di questa ipotesi e il motivo si chiama
Europa.
* * *
Può sembrare un paradosso pensare che un vecchio
gollista strutturalmente legato alla grandeur del suo
paese, punti l'intera posta soltanto sulla carta europea
senza uscite di sorta né possibilità di disimpegno. Ma
che altro può fare Chirac dopo aver rotto il fronte con
Bush e con Blair sia all'Onu sia nella Nato sia infine
nell'Unione europea? Può dire "abbiamo
scherzato" senza subire un drammatico crollo
d'immagine internazionale? Può negoziare il suo
riallineamento chiedendo in contropartita qualche
vantaggio petrolifero per la sua "Total"?
Vendere la primogenitura finalmente riconquistata in
Europa per il piatto di lenticchie della
"Total"? Con quali ripercussioni sul consenso
di massa dell'opinione pubblica francese che in questi
mesi si è stretta compattamente intorno a lui? Chirac è
di fronte a un dilemma che presenta comunque altissimi
rischi, sia che insista sul no a Bush-Blair, sia che
rientri nei ranghi dell'ortodossia atlantica. La sua
scelta dipenderà dalle previsioni che il governo
francese farà sull'andamento della guerra e sugli
scenari che si apriranno sul dopoguerra, cioè sulla
natura della "pax americana".
Al novanta per cento la guerra sarà breve se non
brevissima. Al novanta per cento la "pax
americana" in Medio Oriente non debellerà il
terrorismo mancando l'obiettivo dichiarato ma non vero
per l'amministrazione Usa e lasciando aperto il passo per
altre guerre e conflitti sempre più profondi con l'Islam
e con le potenze internazionali emergenti in Asia. Ecco
perché non è affatto da escludere che Chirac punti le
sue carte su quell'Europa che il popolo europeo sta
unificando attorno alla parola pace. Non è forse vero
che in politica (e non solo) le parole sono pietre?
* * *
Nel bel mezzo della manifestazione per la pace - che a
Roma ha riunito a dir poco tre milioni di persone e
soprattutto di giovani in una misura mai vista prima
d'ora - è stata diffusa la notizia di una lettera
indirizzata dal presidente Ciampi al presidente del
Consiglio, Silvio Berlusconi. Il documento, reso pubblico
dal Quirinale, è esplicitamente motivato dalle gravi
preoccupazioni indotte dalla situazione internazionale e
si snoda intorno a tre punti fermi. Il primo riafferma il
concetto che l'Onu è la sola istituzione idonea a
dirimere i conflitti internazionali e incita il governo
italiano a incardinare la sua azione nell'ambito dell'Onu
come finora è apprezzabilmente avvenuto. Il secondo
invita il governo a operare per la composizione dei
conflitti intra-europei apertisi sia nella Nato sia nella
stessa Unione, con l'obiettivo di ricostituire l'unità
degli intenti tra i paesi membri e tra l'Europa e gli
Stati Uniti. Il terzo raccomanda al governo di puntare
alla coesione tra i paesi fondatori dell'Unione, che
dovranno comunque essere il motore dell'Europa politica.
I paesi fondatori, come è noto, sono Francia, Germania,
Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo. Si tratta di un
documento complesso dal quale emerge chiaramente
l'intento di ancorare l'azione del governo italiano
all'Onu, a non operare al di fuori di essa e a
privilegiare in Europa il nostro rapporto con gli Stati
fondatori e cioè con Francia e Germania. Questa lettura
del documento è tanto più corretta in quanto gli stessi
uffici del Quirinale che l'hanno diffuso hanno poi
protestato con l'agenzia Ansa per una prima
sommarizzazione del testo che sottolineava le parole di
apprezzamento rivolte al governo sorvolando invece sugli
incitamenti a non allontanarsi dalla linea tradizionale
della nostra politica europea, che è appunto la vera
ragione per cui quella lettera è stata scritta e resa
pubblica. Il Quirinale insomma sembra non condividere
eventuali iniziative al di fuori dell'Onu e tanto meno
comportamenti che dividano l'Italia dagli altri cinque
paesi fondatori. Il testo è pubblico e ciascuno potrà
leggerlo e comprenderlo. Tirare il Quirinale in ballo
nelle dispute politiche è sempre scorretto. Ridurlo,
come taluno ha tentato di fare, ad un ossequiente
incensatore di Palazzo Chigi è oggettivamente falso e
soggettivamente fazioso. Dispiace, anche se a quel tipo
di falsità e di faziosità siamo ormai da tempo
abituati.
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da PINTOR -
questo ed altro...
DA - IL
MANIFESTO.
La nostra
coscienza
LUIGI PINTOR
E'proprio così, ovunque nel mondo. A volte sognamo e non
diciamo la verità perché la confondiamo con i nostri
desideri. Ma oggi non sono i pacifisti, non sono
minoranze partigiane, non sono ideologie preconcette che
affollano le strade di cento capitali. Sono gli abitanti
della terra, i cittadini di ogni lingua e cultura, che si
riconoscono e si incontrano in un'unica comunità. E' la
democrazia che prende corpo, non le sue istituzioni e i
suoi meccanismi ma la sua essenza. La pace e la
democrazia sono oggi la stessa cosa, se perdiamo l'una
perdiamo l'altra. Un'emergenza così non c'è mai stata
da mezzo secolo, anche questa è una verità senza
retorica. Ed è questa percezione che accomuna le
persone, le singole persone, che si affollano ovunque
innumerevoli. Questo è il messaggio.
Se questa guerra scoppierà sarà intimamente
totalitaria. Non ucciderà solo molti innocenti, non
ferirà a morte solo le istituzioni internazionali, non
alimenterà solo la spirale del terrore e la instabilità
delle nostre economie e della nostra vita quotidiana, ma
ucciderà il principio di cittadinanza e di sovranità e
violenterà la coscienza pubblica.
Vale anche per gli Stati uniti d'America, dove non sembra
esistere più una dialettica democratica ma prende corpo
un regime unipolare generato da un colpo di stato
invisibile. Vale con tutta evidenza in Italia, dove un
potere senza consenso fa di tutto il territorio nazionale
una base di supporto militare a sostegno di una guerra
unilaterale. Non siamo solo fuori dalla Costituzione ma
anche dalle alleanze tradizionali.
Non stiamo esportando la democrazia in Iraq ma importando
i mali, i metodi e i fini, che aborriamo e vogliamo
combattere ovunque. Oggi li combattiamo con una
insorgenza tranquilla, con la forza naturale di una
marea, che non dirò pacifica e democratica perché sono
parole inadeguate. La pace e la democrazia non sono una
sommatoria ma una congiunzione che riassume il senso
stesso dell'esistenza. Hanno incombenti di fronte a sé
la guerra e il totalitarismo ma non sono mai state così
forti come si manifestano oggi. E continueranno a
manifestarsi qualunque cosa accada.
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bella
intervista - che fa comprendere quanto e' difficile in
america manifestare... poter dire la propria.
DA - IL
MANIFESTO.
PHYLLYS BENNIS
«Bush
ci intimidisce»
La studiosa statunitense: «Washington fa leva sulla
paura, ma sbaglia»
PATRICIA LOMBROSO
NEW YORK
«Questa volta la dimostrazione per la pace che si tiene
in 528 città del mondo per la pace vedrà una piena
partecipazione di pacifisti nelle strade di New York. Non
si lasceranno intimidire né dai divieti della polizia,
dell'amministrazione Bloomberg, del ministro di giustizia
John Ashcroft. Sono 75 le città americane dalla
California, al Maine, Hawai che hanno approvato
risoluzioni contro la guerra. A livello sindacale, le
università sono in stato di fibrillazione. Non era mai
successo questo fenomeno prima di una guerra. Neppure in
Vietnam.» Questo il commento di Phyllys Bennis,
direttrice dell'Institute for policy Studies di
Washington, promotore dell'iniziativa di «Cities against
the War».
Come
interpreta la decisione del magistrato di New York di
vietare il permesso di sfilare?
La coincidenza tra il nuovo livello di allerta, il
fantasma di un attacco terroristico a New York o
Washington e il fatto che si vuole bloccare una imponente
dimostrazione di pacifisti, va interpretata come una
mossa propagandistica dell'amministrazione Bush: per
fomentare lo stato di agitazione e di paura in cui vivono
gli americani sin dall'11 settembre. Mira a protrarre
questa sensazione di vulnerabilità e di impotenza.
Aumenta il disagio per il fatto che manca un'adeguata
informazione. Gli americani desiderano poter aver fiducia
in qualcuno che fornisca loro protezione e sicurezza.
Questo è il contesto che Bush utilizza per avere il
consenso alla guerra. Ma dopo il divieto anche coloro che
erano reticenti a partecipare scenderanno per le strade
di New York, perché è stata lanciata una sfida dal
governo e le persone si sono sentite privati del diritto
della libertà di espressione.
I
sondaggi danno ancora 58 per cento a favore del
presidente.
Ma i media non dicono che se si prospetta la possibilità
che in questa guerra decine di migliaia di innocenti
civili iracheni vengano sterminati la percentuale scende
di 20 punti. Gli statunitensi sono portati a credere che
la guerra contro l'Iraq servirà a proteggerli da altri
attacchi terroristici, ma cominciano ad avere
consapevolezza che la guerra avrà un costo umano,
economico e politico molto oneroso.
Quale
il timore più generalizzato?
Una controreazione terroristica con armi chimiche o
batteriologiche dalla quale le stesse autorità
governative non garantiscono un'adeguata protezione della
popolazione.
La
minaccia di Bin Laden di un prossimo attacco terroristico
convince l'opinione pubblica?
Bush fa leva su questa sensazione di paura per ottenere
il consenso della popolazione a un'invasione dell'Iraq.
Ma questa strategia non sta funzionando, perché non
tutti vengono influenzati dal clima di terrore.
L'opposizione alla guerra nel paese sta crescendo e ha
assunto varie posizioni di partecipazione attiva in tutti
i livelli e categorie della struttura sociale del paese.
E' un fenomeno nuovo che non si è verificato neppure con
il Vietnam. Anche i più sprovveduti e apoliticizzati
esprimono sospetti che un possibile attacco terroristico
ventilato nei confronti della popolazione civile
americana sopraggiunge, pochi giorni dopo il discorso di
Colin Powell alle Nazioni unite, in un momento in cui la
Casa Bianca si rende conto che una mobilitazione a
livello mondiale il 15 febbraio per la pace sta
producendo l'effetto contrario a quanto desiderato. Resta
isolato con Berlusconi, Aznar e Blair. La popolazione
italiana e spagnola sono in netta opposizione con la
posizione allineata alla guerra di Bush assunta dai loro
governi
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due commentini
.... uno ragionevole ... e sembra proprio che a dirlo sia
d'alema, l'altro totalmente sbagliato perche' oggi bush
qualcosa ha ammesso.... per i manifestanti che lo hanno
criticato a livello mondiale.
DA IL CORRIERE
DELLA SERA.
COMMENTI
D'ALEMA - «La
vergogna di questa giornata per la Rai è
indimenticabile». Così Massimo D'Alema mentre sfila nel
serpentone pacifista che attraversa Roma commenta la
decisione dell'ente radio televisivo pubblico di non
trasmettere la diretta della manifestazione. «Il fatto
che quel moncherino di consiglio di amministrazione -
osserva il presidente dei Ds - si sia impegnato a
litigare sulla D'Eusanio, mentre il mondo è sull'orlo
della guerra non è un problema di destra o di sinistra
ma di un'azienda che ha perso i contatti con il mondo».
FINI - «Dopo le manifestazioni la pace non è purtroppo
più vicina. Anzi». Questo il commento del
vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini sul corteo
pacifista di Roma. «L'antiamericanismo ideologico e il
pacifismo totalitario, ad ogni costo, compresa l'ignavia
di fronte al terrorismo - aggiunge Fini - certo riempiono
le piazze di arcobaleni e bandiere rosse, ma ancor più
certamente non indurranno Saddam a disarmare».
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ciampi ma e' da
tempo che ci delude... quindi non e' una novita', anche
se dice di attendere l'onu.
DA - IL CORRIERE
DELLA SERA.
Il presidente
della Repubblica scrive al premier sulla crisi dell'Iraq
Ciampi:
«Apprezzo l'opera del governo»
«Giusto
mantenere la questione del disarmo
di Bagdad nell'ambito delle Nazioni Unite»
ROMA - «Apprezzo
l'opera compiuta da lei e dal governo da lei presieduto,
per mantenere la crisi irachena nel quadro dell'Onu»,
scrive il presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi in una lettera inviata ieri al presidente del
consiglio Silvio Berlusconi e resa nota da Palazzo Chigi.
«Sento il bisogno di condividere con il governo alcune
riflessioni» è la premessa di Ciampi, nel sottolineare
che viviamo «un momento particolarmente delicato» e che
si «approssimano importanti scadenze internazionali Ue,
Onu e Nato». «Il mio primo pensiero - aggiunge - va al
mantenimento della pace e agli sforzi che tutti debbono
compiere per la sua salvaguardia. Conservo la speranza,
confortata dall'impegno attivo che i governi italiani
hanno sempre assicurato al consolidamento del sistema
multilaterale, che le Nazioni Unite riescano a mantenere
la pace e la sicurezza internazionale ed ottenere
l'eliminazione delle armi di distruzione di massa
dall'Iraq. Il Consiglio di Sicurezza esercita una
responsabilità primaria nel fronteggiare le minacce alla
pace e deve mantenere questo ruolo nelle deliberazioni
dei prossimi giorni».
QUADRO ONU - L'azione svolta dal governo per mantenere la
crisi irachena nel quadro dell'Onu, sottolinea Ciampi,
«s'inquadra nelle linee di fondo della politica estera
italiana mantenute costanti nel volgere degli anni e dei
governi: il sostegno pieno al sistema delle Nazioni
Unite; la complementarietà tra l'integrazione europea e
il legame transatlantico incarnato dall'Alleanza
Atlantica e che venne definito, a ragione, una scelta di
civiltà. Nella convinzione che queste finalità vadano
perseguite l'una non a scapito dell'altra, riveste per i
paesi europei un particolare importanza, per elevatezza
di obiettivi e per la sua complessità il processo di
integrazione europea.
RICONCILIAZIONE - «Esso - continua la lettera del capo
dello Stato - costituisce un percorso liberamente
sottoscritto, imperniato sulla riconciliazione e sulla
volontà di vivere insieme; è un disegno di lunga
durata; tocca l'avvenire di tutti noi. Lo sostiene un
vasto consenso parlamentare, politico, nazionale: ricordo
il riferimento al ruolo di Paese federatore storicamente
svolto dall'Italia contenuto nella Risoluzione approvata
a vasta maggioranza dal Parlamento alla vigilia del
Consiglio Europeo di Laeken; avverto nei miei viaggi in
Italia la convinzione che l'avanzamento dell'Europa
corrisponde a una profonda aspirazione del popolo
italiano».
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ieri non sono
arrivata in tempo a piazza san giovanni - visto quanto
era lungaO - IL SERPENTONE - della manifestazione...
allora ho provato ad accendere la mia radio... ma
niente... ho seguito da un piccolo monitor LA7 - ma
parlavano loro non si ascoltava quanto dicevano sul
palco... ecco vorrei una diretta che ci facesse sentire
gli ospiti e quello che dicono.... e tra una pausa e
l'altra far intervenire la gente che partecipa alla
manifestazione invece che le solite voci contrarie e
senza logica.
DA IL MASSAGGERO.
In
piazza tornano i registi: cè Benigni
e Spike Lee marcia per le telecamere
di MARCO
MOLENDINI
ROMA - Torna in piazza anche Roberto Benigni contro la
guerra. Il grande assente dei raduni dautunno fa la
pace con piazza San Giovanni fra i primi, quando ancora
le strade che portano al palco non sono intasate. Lo
abbracciano, lo chiamano, lo salutano. Roberto risponde,
camminando veloce verso la zona ospiti. Ma non è lui la
star della giornata: è Nanni Moretti il più richiesto
e, fra la folla, è a suo agio come nel salotto di casa.
In questi mesi è sceso in campo in modo deciso, è stato
tra le voci più presenti, fra gli ideatori e
organizzatori della protesta. Ormai, è un vero leader.
E, anche oggi, non rinuncia a farsi sentire, quando i
microfoni sono a tiro. «Questa non è solo una
manifestazione di pacifisti, qui ci sono tantissime
persone contrarie all'idea di una guerra preventiva che
creerebbe un pericolosissimo precedente e che rischia di
innescare una miccia nei paesi coinvolti» spiega. Non ci
vuol molto a capire che il suo obiettivo è Berlusconi,
anche perché Nanni lo dichiara senza giri di parole e
accusa il premier di «obbedienza cieca verso gli Stati
Uniti, mentre altri paesi europei come Francia e Germania
hanno cercato di giungere ad una posizione autonoma non
per essere antiamericani, ma per ribadire la loro
indipendenza».
A pochi metri da lui, Franca Rame porta un cappello con
sopra la foto del marito Dario Fo. "Anchio
sono con voi" cè scritto. Spiega
lattrice: «Dario non è potuto venire perché il
nostro contratto lo obbliga ad essere oggi a Fano. Ma è
anche lui è con noi con lo spirito».". Quanto alla
Rai rimasta a casa, la Rame la pensa come Moretti: «E'
un atto di vigliaccheria e di paura. Sono terrorizzati. A
parte questo, dimostrano poco rispetto verso
l'intelligenza del Parlamento, li hanno trattati come
bambini influenzabili e tremanti. E' una vergogna, una
delle tante vergogne di questo Paese». Rai sotto accusa
anche da parte dellex presidente della tv di Stato,
Giuseppe Zaccaria, che accusa «Baldassarre e Saccà di
aver spento la Costituzione negando la diretta».
Non se la prende con la Rai lattrice-presentatrice
Caudia Koll che coglie loccasione della ricerca
della pace per professare pubblicamente la propria fede
in Dio. Sparisce quasi, nel mare di facce, il viso nero
di Spike Lee, il regista americano ha anticipato di un
giorno il suo arrivo a Roma da Berlino (nel giro di
promozione del suo ultimo film, La
venticinquesima ora) proprio per
essere presente alla manifestazione: «Sono felice di
essere in Italia, di essere a Roma e di essere uno fra i
milioni di persone che oggi manifestano a Roma, come nel
resto del mondo, per la pace». Cè un altra
americana fra la folla, è Sidney Rome che definisce il
corteo «una sorta di grande preghiera collettiva» e
ricorda di essere anche andata a piazza del Popolo, nella
manifestazione di solidarietà a Israele organizzata da
Ferrara.
«Viva gli Stati Uniti che stanno sfilando nelle piazze
per la pace, viva gli Usa di Bob Dylan e abbasso gli Usa
della Cia» dichiara Teresa De Sio, che cammina a
braccetto con Fausto Bertinotti e la moglie.
Nel cuore della manifestazione si dà da fare il pool di
registi che capitanati da Ettore Scola, Citto Maselli,
Mario Monicelli, Wilma Labate e Franco Giraldi daranno il
loro contributo al filmato dal titolo provvisorio
"La pace nel mondo" che risulterà dal
montaggio di tutte le manifestazioni che hanno detto ieri
no alla guerra in tante città del mondo.
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carina questa
paginetta che ci ricorda che cosa abbiamo urlato in
piazza...
da - IL
MESSAGGERO
Gli
slogan: «Berlusconi
è lo Schifani di Bush».
«Se gli Usa vogliono capperi
bombardano Salina?»
di MARIO AJELLO
ROMA Una bandiera (lunica) dellOnu e
una bandiera (fra le tante) con leffige di Guevara
sventolano affiancate. Se la strana alleanza (ma il Che
non era un guerrigliero?) reggerà anche quando
pioveranno le bombe con o senza avallo dellOnu,
questa immensa folla in marcia avrà vinto. Per ora,
dentro il Grande Corteo, in realtà i cortei è come se
fossero due. O almeno sono due, e diversissimi, gli
approcci alla guerra e alla pace che lungo il percorso
convivono in piena armonia e in qualche raro caso si
scontrano (ecco infatti alcuni Cobas che gridano in rima
pensando al Kosovo: «Centro-destra, centro-sinistra /
chi bombarda è sempre fascista!»). Il corteo è lo
stesso, eppure il corteo di Cofferati e dei pacifisti
«senza se e senza ma» - «Sergio, ti aspettiano al
fianco di Prodi!», gli viene gridato - non è il corteo
piuttosto minoritario e low profile
di Rutelli o del gruppo dirigente Ds che restano
abbarbicati allOnu e sono pacifisti ma gonfi di
«se» e di «ma».
«Laggiù cè una bandiera dellOnu?
Davvero?», dice quasi commosso DAlema, e si alza
sulle punte per ammirarla. Ma non ci riesce e sarebbe
come trovare un ago in un pagliaio fittissimo di immagini
di Bush in uniforme nazista o di striscioni del tipo «E
se vogliono i capperi, bombardano Salina?» o di
cartelloni tossico-etilici dei Disobbedienti («Più
canne e cannonau e meno cannoni») o di altri sfoghi dei
falchi del pacifismo. I quali - piacevole novità! -
stavolta non bruciano bandiere americane. Però vanno sul
classico e urlano «Fuori lItalia dalla Nato, fuori
la Nato dallItalia» (concetto poco
berlingueriano). Alcuni di loro sotto la sede Ds a via
Nazionale issano un cartello cattivista: «"I
pacifisti, purtroppo, poche volte hanno dimostrato di
avere testa". Chi lha detta questa: Berlusconi
o DAlema?». Lha detta il Cavaliere, poche
settimane fa, ma lavanzare il dubbio che possa
essere stato quellaltro non è carino. Il fatto è
che dietro la distanza che separa il corteo dei pacifisti
"di merito" («No a questa guerra») dai
pacifisti "assoluti" alla Cofferati («No alle
guerre») non ci sono soltanto le beghe per la leadership
di uno schieramento in crisi, ma ci passa tutta la storia
del 900. Nel quale il «non morire per Danzica» è
entrato nel Dna della sinistra fino allo strappo
revisionistico sul Kosovo.
Di colpo, si sente il suono di una sirena. E
unautombulanza che entra nel corteo perchè
qualcuno è svenuto. E qualcun altro commenta sarcastico:
«Sono venuti a prendere Rutelli, che sta male per aver
spedito gli alpini in Afghanistan?». Il corteo degli
«onu-nisti» (che i detrattori considerano una accolita
di onanisti innamorati delle Nazioni Unite come unica
fonte di legittimità internazionale) sta procedendo. E
così il corteo, assai più consistente, degli altri: che
dellOnu se ne infischiano. Nanni Moretti, che pure
è un movimentista, verrebbe da aggiudicarlo al popolo
dei «senza se e senza ma». Invece, marciando, precisa:
«Io sono contro la guerra preventiva». Che è diverso
dal sostenere «io sono contro la guerra». Infatti si
definisce «un pacifista non alla Gino Strada». Al suo
fianco cè Flores dArcais, che fu
interventista per la guerra del Golfo e un tizio gli
grida: «Flores, arresta Bush!». Lui non sente e
comunque non va ai cortei con le manette anche se il suo
amico Travaglio le considera uno strumento «magico».
Dal Campidoglio sta scendendo Veltroni. Ovazione. Lui si
guarda intorno soddisfatto ed è come se stesse
rileggendo un suo vecchio libro: «La bella politica».
Walter si muove con la soavità di chi sente di
appartenere contemporaneamente a entrambi i mondi che
sfilano in piazza. Gli appartiene la folla di diessini di
base che, immobile sulle gradinate del Palazzo delle
Esposizioni, grida rivolta alle finestre aperte della
sede della Quercia lì di fronte: «Niente se, niente ma,
/ questa guerra non si fa!». Ma appartiene a Walter
anche quel palazzo di partito dentro il quale sembrano
penetrare le grida dammonimento a non farsi tentare
mai più dal moderatismo da «sinistra di governo» stile
Tony Blair. Un grido: «Berlusconi è lo Schifani di
Bush». Un coro: «Chi non salta per la guerra è, è!».
Fassino, che pure non è per la guerra, non salta perchè
rischierebbe di sbattere la testa contro il cielo, o
forse non sta sentendo linvito, o più
probabilmente non salta perchè i riformisti hanno i
piedi ben piantati per terra e i nipotini di Togliatti
figuriamoci. Il Corteo dei due cortei ora è quasi a San
Giovanni. I viali lì intorno sono tappezzati da
manifesti che chiedono: «Sinistra, confederazione
possibile?». Oggi sembrerebbe di sì. Ma se lOnu
obbedirà a Bush, sarà difficile rivedere la bandiera
delle Nazioni Unite (agitata da qualche diessino o
margherito) che sventola insieme al drappo rosso con la
faccia barbuta del Che (o è Cofferati?).
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ed ecco come e'
andata in america... non nascondiamocelo era la piu'
attesa.
New York sfida
la Casa Bianca: più di 250 mila nella città blindata
di
Roberto Rezzo
NEW YORK. «Il
mondo intero è contro questa guerra. Cè una sola
persona che la vuole», e in mezzo alla folla si alza un
pupazzo con la faccia del presidente Bush, in una mano un
barile di petrolio, nellaltra uno pieno di sangue.
I newyorkesi non si sono lasciati fermare né dai divieti
del sindaco Bloomberg, né dagli allarmi per possibili
attentati terroristici, né dalla temperatura sotto zero:
oltre 250mila persone ieri sono scese in strada per
chiedere alla Casa Bianca di fermare la corsa verso un
nuovo conflitto in Iraq. Una manifestazione così in
città non si era vista dagli anni 70, dai tempi
della guerra in Vietnam, specchio dellAmerica che
vuole dare unaltra possibilità alla pace, che non
crede nella violenza per affermare i principi della
giustizia.
Il successo della manifestazione non è solo nel numero
dei partecipanti, più che doppio rispetto alle attese
degli organizzatori, ma per il tipo di adesioni che ha
raccolto. Cerano tutti: organizzazioni sindacali e
gruppi religiosi, associazioni di madri e reduci di
guerra, studenti e signore eleganti dellUpper East
Side, una moltitudine che è difficile liquidare come
priva di amore per la patria o addirittura
fiancheggiatrice dei terroristi, le due definizioni con
cui il governo è solito zittire ogni espressione di
dissenso.
«Pace! Pace! Pace! LAmerica ascolti il resto del
mondo; e il resto del mondo sta dicendo di dare più
tempo agli ispettori», sono state le parole
dellarcivescovo sudafricano Desmond Tutu, che si è
unito alla manifestazione insieme ai rappresentanti di
tutte le principali fedi religiose. «I lavoratori sono
intervenuti a migliaia perché sono contrari alla guerra,
come lo è la maggior parte degli americani - ha
dichiarato Michel Letwin, un sindacalista impegnato nel
movimento per la pace Sono lavoratori, le classi
meno abbienti che in tutte le guerre pagano il prezzo
più salato: con i figli in divisa che vanno a morire al
fronte e con i servizi sociali cancellati dal governo per
pagare le spese militari». Sono gli ultimi sondaggi a
confermare che sulla guerra in Iraq il presidente Bush
non ha convinto lopinione pubblica: quasi i due
terzi degli intervistati ritiene che sia necessario
concedere più tempo agli ispettori dellOnu e che
qualunque intervento militare debba essere deciso
allinterno del Consiglio di sicurezza. La stessa
popolarità di Bush è in brusco calo: nel giro di un
mese la percentuale di americani che condivide il suo
operato è passata al 64 al 54 per cento.
Susan Sarandon è salita sul palco con la grinta che
aveva in Thelma e Louise, saluta la folla dicendo:
«Questa è la vera faccia della democrazia. Grazie per
essere venuti. Siamo in tanti e dalla nostra arte ci sono
milioni di persone in tutto il pianeta. Perché non basta
dire che si vuole la pace, nella pace si deve credere e
per la pace si deve lavorare». Sarandon è stata la
prima fra le stelle di Hollywood a prendere posizione
contro il conflitto in Iraq, ma nel mondo dello
spettacolo l'ostilità nei confronti del presidente Bush
è manifesta. Il cantante Herry Belafonte si è rivolto
alla comunità afro americana, mettendola in guardia alla
destra conservatrice, per la quale il capitolo de
razzismo o si è mai chiuso. Mesi fa, quando ancora il
segretario di Stato Colin Powell era nel partito delle
colombe e sembrava la voce più sensata della Casa
Bianca, lo aveva attaccato duramente per prestarsi a far
arte di un governo repubblicano, paragonandolo a quegli
schiavi che assecondando il padrone riuscivano a farsi
ammettere nella sua casa. «Questa manifestazione è
riuscita a dare voce a una maggioranza che sinora è
stata ignorata, sia dallamministrazione che dai
grandi mezzi di comunicazione», spiega un portavoce di
United for Peace and Justice, lorganizzazione che
ha coordinato la partecipazione di centinaia di gruppi.
Questa voce il segretario alla Giustizia, John Ashcroft,
ha fatto del suo meglio per metterla a tacere. Con una
nota trasmessa al sindaco, ha fatto notare che con il
rischio di un attentato terroristico, una marcia per la
pace avrebbe comportato gravi rischi per la sicurezza.
Tesi immediatamente sposata dal sindaco Bloomberg e
tradotta in unordinanza che ha vietato ai
manifestanti di marciare in tutte le strade di Manhattan
e ha vietato di avvicinarsi al Palazzo di Vetro
dellOnu. I responsabili hanno lavorato duramente
per non regalare alla polizia il pretesto di attaccare e
tutti hanno camminato sui marciapiedi verso il
concentramento tra la 49ma strada e la Prima avenue, ad
appena un isolato dalle Nazioni Unite. Momenti di
tensione si sono registrati soprattutto per
limponente dispiego di forze dellordine e per
i modi bruschi degli agenti, che controllavano il flusso
di manifestanti manganelli alla mano, con squadre a
cavallo pronte a dare la carica. Non vi sono stati
tuttavia incidenti e lincendio che è scoppiato
ieri a Penn Station, costringendo alla chiusura della
stazione ferroviaria, non è stato opera dei terroristi
ma un banale cortocircuito. Con il ritratto dei loro cari
scomparsi accompagnato dalla scritta «no alla guerra»,
cerano anche i rappresentanti dei familiari delle
vittime dell11 settembre: «Siamo indignati per
come una tragedia sia stata utilizzata per giustificare
scelte politiche del tutto immorali».
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tutte le
interviste nel nuovo numero di namir - GUERRA -.
un bacio e alla prossima
settimana da LUANA.
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