TUTTO TROPPO FACILE - COME HO GIA' DETTO PRECEDENTEMENTE GLI USA DEVONO STARE ACCORTI.... MOLTO PROBABILE CHE LA GUERRA DI SADDAM INIZI DOPO CHE GLI AMERICANI HNNO VINTO.

DA LA REPUBBLICA.

Caccia al dittatore
nel ventre di Bagdad
Se Saddam fosse preso o ucciso la capitale cadrebbe subito
Nelle strade non si vedono miliziani né posti di difesa
dal nostro inviato BERNARDO VALLI

BAGDAD - Più una caccia all'uomo che l'assedio di una città. Gli americani vogliono stanare Saddam Hussein. Basta seguire le loro evoluzioni, in queste ore, attorno alla capitale, per rendersene conto. Questo è il loro obiettivo. Se lo catturano, se lo uccidono, Bagdad cade. La sua difesa, che è già fluida, si liquefa. Evapora. Privata del raìs, Bagdad ti cade in mano, come una ghianda o una castagna. Il lungo (sinistro) incantesimo esercitato da Saddam si spegne. Il regime si decompone. Quasi mezzo milione di soldati di una superpotenza occidentale, unica nella storia per la sua forza, danno insomma la caccia a un arabo annidato in una metropoli orientale dal nome mitico. E' impossibile non sentire il sapore coloniale di questa guerra. Mi ricorda una spedizione dell'Inghilterra, la grande potenza di allora, nel tardo Ottocento, per eliminare il Mahdi, che assediava Khartum, dove era asserragliato il generale Gordon. George W. Bush è ritornato ai tempi della regina Vittoria. A onor del vero, al confronto della sua guerra, quella di più di un secolo fa era una piccola, romantica avventura.

Due colonne americane, una proveniente da Sud e l'altra da Sudovest, sono penetrate nella periferia meridionale. Nei quartieri di Dorah e di Yarmuk, più che una vera e propria battaglia, c'è stato l'annientamento di consistenti unità della Guardia repubblicana senza copertura aerea e con mezzi blindati (dell'epoca sovietica) nettamente inferiori a quelli americani, la milizia di Saddam Hussein può fare ben poco. Ieri mattina ha pagato un prezzo molto alto. Centinaia di morti. Negli scontri è rimasto impigliato Fuad, la mia guida palestinese, che abita a Dorah. Ieri non è venuto al consueto appuntamento. Il suo telefono non funziona. Non so ritrovare la casa dove la moglie, due giorni fa, mi ha offerto un tè. Spero che rispunti nelle prossime ore.

Una terza colonna, proveniente da Nordovest, sta cercando di prendere il controllo di un aeroporto militare che, insieme a quello civile già occupato nel Sud, faciliterebbe l'arrivo di truppe, destinate ad accerchiare la città, e il traffico di jet ed elicotteri incaricati di sorvegliarla e bombardarla. Questo dispiegamento non prepara una Stalingrado orientale. Anche perché Bagdad è un corpo molle. Non è una sostanza rigida, solida, contro la quale puoi spuntarti il naso. E' un mollusco in cui entri facilmente, ma quando ci sei entrato puoi trovare sorprese sgradevoli.

E' per evitare queste sorprese (una guerriglia urbana) che le colonne americane hanno compiuto soltanto operazioni di assaggio. Sono penetrate nella periferia, sfondando le difese relativamente fragili, e sono ritornate sulle loro posizioni. Si sono lasciate alle spalle soltanto poche unità. Non hanno fretta di addentrarsi nei quartieri dove possono essere facili bersagli. Le incursioni punteranno sui supposti bunker di Saddam Hussein. La caccia dal cielo è già in corso da tempo. Quella a terra, comincia adesso seriamente. Sempre che il raìs si trovi ancora, come si pensa, a Bagdad.

Benché privato (spero per poco tempo) di Fuad, e della sua vecchia Mercedes, ho passato parecchie ore nella città deserta. Anzi, morta. E, la sera, buia. Nera come la pece. Tetra. La paura vuota le strade. I mercati restano aperti qualche ora. Le continue esplosioni, a Nord e a Sud, informano le famiglie rintanate nelle case sugli scontri alla periferia. Né al mattino, né nel tardo pomeriggio ho incontrato posti di blocco. Scarsissimi gli uomini armati. Abito sulla riva destra del Tigri, e l'aeroporto si trova su quella sinistra. Là c'è il fronte principale. Ho dunque attraversato più volte i ponti (il fiume percorre zigzagando la città) per vedere se erano presidiati. Neppure un soldato.

Soltanto verso il quartiere residenziale di Al Mansur (dove si trova il mio ristorante preferito, e indomito, perché aperto notte e giorno), si incontrano sporadici mezzi blindati, e qualche unità motorizzata. E' una rapida descrizione che dà un'idea di quanto sia vulnerabile la città alle incursioni di colonne corazzate americane. Perlomeno in apparenza. Dalle abitazioni ermeticamente chiuse possono sempre uscire proiettili micidiali anche per i mezzi blindati.

E di sorprese se ne possono avere anche dalla popolazione (la "giungla umana"), se si dovesse arrivare a un'occupazione, senza prima avere disinnescato il regime. Ossia senza prima avere catturato e eliminato Saddam, attorno al quale resiste tenace un'estesa incrostazione tribale familiare. Quella dei tigriti (la gente di Tigrit, luogo natale del raìs) in primo luogo.

La caccia all'uomo è dunque ritenuta essenziale. Questo può allungare maledettamente i tempi. Perché implica ripetute azioni di truppe speciali all'interno di Bagdad: incursioni via terra, appoggiate da elicotteri, nei quartieri sospetti, dove Saddam potrebbe essere nascosto.

A noi ospiti dell'hotel Palestine e dello Sheraton, i miliziani del partito Baath (rinascita) hanno offerto un discreto spettacolo pomeridiano. In automobile, agitando mitra e bazooka, e scandendo "Saddam vincerà", hanno organizzato un rumoroso carosello. Erano un centinaio. Il loro intento era chiaro. Volevano farci sapere che se non incontriamo difese visibili nella città, non significa che non ce ne siano di nascoste. Altri miliziani ci hanno poi mostrato come un trofeo la giubba di un graduato americano (con il nome "Diaz" scritto sul petto, forse un portoricano). Queste esibizioni sono spesso patetiche. Insufficienti, comunque, per dissipare la nostra netta impressione che la difesa di Bagdad (perlomeno quella visibile) lasci a desiderare. O si stia sgretolando.

Saddam adotta la tattica delle ombre cinesi. Essendo l'obiettivo della caccia all'uomo, e non potendo affrontare in uno scontro tradizionale un esercito come quello americano, cerca di sconcertarlo. Appare, scompare, ricompare. Oggi fresco come un condottiero vittorioso. L'indomani solenne, e un po' cupo, come un leader preoccupato per i suoi sudditi. E, all'improvviso, con un colpo di scena, si mostra addirittura per la strada, tra la gente plaudente. Il raìs offre ai suoi inseguitori, come un attore incallito, contrastanti ritratti di sé. Espressioni bonarie, severe, aggressive. Cerca di trarre in inganno quelli che gli danno la caccia. Mette in imbarazzo chi deve stabilire se quello che appare alla tivù è veramente lui, Saddam, o è uno dei tanti sosia; e se le immagini sono d'archivio, truccate, autentiche o semiautentiche. Saddam l'inafferrabile.

Con il verbo, la parola, Saddam fa combattere alle sue truppe battaglie mai avvenute. Le fa raccontare dal suo ministro dell'Informazione Al Sahaf. Il quale, mentre gli americani sono alle porte di Bagdad, e ben attestati all'aeroporto, annuncia che sono stati sconfitti e ricacciati a decine, vedi centinaia, di chilometri. Al Sahaf celebra con serietà vittorie immaginarie; cattura prigionieri invisibili; abbatte aerei con una contraerea ormai azzerata. Venerdì sera ci ha annunciato iniziative "non convenzionali" per la notte, lasciandoci col cuore in gola fino al mattino. L'indomani si è presentato come se nulla fosse. Ha l'impressione che il verbo sia sufficiente. Non importa se non segue l'azione. La parola basta. È un illusionismo tragico.

Ma può anche essere una tattica. Tende a dare l'impressione che il regime resiste. Nell'attesa che gli inseguitori del raìs entrino nel cuore della capitale. A impedirti di pensare che anche la tanto temuta trappola di Bagdad (la "giungla umana") sia un'illusione, un bluff, ci sono naturalmente le esplosioni e i morti.


(6 aprile 2003)

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CHE SADDAM SIA UN MOSTRO E' INUTILE STARLO A SCRIVERE E RISCRIVERE - IL PROBLEMA ERA COME RISOLVERE IL TUTTO SENZA FARE VITTIME CIVILI SENZA ANDARE PER GUERRE DI PETROLIO PERSONALE E SILURI SUI MERCATI DELLA POVERA GENTE.

COMUNQUE MI PIACEREBBE PUBBLICARE ANCHE COME GLI AMERICANI TRATTANO I SOLDATI DI BIN LADEN NELLA BASE CUBANA - O LE FOTO DI QUELLI CHE LORO HANNO UCCISO E UCCIDONO SULLA SEDIA ELETTRICA. LA COSA CHE PIU' MI FA SCHIFO IN TUTTO QUESTO SPORCO GIOCO ASSURDO E' VEDERE DEI SOLDATI CHE SI SCANDALIZZANO PER L'ORRORE TROVATO NEL CAMPO NEMICO QUANDO PER ENTRARE IN QUESTO NE HANNO DOVUTO FARE IL DOPPIO.

DA - LA REPUBBLICA.

Centinaia di morti scoperti
in obitorio nel sud dell'Iraq
I generali Usa: "Attacchi su Bagdad 24 ore su 24"
Nuovo messaggio di Saddam: "Attaccate gli invasori"

In questa diciassettesima giornata di guerra, con l'attenzione tutta concentrata sull'ingresso di truppe americane a Bagdad, anche nel resto del Paese continuano le battaglie, soprattutto a Karbala, 110 chilometri a sud della capitale. Nella parte meridionale dell'Iraq militari britannici hanno trovato un'area in cui erano nascosti centinaia di corpi senza vita. Il generale Mosley, dell'aviazione Usa, annuncia che "l'esercito iracheno praticamente non esiste più", e che Bagdad da oggi è sorvolata 24 ore su 24 da formazioni aeree di supporto, nell'eventualità della battaglia in città. Il raìs, dopo il bagno di folla di ieri a sorpresa, è tornato a invocare la resistenza agli invasori attraverso un messaggio letto oggi dalla televisione di stato irachena dal ministro dell'informazione Mohammed Saed al Sahaf.

L'obitorio. Truppe britanniche hanno trovato, in una base militare abbandonata alla periferia di Al Zubayr (area meridionale del Paese), un obitorio di fortuna contenente i resti di centinaia di cadaveri. La notizia, riferita dall'agenzia Press Association, è stata confermata anche dal Comando in Qatar. Crani, mucchi di ossa con pezzi di uniforme militare ancora attaccati, sono stati buttati in sacchi di plastica ed in bare non chiuse. La terribile scoperta è stata fatta da un ufficiale del terzo reggimento della Royal Horse Artillery che stava controllando la base militare per valutare la sicurezza dell'area. Quando è entrato in un capannone di una trentina di metri di lunghezza si è trovato di fronte a circa 200 casse da morto, in parte allineate per terra ed in parte accatastate una sull'altra, e ad altrettanti sacchi di plastica pieni di resti umani. L'orrore è esploso tuttavia quando un militare ha trovato una sorta di archivio di foto dei cadaveri. Le immagini mostravano i fori dei colpi di arma da fuoco alla testa, le facce bruciate e mutilate, i corpi massacrati e torturati. Vicino all'improvvisato obitorio c'erano celle con rastrelliere cui erano appesi ganci usati per macellare il bestiame e, ancora di fianco, un'area con a terra un piccolo piedestallo e dietro un muro crivellato da colpi di arma da fuoco. Si è capito così, un po' alla volta che quello era un centro di tortura, di atrocità oltre che un luogo destinato alle esecuzioni. Ogni sacca che contiene resti umani ha un'etichetta mentre tutte le bare hanno una targa con una scritta in arabo. Al momento non è possibile immaginare l'epoca cui risalgano le uccisioni e le torture. Le bare, come detto, sono in parte accatastate lungo le mura del deposito ed in parte allineate ordinatamente al centro; l'intera operazione sembra essere stata improvvisamente interrotta. Le bare inoltre sembrano costruite recentemente suggerendo la possibuilità che i resti vi siano stati messi per una sepoltura, forse un estremo tentativo da parte dei responsabili di nascondere quanto accaduto, prima dell'arrivo dei militari della coalizione anglo-americana. Secondo alcune ipotesi i resti potrebbero risalire alla guerra Iran-Iraq, o alle purghe dei musulmani sciiti, o alle repressioni dopo le sollevazioni del 1991.

Bombe su Bagdad 24 ore su 24. "L'esercito iracheno come difesa organizzata non esiste più". Lo ha detto il generale dell'aviazione americana Michael Mosley dal quartier generale in Arabia Saudita. "L'equipaggiamento c'è ancora - ha spiegato -, così come alcuni militari, ma se si parla di corpi e divisioni, in grado di sostenere una potenza di combattimento contro la coalizione, la situazione non è più la stessa di due settimane fa". Mosley ha annunciato che da oggi decine di caccia e aerei-radar sono in stato di massima allerta su Bagdad, 24 ore su 24, a supporto delle forze Usa, nell'eventualità della battaglia urbana. "Il trucco - ha spiegato -, è fare ricorso a meno armi possibile, per ottenere il massimo effetto, così che non vi siano inutili perdite tra i civili". Fra gli aerei utilizzati ci sono anche i droni, gli aerei-spia senza pilota, il cui uso potrebbe indicare che gli anglo-americani ritengono ormai poco pericolosa la contraerea irachena a Baghdad. "Oggi - ha aggiunto il generale - viene per la prima volta applicata la nostra idea di operazioni sul terreno con appoggio aereo, dato che i nostri soldati di terra sono in città".

Bassora. Secondo l'agenzia iraniana Irna le truppe britanniche sarebbero riuscite a entrare nella città. Le notizie sono frammentarie, ma quel che è certo è che i bombardamenti proseguono. Al Jazeera sostiene che 17 persone, di cui 15 di una stessa famiglia, sono morte e cinque sono rimaste ferite. Secondo la France Presse, invece, i britannici hanno condotto alcune incursioni all'interno della città. Carri armati pesanti Challenger e veicoli blindati Warrior sono penetrati di due o tre chilometri oltre la linea del fronte, che circonda completamente la città, secondo quanto ha dichiarato il tenente Dan O'Connell.

Il messaggio di Saddam. "Alzatevi in piedi, andate verso di loro (il nemico) e attaccateli, come vi ha insegnato l'ideologia, come vi abbiamo preparato", recita il messaggio attribuito al presidente iracheno Saddam Hussein e letto oggi dalla televisione dal ministro dell'informazione Al Sahaf. Nella sua corsa verso Bagdad - dice ancora il messaggio - il nemico si è lasciato le spalle scoperte in diverse zone, "dobbiamo approfittarne, attaccarlo, stancarlo e aggravare le sue ferite anche con piccole azioni", così abbiamo anche la possibilità di alleggerire l'assedio a Bagdad. "I criminali saranno umiliati", conclude il messaggio.

L'attacco a Karbala. Un attacco aereo e da terra sulla città dell'Iraq centrale è cominciato questa mattina. Lo hanno detto fonti militari americane. Le forze paramilitari fedeli a Saddam hanno risposto al fuoco, secondo quanto riferito da giornalisti presenti sul posto.

Gli incidenti. Tre soldati americani sono rimasti uccisi ieri: un caccia Usa potrebbe aver bombardato per errore una postazione di truppe di terra. Oggi un elicottero americano, del tipo AH-1W Super Cobra, è precipitato in un'area del centro dell'Iraq. I due piloti sono morti, ha dichiarato, con un comunicato, il Comando di Doha. "Sulla base delle indicazioni preliminari - si legge nel comunicato - l'incidente non sembra essere stato provocato da fuoco nemico". Ancora, tre soldati Usa sono morti in un incidente stradale vicino all'aeroporto di Bagdad.

(5 aprile 2003)

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NON SONO D'ACCORDO CON QUESTO ARTICOLO DELL'EX DIRETTORE DELLA REPUBBLICA.... SECONDO ME LA GUERRA DEVE ANCORA COMINCIARE E ACCADRA' SUCCESSIVAMENTE.... MA E' SEMPRE UN PENSIERO DIGNITOSO DA SEGUIRE E APPRENDERE.

Quella guerra in Iraq
non è mai cominciata
di EUGENIO SCALFARI

FORSE la guerra è finita. Ma forse non è mai cominciata. Forse, fin dall'inizio 18 giorni fa, è stata solo una guerriglia destinata a rallentare di pochi giorni la cavalcata dell'armata angloamericana verso le città irachene: Bagdad, Bassora, Mosul. Ora le città sono state raggiunte (Bassora da 14 giorni, Bagdad da ieri, Mosul è quasi in vista) e cinte d'assedio. La tabella di marcia di Rumsfeld è più o meno in orario. E adesso? Che cos'altro deve succedere adesso? Guardiamo, se possibile, non all'apparenza ma alla sostanza delle cose.

L'obiettivo numero 1 era ed è quello di prendere Saddam e far cadere il regime. L'obiettivo numero 2 quello d'ottenere il risultato con il minor numero di morti tra le truppe dell'armata. L'obiettivo numero 3 quello d'annientare le capacità militari dell'avversario. L'obiettivo numero 4 di limitare il più possibile le vittime innocenti tra la popolazione civile. L'obiettivo numero 5 d'insediare un governo provvisorio sotto protettorato militare. L'obiettivo numero 6 di spegnere gradualmente la guerriglia giovandosi dell'adesione d'una popolazione finalmente libera dal terrore esterno (le bombe) e da quello interno (le rappresaglie del raìs).

Quando tutti questi obiettivi (o almeno la maggior parte d'essi) fossero raggiunti, la prima fase dell'operazione sarebbe conclusa e comincerebbe la seconda, cioè la costruzione della pace. Dalla guerra irachena alla "pax americana" in Iraq e in tutta la regione mesopotamica tra il Tigri e le sponde mediterranee da Beirut fino alla striscia di Gaza.

Questa seconda fase, nell'agenda di Washington, comporterà all'incirca un triennio entro il quale si giocherà anche la partita della rielezione di Bush e le altre non meno complicate della riforma delle organizzazioni internazionali (Onu e Nato) e del rapporto con l'Europa e con gli Stati arabi. Forse è superfluo aggiungere che dentro questa seconda fase c'è anche l'andamento dell'economia mondiale in genere e di quella Usa in particolare.

Allo stato dei fatti il primo obiettivo ancora non è stato raggiunto: Saddam non è stato preso, il regime ancora non è caduto anche se si avvertono segni di sfaldamento. Il secondo, il terzo e il quarto (poche perdite militari, annientamento delle forze avversarie, limitate vittime civili) si possono dire complessivamente realizzati. Gli obiettivi quinto e sesto (insediamento d'un governo provvisorio e un'adesione popolare massiccia che spenga la capacità di una lunga ed efficace guerriglia) sono ancora lontani.

Va aggiunto un altro elemento tutt'altro che trascurabile: fino a questo momento le famigerate armi di distruzione di massa non sono state né usate né reperite. Meno male, naturalmente, ma se questa fosse la conclusione definitiva sull'argomento, la non legittimità dell'intera operazione irachena risulterebbe macroscopicamente confermata.

E' vero che l'etica della politica è la forza, ma è altrettanto vero che l'etica della forza deriva dalla sua legittimità. Alcuni pensatori liberali che hanno mandato in vacanza il proprio pensiero, ammesso che ne abbiano mai avuto uno, si affannano a teorizzare che la legittimità della forza sta nella legittima difesa e che ogni soggetto - individuale e collettivo - stabilisce da solo dove comincia e dove finisce la propria legittima difesa.

Questa visione equivale all'abolizione sia del diritto pubblico internazionale sia dei codici penali vigenti negli Stati nazionali. E' il trionfo del self-service nei rapporti individuali e collettivi ed equivale più semplicemente ad affermare che chi è più forte ha sempre ragione.

L'aspetto comico di questo modo di sragionare è l'etichetta liberale che si pretende di applicargli addosso. (In Italia ci sono tre o quattro di questi "cretinetti" che non destano quindi soverchia preoccupazione se non fosse che sono invece molti gli italiani che mettono in pratica queste aberrazioni. Poi ci stupiamo che il nostro paese sia in declino. E vorreste anche che fosse in ascesa?).

Torniamo al tema degli obiettivi raggiunti o non ancora raggiunti. Tutto dipende dai modi e dai tempi dell'assedio delle città irachene. Le azioni di "commandos" - già in atto a Bassora e appena iniziate a Bagdad - non pare che risolvano il problema se non susciteranno una vera e propria insorgenza della popolazione civile. La posta è tutta lì. Se la popolazione insorge il regime è spacciato. In caso contrario l'assedio può durare un bel pezzo.

L'alternativa alla mancata insorgenza e a un assedio troppo lungo sarebbe l'assalto generale con il rischio che le perdite sia militari che civili diventino insopportabilmente alte senza che ciò dia neppure la sicurezza di mettere le mani su Saddam. Tra le difficoltà dell'insorgenza c'è anche il fattore etnico. Dovrebbero insorgere i quartieri sciiti che rappresentano a Bagdad un quinto della popolazione? Provocando quali reazioni negli altri abitanti? Una guerra civile sotto gli occhi della grande armata? Forse la guerra è finita, ma la coda è ancora tutta da spellare.

Intanto, com'è ovvio, già si pensa alla fase numero due, cioè alla costruzione della pace che dovrebbe avere inizio con gli aiuti umanitari e con la ricostruzione materiale, sociale ed economica dell'Iraq. La colomba Colin Powell e soprattutto la colomba-doc Tony Blair si battono affinché l'Onu abbia un ruolo preminente; non sono i soli, anzi lo dicono tutti con alcune differenze lessicali di non piccolo conto.

Il più chiaro in proposito è stato il nostro presidente della Repubblica: da settimane e in tutte le occasioni Ciampi non fa che ripetere, alla lettera, che la ricostruzione materiale, morale, politica dell'Iraq e la pacificazione di tutta l'area medio orientale dev'essere affidata interamente all'Onu. Non è questa, purtroppo, la tesi di Powell (e figurarsi quella dei "falchi" di Washington). Il segretario di Stato si dichiara favorevole ad affidare alle Nazioni Unite "un ruolo", fermo restando che l'iniziativa prevalente spetterà a chi ha combattuto e vinto la guerra.

Il segretario di Stato ha dispensato soltanto pochi cenni su questo ruolo dell'Onu: aiuti umanitari sì, ovviamente; consigli sull'assetto della regione, perché no? Una risoluzione del Consiglio di sicurezza come vorrebbe Blair? Non è il caso, abbiamo già dato. Ridotto in questi termini è evidente che il concorso dell'Onu diventa una barzelletta. Per gli aiuti umanitari c'è la Croce Rossa, l'Unicef, le organizzazioni volontarie. E poi - pensa Powell - la Nato.

La ragione per la quale il segretario di Stato batte molto sul tasto Nato è abbastanza chiara: la Nato avrebbe il pregio - se interviene nella ricostruzione materiale del paese - di ripartire sui paesi membri il costo notevole della ricostruzione: obiettivo centrale per Washington insieme a quello di batter cassa ai governi arabi. Il ragionamento è questo: gli americani hanno combattuto per difendere la sicurezza di tutti; perciò hanno il diritto di decidere le linee maestre della regione più strategica del mondo, ascolteranno i consigli, concederanno qualche briciola agli alleati più sicuri; ma poiché la sicurezza riguarda tutti, tutti mettano mano alla borsa.

E se la sicurezza non fosse così certa? Se anzi aumentassero l'insicurezza e il rischio terrorismo come molti ragionevolmente temono? Se la guerriglia irachena andasse a rinforzare le varie guerriglie del mondo? La risposta di Washington è semplice: si continua, ma voi europei, voi arabi, intanto pagate la vostra parte di quanto è già avvenuto. La Nato può egregiamente servire a questo mettendo così al sicuro almeno in parte il bilancio federale Usa.

C'è l'ipotesi che alcuni membri della Nato non siano d'accordo. Niente paura: si va con chi ci sta, alleanze a geometria variabile, rapporti bilaterali tra chi detiene l'"imperium" e chi ne sta ai bordi. Nessun rapporto invece con chi non ci sta: sarà isolato e tagliato fuori. C'è una logica in questa follia.

Nel frattempo è in corso una rivalutazione del premier inglese Tony Blair: lui solo può essere il demiurgo che riuscirà a rimettere insieme l'Europa, a portarne avanti la nuova Costituzione, a non lasciare le sinistre fuori dalla porta, a spostare gli Usa dall'unilateralismo presbiteriano a una sorta di ecumenismo se non dell'etica almeno degli affari e se non delle regole almeno del lessico.

Blair dà molta importanza al lessico. Ha ragione. Ma proprio perché il lessico è importante bisogna stare molto attenti se esso serva a infiocchettare le apparenze o a rivelare la sostanza. L'apparenza è un'Europa solidale che supporti l'"imperium" Usa, svolga un suo ruolo regionale ed abbia come speaker la Gran Bretagna. La sostanza è: affidatevi a noi o sarete perduti.

In realtà l'Europa vagheggiata da Blair dovrebbe essere la sua constituency, il suo vero peso nei confronti dell'America di Bush. I Royal marines e le cornamuse scozzesi non fanno molto peso, non duraturo. Guidare l'Europa fornisce un titolo ben più sostanzioso. Ciò non significa che Blair sia in malafede. Nessuno è mai in malafede. Non Bush, non Cheney, non la cricca affarista di Washington e di Dallas; nemmeno Berlusconi è in malafede e - sentite - neanche Previti. Sono tutti convinti di aver operato per il Bene e contro il Male. E dunque perché dovrebbe essere in malafede Blair? Probabilmente il premier inglese si vede come l'angelo Raffaele e vede l'Europa come Raffaele vedeva Tobia. Stiamo molto attenti con la gente in buonafede. Spesso sono stati la rovina del mondo.

(6 aprile 2003)

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BELLISSIMO STEFANO BENNI.....NON SI AGGIUNGO NULLA .....E SI LEGGE

DA - IL MANIFESTO

La bomba al panzanio
STEFANO BENNI


I mortiferi B 52 , le testate chimiche, le bombe a grappolo, la minibomba nucleare a gittata federalista, la superbomba tagliamargherite. Ma fra tutte le armi impiegate in questa sporca guerra la più letale è senz'altro la bomba P, ovvero bomba al panzanio arricchito, quella che esplodendo sparge intorno a sé decine di panzane, bugie e omissioni, notizie false e sfilate di tank al posto dei corpi massacrati. E' molto più potente della vecchia Bomba Propaganda, usata da ogni esercito e regime. E' centuplicata dai caporalmaggiori dell'informazione, ed è pianificata nei computer della Cia, il cervello paranoico della più grande ex-democrazia del mondo. Ecco alcune delle bombe al panzanio già scoppiate o pronte a esplodere.

I marines hanno occupato l'aeroporto di Baghdad senza incontrare resistenza. Purtroppo durante la scaramuccia un colpo di bazooka ha centrato il nastro dei bagagli. Un gruppo di passeggeri di ritorno dalla Maldive, esasperato dal ritardo, ha attaccato le forze angloamericane con inaspettata violenza, facendo uso di armi chimiche quali spray antizanzare. La battaglia in corso è dura, ma l'aeroporto sarà conquistato entro poche ore o qualche mese.

Le truppe inglesi hanno il completo controllo di Bassora.

L `esercito americano è entrato a Baghdad tra due ali di folla festante. Non un solo colpo è stato sparato. I bambini festanti e superstiti mostravano ritratti di Bush e Topolino. Un uomo è andato incontro al marines ed è letteralmente esploso per la gioia.

Una donna, bombardata in ospedale, ha dichiarato che lo choc l'ha liberata da una forma d'asma di cui soffriva da anni. Il Pentagono ha accertato che i missili caduti sul mercato di Baghdad non sono americani, ma sono stati lanciati da un'associazione di consumatori iracheni esasperati dal rincaro delle verdure.

Le truppe inglesi sono entrate a Bassora malgrado la strenua resistenza opposta dal fuoco amico. Ora Bassora è tutta controllata a eccezione delle case con numeri dispari.

Sono state trovate nelle città irachene numerose bombe atomiche di fabbricazione cinese, oltre a dodici campi d'addestramento per terroristi travestiti da campi di calcio. L'operazione antiamericana era stata chiamata in codice «campionato di serie A».

I marines hanno sotto controllo la sala Vip e metà delle piste dell'aeroporto di Bagdad, ma per uno sciopero dei controllori di volo non possono ancora far atterrare i B 52.

Nessuno screzio tra Rumsfeld, Powell e i generali americani. In un cordiale incontro svoltosi al Pentagono tutti sono stati d'accordo sulla bontà della strategia usata e sulle tattiche future. Lo stesso Rumsfeld è uscito dalla sala per incontrare i giornalisti. Alla domanda: come mai è venuto qui lanciato dalla finestra, Rumsfeld ha riposto: avevo fretta di parlarvi.

Non ci ha mai interessato il petrolio, ha detto Bush in conferenza stampa, non sapevo neanche che in Iraq ci fosse il petrolio. Quando ero socio con Bin Laden lui me lo diceva sempre, ma pensavo che scherzasse. Non è vero che sono pagato dai petrolieri e dai mercanti d'armi. E' come dal benzinaio. Mi danno un bollino-premio ogni dieci nemici eliminati. Ho già vinto la giacca militare e lo stereo, con altri mille punti prendo il telefonino.

Nessun lite tra Tony Blairforce e George Wermachtbush sul futuro dell'Iraq. Secondo Blair il governo dell'Iraq dovrà essere retto da iracheni, mentre per Bush il parlamento sarà locale ma il presidente del consiglio potrebbe essere un tecnico o un bipartisan. I candidati sono: Arnold Schwarzenegger, Laura Bush e il presidente della Esso.

Gli inglesi sono entrati a Bassora, sono usciti di slancio, hanno passato due volte il Tigri e l'Eufrate, poi hanno fatto un'inversione a U e sono stati visti dirigersi verso la periferia di Istanbul. Si ignora dove siano adesso.

Bush ha detto che la vittoria è vicina. Saddam gli ha riposto in televisione che vincerà lui. Bush ha detto che la risposta di Saddam era una videocassetta registrata e sullo sfondo si vedeva un albero di Natale. Saddam ha replicato che Bagdad ha viveri per sette mesi. Bush ha chiesto altri duecentomila soldati. Saddam ha detto che ha usato solo un terzo delle forze. Bush ha detto che ce l'ha più lungo. Saddam ha tirato giù le braghe a un sosia. Questi sono uomini.

Non si hanno notizie sulla sorte di Bin Laden ma pare che stia per ricomparire con un video molto costoso diretto da Spielberg.

I marines hanno conquistato l'aeroporto di Bassora dopo aver piegato la resistenza delle truppe inglesi, o viceversa, attendiamo notizie più precise.

Il Pentagono ha precisato che Peter Arnett è stato licenziato non perché aveva parlato male dell'America, ma perché aveva parlato al telefono con Luttazzi.

Notizie dalla più grande base militare Usa del mondo, Camp Italy. Il presidente Ciampi ha dichiarato che non manderemo soldati italiani in Iraq per una decisione autonoma e sovrana, ovvero perché non ce li hanno chiesti. Il premier Silvio W. Berlusconi, borsanerista e approfittatore anche in tempo di pace, approfitta naturalmente della guerra per fare affari, per impossessarsi di Mediobanca e del Corsera, per tentare di salvare il soldato Previti e per far passare la legge Gasparri che secondo il premier prevede entro il 2005 la sostituzione della Pay Tv con la My Tv. Il balilla Casini, tanto imparziale da essere ormai definito il Moreno della Camera, ha difeso il privilegio che guida ogni giorno e ogni atto dell'illegalità democratica italiana, cioè la prepotenza di comportarsi da maggioranza anche quando non lo si è più. Il ministro Pisanu ha detto che i pacifisti devono isolare i provocatori e i violenti, e i pacifisti hanno risposto che loro Fini non lo vedono da mesi. Il ministro dei Rapporti con il parlamento americano, Cipollino Frattini, ha detto che i parà usciti dalla caserma di Vicenza non sono andati in guerra. Metà sono a puttane e metà galleggiano in aria per un gioco di correnti ascensionali. Dopodiché Berlusconi, proprietario del novanta per cento dell'informazione e della pubblicità, ha detto che sui giornali i pacifisti antigovernativi hanno anche troppo spazio, e che le bandiere rosse sono un simbolo sanguinario e lo spaventano, perché i fascisti come lui se le sono trovate troppo spesso contro durante la resistenza. Per finire, ha ribadito che la ricostruzione dell'Iraq non gli interessa. Il depliant degli oleodotti Fininvest era già stato stampato prima della guerra.

Questa ultima bomba P è sembrata troppo grossa anche agli americani per sganciarla.

Bassora è stata conquistata dai turchi.

Le truppe americane controllano finalmente l'aeroporto di Damasco. E' un errore scusabile, ha detto Powell, non capiamo la segnaletica araba .

E anche quella cinese, ha aggiunto Rumsfeld.

Il ruolo dell'Onu nella ricostruzione nell'Iraq è ancora da definire, ha detto Powell. Ma potrebbero aiutarci a caricare le taniche.

Nell'ultima conferenza stampa prima di partire per il week -end, Bush ha dichiarato: non abbiamo mai confuso il terrorismo di Geronimo con il popolo pellerossa, e la riprova è che gli Apache hanno mantenuto la propria nazione e un parlamento autonomo. Inoltre sono già pronti gli aiuti umanitari per i bambini siriani e coreani. Chi vuol capire, capisca.



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IL 1968 E IL VIETNAM - ERAVAMO DIVERSI - LE NOTIZIE DURAVANO NEL TEMPO E CI DAVANO MODO PER ORGANIZZARCI E CONTESTARE.... OGGI TUTTO CORRE RAPIDAMENTE ANCHE LE BOMBE RADDOPPIANO LA VELOCITA' E LA CAPACITA' DI DISTRUZIONE PER IL CAPITALISMO.... QUINDI CI SGONFIAMO PRIMA E TUTTE QUELLE BELLE MANIFESTAZIONI CHE ABBIAMO FATTO I SCIOPERI AD OLTRANZA CHE DOVEVAMO FARE SONO GIA' UN RICORDO E LA GUERRA E' ANCORA IN ATTO.... E IL CAPITALISMO CI CONOSCE BENE.

DA - IL MANIFESTO - L'INTERVISTA

Il Vietnam sulle rive dell'Eufrate


Parla lo storico
Jean Chesneaux: «Molte le somiglianze tra l'Iraq e la disfatta degli anni `60»


ANNA MARIA MERLO
PARIGI


Il suo libro Perché il Vietnam resiste ancora?, pubblicato in Italia da Einaudi, aveva fatto epoca. Jean Chesneaux ora si interroga sulle similutidini, ma anche delle forti diferenze, tra il vecchio conflitto in Vietnam e quello attuale in Iraq.

Cosa può spiegare un riferimento al Vietnam nella guerra dell'Iraq?

Oggi c'è la tendenza a riflettere sulla filiazione tra la guerra del `91 e quella di oggi in Iraq. Ma il riferimento al Vietnam è rivelatore delle tendenze profonde dell'espansionismo statunitense e della politica di dominio Usa. La guerra del Vietnam è molto presente nello spirito statunitense attuale, perché è un ricordo umiliante, perché c'è il timore di un altro Vietnam

La resistenza irachena ricorda quella vietnamita?

La capacità di resistenza del popolo vietnamita non era teleguidata dall'alto. Anche se in condizioni molto diverse, questa capacità naturale esiste anche in Iraq, malgrado l'impopolarità di Saddam Hussein. Come c'era in Urss con Stalin: il fatto che Stalin fosse un despota non ha impedito ai russi di accettare la sua guida per difendersi contro i tedeschi. Fa parte delle vecchie contraddizioni dialettiche, che non sono svanite con il crollo del muro di Berlino. Non è soprendente che la popolazione irachena, benché non si faccia nessuna illusione su Saddam Hussein, non abbia nessuna fiducia negli Stati uniti. Un abisso tecnologico li separa: gli statunitensi vengono da un altro mondo

Il messianesimo presente oggi c'era già allora?

Gli Usa si sono auto-investiti si una missione eminente di cui non devono rispondere a nessuno salvo a dio, cioè una formula vuota, di politica espansionista. Una manifestazione eguale vi fu in Vietnam, ma anche in Guatemala, Libano, nei Caraibi. Era già il sogno di McKinley, che nel 1898 aveva raccontato di aver sognato che dio lo aveva svegliato per dirgli che gli Usa dovevano occupare le Filippine. In nome di questo messianesimo, prendono e poi gettano gli ausiliari del momento: Saddam Hussein utilizzato contro l'Iran, i taliban utilizzati contro l'Urss. E' una sorta di colpo di stato strisciante che era già presente ai tempi del Vietnam. Allora al potere c'erano i democratici. Gli Usa si consideravano come aventi diritto di intervenire per punire un popolo che sfuggiva alle loro regole, alla norma del take off di Rostow, per mettere in opera un socialismo contadino. C'era e c'è l'idea di disporre liberamente di un popolo. Il generale Curtis aveva affermato: «li riporteremo all'età della pietra». Gli Usa come braccio armato delle volontà divina che decide il movimento della storia. Le motivazioni tecniche - disarmo Iraq, cacciata di Saddam Hussein, riconfigurazione della carta del Medioriente - passano così in secondo piano di fronte alla legittimità trascendente.

La grande differenza di tecnologia è un altro elemento di continuità?

Il delirio tecnologico è un altro elemento di continuità diretta. Già nella guerra di Corea, poi in Vietnam i soldati Usa erano quello che chiamerei dei martiri tecnologici, carichi di un sovraccarico di tecnologia. In realtà un handicap enorme sia nell'inverno coreano che nella giungla vietnamita. Ma questo scarto tecnologico porta a una guerra che colpisce soprattutto vittime civili

Si dice che in Iraq stiano usando le bombe a frammentazione...

Erano state la grande novità del Vietnam, denunciate con grande minuzia dal Tribunale Russell nelle sessioni del '66 e `67 sui crimini di guerra. Sono bombe che colpiscono solo gli esseri viventi, senza effetto sul metallo o sul cemento, proibite dalle convenzioni internazionali, che però gli Usa non hanno firmato. Non avrei mai creduto che le bombe a frammentazione fossero di nuovo usate, visto che sono così cariche di obbrobrio e di vergogna.

Si può fare un parallelo dal punto di vista economico?

Il Vietnam è stato una voragine finanziaria, che ha contribuito, molto più dello shock petrolifero, allo sconvolgimento dell'ordine finanziario. Oggi ogni missile costa un milione di dollari: con questa cifra potrebbero venir costruite un buon numero di stazioni di depurazione dell'acqua in un mondo dove una buona fetta della popolazione non ha acqua potabile

Quali sono le principali differenze tra Vietnam e Iraq?

Siamo in tutt'altra epoca storica. Il Vietnam aveva come bersaglio un paese del campo socialista, il Vietnam suscitava simpatia in quanto piccolo paese integro. Ho Chi Min era un vecchio saggio ampiamente rispettato anche se stalinista, Saddam Hussein ha massacrato sciiti, comunisti, kurdi, ha usato i gas. Il Vietnam era all'ombra del conflitto Est-Ovest, su cui si era trapiantato il conflitto Cina-Urss. Il Vietnam era riuscito a mettere in secondo piano il conflitto Est-Ovest, a presentarsi come difensore del diritto ad esistere come popolo, più che difensore del campo socialista era difensore dei valori umani. Oggi, è una guerra del dopo-Muro. Il conflitto Est-Ovest non esiste più, mentre si confrontano due elementi principali dell'equilibrio planetario: la monopotenza Usa e l'espansione dell'islamismo. Una delle conseguenze della guerra è di liberare le forze oscure dell'islamismo e di abbandonare alla propaganda islamista ampie masse musulmane, in Indonesia, Malesia, Pakistan, Egitto. Come diceva Mao, quelli là hanno sollevato una pietra e se la fanno cadere sui piedi. Il problema è che ricade sui piedi di tutti i paesi dove ci sono musulmani e nei paesi islamici con cui l'Occidente vuole avere degli scambi. Anche le prospettive cambiano. Per il Vietnam, c'erano due opzioni per il dopo-guerra: o protettorato Usa o regime socialista. Oggi la prospettiva di come sarà l'Iraq dopo la guerra genera inquietudine, visto quello che sta succedendo in Afghanistan

Il movimento contro la guerra è simile?

Anche qui ci sono elementi di continuità e di discontinuità. Negli Usa, ci sono riferimenti positivi, perché 30 anni fa il movimento ha vinto. Il riferimento al Vietnam è quindi una molla politica. Ma oggi siamo nel dopo-Muro. Il movimento si nutre della forza di quello dell'alter-mondializzazione. Ci sono state in piazza nel mondo, lo stesso giorno, 15 milioni di persone per la stessa cosa. Per il Vietnam solo alla fine della guerra c'erano 500mila persone. C'è ora un effetto cumulativo, di trasmissione, il movimento comincia con una forza che per il Vietnam c'erano voluti dieci anni a raggiungere. Il movimento è più forte di quello del Vietnam, perché si sviluppa su un terreno già arato, dopo Seattle, Genova, Firenze, Porto Alegre. Per il Sud, invece, le cose sono diverse: il Vietnam si inseriva in un triangolo, Est-Ovest-Terzo Mondo. Oggi, ci sono solo più il Nord e il Sud, con l'islamizzazione come fattore nuovo. Persiste la vecchia solidarietà tra poveri contro il ricco invasore, ma la situazione è resa più complessa dal fattore islamico, che fa correre un rischio di confusione tra solidarietà nei confronti della popolazione dell'Iraq e deriva islamista, come si è visto in alcuni paesi musulmani. Ma sul lungo termine, cosa risulterà più importante dei quattro avvenimenti che hanno avuto luogo nella stessa settimana di questo marzo? L'aggressione dell'Iraq, il missile lanciato dalla Corea del Nord, il Forum sull'acqua di Kyoto o la pneumopatia di HongKong? Forse sarà la questione dell'acqua. Ma in ogni caso ciò invita a mettere la guerra dell'Iraq nel suo contesto: la società moderna non controlla le condizioni del proprio equilibrio

Le imagini hanno un peso equivalente?

L'enorme influenza delle immagini rappresenta una continuità tra Vietnam e Iraq. Una delle ragioni per cui gli Usa hanno perso la guerra del Vietnam è dovuto al fatto che gli Stati uniti sono una democrazia della stampa. Hanno perso la guerra quando hanno perso la guerra delle immagini. Oggi, l'opinione mondiale è una forza autonoma consolidata, che era già in formazione all'epoca del Vietnam.

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LA GUERRA IN CASA DEI DS E' ANCORA PIU' VERGOGNOSA - L'OPPOSIZIONE CHE DOVEVA DIRE NO ALLA GUERRA ORA DICE NO ANCHE ALL'INTERNO DEL PROPRIO GRUPPO DI COALIZIONE - CHIAMARLO PARTITO E' TROPPO.

DA - IL MANIFESTO

Fassino minaccia «Aprile»


Per il segretario dei Ds l'appartenenza al partito è «incompatibile» con la militanza nell'associazione presieduta da Sergio Cofferati. Giovanni Berlinguer replica: «Noi non divorzieremo»


COSIMO ROSSI
INVIATO A MILANO


«Io me ne vado, esce «indignato» dalla penombra della sala un delegato di Aprile. Perché le frasi finali pronunciate da Piero Fassino dal palco della Fiera di Milano hanno risprofondato i Ds in una replica, anche ridicola, del Pci che cacciava via le streghe. «Non mi paiono facilmente compatibili - dice il segretario - l'appartenenza ad un partito, cioè alle sue regole e alla sua disciplina, con l'appartenenza a forme organizzate dotate a loro volta di regole interne e di una disciplina che si sovrappongono e interferiscono con la nostra libera e autonoma dialettica». E certo Fassino non si riferisce a Futura, l'associazione esterna ai Ds promossa da Massimo D'Alema. La minaccia è rivolta proprio ad Aprile e a Sergio Cofferati, colpevoli di «paralizzare l'azione dei Ds e di renderne «indefiniti l'identità e il profilo a causa dei ripetuti distinguo sulle posizioni politiche». A fine giornata arriva la replica con il cuore e con la ragione del leader della minoranza Giovanni Berlinguer. Ci mette la buona volontà di riconoscere diversi punti condivisi nella relazione. Ci mette l'afflato unitario di cui è più capace di tanti altri, che invece sprizzano furore da tutti i pori. «Per esserci, in politica il divorzio deve essere consensuale. Noi non divorzieremo», puntualizza Berlinguer mentre in prima fila qualcuno obietta sotto i baffi sulla consensualità nell'istituto del divorzio.

Ma il copresidente di Aprile si chiama dentro l'esigenza invocata da Fassino di costruire «un progetto politico alternativo» alla destra. Ma, avverte, i riformismi sono molti. C'è stato quello efficace che nel secolo scorso «ha riformato il capitalismo» e c'è stato quello «troppo acquiescente con il neoliberismo» degli ultimi anni. Più Fassino ha spinto fuori la minoranza, insomma, più Berlinguer nel suo intervento ha cercato di chiamarsi dentro. Ricordando che è il movimento la novità che «da decenni non si verificava», e ascrivendo all'incalzare della minoranza con le sue posizioni politiche anche l'avanzamento della posizione dei Ds sulla guerra e nel rapporto con la società. Ma il punto è esattamente quello. Perché dalla relazione di Fassino si capisce perfettamente che la maggioranza dei Ds ha subito, non condiviso, la spinta di Cofferati, della Cgil intera e della minoranza interna che - alle ultime amministrative e forse alle prossime - ha accresciuto i consensi per la Quercia.

Per Fassino e per i delegati che riservano l'applauso più grande alla bocciatura secca del referendum sull'estensione dell'articolo 18, è come se il tempo non fosse passato. E, più della nomenklatura, quella che stupisce è la platea: tanto gelida nei confronti di Berlinguer, tanto mite quando parla Epifani, tanto indifferente quando arriva Cofferati, quanto disciplinata nel sottolineare con l'applauso tutti i richiami alla minoranza del segretario e tutte le invocazioni al «riformismo». Niente da rimproverarsi, in casa Ds, se non per rimproverare il resto della famiglia.

Le tre parti in cui si può schematizzare la relazione (internazionale, punti di programma, Ulivo-partito) sono infatti esenti da una analisi problematica. Anche il no alla guerra («Ci viene presentata per rendere il mondo più sicuro, rischia di renderlo in realtà ancora più insicuro, instabile, esposto a rischi di conflitti») si risolve poi in una invocazione di nuovo ruolo per gli organismi multilaterali, senza analizzare il carattere strutturale e permanente della politica di guerra preventiva degli Stati uniti e proporre risposte politiche. E anche la forza della risposta che viene dal movimento viene largamente sottostimata e definita come una sorta di etica, più che politica, del pacifismo. Tanto è vero che nella sfida di governo della globalizzazione, di globalizzazione della democrazia, la regia resta alle diplomazie, più che ai popoli, e la priorità è quella di avvicinare le due sponde dell'Atlantico attraverso un'Europa forte. E la musica non cambia sulle politiche sociali. Perché se da una parte Fassino avverte l'esigenza di politiche pubbliche, dall'altra omette non per caso di citare la Cgil e le lotte dell'ultimo anno. Un'omissione che non è passata inosservata a Gugliemo Epifani (che ha strigliato anche la smemoratezza del segretario sul Patto per l'Italia). Ma un'omissione che si porta dentro il segno preciso del riformismo della maggioranza dei Ds, che ha sempre preferito «parlare al paese» piuttosto che rappresentare gli interessi di una parte mentre lo fa. Un riformismo immutabile fin dal giorno in cui il sindacato fu definito «conservatore», impermeabile al protagonismo dei movimenti e alle leadership che provano a intepretarlo, insofferente nei confronti del dissenso. Probabilmente fino a sperare nel divorzio. Con buona pace di chi nella minoranza rivendica di essere «per la coppia aperta».

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ANCHE L'ACCERCHIAMENTO ERA STATO PREVISTO - CON UNA VIA DI FUGA PER FAR ARRENDERE I SOLDATI IRACHENI.

DA - IL CORRIERE DELLA SERA

«Bagdad accerchiata entro oggi»

Il goveno iracheno vieta ai civili di lasciare la città di notte.
Tank britannici a Bassora, i curdi prendono città nel Nord

BAGDAD - Mentre in mattinata si sentono pesanti colpi di artiglieria alla periferia di Baghdad, con echi al centro della città, le forze americane nel dintorni della capitale aumentano e si preparano all'assedio della capitale. «Entro oggi Baghdad sarà completamente accerchiata», ha detto un ufficiale americano. Sono 7 mila i soldati statunitensi nell'aereoporto di Baghdad, hanno dichiarato fonti delle forze Usa. Hanno ripiegato sull'aereoporto «anche le unitá corazzata che ieri hanno compiuto un blitz a Bagdad città».

COMBATTIMENTI - Secondo un reporter della Abc incorporato nelle truppe Usa, diverse unità di fanteria statunitensi sarebbero entrate in quartieri periferici della capitale e per la prima volta, i giornalisti riportano testimonianze dirette di scontri all’interno della città. Ieri il comando anglo-statunitense aveva dichiarato che due commando della terza divisione di fanteria erano penetrati fino al centro di Baghdad, ma nessun reporter aveva potuto confermare. Secondo un inviato Reuters, un carro armato statunitense è stato distrutto alla periferia di Bagdad. Secondo fonti irachene, quattro militari americani sarebbero morti nell'attacco al mezzo Usa.

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IN TEMPO DI GUERRA FINALMENTE UNA BUONA NOTIZIA

DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Imi-Sir, revocato l'interrogatorio di Previti

I giudici della prima sezione: il processo prosegue con l'arringa del pm Boccassini. Gli avvocati del senatore: «Grottesco»

MILANO - Il senatore non si presenta in aula con una valida giustificazione e così i giudici della prima sezione del tribunale di Milano hanno revocato il provvedimento con il quale veniva ammesso il suo interrogatorio di Cesare Previti, imputato nel processo Sme. Il tribunale ha anche respinto tutte le eccezioni sollevate dai difensori. Pertanto il processo prosegue nel pomeriggio con l'illustrazione delle richieste ex art. 507 del pm Ilda Boccassini. Secondo i giudici, «si è già verificato» che l'imputato «senza valida giustificazione non si è presentato per rendere esame», adducendo motivazioni che «non hanno valenza giuridica». Per questo il tribunale ha revocato l'interrogatorio di Previti, anche in base al principio della «ragionevole durata del processo».

LA DIFESA - «È una cosa grottesca». Così uno dei legali di Cesare Previti, l'avvocato Giorgio Perroni, che non era in aula oggi per il processo Sme, ha definito la decisione dei giudici della prima sezione penale di revocare l'interrogatorio dell'ex ministro della Difesa. «È un ulteriore atto di inimicizia nei confronti dell'onorevole Previti - ha commentato Perroni -. Evidentemente non hanno nessun interesse a sentirlo». «La decisione non mi meraviglia - ha proseguito -. È una cosa grottesca, se questo è un tribunale sereno...». Il legale, alla domanda se è in vista un'altra ricusazione, ha risposto: «valuteremo, abbiamo tre giorni di tempo». 5 aprile 2003

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UN'INTERVISTA - RARA - DA PARTE DI QUESTO GIORNALE INTERNET CI SPIEGA COME SONO I CAMPI DI ACCOGLIENZA.

DA IL SOLE 24 ORE.

Restano vuoti i campi di accoglienza

Dal confine tra Giordania e Irak la testimonianza della portavoce dell'Unhcr, Laura Boldrini. Per paure e convenienze non c'è stato finora il previsto flusso di rifugiati. di Piero Fornara

Già da alcuni mesi, via via che i venti di guerra crescevano di intensità, le organizzazioni umanitarie internazionali - dall'Unicef alla Croce rossa, dal Programma alimentare mondiale all'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) - hanno cercato di coordinare la preparazione degli interventi. Dalla località di Ruwayshed (Giordania), alla frontiera con l'Irak, la portavoce dell'Unhcr Laura Boldrini ha risposto alle domande del «Sole 24 Ore».

Come vi state attrezzando per affrontare l'emergenza dei profughi?

L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati già in dicembre aveva infomato i Governi che, in caso di guerra, ci sarebbe stato anche un costo umanitario, pertanto aveva chiesto un finanziamento iniziale di 60 milioni di dollari, sulla base di un'ipotesi numerica di 600mila persone, ipotesi che però non voleva - né vuole - essere una previsione di quanta gente sarebbe fuggita dall'Irak, bensì una «working figure» per dare il via all'operazione. Nei giorni scorsi l'Alto commissario Ruud Lubbers ha fatto una richiesta complessiva di 154 milioni di dollari per sei mesi, invitando altresì i Governi dei Paesi confinanti con l'Irak a tenere aperte le proprie frontiere per poter soccorrere coloro che avranno bisogno di protezione temporanea e di assistenza.

Qual è oggi la situazione lungo le frontiere dell'Irak?

Abbiamo approntato aiuti di prima necessità, come tende, coperte, materassi, kit igienico-sanitari, utensili da cucina e taniche per l'acqua per 350mila persone, collaborando con le autorità locali di Giordania, Siria, Iran per erigere dei campi di accoglienza. Per intanto ne abbiamo uno a Ruwayshed in Giordania, dove appunto mi trovo, che può ospitare fino a 20 mila persone, un campo in Siria a El Hol per 10mila persone e un altro è in preparazione, infine ci sono quattro siti in Iran dove il governo sta facendo i lavori preparatori di spianamento del terreno, collegamento del sistema idrico e fognario, ciascuno per 15mila persone.

Ci sono le avvisaglie di un flusso massiccio di rifugiati?

No, finora non c'è stato quasi nulla. Gli unici arrivi dall'Irak sono quelli di egiziani, sudanesi, somali - che lavoravano in Irak come avevano artigiani o piccoli imprenditori o ancora vi soggiornavano per studiare - che hanno avuto la revoca del visto e hanno dovuto lasciare il Paese, abbandonando anche i loro macchinari e sperano adesso di avere una compensazione per queste perdite. Gli iracheni invece non fuggono anzitutto perché ci sono i bombardamenti angloamericani che vanno avanti quasi senza tregua di notte e di giorno, inoltre c'è stata - a quanto sembra - una forte politica di intimidazione messa in atto dal regime. Quindi chi decide di partire mette in pericolo di vita dei parenti che restano (che vedrebbero spediti i maschi in prima linea), rischia la confisca di tutti i beni e la perdita della nazionalità. Gli iracheni hanno poi subito per anni una propaganda molto insinuante da parte del regime, per cui molti di loro credono ancora in Saddam Hussein e pensano che lui sia l'ultimo baluardo contro l'ingiustizia delle sanzioni economiche, viste come una decisione arbitraria e non una conseguenza dell'invasione del Kuwait nel 1990. Sia come sia, dodici anni di sanzioni che hanno spazzato via il ceto medio e reso povera praticamente tutta la società irachena. Infine ci sono ancora due motivi: per cercare di espatriare bisogna avere in tasca almeno 200 o 300 dollari e per intanto molti hanno ancora dei viveri frutto delle distribuzioni «oil for food». Però sa guerra durerà a lungo oppure se si arriverà allo scontro finale, con una parte della popolazione irachena che si ribella al regime, allora vedremmo davvero colonne di gente in fuga.

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L'INTERVENTO DI DALEMA E' RIDICOLO - ANZI POLITICO - PRIMA CERCA DI SFASCIARE L'UNIONE LANCIANDO IL SOLDATO FASSINO ALL'ATTACCO E POI SI FA AVANTI PER FARE LA PACE E MANOVRARE SUCCESSIVAMENTE LA COALIZIONE.

DA - L'UNITA'

D'Alema a Milano: uniti per tornare classe dirigente
di Ninni Andriolo

«Se non usciamo da qui facendo un salto di qualità nel modo in cui stiamo insieme, noi offendiamo anche un sentimento diffuso che muove dal timore che la sinistra finisca per essere parte del declino del nostro Paese». Massimo D'Alema parla alla fine di una giornata tesa, davanti a una platea che ha seguito per ore, senza mai svuotarsi, interventi di dirigenti della Quercia e di ospiti esterni.

Una giornata segnata dall'appello al rispetto delle regole rivolto da Piero Fassino al «correntone» nella relazione del giorno prima. Segnata dagli interrogativi sulla «compatibilità» della doppia appartenenza ai Ds e all'associazione Aprile. Segnata dalla richiesta di chiarimenti avanzata dalla minoranza al leader diessino. Segnata, alla fine, dal voto unitario sulla mozione che «assume» il manifesto per l'Italia di Bruno Trentin.

Il problema di come si sta assieme dentro lo stesso partito, dice nella sostanza D'Alema, non si risolve «aggrappandosi a una parola» (quella dell'incompatibilità che ha fatto infuriare il correntone), ma definendo un nuovo modo di concepire il pluralismo. Da qui, secondo il presidente diessino, si misurerà non tanto «il rapporto tra le componenti» della Quercia, ma il «livello collettivo di una classe dirigente e la sua capacità di non tradire la fiducia della gente».

La seconda giornata della Convenzione programmatica di Milano si conclude con un appello alla «responsabilità» dell'unità rivolto ai Ds, ma complessivamente a tutto l'Ulivo. «L'unità della Quercia è la condizione per la coesione del centrosinistra», ripete D'Alema. Solo un partito unito - nella sostanza - sarà in grado di far crescere l'Ulivo. E di respingere la tentazione di chi vorrebbe i Ds più deboli in vista della definizione della futura leadership dell'alleanza. «Dal modo come noi sappiamo gestire il confine che esiste tra le diverse sensibilità» che compongono l'opposizione, «dipende la nostra capacità di irradiare in tutto l'Ulivo uno spirito di collaborazione e di unità». Ed è «l'unità» la condizione per cogliere «le opportunità» che derivano della crisi di credibilità di un governo «che si mostra palesemente inadeguato a rappresentare l'Italia». È «l'unità» che può consentire al centrosinistra di «prendere nelle mani la bandiera del cambiamento del Paese, lì dove la destra ha fallito». D'Alema non cita mai Sergio Cofferati, ma molti passaggi del suo intervento suonano come risposta a distanza all'ex leader della Cgil.

Niente polemiche («nulla è polemico di questo mio intervento»), ma confronto serrato, sfida politica. «Mi si è contestato che l'identità della sinistra è il cambiamento - ricorda il presidente diessino - ma provate a dire il contrario, provate a dire che l'identità della sinistra è la conservazione....Vi convince questa definizione?». Cambiamento, quindi. Anche se «è chiaro che questo deve essere segnato dai valori che sono proprio della nostra storia». Ma oggi, «siamo sinistra europea», parte «del mondo occidentale». «Veniamo da un partito nel quale il gruppo dirigente ha compiuto uno sforzo straordinario per evitare che fossimo un accampamento cosacco e diventassimo una grande forza nazionale». Da lì, da Togliatti nella sostanza, la più grande realtà politica della sinistra italiana ha compiuto «una serie di passi». E oggi i Ds sono una grande realtà popolare, democratica e nazionale. Questo percorso non può essere messo in discussione. E la sfida di adesso si vince facendo anche un salto di qualità «nel modo di stare assieme» dentro lo stesso partito.

«La questione del rapporto tra di noi - spiega il presidente della Quercia - è un grande problema politico e culturale», non di misure disciplinari. E riguarda la coesistenza di «posizioni diverse, in un grande partito o in uno schieramento», l'esigenza di far funzionare «positivamente» le diversità per essere utili «al Paese». Far vivere concretamente le differenze dentro i Ds, quindi. «Questo comporta problemi di stile, l'ascolto reciproco, il rispetto verso le persone». Ma comporta anche - il messaggio è rivolto al correntone -«la capacità di convergere, anche nei momenti più significativi, attraverso una forma di autodisciplina» perché «non è più il tempo» di «imporre la disciplina dall'esterno». «Noi - aggiunge D'Alema - abbiamo una responsabilità speciale». E non è vero «che la esasperazione e la visibilità delle differenze accresce la capacità di rappresentanza». Questa convinzione muove infatti «da un'idea arcaica non valida in un sistema maggioritario in cui la sfida è per il governo del Paese». In un sistema in cui «chi deve essere convinto a essere governato da noi ha bisogno di misurare un grado ragionevole di coesione che è condizione di affidabilità di uno schieramento politico».

Qui D'Alema lancia un nuovo messaggio a Cofferati. Ma, assieme, lancia un messaggio che sembra rivolto a chi dentro il centrosinistra non si preoccupa dell'unità, illudendosi che un domani l'arrivo di Prodi rimetta assieme i cocci di un'alleanza divisa. La coesione dell'Ulivo e dei Ds va costruita adesso, non può essere rinviata. «A meno che - aggiunge D'Alema - non si pensi che poi l'unità sarà il frutto di una sintesi plebiscitaria personalistica. Ma questo è il modo più antidemocratico, più contrario alla nostra cultura».Il centrodestra ha risolto «con un modo personalistico e plebiscitario il problema della sintesi della sua immagine». Mentre per il centrosinistra «per fortuna, quella strada non è praticabile». E il problema, quindi non è quello di dividersi «tra chi è attento ai sentimenti e chi alla ragione», discus sione che rimanda soltanto «ai fondamentali della filosofia». Serve, invece, un «mutamento di fase» dell'Ulivo, «un'accelerazione nel senso dell'unità e della capacità di proposta dell'opposizione».

E la spinta all'unità deve riguardare anche le organizzazioni sindacali. D'Alema, a questo punto, risponde al segretario della Cgil, Guglielmo Epifani. «Proprio perché il Patto per l'Italia non aveva consistenza, e non c'è più, non ha alcun senso mantenere la polemica» con Cisl e Uil. Il vero problema di oggi, invece, «è come si colgono le nuove opportunità unitarie». E chi è forte, come la Cgil, «non può soltanto rivendicare la giustezza di ciò che ha fatto».

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NON DICE COSE SBAGLIATE QUESTA INTERVISTA A COLUI CHE SEGNO' LA FINE DEL PARTITO COMUNISTA.

DA - L'UNITA'

Non passi liscio l'intervento illegale degli Usa"

ROMA
Onorevole Occhetto, è meglio che gli americani vincano subito o che Saddam resista? Che l'Onu torni subito in campo o che ci s'impantani in Iraq?


Lo ripeto: Saddam non deve vincere. Del resto, ha già perso. È impensabile che esca indenne. E aggiungo: l'intervento illegale degli Usa non deve passarla liscia. Sarebbe un grave precedente. I rapporti internazionali diventerebbero una giungla. Va ripristinata subito la legalità internazionale.


C'è chi sintetizza questa posizione in: né con Saddam né con Bush. Su Saddam c'è stato anche chi, per esempio l'on. Ingrao, ha detto: diamogli una mano per non darla vinta agli americani.


Intanto, mi sembra che nessuno abbia detto che bisogna dare una mano a Saddam. Tutti distinguono tra il popolo iracheno e quel mascalzone di Saddam che non è mai stato amico della sinistra ma, in alcuni momenti, ritenuto tale dall'Occidente. Il problema non è Saddam o Bush, ma legalità o no. A questo proposito va aggiunto un punto.


Quale, Occhetto?


L'Onu non doveva dare copertura alla guerra prima. Ma non deve darla neanche dopo magari sulla base di un ragionamento che dice: gli americani hanno fatto il lavoro sporco ora tocca all'Onu mettere una pezza. Invece, il problema centrale è la sospensione del fuoco per far tornare tutto nelle mani dell'Onu.


È una via realistica?


Secondo me sì. Bisogna creare un clima ideale e morale per intervenire contro quello che si sta preparando come il grande massacro di Bagdad. Bisogna farlo subito per proteggere i poveracci perché ad andarci di mezzo non sono i boia della dirigenza irachena ma la povera gente. Tremo per i soldati angloamericani gettati in quel bagno di sangue. C'è un accerchiamento che ha già messo in ginocchio Saddam. Ora faccia tutto l'Onu nel pieno rispetto dei diritti umani. Se si comprende la vera posta in gioco si può intervenire. Bisogna aver chiaro qual è il disegno in campo. Quella di Bush non è mera follia. Il disegno, ancorché sbagliato, nasce dalla consapevolezza che è finita la vecchia gestione del mondo.


Lei ha sostenuto che questa guerra è la seconda puntata dello scossone tellurico mondiale avviato col crollo del muro di Berlino. In che senso?


L'attacco unilaterale degli Usa segna la fine di un'epoca. L'89 ha segnato il crollo di uno dei due blocchi, quello dell'Est. Ora crolla il vecchio atlantismo. Non è un caso che tutti i massimi dirigenti dell'atlantismo italiano - Andreotti, Cossiga, Scalfaro, Colombo - si siano schierati contro la guerra. Questa stessa consapevolezza ha spinto gli Stati uniti a vedere che c'è un mondo che scoppia per le tremende contraddizioni che l'attraversano. Rischi di recessione, una globalizzazione finanziaria che non si trasforma in migliori condizioni di vita. Insomma, il luccichio della modernità ma non la crescita mondiale.


Quindi c'è una crisi di leaderschip nel mondo e si stanno scontrando diversi disegni di riorganizzazione. La guerra è questo?


Sì. Siamo in uno di quei momenti drammatici in cui emerge l'esigenza di un ordine nuovo. Come sempre accade nella storia il fenomeno ha una faccia reazionaria e una progressiva. Quella reazionaria è la militarizzazione della globalizzazione, cioè la ricerca di una soluzione militare con alleanze variabili. Non a caso Bush ha messo in campo la coalizione dei volenterosi. I timorati del riformismo neoliberista se la prendevano con qualche pacifista che diceva pace senza se e senza ma e intanto Bush aveva già deciso la guerra senza se e senza ma.


C'è a sinistra chi sogna una riorganizzazione del mondo in chiave antiamericana?


Nelle manifestazioni di questi mesi non ho visto niente di paragonabile all'antiamericanismo del 68, del 77 o della guerra in Corea. Oggi l'antiamericanismo è una delle trovate per non fare ragionare sulla vera alternativa, che non è: stare con o contro l'America; ma: soluzione unilaterale o multilaterale. Chi e come deve governare il mondo, quali le istituzioni che devono dirigerlo.


Lei fa riferimento alle manifestazioni. Ma i gruppi dirigenti? Per esempio, tra quelli che vengono dalla storia della sinistra e del radicalismo italiani ci sono tentazioni?


In Italia, lo s'è visto a partire dalla Svolta (la trasformazione del Pci in Pds, ndr), c'è una sinistra residuale e nostalgica. Ma è una parte sempre più ristretta. Ultraminoritaria rispetto al movimento pacifista che è un fenomeno mondiale. Volerla sempre mettere in primo piano è un tentativo furbesco per non fare i conti col movimento pacifista.


Occhetto, perché perfino la guerra è servita alla sinistra italiana per divedersi?


Ci sono divisioni comprensibili e incomprensibili. Evidentemente ci sono due tipi di riformismo. Uno pallido, tendenzialmente neoliberista, carico di vecchi riflessi atlantici. Un altro forte, europeista e amico della grande democrazia americana. È inutile chiedere unità. La discussione va fatta e vinca il migliore.


Chi sono i riformisti pallidi?


Dentro ogni partito dell'Ulivo c'è questa frattura. Poi ci sono le divisioni pretestuose. Francamente non capisco le differenze emerse giovedì, sulle mozioni sulla pace; e lo dico io che l'altra volta ho votato oltre che la mozione dell'Ulivo quella di Rifondazione. Voglio mettere in guardia il Prc dall'usare la pace per cercare assurdi primati, per mantenere preminente la piccola propria parte. La mozione dell'Ulivo era buona. Bisogna poi respingere la canea di chi dice siete divisi…


Ma le spaccature ci sono…


Penso nascano anche dal fatto che non s'è seguita la strada maestra della costruzione dell'Ulivo. Si è tornati al cartello dei partiti e quindi - è un aspetto meschino - avendo di fronte scadenze elettorali proporzionali finisce con l'esservi molta pretestuosità legata alla vecchia cultura da comitato elettorale.


Lei ha sempre molto insistito sulle contaminazioni ma la storia dice che gruppi dirigenti e perfino strati sociali sembrano più attaccati alle identità che alle contaminazioni. Perché?


Non direi. Le divisioni ora vengono dall'alto, non dal basso. Sollecitato unitariamente il popolo del centrosinistra ha sempre risposto bene a partire dalla stagione dei sindaci. Tornati al cartello dei partiti, per colpa dei vertici, è capitato che il morto s'è impossessato del vivo.


Lei quindi sostiene che c'è uno scontro di gruppi di potere per una leadership che dà il cattivo esempio? Di chi è la responsabilità?


Non riuscirà a trascinarmi sulla personalizzazione. Sono stato un po' criminalizzato e, per tapparmi la bocca, considerato rancoroso. In realtà, parlo di idee e pensieri. Poi chi vuole può mettere i nomi giusti nelle caselle giuste. Anzi, è un gioco che propongo ai lettori dell'Unità.


Molti si chiedono quale sia il male oscuro della sinistra. Lei ne ha attraversato la storia degli ultimi decenni. Le chiedo: qual è la maledizione?


I partiti nel Dopoguerra sono stati una grande cosa. La colpa di oggi è non capire che non esistono più e s'è fatto del partitismo, che significa interessi di piccoli gruppi dirigenti, il punto centrale della politica. La via maestra dovrebbe essere quella di una costituente del nuovo Ulivo. Qualcosa che faccia fare un passo indietro agli ex di tutti i partiti per mettere in campo, con l'aiuto di tutti e senza che nessuno venga cancellato, qualcosa di veramente nuovo. In questa costituente non ha senso dire che non bastano i movimenti e che ci vuole la politica.


Sta polemizzando con D'Alema?


Sono tanti quelli che lo sostengono. Lo scetticismo verso i movimenti è insensato. Anche perché dobbiamo partire dal punto che la politica deve essere al servizio dei movimenti e della società e non il contrario.


Ci sono pericoli di scissione tra i Ds?


Averlo tematizzato, solo perché s'è tenuta l'assemblea di Aprile, è stata una scelta sbagliata. Io vedo profonde differenze d'impostazione. Anche strategiche. A mio avviso oggi non si risolvono dentro i Ds. Il tema della scissione è un vecchio tema. Le differenze devono risolversi in una unità più ampia e articolata che è quella dell'Ulivo.

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E ANCHE PER QUESTA DOMENICA 6 APRILE ..... UN BACIONE DA LUANA.