TUTTO TROPPO
FACILE - COME HO GIA' DETTO PRECEDENTEMENTE GLI USA
DEVONO STARE ACCORTI.... MOLTO PROBABILE CHE LA GUERRA DI
SADDAM INIZI DOPO CHE GLI AMERICANI HNNO VINTO. DA LA REPUBBLICA.
Caccia al dittatore
nel ventre di Bagdad
Se Saddam fosse
preso o ucciso la capitale cadrebbe subito
Nelle strade non si vedono miliziani né posti di difesa
dal nostro inviato BERNARDO VALLI
BAGDAD - Più una
caccia all'uomo che l'assedio di una città. Gli
americani vogliono stanare Saddam Hussein. Basta seguire
le loro evoluzioni, in queste ore, attorno alla capitale,
per rendersene conto. Questo è il loro obiettivo. Se lo
catturano, se lo uccidono, Bagdad cade. La sua difesa,
che è già fluida, si liquefa. Evapora. Privata del
raìs, Bagdad ti cade in mano, come una ghianda o una
castagna. Il lungo (sinistro) incantesimo esercitato da
Saddam si spegne. Il regime si decompone. Quasi mezzo
milione di soldati di una superpotenza occidentale, unica
nella storia per la sua forza, danno insomma la caccia a
un arabo annidato in una metropoli orientale dal nome
mitico. E' impossibile non sentire il sapore coloniale di
questa guerra. Mi ricorda una spedizione
dell'Inghilterra, la grande potenza di allora, nel tardo
Ottocento, per eliminare il Mahdi, che assediava Khartum,
dove era asserragliato il generale Gordon. George W. Bush
è ritornato ai tempi della regina Vittoria. A onor del
vero, al confronto della sua guerra, quella di più di un
secolo fa era una piccola, romantica avventura.
Due colonne americane, una proveniente da Sud e l'altra
da Sudovest, sono penetrate nella periferia meridionale.
Nei quartieri di Dorah e di Yarmuk, più che una vera e
propria battaglia, c'è stato l'annientamento di
consistenti unità della Guardia repubblicana senza
copertura aerea e con mezzi blindati (dell'epoca
sovietica) nettamente inferiori a quelli americani, la
milizia di Saddam Hussein può fare ben poco. Ieri
mattina ha pagato un prezzo molto alto. Centinaia di
morti. Negli scontri è rimasto impigliato Fuad, la mia
guida palestinese, che abita a Dorah. Ieri non è venuto
al consueto appuntamento. Il suo telefono non funziona.
Non so ritrovare la casa dove la moglie, due giorni fa,
mi ha offerto un tè. Spero che rispunti nelle prossime
ore.
Una terza colonna, proveniente da Nordovest, sta cercando
di prendere il controllo di un aeroporto militare che,
insieme a quello civile già occupato nel Sud,
faciliterebbe l'arrivo di truppe, destinate ad
accerchiare la città, e il traffico di jet ed elicotteri
incaricati di sorvegliarla e bombardarla. Questo
dispiegamento non prepara una Stalingrado orientale.
Anche perché Bagdad è un corpo molle. Non è una
sostanza rigida, solida, contro la quale puoi spuntarti
il naso. E' un mollusco in cui entri facilmente, ma
quando ci sei entrato puoi trovare sorprese sgradevoli.
E' per evitare queste
sorprese (una guerriglia urbana) che le colonne americane
hanno compiuto soltanto operazioni di assaggio. Sono
penetrate nella periferia, sfondando le difese
relativamente fragili, e sono ritornate sulle loro
posizioni. Si sono lasciate alle spalle soltanto poche
unità. Non hanno fretta di addentrarsi nei quartieri
dove possono essere facili bersagli. Le incursioni
punteranno sui supposti bunker di Saddam Hussein. La
caccia dal cielo è già in corso da tempo. Quella a
terra, comincia adesso seriamente. Sempre che il raìs si
trovi ancora, come si pensa, a Bagdad.
Benché privato (spero per poco tempo) di Fuad, e della
sua vecchia Mercedes, ho passato parecchie ore nella
città deserta. Anzi, morta. E, la sera, buia. Nera come
la pece. Tetra. La paura vuota le strade. I mercati
restano aperti qualche ora. Le continue esplosioni, a
Nord e a Sud, informano le famiglie rintanate nelle case
sugli scontri alla periferia. Né al mattino, né nel
tardo pomeriggio ho incontrato posti di blocco.
Scarsissimi gli uomini armati. Abito sulla riva destra
del Tigri, e l'aeroporto si trova su quella sinistra. Là
c'è il fronte principale. Ho dunque attraversato più
volte i ponti (il fiume percorre zigzagando la città)
per vedere se erano presidiati. Neppure un soldato.
Soltanto verso il quartiere residenziale di Al Mansur
(dove si trova il mio ristorante preferito, e indomito,
perché aperto notte e giorno), si incontrano sporadici
mezzi blindati, e qualche unità motorizzata. E' una
rapida descrizione che dà un'idea di quanto sia
vulnerabile la città alle incursioni di colonne
corazzate americane. Perlomeno in apparenza. Dalle
abitazioni ermeticamente chiuse possono sempre uscire
proiettili micidiali anche per i mezzi blindati.
E di sorprese se ne possono avere anche dalla popolazione
(la "giungla umana"), se si dovesse arrivare a
un'occupazione, senza prima avere disinnescato il regime.
Ossia senza prima avere catturato e eliminato Saddam,
attorno al quale resiste tenace un'estesa incrostazione
tribale familiare. Quella dei tigriti (la gente di
Tigrit, luogo natale del raìs) in primo luogo.
La caccia all'uomo è dunque ritenuta essenziale. Questo
può allungare maledettamente i tempi. Perché implica
ripetute azioni di truppe speciali all'interno di Bagdad:
incursioni via terra, appoggiate da elicotteri, nei
quartieri sospetti, dove Saddam potrebbe essere nascosto.
A noi ospiti dell'hotel Palestine e dello Sheraton, i
miliziani del partito Baath (rinascita) hanno offerto un
discreto spettacolo pomeridiano. In automobile, agitando
mitra e bazooka, e scandendo "Saddam vincerà",
hanno organizzato un rumoroso carosello. Erano un
centinaio. Il loro intento era chiaro. Volevano farci
sapere che se non incontriamo difese visibili nella
città, non significa che non ce ne siano di nascoste.
Altri miliziani ci hanno poi mostrato come un trofeo la
giubba di un graduato americano (con il nome
"Diaz" scritto sul petto, forse un
portoricano). Queste esibizioni sono spesso patetiche.
Insufficienti, comunque, per dissipare la nostra netta
impressione che la difesa di Bagdad (perlomeno quella
visibile) lasci a desiderare. O si stia sgretolando.
Saddam adotta la tattica delle ombre cinesi. Essendo
l'obiettivo della caccia all'uomo, e non potendo
affrontare in uno scontro tradizionale un esercito come
quello americano, cerca di sconcertarlo. Appare,
scompare, ricompare. Oggi fresco come un condottiero
vittorioso. L'indomani solenne, e un po' cupo, come un
leader preoccupato per i suoi sudditi. E, all'improvviso,
con un colpo di scena, si mostra addirittura per la
strada, tra la gente plaudente. Il raìs offre ai suoi
inseguitori, come un attore incallito, contrastanti
ritratti di sé. Espressioni bonarie, severe, aggressive.
Cerca di trarre in inganno quelli che gli danno la
caccia. Mette in imbarazzo chi deve stabilire se quello
che appare alla tivù è veramente lui, Saddam, o è uno
dei tanti sosia; e se le immagini sono d'archivio,
truccate, autentiche o semiautentiche. Saddam
l'inafferrabile.
Con il verbo, la parola, Saddam fa combattere alle sue
truppe battaglie mai avvenute. Le fa raccontare dal suo
ministro dell'Informazione Al Sahaf. Il quale, mentre gli
americani sono alle porte di Bagdad, e ben attestati
all'aeroporto, annuncia che sono stati sconfitti e
ricacciati a decine, vedi centinaia, di chilometri. Al
Sahaf celebra con serietà vittorie immaginarie; cattura
prigionieri invisibili; abbatte aerei con una contraerea
ormai azzerata. Venerdì sera ci ha annunciato iniziative
"non convenzionali" per la notte, lasciandoci
col cuore in gola fino al mattino. L'indomani si è
presentato come se nulla fosse. Ha l'impressione che il
verbo sia sufficiente. Non importa se non segue l'azione.
La parola basta. È un illusionismo tragico.
Ma può anche essere una tattica. Tende a dare
l'impressione che il regime resiste. Nell'attesa che gli
inseguitori del raìs entrino nel cuore della capitale. A
impedirti di pensare che anche la tanto temuta trappola
di Bagdad (la "giungla umana") sia
un'illusione, un bluff, ci sono naturalmente le
esplosioni e i morti.
(6 aprile 2003)
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CHE SADDAM SIA
UN MOSTRO E' INUTILE STARLO A SCRIVERE E RISCRIVERE - IL
PROBLEMA ERA COME RISOLVERE IL TUTTO SENZA FARE VITTIME
CIVILI SENZA ANDARE PER GUERRE DI PETROLIO PERSONALE E
SILURI SUI MERCATI DELLA POVERA GENTE.
COMUNQUE MI
PIACEREBBE PUBBLICARE ANCHE COME GLI AMERICANI TRATTANO I
SOLDATI DI BIN LADEN NELLA BASE CUBANA - O LE FOTO DI
QUELLI CHE LORO HANNO UCCISO E UCCIDONO SULLA SEDIA
ELETTRICA. LA COSA CHE PIU' MI FA SCHIFO IN TUTTO QUESTO
SPORCO GIOCO ASSURDO E' VEDERE DEI SOLDATI CHE SI
SCANDALIZZANO PER L'ORRORE TROVATO NEL CAMPO NEMICO
QUANDO PER ENTRARE IN QUESTO NE HANNO DOVUTO FARE IL
DOPPIO.
DA - LA REPUBBLICA.
Centinaia di morti
scoperti
in obitorio nel sud dell'Iraq
I generali Usa:
"Attacchi su Bagdad 24 ore su 24"
Nuovo messaggio di Saddam: "Attaccate gli
invasori"
In questa diciassettesima
giornata di guerra, con l'attenzione tutta concentrata
sull'ingresso
di truppe americane a Bagdad, anche nel resto del
Paese continuano le battaglie, soprattutto a Karbala, 110
chilometri a sud della capitale. Nella parte meridionale
dell'Iraq militari britannici hanno trovato un'area in
cui erano nascosti centinaia di corpi senza vita. Il
generale Mosley, dell'aviazione Usa, annuncia che
"l'esercito iracheno praticamente non esiste
più", e che Bagdad da oggi è sorvolata 24 ore su
24 da formazioni aeree di supporto, nell'eventualità
della battaglia in città. Il raìs, dopo il bagno di
folla di ieri a sorpresa, è tornato a invocare la
resistenza agli invasori attraverso un messaggio letto
oggi dalla televisione di stato irachena dal ministro
dell'informazione Mohammed Saed al Sahaf.
L'obitorio. Truppe
britanniche hanno trovato, in una base militare
abbandonata alla periferia di Al Zubayr (area meridionale
del Paese), un obitorio di fortuna contenente i resti di
centinaia di cadaveri. La notizia, riferita dall'agenzia Press
Association, è stata confermata anche dal Comando in
Qatar. Crani, mucchi di ossa con pezzi di uniforme
militare ancora attaccati, sono stati buttati in sacchi
di plastica ed in bare non chiuse. La terribile scoperta
è stata fatta da un ufficiale del terzo reggimento della
Royal Horse Artillery che stava controllando la base
militare per valutare la sicurezza dell'area. Quando è
entrato in un capannone di una trentina di metri di
lunghezza si è trovato di fronte a circa 200 casse da
morto, in parte allineate per terra ed in parte
accatastate una sull'altra, e ad altrettanti sacchi di
plastica pieni di resti umani. L'orrore è esploso
tuttavia quando un militare ha trovato una sorta di
archivio di foto dei cadaveri. Le immagini mostravano i
fori dei colpi di arma da fuoco alla testa, le facce
bruciate e mutilate, i corpi massacrati e torturati.
Vicino all'improvvisato obitorio c'erano celle con
rastrelliere cui erano appesi ganci usati per macellare
il bestiame e, ancora di fianco, un'area con a terra un
piccolo piedestallo e dietro un muro crivellato da colpi
di arma da fuoco. Si è capito così, un po' alla volta
che quello era un centro di tortura, di atrocità oltre
che un luogo destinato alle esecuzioni. Ogni sacca che
contiene resti umani ha un'etichetta mentre tutte le bare
hanno una targa con una scritta in arabo. Al momento non
è possibile immaginare l'epoca cui risalgano le
uccisioni e le torture. Le bare, come detto, sono in
parte accatastate lungo le mura del deposito ed in parte
allineate ordinatamente al centro; l'intera operazione
sembra essere stata improvvisamente interrotta. Le bare
inoltre sembrano costruite recentemente suggerendo la
possibuilità che i resti vi siano stati messi per una
sepoltura, forse un estremo tentativo da parte dei
responsabili di nascondere quanto accaduto, prima
dell'arrivo dei militari della coalizione
anglo-americana. Secondo alcune ipotesi i resti
potrebbero risalire alla guerra Iran-Iraq, o alle purghe
dei musulmani sciiti, o alle repressioni dopo le
sollevazioni del 1991.
Bombe su Bagdad 24 ore
su 24. "L'esercito iracheno come difesa
organizzata non esiste più". Lo ha detto il
generale dell'aviazione americana Michael Mosley dal
quartier generale in Arabia Saudita.
"L'equipaggiamento c'è ancora - ha spiegato -,
così come alcuni militari, ma se si parla di corpi e
divisioni, in grado di sostenere una potenza di
combattimento contro la coalizione, la situazione non è
più la stessa di due settimane fa". Mosley ha
annunciato che da oggi decine di caccia e aerei-radar
sono in stato di massima allerta su Bagdad, 24 ore su 24,
a supporto delle forze Usa, nell'eventualità della
battaglia urbana. "Il trucco - ha spiegato -, è
fare ricorso a meno armi possibile, per ottenere il
massimo effetto, così che non vi siano inutili perdite
tra i civili". Fra gli aerei utilizzati ci sono
anche i droni, gli aerei-spia senza pilota, il cui uso
potrebbe indicare che gli anglo-americani ritengono ormai
poco pericolosa la contraerea irachena a Baghdad.
"Oggi - ha aggiunto il generale - viene per la prima
volta applicata la nostra idea di operazioni sul terreno
con appoggio aereo, dato che i nostri soldati di terra
sono in città".
Bassora. Secondo l'agenzia iraniana Irna le
truppe britanniche sarebbero riuscite a entrare nella
città. Le notizie sono frammentarie, ma quel che è
certo è che i bombardamenti proseguono. Al Jazeera
sostiene che 17 persone, di cui 15 di una stessa
famiglia, sono morte e cinque sono rimaste ferite.
Secondo la France Presse, invece, i britannici
hanno condotto alcune incursioni all'interno della
città. Carri armati pesanti Challenger e veicoli
blindati Warrior sono penetrati di due o tre chilometri
oltre la linea del fronte, che circonda completamente la
città, secondo quanto ha dichiarato il tenente Dan
O'Connell.
Il messaggio di Saddam. "Alzatevi in piedi,
andate verso di loro (il nemico) e attaccateli, come vi
ha insegnato l'ideologia, come vi abbiamo
preparato", recita il messaggio attribuito al
presidente iracheno Saddam Hussein e letto oggi dalla
televisione dal ministro dell'informazione Al Sahaf.
Nella sua corsa verso Bagdad - dice ancora il messaggio -
il nemico si è lasciato le spalle scoperte in diverse
zone, "dobbiamo approfittarne, attaccarlo, stancarlo
e aggravare le sue ferite anche con piccole azioni",
così abbiamo anche la possibilità di alleggerire
l'assedio a Bagdad. "I criminali saranno
umiliati", conclude il messaggio.
L'attacco a Karbala. Un attacco aereo e da terra
sulla città dell'Iraq centrale è cominciato questa
mattina. Lo hanno detto fonti militari americane. Le
forze paramilitari fedeli a Saddam hanno risposto al
fuoco, secondo quanto riferito da giornalisti presenti
sul posto.
Gli incidenti. Tre soldati americani sono rimasti
uccisi ieri: un caccia Usa potrebbe aver bombardato per
errore una postazione di truppe di terra. Oggi un
elicottero americano, del tipo AH-1W Super Cobra, è
precipitato in un'area del centro dell'Iraq. I due piloti
sono morti, ha dichiarato, con un comunicato, il Comando
di Doha. "Sulla base delle indicazioni preliminari -
si legge nel comunicato - l'incidente non sembra essere
stato provocato da fuoco nemico". Ancora, tre
soldati Usa sono morti in un incidente stradale vicino
all'aeroporto di Bagdad.
(5 aprile 2003)
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NON SONO
D'ACCORDO CON QUESTO ARTICOLO DELL'EX DIRETTORE DELLA
REPUBBLICA.... SECONDO ME LA GUERRA DEVE ANCORA
COMINCIARE E ACCADRA' SUCCESSIVAMENTE.... MA E' SEMPRE UN
PENSIERO DIGNITOSO DA SEGUIRE E APPRENDERE.
Quella guerra in
Iraq
non è mai cominciata
di EUGENIO
SCALFARI
FORSE la guerra è
finita. Ma forse non è mai cominciata. Forse, fin
dall'inizio 18 giorni fa, è stata solo una guerriglia
destinata a rallentare di pochi giorni la cavalcata
dell'armata angloamericana verso le città irachene:
Bagdad, Bassora, Mosul. Ora le città sono state
raggiunte (Bassora da 14 giorni, Bagdad da ieri, Mosul è
quasi in vista) e cinte d'assedio. La tabella di marcia
di Rumsfeld è più o meno in orario. E adesso? Che
cos'altro deve succedere adesso? Guardiamo, se possibile,
non all'apparenza ma alla sostanza delle cose.
L'obiettivo numero 1 era ed è quello di prendere Saddam
e far cadere il regime. L'obiettivo numero 2 quello
d'ottenere il risultato con il minor numero di morti tra
le truppe dell'armata. L'obiettivo numero 3 quello
d'annientare le capacità militari dell'avversario.
L'obiettivo numero 4 di limitare il più possibile le
vittime innocenti tra la popolazione civile. L'obiettivo
numero 5 d'insediare un governo provvisorio sotto
protettorato militare. L'obiettivo numero 6 di spegnere
gradualmente la guerriglia giovandosi dell'adesione d'una
popolazione finalmente libera dal terrore esterno (le
bombe) e da quello interno (le rappresaglie del raìs).
Quando tutti questi obiettivi (o almeno la maggior parte
d'essi) fossero raggiunti, la prima fase dell'operazione
sarebbe conclusa e comincerebbe la seconda, cioè la
costruzione della pace. Dalla guerra irachena alla
"pax americana" in Iraq e in tutta la regione
mesopotamica tra il Tigri e le sponde mediterranee da
Beirut fino alla striscia di Gaza.
Questa seconda fase, nell'agenda di Washington,
comporterà all'incirca un triennio entro il quale si
giocherà anche la partita della rielezione di Bush e le
altre non meno complicate della riforma delle
organizzazioni internazionali (Onu e Nato) e del rapporto
con l'Europa e con gli Stati arabi. Forse è superfluo
aggiungere che dentro questa seconda fase c'è anche
l'andamento dell'economia mondiale in genere e di quella
Usa in particolare.
Allo stato dei fatti il primo obiettivo ancora non è
stato raggiunto: Saddam non è stato preso, il regime
ancora non è caduto anche se si avvertono segni di
sfaldamento. Il secondo, il terzo e il quarto (poche
perdite militari, annientamento delle forze avversarie,
limitate vittime civili) si possono dire complessivamente
realizzati. Gli obiettivi quinto e sesto (insediamento
d'un governo provvisorio e un'adesione popolare massiccia
che spenga la capacità di una lunga ed efficace
guerriglia) sono ancora lontani.
Va aggiunto un altro
elemento tutt'altro che trascurabile: fino a questo
momento le famigerate armi di distruzione di massa non
sono state né usate né reperite. Meno male,
naturalmente, ma se questa fosse la conclusione
definitiva sull'argomento, la non legittimità
dell'intera operazione irachena risulterebbe
macroscopicamente confermata.
E' vero che l'etica della politica è la forza, ma è
altrettanto vero che l'etica della forza deriva dalla sua
legittimità. Alcuni pensatori liberali che hanno mandato
in vacanza il proprio pensiero, ammesso che ne abbiano
mai avuto uno, si affannano a teorizzare che la
legittimità della forza sta nella legittima difesa e che
ogni soggetto - individuale e collettivo - stabilisce da
solo dove comincia e dove finisce la propria legittima
difesa.
Questa visione equivale all'abolizione sia del diritto
pubblico internazionale sia dei codici penali vigenti
negli Stati nazionali. E' il trionfo del self-service
nei rapporti individuali e collettivi ed equivale più
semplicemente ad affermare che chi è più forte ha
sempre ragione.
L'aspetto comico di questo modo di sragionare è
l'etichetta liberale che si pretende di applicargli
addosso. (In Italia ci sono tre o quattro di questi
"cretinetti" che non destano quindi soverchia
preoccupazione se non fosse che sono invece molti gli
italiani che mettono in pratica queste aberrazioni. Poi
ci stupiamo che il nostro paese sia in declino. E
vorreste anche che fosse in ascesa?).
Torniamo al tema degli obiettivi raggiunti o non ancora
raggiunti. Tutto dipende dai modi e dai tempi
dell'assedio delle città irachene. Le azioni di
"commandos" - già in atto a Bassora e appena
iniziate a Bagdad - non pare che risolvano il problema se
non susciteranno una vera e propria insorgenza della
popolazione civile. La posta è tutta lì. Se la
popolazione insorge il regime è spacciato. In caso
contrario l'assedio può durare un bel pezzo.
L'alternativa alla mancata insorgenza e a un assedio
troppo lungo sarebbe l'assalto generale con il rischio
che le perdite sia militari che civili diventino
insopportabilmente alte senza che ciò dia neppure la
sicurezza di mettere le mani su Saddam. Tra le
difficoltà dell'insorgenza c'è anche il fattore etnico.
Dovrebbero insorgere i quartieri sciiti che rappresentano
a Bagdad un quinto della popolazione? Provocando quali
reazioni negli altri abitanti? Una guerra civile sotto
gli occhi della grande armata? Forse la guerra è finita,
ma la coda è ancora tutta da spellare.
Intanto, com'è ovvio, già si pensa alla fase numero
due, cioè alla costruzione della pace che dovrebbe avere
inizio con gli aiuti umanitari e con la ricostruzione
materiale, sociale ed economica dell'Iraq. La colomba
Colin Powell e soprattutto la colomba-doc Tony Blair si
battono affinché l'Onu abbia un ruolo preminente; non
sono i soli, anzi lo dicono tutti con alcune differenze
lessicali di non piccolo conto.
Il più chiaro in proposito è stato il nostro presidente
della Repubblica: da settimane e in tutte le occasioni
Ciampi non fa che ripetere, alla lettera, che la
ricostruzione materiale, morale, politica dell'Iraq e la
pacificazione di tutta l'area medio orientale dev'essere
affidata interamente all'Onu. Non è questa, purtroppo,
la tesi di Powell (e figurarsi quella dei
"falchi" di Washington). Il segretario di Stato
si dichiara favorevole ad affidare alle Nazioni Unite
"un ruolo", fermo restando che l'iniziativa
prevalente spetterà a chi ha combattuto e vinto la
guerra.
Il segretario di Stato ha dispensato soltanto pochi cenni
su questo ruolo dell'Onu: aiuti umanitari sì,
ovviamente; consigli sull'assetto della regione, perché
no? Una risoluzione del Consiglio di sicurezza come
vorrebbe Blair? Non è il caso, abbiamo già dato.
Ridotto in questi termini è evidente che il concorso
dell'Onu diventa una barzelletta. Per gli aiuti umanitari
c'è la Croce Rossa, l'Unicef, le organizzazioni
volontarie. E poi - pensa Powell - la Nato.
La ragione per la quale il segretario di Stato batte
molto sul tasto Nato è abbastanza chiara: la Nato
avrebbe il pregio - se interviene nella ricostruzione
materiale del paese - di ripartire sui paesi membri il
costo notevole della ricostruzione: obiettivo centrale
per Washington insieme a quello di batter cassa ai
governi arabi. Il ragionamento è questo: gli americani
hanno combattuto per difendere la sicurezza di tutti;
perciò hanno il diritto di decidere le linee maestre
della regione più strategica del mondo, ascolteranno i
consigli, concederanno qualche briciola agli alleati più
sicuri; ma poiché la sicurezza riguarda tutti, tutti
mettano mano alla borsa.
E se la sicurezza non fosse così certa? Se anzi
aumentassero l'insicurezza e il rischio terrorismo come
molti ragionevolmente temono? Se la guerriglia irachena
andasse a rinforzare le varie guerriglie del mondo? La
risposta di Washington è semplice: si continua, ma voi
europei, voi arabi, intanto pagate la vostra parte di
quanto è già avvenuto. La Nato può egregiamente
servire a questo mettendo così al sicuro almeno in parte
il bilancio federale Usa.
C'è l'ipotesi che alcuni membri della Nato non siano
d'accordo. Niente paura: si va con chi ci sta, alleanze a
geometria variabile, rapporti bilaterali tra chi detiene
l'"imperium" e chi ne sta ai bordi. Nessun
rapporto invece con chi non ci sta: sarà isolato e
tagliato fuori. C'è una logica in questa follia.
Nel frattempo è in corso una rivalutazione del premier
inglese Tony Blair: lui solo può essere il demiurgo che
riuscirà a rimettere insieme l'Europa, a portarne avanti
la nuova Costituzione, a non lasciare le sinistre fuori
dalla porta, a spostare gli Usa dall'unilateralismo
presbiteriano a una sorta di ecumenismo se non dell'etica
almeno degli affari e se non delle regole almeno del
lessico.
Blair dà molta importanza al lessico. Ha ragione. Ma
proprio perché il lessico è importante bisogna stare
molto attenti se esso serva a infiocchettare le apparenze
o a rivelare la sostanza. L'apparenza è un'Europa
solidale che supporti l'"imperium" Usa, svolga
un suo ruolo regionale ed abbia come speaker la
Gran Bretagna. La sostanza è: affidatevi a noi o sarete
perduti.
In realtà l'Europa vagheggiata da Blair dovrebbe essere
la sua constituency, il suo vero peso nei
confronti dell'America di Bush. I Royal marines e le
cornamuse scozzesi non fanno molto peso, non duraturo.
Guidare l'Europa fornisce un titolo ben più sostanzioso.
Ciò non significa che Blair sia in malafede. Nessuno è
mai in malafede. Non Bush, non Cheney, non la cricca
affarista di Washington e di Dallas; nemmeno Berlusconi
è in malafede e - sentite - neanche Previti. Sono tutti
convinti di aver operato per il Bene e contro il Male. E
dunque perché dovrebbe essere in malafede Blair?
Probabilmente il premier inglese si vede come l'angelo
Raffaele e vede l'Europa come Raffaele vedeva Tobia.
Stiamo molto attenti con la gente in buonafede. Spesso
sono stati la rovina del mondo.
(6 aprile 2003)
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BELLISSIMO
STEFANO BENNI.....NON SI AGGIUNGO NULLA .....E SI LEGGE
DA - IL MANIFESTO
La bomba al
panzanio
STEFANO BENNI
I
mortiferi B 52 , le testate chimiche, le bombe a
grappolo, la minibomba nucleare a gittata federalista, la
superbomba tagliamargherite. Ma fra tutte le armi
impiegate in questa sporca guerra la più letale è
senz'altro la bomba P, ovvero bomba al panzanio
arricchito, quella che esplodendo sparge intorno a sé
decine di panzane, bugie e omissioni, notizie false e
sfilate di tank al posto dei corpi massacrati. E' molto
più potente della vecchia Bomba Propaganda, usata da
ogni esercito e regime. E' centuplicata dai
caporalmaggiori dell'informazione, ed è pianificata nei
computer della Cia, il cervello paranoico della più
grande ex-democrazia del mondo. Ecco alcune delle bombe
al panzanio già scoppiate o pronte a esplodere.
I marines hanno occupato
l'aeroporto di Baghdad senza incontrare resistenza.
Purtroppo durante la scaramuccia un colpo di bazooka ha
centrato il nastro dei bagagli. Un gruppo di passeggeri
di ritorno dalla Maldive, esasperato dal ritardo, ha
attaccato le forze angloamericane con inaspettata
violenza, facendo uso di armi chimiche quali spray
antizanzare. La battaglia in corso è dura, ma
l'aeroporto sarà conquistato entro poche ore o qualche
mese.
Le truppe inglesi hanno il completo controllo di Bassora.
L `esercito americano è entrato a Baghdad tra due ali di
folla festante. Non un solo colpo è stato sparato. I
bambini festanti e superstiti mostravano ritratti di Bush
e Topolino. Un uomo è andato incontro al marines ed è
letteralmente esploso per la gioia.
Una donna, bombardata in ospedale, ha dichiarato che lo
choc l'ha liberata da una forma d'asma di cui soffriva da
anni. Il Pentagono ha accertato che i missili caduti sul
mercato di Baghdad non sono americani, ma sono stati
lanciati da un'associazione di consumatori iracheni
esasperati dal rincaro delle verdure.
Le truppe inglesi sono entrate a Bassora malgrado la
strenua resistenza opposta dal fuoco amico. Ora Bassora
è tutta controllata a eccezione delle case con numeri
dispari.
Sono state trovate nelle città irachene numerose bombe
atomiche di fabbricazione cinese, oltre a dodici campi
d'addestramento per terroristi travestiti da campi di
calcio. L'operazione antiamericana era stata chiamata in
codice «campionato di serie A».
I marines hanno sotto controllo la sala Vip e metà delle
piste dell'aeroporto di Bagdad, ma per uno sciopero dei
controllori di volo non possono ancora far atterrare i B
52.
Nessuno screzio tra Rumsfeld, Powell e i generali
americani. In un cordiale incontro svoltosi al Pentagono
tutti sono stati d'accordo sulla bontà della strategia
usata e sulle tattiche future. Lo stesso Rumsfeld è
uscito dalla sala per incontrare i giornalisti. Alla
domanda: come mai è venuto qui lanciato dalla finestra,
Rumsfeld ha riposto: avevo fretta di parlarvi.
Non ci ha mai interessato il petrolio, ha detto Bush in
conferenza stampa, non sapevo neanche che in Iraq ci
fosse il petrolio. Quando ero socio con Bin Laden lui me
lo diceva sempre, ma pensavo che scherzasse. Non è vero
che sono pagato dai petrolieri e dai mercanti d'armi. E'
come dal benzinaio. Mi danno un bollino-premio ogni dieci
nemici eliminati. Ho già vinto la giacca militare e lo
stereo, con altri mille punti prendo il telefonino.
Nessun lite tra Tony Blairforce e George Wermachtbush sul
futuro dell'Iraq. Secondo Blair il governo dell'Iraq
dovrà essere retto da iracheni, mentre per Bush il
parlamento sarà locale ma il presidente del consiglio
potrebbe essere un tecnico o un bipartisan. I candidati
sono: Arnold Schwarzenegger, Laura Bush e il presidente
della Esso.
Gli inglesi sono entrati a Bassora, sono usciti di
slancio, hanno passato due volte il Tigri e l'Eufrate,
poi hanno fatto un'inversione a U e sono stati visti
dirigersi verso la periferia di Istanbul. Si ignora dove
siano adesso.
Bush ha detto che la vittoria è vicina. Saddam gli ha
riposto in televisione che vincerà lui. Bush ha detto
che la risposta di Saddam era una videocassetta
registrata e sullo sfondo si vedeva un albero di Natale.
Saddam ha replicato che Bagdad ha viveri per sette mesi.
Bush ha chiesto altri duecentomila soldati. Saddam ha
detto che ha usato solo un terzo delle forze. Bush ha
detto che ce l'ha più lungo. Saddam ha tirato giù le
braghe a un sosia. Questi sono uomini.
Non si hanno notizie sulla sorte di Bin Laden ma pare che
stia per ricomparire con un video molto costoso diretto
da Spielberg.
I marines hanno conquistato l'aeroporto di Bassora dopo
aver piegato la resistenza delle truppe inglesi, o
viceversa, attendiamo notizie più precise.
Il Pentagono ha precisato che Peter Arnett è stato
licenziato non perché aveva parlato male dell'America,
ma perché aveva parlato al telefono con Luttazzi.
Notizie dalla più grande base militare Usa del mondo,
Camp Italy. Il presidente Ciampi ha dichiarato che non
manderemo soldati italiani in Iraq per una decisione
autonoma e sovrana, ovvero perché non ce li hanno
chiesti. Il premier Silvio W. Berlusconi, borsanerista e
approfittatore anche in tempo di pace, approfitta
naturalmente della guerra per fare affari, per
impossessarsi di Mediobanca e del Corsera, per tentare di
salvare il soldato Previti e per far passare la legge
Gasparri che secondo il premier prevede entro il 2005 la
sostituzione della Pay Tv con la My Tv. Il balilla
Casini, tanto imparziale da essere ormai definito il
Moreno della Camera, ha difeso il privilegio che guida
ogni giorno e ogni atto dell'illegalità democratica
italiana, cioè la prepotenza di comportarsi da
maggioranza anche quando non lo si è più. Il ministro
Pisanu ha detto che i pacifisti devono isolare i
provocatori e i violenti, e i pacifisti hanno risposto
che loro Fini non lo vedono da mesi. Il ministro dei
Rapporti con il parlamento americano, Cipollino Frattini,
ha detto che i parà usciti dalla caserma di Vicenza non
sono andati in guerra. Metà sono a puttane e metà
galleggiano in aria per un gioco di correnti
ascensionali. Dopodiché Berlusconi, proprietario del
novanta per cento dell'informazione e della pubblicità,
ha detto che sui giornali i pacifisti antigovernativi
hanno anche troppo spazio, e che le bandiere rosse sono
un simbolo sanguinario e lo spaventano, perché i
fascisti come lui se le sono trovate troppo spesso contro
durante la resistenza. Per finire, ha ribadito che la
ricostruzione dell'Iraq non gli interessa. Il depliant
degli oleodotti Fininvest era già stato stampato prima
della guerra.
Questa ultima bomba P è sembrata troppo grossa anche
agli americani per sganciarla.
Bassora è stata conquistata dai turchi.
Le truppe americane controllano finalmente l'aeroporto di
Damasco. E' un errore scusabile, ha detto Powell, non
capiamo la segnaletica araba .
E anche quella cinese, ha aggiunto Rumsfeld.
Il ruolo dell'Onu nella ricostruzione nell'Iraq è ancora
da definire, ha detto Powell. Ma potrebbero aiutarci a
caricare le taniche.
Nell'ultima conferenza stampa prima di partire per il
week -end, Bush ha dichiarato: non abbiamo mai confuso il
terrorismo di Geronimo con il popolo pellerossa, e la
riprova è che gli Apache hanno mantenuto la propria
nazione e un parlamento autonomo. Inoltre sono già
pronti gli aiuti umanitari per i bambini siriani e
coreani. Chi vuol capire, capisca.
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IL 1968 E IL VIETNAM -
ERAVAMO DIVERSI - LE NOTIZIE DURAVANO NEL TEMPO E CI
DAVANO MODO PER ORGANIZZARCI E CONTESTARE.... OGGI TUTTO
CORRE RAPIDAMENTE ANCHE LE BOMBE RADDOPPIANO LA VELOCITA'
E LA CAPACITA' DI DISTRUZIONE PER IL CAPITALISMO....
QUINDI CI SGONFIAMO PRIMA E TUTTE QUELLE BELLE
MANIFESTAZIONI CHE ABBIAMO FATTO I SCIOPERI AD OLTRANZA
CHE DOVEVAMO FARE SONO GIA' UN RICORDO E LA GUERRA E'
ANCORA IN ATTO.... E IL CAPITALISMO CI CONOSCE BENE.
DA - IL MANIFESTO -
L'INTERVISTA
Il Vietnam sulle rive
dell'Eufrate
Parla lo storico Jean
Chesneaux:
«Molte le somiglianze tra l'Iraq e la disfatta degli
anni `60»
ANNA MARIA MERLO
PARIGI
Il suo libro Perché il Vietnam resiste
ancora?, pubblicato in Italia da Einaudi, aveva
fatto epoca. Jean Chesneaux ora si interroga sulle
similutidini, ma anche delle forti diferenze, tra il
vecchio conflitto in Vietnam e quello attuale in Iraq.
Cosa può spiegare un
riferimento al Vietnam nella guerra dell'Iraq?
Oggi c'è la tendenza a riflettere sulla filiazione tra
la guerra del `91 e quella di oggi in Iraq. Ma il
riferimento al Vietnam è rivelatore delle tendenze
profonde dell'espansionismo statunitense e della politica
di dominio Usa. La guerra del Vietnam è molto presente
nello spirito statunitense attuale, perché è un ricordo
umiliante, perché c'è il timore di un altro Vietnam
La resistenza irachena ricorda
quella vietnamita?
La capacità di resistenza del popolo vietnamita non era
teleguidata dall'alto. Anche se in condizioni molto
diverse, questa capacità naturale esiste anche in Iraq,
malgrado l'impopolarità di Saddam Hussein. Come c'era in
Urss con Stalin: il fatto che Stalin fosse un despota non
ha impedito ai russi di accettare la sua guida per
difendersi contro i tedeschi. Fa parte delle vecchie
contraddizioni dialettiche, che non sono svanite con il
crollo del muro di Berlino. Non è soprendente che la
popolazione irachena, benché non si faccia nessuna
illusione su Saddam Hussein, non abbia nessuna fiducia
negli Stati uniti. Un abisso tecnologico li separa: gli
statunitensi vengono da un altro mondo
Il messianesimo presente oggi
c'era già allora?
Gli Usa si sono auto-investiti si una missione eminente
di cui non devono rispondere a nessuno salvo a dio, cioè
una formula vuota, di politica espansionista. Una
manifestazione eguale vi fu in Vietnam, ma anche in
Guatemala, Libano, nei Caraibi. Era già il sogno di
McKinley, che nel 1898 aveva raccontato di aver sognato
che dio lo aveva svegliato per dirgli che gli Usa
dovevano occupare le Filippine. In nome di questo
messianesimo, prendono e poi gettano gli ausiliari del
momento: Saddam Hussein utilizzato contro l'Iran, i
taliban utilizzati contro l'Urss. E' una sorta di colpo
di stato strisciante che era già presente ai tempi del
Vietnam. Allora al potere c'erano i democratici. Gli Usa
si consideravano come aventi diritto di intervenire per
punire un popolo che sfuggiva alle loro regole, alla
norma del take off di Rostow, per mettere
in opera un socialismo contadino. C'era e c'è l'idea di
disporre liberamente di un popolo. Il generale Curtis
aveva affermato: «li riporteremo all'età della
pietra». Gli Usa come braccio armato delle volontà
divina che decide il movimento della storia. Le
motivazioni tecniche - disarmo Iraq, cacciata di Saddam
Hussein, riconfigurazione della carta del Medioriente -
passano così in secondo piano di fronte alla
legittimità trascendente.
La grande differenza di
tecnologia è un altro elemento di continuità?
Il delirio tecnologico è un altro elemento di
continuità diretta. Già nella guerra di Corea, poi in
Vietnam i soldati Usa erano quello che chiamerei dei
martiri tecnologici, carichi di un sovraccarico di
tecnologia. In realtà un handicap enorme sia
nell'inverno coreano che nella giungla vietnamita. Ma
questo scarto tecnologico porta a una guerra che colpisce
soprattutto vittime civili
Si dice che in Iraq stiano
usando le bombe a frammentazione...
Erano state la grande novità del Vietnam, denunciate con
grande minuzia dal Tribunale Russell nelle sessioni del
'66 e `67 sui crimini di guerra. Sono bombe che
colpiscono solo gli esseri viventi, senza effetto sul
metallo o sul cemento, proibite dalle convenzioni
internazionali, che però gli Usa non hanno firmato. Non
avrei mai creduto che le bombe a frammentazione fossero
di nuovo usate, visto che sono così cariche di obbrobrio
e di vergogna.
Si può fare un parallelo dal
punto di vista economico?
Il Vietnam è stato una voragine finanziaria, che ha
contribuito, molto più dello shock petrolifero, allo
sconvolgimento dell'ordine finanziario. Oggi ogni missile
costa un milione di dollari: con questa cifra potrebbero
venir costruite un buon numero di stazioni di depurazione
dell'acqua in un mondo dove una buona fetta della
popolazione non ha acqua potabile
Quali sono le principali
differenze tra Vietnam e Iraq?
Siamo in tutt'altra epoca storica. Il Vietnam aveva come
bersaglio un paese del campo socialista, il Vietnam
suscitava simpatia in quanto piccolo paese integro. Ho
Chi Min era un vecchio saggio ampiamente rispettato anche
se stalinista, Saddam Hussein ha massacrato sciiti,
comunisti, kurdi, ha usato i gas. Il Vietnam era
all'ombra del conflitto Est-Ovest, su cui si era
trapiantato il conflitto Cina-Urss. Il Vietnam era
riuscito a mettere in secondo piano il conflitto
Est-Ovest, a presentarsi come difensore del diritto ad
esistere come popolo, più che difensore del campo
socialista era difensore dei valori umani. Oggi, è una
guerra del dopo-Muro. Il conflitto Est-Ovest non esiste
più, mentre si confrontano due elementi principali
dell'equilibrio planetario: la monopotenza Usa e
l'espansione dell'islamismo. Una delle conseguenze della
guerra è di liberare le forze oscure dell'islamismo e di
abbandonare alla propaganda islamista ampie masse
musulmane, in Indonesia, Malesia, Pakistan, Egitto. Come
diceva Mao, quelli là hanno sollevato una pietra e se la
fanno cadere sui piedi. Il problema è che ricade sui
piedi di tutti i paesi dove ci sono musulmani e nei paesi
islamici con cui l'Occidente vuole avere degli scambi.
Anche le prospettive cambiano. Per il Vietnam, c'erano
due opzioni per il dopo-guerra: o protettorato Usa o
regime socialista. Oggi la prospettiva di come sarà
l'Iraq dopo la guerra genera inquietudine, visto quello
che sta succedendo in Afghanistan
Il movimento contro la guerra è
simile?
Anche qui ci sono elementi di continuità e di
discontinuità. Negli Usa, ci sono riferimenti positivi,
perché 30 anni fa il movimento ha vinto. Il riferimento
al Vietnam è quindi una molla politica. Ma oggi siamo
nel dopo-Muro. Il movimento si nutre della forza di
quello dell'alter-mondializzazione. Ci sono state in
piazza nel mondo, lo stesso giorno, 15 milioni di persone
per la stessa cosa. Per il Vietnam solo alla fine della
guerra c'erano 500mila persone. C'è ora un effetto
cumulativo, di trasmissione, il movimento comincia con
una forza che per il Vietnam c'erano voluti dieci anni a
raggiungere. Il movimento è più forte di quello del
Vietnam, perché si sviluppa su un terreno già arato,
dopo Seattle, Genova, Firenze, Porto Alegre. Per il Sud,
invece, le cose sono diverse: il Vietnam si inseriva in
un triangolo, Est-Ovest-Terzo Mondo. Oggi, ci sono solo
più il Nord e il Sud, con l'islamizzazione come fattore
nuovo. Persiste la vecchia solidarietà tra poveri contro
il ricco invasore, ma la situazione è resa più
complessa dal fattore islamico, che fa correre un rischio
di confusione tra solidarietà nei confronti della
popolazione dell'Iraq e deriva islamista, come si è
visto in alcuni paesi musulmani. Ma sul lungo termine,
cosa risulterà più importante dei quattro avvenimenti
che hanno avuto luogo nella stessa settimana di questo
marzo? L'aggressione dell'Iraq, il missile lanciato dalla
Corea del Nord, il Forum sull'acqua di Kyoto o la
pneumopatia di HongKong? Forse sarà la questione
dell'acqua. Ma in ogni caso ciò invita a mettere la
guerra dell'Iraq nel suo contesto: la società moderna
non controlla le condizioni del proprio equilibrio
Le imagini hanno un peso
equivalente?
L'enorme influenza delle immagini rappresenta una
continuità tra Vietnam e Iraq. Una delle ragioni per cui
gli Usa hanno perso la guerra del Vietnam è dovuto al
fatto che gli Stati uniti sono una democrazia della
stampa. Hanno perso la guerra quando hanno perso la
guerra delle immagini. Oggi, l'opinione mondiale è una
forza autonoma consolidata, che era già in formazione
all'epoca del Vietnam.
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LA GUERRA IN
CASA DEI DS E' ANCORA PIU' VERGOGNOSA - L'OPPOSIZIONE CHE
DOVEVA DIRE NO ALLA GUERRA ORA DICE NO ANCHE ALL'INTERNO
DEL PROPRIO GRUPPO DI COALIZIONE - CHIAMARLO PARTITO E'
TROPPO.
DA - IL MANIFESTO
Fassino
minaccia «Aprile»
Per il segretario dei Ds l'appartenenza al partito è
«incompatibile» con la militanza nell'associazione
presieduta da Sergio Cofferati. Giovanni Berlinguer
replica: «Noi non divorzieremo»
COSIMO ROSSI
INVIATO A MILANO
«Io me ne vado, esce «indignato» dalla penombra della
sala un delegato di Aprile. Perché le frasi
finali pronunciate da Piero Fassino dal palco della Fiera
di Milano hanno risprofondato i Ds in una replica, anche
ridicola, del Pci che cacciava via le streghe. «Non mi
paiono facilmente compatibili - dice il segretario -
l'appartenenza ad un partito, cioè alle sue regole e
alla sua disciplina, con l'appartenenza a forme
organizzate dotate a loro volta di regole interne e di
una disciplina che si sovrappongono e interferiscono con
la nostra libera e autonoma dialettica». E certo Fassino
non si riferisce a Futura, l'associazione esterna
ai Ds promossa da Massimo D'Alema. La minaccia è rivolta
proprio ad Aprile e a Sergio Cofferati, colpevoli
di «paralizzare l'azione dei Ds e di renderne
«indefiniti l'identità e il profilo a causa dei
ripetuti distinguo sulle posizioni politiche». A fine
giornata arriva la replica con il cuore e con la ragione
del leader della minoranza Giovanni Berlinguer. Ci mette
la buona volontà di riconoscere diversi punti condivisi
nella relazione. Ci mette l'afflato unitario di cui è
più capace di tanti altri, che invece sprizzano furore
da tutti i pori. «Per esserci, in politica il divorzio
deve essere consensuale. Noi non divorzieremo»,
puntualizza Berlinguer mentre in prima fila qualcuno
obietta sotto i baffi sulla consensualità nell'istituto
del divorzio.
Ma il copresidente di Aprile si chiama dentro
l'esigenza invocata da Fassino di costruire «un progetto
politico alternativo» alla destra. Ma, avverte, i
riformismi sono molti. C'è stato quello efficace che nel
secolo scorso «ha riformato il capitalismo» e c'è
stato quello «troppo acquiescente con il neoliberismo»
degli ultimi anni. Più Fassino ha spinto fuori la
minoranza, insomma, più Berlinguer nel suo intervento ha
cercato di chiamarsi dentro. Ricordando che è il
movimento la novità che «da decenni non si
verificava», e ascrivendo all'incalzare della minoranza
con le sue posizioni politiche anche l'avanzamento della
posizione dei Ds sulla guerra e nel rapporto con la
società. Ma il punto è esattamente quello. Perché
dalla relazione di Fassino si capisce perfettamente che
la maggioranza dei Ds ha subito, non condiviso, la spinta
di Cofferati, della Cgil intera e della minoranza interna
che - alle ultime amministrative e forse alle prossime -
ha accresciuto i consensi per la Quercia.
Per Fassino e per i delegati che riservano l'applauso
più grande alla bocciatura secca del referendum
sull'estensione dell'articolo 18, è come se il tempo non
fosse passato. E, più della nomenklatura, quella che
stupisce è la platea: tanto gelida nei confronti di
Berlinguer, tanto mite quando parla Epifani, tanto
indifferente quando arriva Cofferati, quanto disciplinata
nel sottolineare con l'applauso tutti i richiami alla
minoranza del segretario e tutte le invocazioni al
«riformismo». Niente da rimproverarsi, in casa Ds, se
non per rimproverare il resto della famiglia.
Le tre parti in cui si può schematizzare la relazione
(internazionale, punti di programma, Ulivo-partito) sono
infatti esenti da una analisi problematica. Anche il no
alla guerra («Ci viene presentata per rendere il mondo
più sicuro, rischia di renderlo in realtà ancora più
insicuro, instabile, esposto a rischi di conflitti») si
risolve poi in una invocazione di nuovo ruolo per gli
organismi multilaterali, senza analizzare il carattere
strutturale e permanente della politica di guerra
preventiva degli Stati uniti e proporre risposte
politiche. E anche la forza della risposta che viene dal
movimento viene largamente sottostimata e definita come
una sorta di etica, più che politica, del pacifismo.
Tanto è vero che nella sfida di governo della
globalizzazione, di globalizzazione della democrazia, la
regia resta alle diplomazie, più che ai popoli, e la
priorità è quella di avvicinare le due sponde
dell'Atlantico attraverso un'Europa forte. E la musica
non cambia sulle politiche sociali. Perché se da una
parte Fassino avverte l'esigenza di politiche pubbliche,
dall'altra omette non per caso di citare la Cgil e le
lotte dell'ultimo anno. Un'omissione che non è passata
inosservata a Gugliemo Epifani (che ha strigliato anche
la smemoratezza del segretario sul Patto per l'Italia).
Ma un'omissione che si porta dentro il segno preciso del
riformismo della maggioranza dei Ds, che ha sempre
preferito «parlare al paese» piuttosto che
rappresentare gli interessi di una parte mentre lo fa. Un
riformismo immutabile fin dal giorno in cui il sindacato
fu definito «conservatore», impermeabile al
protagonismo dei movimenti e alle leadership che provano
a intepretarlo, insofferente nei confronti del dissenso.
Probabilmente fino a sperare nel divorzio. Con buona pace
di chi nella minoranza rivendica di essere «per la
coppia aperta».
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ANCHE
L'ACCERCHIAMENTO ERA STATO PREVISTO - CON UNA VIA DI FUGA
PER FAR ARRENDERE I SOLDATI IRACHENI.
DA - IL CORRIERE DELLA
SERA
«Bagdad
accerchiata entro oggi»
Il goveno iracheno vieta
ai civili di lasciare la città di notte.
Tank britannici a Bassora, i curdi prendono città nel
Nord
BAGDAD - Mentre in
mattinata si sentono pesanti colpi di artiglieria alla
periferia di Baghdad, con echi al centro della città, le
forze americane nel dintorni della capitale aumentano e
si preparano all'assedio della capitale. «Entro oggi
Baghdad sarà completamente accerchiata», ha detto un
ufficiale americano. Sono 7 mila i soldati statunitensi
nell'aereoporto di Baghdad, hanno dichiarato fonti delle
forze Usa. Hanno ripiegato sull'aereoporto «anche le
unitá corazzata che ieri hanno compiuto un blitz a
Bagdad città».
COMBATTIMENTI - Secondo un reporter della Abc incorporato
nelle truppe Usa, diverse unità di fanteria statunitensi
sarebbero entrate in quartieri periferici della capitale
e per la prima volta, i giornalisti riportano
testimonianze dirette di scontri allinterno della
città. Ieri il comando anglo-statunitense aveva
dichiarato che due commando della terza divisione di
fanteria erano penetrati fino al centro di Baghdad, ma
nessun reporter aveva potuto confermare. Secondo un
inviato Reuters, un carro armato statunitense è stato
distrutto alla periferia di Bagdad. Secondo fonti
irachene, quattro militari americani sarebbero morti
nell'attacco al mezzo Usa.
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IN TEMPO DI
GUERRA FINALMENTE UNA BUONA NOTIZIA
DA - IL CORRIERE DELLA
SERA
Imi-Sir,
revocato l'interrogatorio di Previti
I giudici della prima
sezione: il processo prosegue con l'arringa del pm
Boccassini. Gli avvocati del senatore: «Grottesco»
MILANO - Il senatore non
si presenta in aula con una valida giustificazione e
così i giudici della prima sezione del tribunale di
Milano hanno revocato il provvedimento con il quale
veniva ammesso il suo interrogatorio di Cesare Previti,
imputato nel processo Sme. Il tribunale ha anche respinto
tutte le eccezioni sollevate dai difensori. Pertanto il
processo prosegue nel pomeriggio con l'illustrazione
delle richieste ex art. 507 del pm Ilda Boccassini.
Secondo i giudici, «si è già verificato» che
l'imputato «senza valida giustificazione non si è
presentato per rendere esame», adducendo motivazioni che
«non hanno valenza giuridica». Per questo il tribunale
ha revocato l'interrogatorio di Previti, anche in base al
principio della «ragionevole durata del processo».
LA DIFESA - «È una cosa grottesca». Così uno dei
legali di Cesare Previti, l'avvocato Giorgio Perroni, che
non era in aula oggi per il processo Sme, ha definito la
decisione dei giudici della prima sezione penale di
revocare l'interrogatorio dell'ex ministro della Difesa.
«È un ulteriore atto di inimicizia nei confronti
dell'onorevole Previti - ha commentato Perroni -.
Evidentemente non hanno nessun interesse a sentirlo».
«La decisione non mi meraviglia - ha proseguito -. È
una cosa grottesca, se questo è un tribunale
sereno...». Il legale, alla domanda se è in vista
un'altra ricusazione, ha risposto: «valuteremo, abbiamo
tre giorni di tempo». 5 aprile 2003
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UN'INTERVISTA -
RARA - DA PARTE DI QUESTO GIORNALE INTERNET CI SPIEGA
COME SONO I CAMPI DI ACCOGLIENZA.
DA IL SOLE 24 ORE.
Restano vuoti i
campi di accoglienza
Dal confine tra Giordania
e Irak la testimonianza della portavoce dell'Unhcr, Laura
Boldrini. Per paure e convenienze non c'è stato finora
il previsto flusso di rifugiati. di Piero Fornara
Già da alcuni mesi, via
via che i venti di guerra crescevano di intensità, le
organizzazioni umanitarie internazionali - dall'Unicef
alla Croce rossa, dal Programma alimentare mondiale
all'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati (Unhcr) - hanno cercato di coordinare la
preparazione degli interventi. Dalla località di
Ruwayshed (Giordania), alla frontiera con l'Irak, la
portavoce dell'Unhcr Laura Boldrini ha risposto alle
domande del «Sole 24 Ore».
Come vi state attrezzando
per affrontare l'emergenza dei profughi?
L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
già in dicembre aveva infomato i Governi che, in caso di
guerra, ci sarebbe stato anche un costo umanitario,
pertanto aveva chiesto un finanziamento iniziale di 60
milioni di dollari, sulla base di un'ipotesi numerica di
600mila persone, ipotesi che però non voleva - né vuole
- essere una previsione di quanta gente sarebbe fuggita
dall'Irak, bensì una «working figure» per dare il via
all'operazione. Nei giorni scorsi l'Alto commissario Ruud
Lubbers ha fatto una richiesta complessiva di 154 milioni
di dollari per sei mesi, invitando altresì i Governi dei
Paesi confinanti con l'Irak a tenere aperte le proprie
frontiere per poter soccorrere coloro che avranno bisogno
di protezione temporanea e di assistenza.
Qual è oggi la situazione
lungo le frontiere dell'Irak?
Abbiamo approntato aiuti
di prima necessità, come tende, coperte, materassi, kit
igienico-sanitari, utensili da cucina e taniche per
l'acqua per 350mila persone, collaborando con le
autorità locali di Giordania, Siria, Iran per erigere
dei campi di accoglienza. Per intanto ne abbiamo uno a
Ruwayshed in Giordania, dove appunto mi trovo, che può
ospitare fino a 20 mila persone, un campo in Siria a El
Hol per 10mila persone e un altro è in preparazione,
infine ci sono quattro siti in Iran dove il governo sta
facendo i lavori preparatori di spianamento del terreno,
collegamento del sistema idrico e fognario, ciascuno per
15mila persone.
Ci sono le avvisaglie di un
flusso massiccio di rifugiati?
No, finora non c'è stato quasi nulla. Gli unici arrivi
dall'Irak sono quelli di egiziani, sudanesi, somali - che
lavoravano in Irak come avevano artigiani o piccoli
imprenditori o ancora vi soggiornavano per studiare - che
hanno avuto la revoca del visto e hanno dovuto lasciare
il Paese, abbandonando anche i loro macchinari e sperano
adesso di avere una compensazione per queste perdite. Gli
iracheni invece non fuggono anzitutto perché ci sono i
bombardamenti angloamericani che vanno avanti quasi senza
tregua di notte e di giorno, inoltre c'è stata - a
quanto sembra - una forte politica di intimidazione messa
in atto dal regime. Quindi chi decide di partire mette in
pericolo di vita dei parenti che restano (che vedrebbero
spediti i maschi in prima linea), rischia la confisca di
tutti i beni e la perdita della nazionalità. Gli
iracheni hanno poi subito per anni una propaganda molto
insinuante da parte del regime, per cui molti di loro
credono ancora in Saddam Hussein e pensano che lui sia
l'ultimo baluardo contro l'ingiustizia delle sanzioni
economiche, viste come una decisione arbitraria e non una
conseguenza dell'invasione del Kuwait nel 1990. Sia come
sia, dodici anni di sanzioni che hanno spazzato via il
ceto medio e reso povera praticamente tutta la società
irachena. Infine ci sono ancora due motivi: per cercare
di espatriare bisogna avere in tasca almeno 200 o 300
dollari e per intanto molti hanno ancora dei viveri
frutto delle distribuzioni «oil for food». Però sa
guerra durerà a lungo oppure se si arriverà allo
scontro finale, con una parte della popolazione irachena
che si ribella al regime, allora vedremmo davvero colonne
di gente in fuga.
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L'INTERVENTO DI
DALEMA E' RIDICOLO - ANZI POLITICO - PRIMA CERCA DI
SFASCIARE L'UNIONE LANCIANDO IL SOLDATO FASSINO
ALL'ATTACCO E POI SI FA AVANTI PER FARE LA PACE E
MANOVRARE SUCCESSIVAMENTE LA COALIZIONE.
DA - L'UNITA'
D'Alema a
Milano: uniti per tornare classe dirigente
di Ninni
Andriolo
«Se non usciamo da qui
facendo un salto di qualità nel modo in cui stiamo
insieme, noi offendiamo anche un sentimento diffuso che
muove dal timore che la sinistra finisca per essere parte
del declino del nostro Paese». Massimo D'Alema parla
alla fine di una giornata tesa, davanti a una platea che
ha seguito per ore, senza mai svuotarsi, interventi di
dirigenti della Quercia e di ospiti esterni.
Una giornata segnata
dall'appello al rispetto delle regole rivolto da Piero
Fassino al «correntone» nella relazione del giorno
prima. Segnata dagli interrogativi sulla
«compatibilità» della doppia appartenenza ai Ds e
all'associazione Aprile. Segnata dalla richiesta di
chiarimenti avanzata dalla minoranza al leader diessino.
Segnata, alla fine, dal voto unitario sulla mozione che
«assume» il manifesto per l'Italia di Bruno Trentin.
Il problema di come si
sta assieme dentro lo stesso partito, dice nella sostanza
D'Alema, non si risolve «aggrappandosi a una parola»
(quella dell'incompatibilità che ha fatto infuriare il
correntone), ma definendo un nuovo modo di concepire il
pluralismo. Da qui, secondo il presidente diessino, si
misurerà non tanto «il rapporto tra le componenti»
della Quercia, ma il «livello collettivo di una classe
dirigente e la sua capacità di non tradire la fiducia
della gente».
La seconda giornata della
Convenzione programmatica di Milano si conclude con un
appello alla «responsabilità» dell'unità rivolto ai
Ds, ma complessivamente a tutto l'Ulivo. «L'unità della
Quercia è la condizione per la coesione del
centrosinistra», ripete D'Alema. Solo un partito unito -
nella sostanza - sarà in grado di far crescere l'Ulivo.
E di respingere la tentazione di chi vorrebbe i Ds più
deboli in vista della definizione della futura leadership
dell'alleanza. «Dal modo come noi sappiamo gestire il
confine che esiste tra le diverse sensibilità» che
compongono l'opposizione, «dipende la nostra capacità
di irradiare in tutto l'Ulivo uno spirito di
collaborazione e di unità». Ed è «l'unità» la
condizione per cogliere «le opportunità» che derivano
della crisi di credibilità di un governo «che si mostra
palesemente inadeguato a rappresentare l'Italia». È
«l'unità» che può consentire al centrosinistra di
«prendere nelle mani la bandiera del cambiamento del
Paese, lì dove la destra ha fallito». D'Alema non cita
mai Sergio Cofferati, ma molti passaggi del suo
intervento suonano come risposta a distanza all'ex leader
della Cgil.
Niente polemiche («nulla
è polemico di questo mio intervento»), ma confronto
serrato, sfida politica. «Mi si è contestato che
l'identità della sinistra è il cambiamento - ricorda il
presidente diessino - ma provate a dire il contrario,
provate a dire che l'identità della sinistra è la
conservazione....Vi convince questa definizione?».
Cambiamento, quindi. Anche se «è chiaro che questo deve
essere segnato dai valori che sono proprio della nostra
storia». Ma oggi, «siamo sinistra europea», parte
«del mondo occidentale». «Veniamo da un partito nel
quale il gruppo dirigente ha compiuto uno sforzo
straordinario per evitare che fossimo un accampamento
cosacco e diventassimo una grande forza nazionale». Da
lì, da Togliatti nella sostanza, la più grande realtà
politica della sinistra italiana ha compiuto «una serie
di passi». E oggi i Ds sono una grande realtà popolare,
democratica e nazionale. Questo percorso non può essere
messo in discussione. E la sfida di adesso si vince
facendo anche un salto di qualità «nel modo di stare
assieme» dentro lo stesso partito.
«La questione del
rapporto tra di noi - spiega il presidente della Quercia
- è un grande problema politico e culturale», non di
misure disciplinari. E riguarda la coesistenza di
«posizioni diverse, in un grande partito o in uno
schieramento», l'esigenza di far funzionare
«positivamente» le diversità per essere utili «al
Paese». Far vivere concretamente le differenze dentro i
Ds, quindi. «Questo comporta problemi di stile,
l'ascolto reciproco, il rispetto verso le persone». Ma
comporta anche - il messaggio è rivolto al correntone
-«la capacità di convergere, anche nei momenti più
significativi, attraverso una forma di autodisciplina»
perché «non è più il tempo» di «imporre la
disciplina dall'esterno». «Noi - aggiunge D'Alema -
abbiamo una responsabilità speciale». E non è vero
«che la esasperazione e la visibilità delle differenze
accresce la capacità di rappresentanza». Questa
convinzione muove infatti «da un'idea arcaica non valida
in un sistema maggioritario in cui la sfida è per il
governo del Paese». In un sistema in cui «chi deve
essere convinto a essere governato da noi ha bisogno di
misurare un grado ragionevole di coesione che è
condizione di affidabilità di uno schieramento
politico».
Qui D'Alema lancia un
nuovo messaggio a Cofferati. Ma, assieme, lancia un
messaggio che sembra rivolto a chi dentro il
centrosinistra non si preoccupa dell'unità, illudendosi
che un domani l'arrivo di Prodi rimetta assieme i cocci
di un'alleanza divisa. La coesione dell'Ulivo e dei Ds va
costruita adesso, non può essere rinviata. «A meno che
- aggiunge D'Alema - non si pensi che poi l'unità sarà
il frutto di una sintesi plebiscitaria personalistica. Ma
questo è il modo più antidemocratico, più contrario
alla nostra cultura».Il centrodestra ha risolto «con un
modo personalistico e plebiscitario il problema della
sintesi della sua immagine». Mentre per il
centrosinistra «per fortuna, quella strada non è
praticabile». E il problema, quindi non è quello di
dividersi «tra chi è attento ai sentimenti e chi alla
ragione», discus sione che rimanda soltanto «ai
fondamentali della filosofia». Serve, invece, un
«mutamento di fase» dell'Ulivo, «un'accelerazione nel
senso dell'unità e della capacità di proposta
dell'opposizione».
E la spinta all'unità
deve riguardare anche le organizzazioni sindacali.
D'Alema, a questo punto, risponde al segretario della
Cgil, Guglielmo Epifani. «Proprio perché il Patto per
l'Italia non aveva consistenza, e non c'è più, non ha
alcun senso mantenere la polemica» con Cisl e Uil. Il
vero problema di oggi, invece, «è come si colgono le
nuove opportunità unitarie». E chi è forte, come la
Cgil, «non può soltanto rivendicare la giustezza di
ciò che ha fatto».
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NON DICE COSE
SBAGLIATE QUESTA INTERVISTA A COLUI CHE SEGNO' LA FINE
DEL PARTITO COMUNISTA.
DA - L'UNITA'
Non passi liscio
l'intervento illegale degli Usa"
ROMA Onorevole
Occhetto, è meglio che gli americani
vincano subito o che Saddam resista? Che l'Onu torni
subito in campo o che ci s'impantani in Iraq?
Lo ripeto: Saddam non deve vincere. Del resto, ha già
perso. È impensabile che esca indenne. E aggiungo:
l'intervento illegale degli Usa non deve passarla liscia.
Sarebbe un grave precedente. I rapporti internazionali
diventerebbero una giungla. Va ripristinata subito la
legalità internazionale.
C'è chi sintetizza questa
posizione in: né con Saddam né con Bush. Su Saddam c'è
stato anche chi, per esempio l'on. Ingrao, ha detto:
diamogli una mano per non darla vinta agli americani.
Intanto, mi sembra che nessuno abbia detto che bisogna
dare una mano a Saddam. Tutti distinguono tra il popolo
iracheno e quel mascalzone di Saddam che non è mai stato
amico della sinistra ma, in alcuni momenti, ritenuto tale
dall'Occidente. Il problema non è Saddam o Bush, ma
legalità o no. A questo proposito va aggiunto un punto.
Quale, Occhetto?
L'Onu non doveva dare copertura alla guerra prima. Ma non
deve darla neanche dopo magari sulla base di un
ragionamento che dice: gli americani hanno fatto il
lavoro sporco ora tocca all'Onu mettere una pezza.
Invece, il problema centrale è la sospensione del fuoco
per far tornare tutto nelle mani dell'Onu.
È una via realistica?
Secondo me sì. Bisogna creare un clima ideale e morale
per intervenire contro quello che si sta preparando come
il grande massacro di Bagdad. Bisogna farlo subito per
proteggere i poveracci perché ad andarci di mezzo non
sono i boia della dirigenza irachena ma la povera gente.
Tremo per i soldati angloamericani gettati in quel bagno
di sangue. C'è un accerchiamento che ha già messo in
ginocchio Saddam. Ora faccia tutto l'Onu nel pieno
rispetto dei diritti umani. Se si comprende la vera posta
in gioco si può intervenire. Bisogna aver chiaro qual è
il disegno in campo. Quella di Bush non è mera follia.
Il disegno, ancorché sbagliato, nasce dalla
consapevolezza che è finita la vecchia gestione del
mondo.
Lei ha sostenuto che questa
guerra è la seconda puntata dello scossone tellurico
mondiale avviato col crollo del muro di Berlino. In che
senso?
L'attacco unilaterale degli Usa segna la fine di
un'epoca. L'89 ha segnato il crollo di uno dei due
blocchi, quello dell'Est. Ora crolla il vecchio
atlantismo. Non è un caso che tutti i massimi dirigenti
dell'atlantismo italiano - Andreotti, Cossiga, Scalfaro,
Colombo - si siano schierati contro la guerra. Questa
stessa consapevolezza ha spinto gli Stati uniti a vedere
che c'è un mondo che scoppia per le tremende
contraddizioni che l'attraversano. Rischi di recessione,
una globalizzazione finanziaria che non si trasforma in
migliori condizioni di vita. Insomma, il luccichio della
modernità ma non la crescita mondiale.
Quindi c'è una crisi di
leaderschip nel mondo e si stanno scontrando diversi
disegni di riorganizzazione. La guerra è questo?
Sì. Siamo in uno di quei momenti drammatici in cui
emerge l'esigenza di un ordine nuovo. Come sempre accade
nella storia il fenomeno ha una faccia reazionaria e una
progressiva. Quella reazionaria è la militarizzazione
della globalizzazione, cioè la ricerca di una soluzione
militare con alleanze variabili. Non a caso Bush ha messo
in campo la coalizione dei volenterosi. I timorati del
riformismo neoliberista se la prendevano con qualche
pacifista che diceva pace senza se e senza ma e intanto
Bush aveva già deciso la guerra senza se e senza ma.
C'è a sinistra chi sogna una
riorganizzazione del mondo in chiave antiamericana?
Nelle manifestazioni di questi mesi non ho visto niente
di paragonabile all'antiamericanismo del 68, del 77 o
della guerra in Corea. Oggi l'antiamericanismo è una
delle trovate per non fare ragionare sulla vera
alternativa, che non è: stare con o contro l'America;
ma: soluzione unilaterale o multilaterale. Chi e come
deve governare il mondo, quali le istituzioni che devono
dirigerlo.
Lei fa riferimento alle
manifestazioni. Ma i gruppi dirigenti? Per esempio, tra
quelli che vengono dalla storia della sinistra e del
radicalismo italiani ci sono tentazioni?
In Italia, lo s'è visto a partire dalla Svolta (la
trasformazione del Pci in Pds, ndr), c'è una sinistra
residuale e nostalgica. Ma è una parte sempre più
ristretta. Ultraminoritaria rispetto al movimento
pacifista che è un fenomeno mondiale. Volerla sempre
mettere in primo piano è un tentativo furbesco per non
fare i conti col movimento pacifista.
Occhetto, perché perfino la
guerra è servita alla sinistra italiana per divedersi?
Ci sono divisioni comprensibili e incomprensibili.
Evidentemente ci sono due tipi di riformismo. Uno
pallido, tendenzialmente neoliberista, carico di vecchi
riflessi atlantici. Un altro forte, europeista e amico
della grande democrazia americana. È inutile chiedere
unità. La discussione va fatta e vinca il migliore.
Chi sono i riformisti pallidi?
Dentro ogni partito dell'Ulivo c'è questa frattura. Poi
ci sono le divisioni pretestuose. Francamente non capisco
le differenze emerse giovedì, sulle mozioni sulla pace;
e lo dico io che l'altra volta ho votato oltre che la
mozione dell'Ulivo quella di Rifondazione. Voglio mettere
in guardia il Prc dall'usare la pace per cercare assurdi
primati, per mantenere preminente la piccola propria
parte. La mozione dell'Ulivo era buona. Bisogna poi
respingere la canea di chi dice siete divisi
Ma le spaccature ci sono
Penso nascano anche dal fatto che non s'è seguita la
strada maestra della costruzione dell'Ulivo. Si è
tornati al cartello dei partiti e quindi - è un aspetto
meschino - avendo di fronte scadenze elettorali
proporzionali finisce con l'esservi molta pretestuosità
legata alla vecchia cultura da comitato elettorale.
Lei ha sempre molto insistito
sulle contaminazioni ma la storia dice che gruppi
dirigenti e perfino strati sociali sembrano più
attaccati alle identità che alle contaminazioni.
Perché?
Non direi. Le divisioni ora vengono dall'alto, non dal
basso. Sollecitato unitariamente il popolo del
centrosinistra ha sempre risposto bene a partire dalla
stagione dei sindaci. Tornati al cartello dei partiti,
per colpa dei vertici, è capitato che il morto s'è
impossessato del vivo.
Lei quindi sostiene che c'è uno
scontro di gruppi di potere per una leadership che dà il
cattivo esempio? Di chi è la responsabilità?
Non riuscirà a trascinarmi sulla personalizzazione. Sono
stato un po' criminalizzato e, per tapparmi la bocca,
considerato rancoroso. In realtà, parlo di idee e
pensieri. Poi chi vuole può mettere i nomi giusti nelle
caselle giuste. Anzi, è un gioco che propongo ai lettori
dell'Unità.
Molti si chiedono quale sia il
male oscuro della sinistra. Lei ne ha attraversato la
storia degli ultimi decenni. Le chiedo: qual è la
maledizione?
I partiti nel Dopoguerra sono stati una grande cosa. La
colpa di oggi è non capire che non esistono più e s'è
fatto del partitismo, che significa interessi di piccoli
gruppi dirigenti, il punto centrale della politica. La
via maestra dovrebbe essere quella di una costituente del
nuovo Ulivo. Qualcosa che faccia fare un passo indietro
agli ex di tutti i partiti per mettere in campo, con
l'aiuto di tutti e senza che nessuno venga cancellato,
qualcosa di veramente nuovo. In questa costituente non ha
senso dire che non bastano i movimenti e che ci vuole la
politica.
Sta polemizzando con D'Alema?
Sono tanti quelli che lo sostengono. Lo scetticismo verso
i movimenti è insensato. Anche perché dobbiamo partire
dal punto che la politica deve essere al servizio dei
movimenti e della società e non il contrario.
Ci sono pericoli di scissione
tra i Ds?
Averlo tematizzato, solo perché s'è tenuta l'assemblea
di Aprile, è stata una scelta sbagliata. Io vedo
profonde differenze d'impostazione. Anche strategiche. A
mio avviso oggi non si risolvono dentro i Ds. Il tema
della scissione è un vecchio tema. Le differenze devono
risolversi in una unità più ampia e articolata che è
quella dell'Ulivo.
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E ANCHE PER
QUESTA DOMENICA 6 APRILE ..... UN BACIONE DA LUANA.
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