UN'INTERVISTA
CON LATI OSCURI E POLITICI MA ANCHE CON PICCOLE VERITA'
SE D'ALEMA NON SE LA SMETTE DI CONTESTARE I MOVIMENTI E
COFFERATI : DA - IL MESSAGGERO -
L'INTERVISTA
«Il
pacifismo arcobaleno farà perdere lUlivo»
Sartori
attacca tutti: «Il Papa esagera, Berlusconi è un pesce
fuor dacqua, e basta con le furberie»
di MARIO AJELLO
ROMA Professor Giovanni Sartori, lei non sarà mica, come
Epifani, un «nè-nè»: nè con Bush nè con Saddam?
«Lequilibrismo non è nella mia natura. Io mi
comprometto sempre».
E quindi?
«Quindi non sono e non posso essere un
"nè-nè". Ma cè anche di peggio: quelli
che preferiscono lanti-americanismo
allanti-saddamismo».
Lei, che vive da
tanti decenni a New York, consiglia allora di tifare
Bush?
«Quando una guerra è cominciata, ci si deve schierare,
senza furbizie elettorali. Io ho detto e stradetto, fino
a un minuto prima che scoppiasse, che si trattava di un
conflitto sbagliato e controproducente e non ho cambiato
opinione. Ma adesso che si combatte, spero che vincano
gli anglo-americani. Al più presto e senza troppo
spargimento di sangue».
Sartori non
sventola la bandiera arcobaleno?
«Non sventolo nessuna bandiera. Questo pacifismo è
cieco e non lo approvo. Anzi, lo sa come lo chiamo?».
No.
«Cieco-pacismo. Chi è "senza se e senza ma"
non vede niente».
Gli occhi devono
restare aperti?
«Su questi problemi, non mi lascio trasportare
dallutero, anche perchè non ce lho. Sono un
pacifista razionale».
Insomma Bush non è
uguale a Hitler?
«Basta con queste stupidaggini alla Gino Strada. Critico
Bush infinite volte e su uninfinità di temi. Ma
preferisco che vinca lui e non Saddam. E mi sembra che
anche la Chiesa stia esagerando».
Oddio, critica il
Papa?
«La tradizione cattolica ha sempre affrontato questi
temi, tenendo conto della loro complessità: guerra
giusta, guerra ingiusta, guerra necessaria, guerra di
aggressione, guerra di difesa...».
E ora?
«Ora anche il Papa promuove il
"cieco-pacismo". Temo che il pacifismo assoluto
diventi una dottrina della resa: a chi ti attacca, devi
offrire laltra guancia».
E così
temerario da prendersela con il Santo Padre?
«Mi trovo in beata solitudine. E ricordo un versetto:
"Beata solitudo, o sola beatitudo". Quindi se
il Papa mi esclude dalla sua benevolenza, debbo
accettare».
Alla condotta dei
pacifisti, preferisce quella del governo Berlusconi?
«Nientaffatto. Vedo Berlusconi come un pesce fuor
dacqua, non abituato a nuotare nel mare
dellimpopolarità. Si sente scomodo a prendere
posizioni non in linea con i sondaggi e con la
maggioranza degli italiani che sono contrari al
conflitto».
Sta dicendo che nè
il Polo nè lUlivo sono allaltezza della
situazione?
«Io sono di questo parere, ma se me lo fa dire mi rovina
sia a destra sia a sinistra».
La sinistra sta
esagerando negli sventolii arcobaleno?
«E appiattita sulle posizioni di Cofferati e di
Bertinotti. Alle prossime elezioni politiche fra tre
anni, e non alle amministrative che ci sono fra poco,
questo estremismo costerà caro allUlivo. Rischiano
di perdere il voto dei moderati».
Se Giuliano Ferrara
organizza una «Usa Day», lei vi andrà?
«Neanche per sogno».
Perchè è un
americano vero con tanto di casa affacciata sul Central
Park?
«Perchè sono troppo vecchio per questi esercizi
atletici in piazza. Per di più, non ho mai aderito a una
marcia o firmato appelli».
Che rarità!
«E la beata solitudine di cui sopra».
LItalia avrà
un ruolo nel ricomporre i cocci europei?
«Dipende dallabilità di Berlusconi. Finora il
Cavaliere ha tentato di fare due giochi. Quello del
mediatore europeo e quello dellamico americano.
Questultimo gli occorre per coprirsi sul conflitto
di interessi».
In che senso?
«Berlusconi si aspetta che Bush ricambi la sua amicizia
con altrettanta amicizia nel coprire la sua anomalia. E
cioè il suo cumulo di potere politico ed economico.
Insomma, il Cavaliere ha bisogno di Bush, per presentarsi
al mondo come un leader immacolato».
-----------------------------------------
LE
BUGIE DI UN UOMO RAI - CHE TRASLOCA - L'UNICA VERITA' CHE
NON ABBIAMO SENTITO E' CHE SPERIAMO TUTTI SI PORTI DIETRO
ANNCHE LA COGNATA - ASSUNTA NELL'AZIENDA IN MODO POCO
CHIARO NELLA SUA GESTIONE :
DA - IL MESSAGGERO -
L'INTERVISTA
«Biagi? Una scelta
editoriale. Santoro? Non è da servizio pubblico, lo
aveva capito anche Siciliano. La diretta pacifista? In
Europa nessuno lha fatta»
Saccà:
«Ho salvato lazienda e ora mi cacciano»
Il direttore
generale uscente: fatico a capire perché, ma lascio i
conti a posto e resto un uomo Rai
di ALBERTO GUARNIERI
ROMA - «Io ho salvato la Rai dal disastro». Agostino
Saccà, direttore generale uscente della tv pubblica,
supporta con un mare di dati e cifre questa sua
affermazione. Nel suo ufficio si lavora come il primo
giorno di questanno vissuto pericolosamente ai
vertici della più grande azienda di comunicazione
italiana. Saccà è in Rai da 27 anni. Qui ha fatto di
tutto: dal giornalista al manager. Lasciare, dopo aver
toccato il traguardo più alto, con la certezza di aver
lavorato non bene ma benissimo, deve essere molto
difficile. Eppure, escludendo un bel rimprovero a Pippo
Baudo, Saccà non si leva sassolini dalle scarpe. Se ci
sono stati sfoghi sono stati in privato. Usa lo stesso
stile felpato di Paolo Mieli, nellintervista
delladdio. Per il successore infatti cè solo
miele. «Cattaneo? Gli ho parlato per telefono. Sapevo
che era una persona valida e me lo ha confermato sia pure
in poche battute».
Direttore, non si
sente scippato?
«No. Ai saliscendi sono abituato. Dovetti lasciare Rai2,
da braccio destro di Letizia Moratti mi ritrovai a
occuparmi dellimmagine Rai, da direttore di Raiuno
(dove ho battuto ogni record di ascolti e di raccolta
pubblicitaria) mi spedirono al marketing salvo poi
richiamarmi scusandosi».
Ma perché la Rai
è così? Un posto dove i dirigenti perdono più tempo a
guardarsi le spalle dai siluri che a lavorare. Colpa
della politica?
«Non siamo ipocriti. In tutti i servizi pubblici europei
la politica conta eccome. E certo ha contato in tutte
queste mie vicende professionali. Ma non è solo un male:
insegna a sopravvivere».
Davvero?
«Beh. È anche vero che negli ultimi dieci anni in
Italia il sistema politico ha vissuto convulsioni di
particolare intensità. E la Rai, che ne è la cartina di
tornasole, ha cambiato vertice dieci volte di più del
concorrente».
Tanto che ormai il
cavallo stramazza.
«No, è talmente forte che non stramazza. Incespica, ma
regge».
Senza la politica e
il conflitto di interessi correrebbe ancora più forte di
Mediaset.
«Troppo semplice ragionare così. Il sistema dei partiti
esprime la volontà popolare. È consuetudine che chi
vince le elezioni scelga la prima fila dei manager. Per
questo io non ho mai fatto polemiche o addirittura azioni
legali quando sono stato retrocesso. Sono le regole del
gioco e valgono sia quando sali che quando scendi».
Ma stavolta lei
esce senza un cambio politico. Esce perché "bisogna
dare un segnale di discontinuità".
«In effetti stavolta mi è stato più difficile capire.
Poi ho accettato che un nuovo presidente, tra
laltro scelto con un nuovo metodo, possa sentire il
bisogno di un nuovo direttore al suo fianco. Fa parte
della singolarità italiana. Ma la discontinuità, questo
è il mio pensiero, non è un valore, anzi è esattamente
il contrario. Non è facile accettare, ma alla fine
lho fatto, che altri proseguiranno un lavoro che io
avevo iniziato e non ho potuto concludere. Perché questo
è quello che accadrà».
Ma è proprio
sicuro di lasciarsi alle spalle un tesoro. La Rai è
sommersa dalle critiche.
«Io ho fatto benissimo. Lha riconosciuto
lazionista, se ne sono già accorti neo consiglieri
come Rumi e Alberoni».
Guardiamo il suo
bilancio. Che Rai lascia?
«Mi faccia prima parlare della Rai che ho trovato al mio
arrivo, giusto un anno fa. E indispensabile».
Prego.
«Io ho trovato unazienda con diverse crisi aperte.
Di prodotto, con i programmi che per stressare la
raccolta pubblicitaria si omologavano a quelli della
concorrenza. Economica, con una previsione di passivo
bilancio a fine 2002 per 170 miliardi di vecchie lire su
cui avrebbe insistito un indebitamento di 500. La vendita
di Raiway sarebbe servita solo tappare i buchi, altroché
strategia. Organizzativa, con le divisioni inventate da
Pierluigi Celli che si sono rivelate solo un
insopportabile allungamento delle linee di comando».
La interrompo,
perché non le ha abolite?
«Col Cda che mi ritrovavo non potevo. Però ne ho
limitato nei fatti i poteri, abolendo lassurdo
mercato di compravendita tra servizi interni. Pensi che
si faceva uscire un camion per recuperare un bastone di
scena. Così la divisione Produzione poteva fatturare ad
un altro ramo di azienda e accrescere il suo fatturato».
Roba da corrergli
dietro col bastone. Comunque: le divisioni le ha fatte
Celli, Raiway è operazione di Zaccaria e Cappon. Lei non
è tenero coi suoi predecessori, ma cera anche lei.
«Sì, e da direttore del marketing strategico, dove fui
trasferito, scrissi a fine 2000 una relazione profetica.
Si diceva a chiare lettere che Mediaset ci avrebbe
battuto. Ed è successo pochi mesi dopo».
Una sorta di
Cassandra?
«Un manager che sa fare il suo mestiere. Si puntava
tutto sui nuovi media senza investire nulla
sullinnovazione del prodotto. Così si finiva a
comprare format uguali a quelli di Mediaset. Scoprimmo
con orrore da una ricerca che "Quiz show" di
Amadeus era diventato il nostro programma simbolo. Non
era impossibile vedere la brutta china che si era
presa».
E voi per risolvere
il problema avete avuto la bella pensata di far fuori
Biagi e Santoro.
«Calma, calma. Intanto ho chiuso i tanti contratti
aperti con i lavoratori e ho dato buona parte di una
gratifica che Cappon aveva negato. Sapevo che tiravo
fuori altri soldi, ma per vincere una battaglia disperata
avevo bisogno di una truppa motivata».
Usa metafore
belliche di questi tempi?
«Sì, perché ascrivo anche a mio merito i risultati
eccezionali che la Rai sta ottenendo nel seguire il
conflitto in Iraq. Tutto il mondo ci ammira e vuole
copiarci o assicurarsi la nostra collaborazione. E, per
proseguire la metafora, ed è lultima volta che
torno sullargomento, è davvero singolare che con
un piccolo esercito di 70 giornalisti in guerra si cambi
il generale».
Torniamo a Biagi e
Santoro. Quelli li avete cambiati. Su richiesta del
premier Berlusconi?
«Assolutamente no. Biagi per pure ragioni editoriali. Il
suo "Il fatto" aveva perso sei punti, era
opportuno trovare per lui una nuova formula prima di
avere seri problemi di ascolto. Senza strumentalizzazioni
il problema si sarebbe risolto con soddisfazione di
tutti».
E Santoro?
«Che lui non sia uomo da servizio pubblico lo hanno
detto prima di questo Cda gli allora presidente e
direttore generale Siciliano e Iseppi. LAuthority
lo ha recentemente confermato con una sentenza. Io a
Santoro ho offerto programmi diversi: storia, docudrama,
gli stessi per cui lo feci tornare in Rai da Mediaset.
Lui ha risposto: "rivendico la mia faziosità".
Non vedo che altro ci sia da dire».
Anche sulla diretta
pacifista negata non cè altro da dire?
«Ne abbiamo parlato di più che non tutte le altre tv
dEuropa».
Ma non lavete
voluta trasmettere per non influenzare i parlamentari,
che non hanno gradito la tutela.
«Non ho mai pronunciato quella frase, i verbali della
Commissione di vigilanza lo confermano».
Perché non lo ha
detto subito?
«Perché ho rispetto delle istituzioni».
Tra cui non
comprende il presidente Rai: litigavate sempre.
«Falso».
Via, Saccà...
«Puro folklore. Abbiamo due caratteri diversi. Io resto
un giornalista, lui è un giurista. Poi io avevo fretta
per poter condurre la grande sfida del risanamento.
Chiedevo, come sempre, che i contratti fossero valutati
in due giorni, non in un mese».
Cerano
contratti sospetti.
«In questa azienda non si è mai verificato un caso di
malversazione. E abbiamo sette enti diversi preposti al
controllo».
Quindi andavate
daccordo.
«Senza intesa di fondo non si sarebbero raggiunti i
fantastici risultati che sono stati raggiunti».
Ce li dica.
«Il bilancio di gruppo ha chiuso in attivo e
lindebitamento è stato ridotto a 150 dei 500
miliardi previsti. Rai spa è andata in attivo. I debiti
poi sono coperti da un credito di 300 miliardi verso il
Tesoro. Un risultato cui nemmeno il ministro Tremonti
voleva credere tanto è stupefacente».
Ma intanto gli
ascolti crollano e i programmi sono brutti.
«Gli ascolti sono in netta ripresa e la qualità della
nostra informazione ci è invidiata da tutti».
Siete gli unici che
guadagnano qualcosa da una guerra.
«In questo senso, solo in questo, ci aiuta. Ma anche il
resto stava migliorando».
Anche Sanremo,
anche Raidue?
«Il festival no. Purtroppo ho visto la scaletta troppo
tardi. Non mi è rimasto che indovinare
linsuccesso. Su Raidue ho messo le mani solo tre
mesi fa e già si sono registrati progressi».
Ora tocca a
Cattaneo.
«Auguri».
E lei?
«Resto un uomo Rai. Adesso vado in vacanza, poi
vedremo».
-----------------------------------------
QUESTA
PICCOLA NOTIZIA - FA COMPRENDERE CHE TRE CHI LA GUERRA LA
VUOLE E CHI LA FA - C'E' UNA PROFONDA E DIGNITOSA
DIFFERENZA - CHE NON POTRANNO MAI CAPIRE I PRIMI.
DA - L'UNITA'
Marines
affamati nel deserto soccorsi da un pullman di iracheni
in fuga dalle città
di red
Il deserto fa fare strani incontri. Senza
orientamento, affamati e assetati, un gruppo di marines
sono stati rifocillati da un gruppo di civili iracheni.
Il paradossale episodio è avvenuto su una strada
circa 250 chilometri a sud di Baghdad, dove i soldati di
una divisione americana d'avanguardia, tagliati fuori
dalle loro retrovie e quindi dai rifornimenti e stremati
dalla fame e dalla sete, sono stati
soccorsi da iracheni che fuggivano in pullman verso il
sud.
I marines, dopo una avanzata durata tre giorni e
costata violenti combattimenti, si erano fermati per
attendere il convoglio dei rifornimenti, quando due
pullman con civili iracheni si sono fermati e alcune
donne, dai finestrini, hanno passato cibo ai militari.
«Gli iracheni, in previsione del lungo viaggio che li
avrebbe portati lontano dalle linee del fronte, avevano
ucciso montoni e pollame, e fatto cuocere uova e patate»
- ha raccontato il sergente Kenneth Wilson, che parla
arabo. I militari, stavano esaurendo le loro razioni
personali e avevano quasi finito l'acqua. «Ci hanno dato
uova e patate. Un bellissimo gesto. - racconta il soldato
Tony Garcia - Penso che la popolazione
locale ci sia riconoscente e si auguri la caduta di
Saddam Hussein», è stata la sua interpretazione.
«Non ho mai pensato che un uovo possa essere così
buono», ha commentato estasiato un altro marine.
All'offerta di cibo infatti un medico militare aveva
avvertito i soldati che il cibo avrebbe potuto essere
avvelenato. Nessuno l'ha ascoltato e con il formaggio
donato è stata
preparata una fonduta, ma le patate erano già divorate
prima che il piatto fosse pronto.
---------------------------------------
UN
BELL'ARTICOLO DI VIOLANTE - CHE NON PROPONE NULLA :
DA - L'UNITA'
Non basta dire
No alla guerra
di Luciano Violante
La prossima settimana la Camera discuterà e voterà un
documento presentato dallUlivo sulla questione dei
profughi e degli aiuti umanitari alle popolazioni
irachene. Il documento si divide in due parti. Nella
prima impegna il governo, in Italia e nella Ue, per
laccoglienza dei profughi iracheni e curdi. E per
lagevolazione delle pratiche burocratiche relative
allasilo politico, qualora ne ricorrano i
presupposti.
La seconda parte, invece, riguarda specificamente i
bambini irakeni. Secondo notizie dellUnicef in Iraq
un bambino su otto muore prima di aver raggiunto i cinque
anni. LUlivo chiede che il governo intervenga in
tutte le sedi internazionali perché la guerra non
impedisca il trasporto nelle città più colpite di
medicinali, alimenti, prodotti salvavita e per la
potabilizzazione dellacqua.
Ieri, contraria la Lega, il governo ha recepito una
direttiva della Ue per la protezione dei profughi e che
noi avevamo espressamente citato nel nostro documento. È
un fatto positivo, anche se insufficiente. E va ribadito
che la non partecipazione diretta dellItalia alla
guerra è unaltra vittoria di tutto il movimento
per la pace. Berlusconi aveva detto di essere al fianco
di Bush e che i giochi erano orami chiusi. Il ministro
della difesa Martino era pronto a dichiarare la guerra.
Poi sono stati costretti a fare marcia indietro.
Il governo devessere continuamente incalzato. Non
basta più dire no alla guerra. La ripetizione del No
senza un nuovo indirizzo politico può frantumare il
movimento tra apatia, rassegnazione, testimonianza
generosa, ma non produttiva, ed estremismo. Il partito
della guerra riprenderebbe quota.
Il No devessere accompagnato da analisi sui motivi
reali di questa guerra, sulle sue possibili conseguenze
in termini umanitari e politici, sul disordine
internazionale che ne deriverebbe, sugli impegni da
assumere per ridurne gli effetti negativi e per bloccarla
quanto prima.
Il primo obbiettivo è la riconduzione alle Nazioni Unite
di tutta la questione. Deve poi definirsi la condizione
dellItalia. Martedì il governo risponderà sulla
questione dei paracadutisti americani partiti da una base
italiana per andare ad occupare un campo militare in
territorio irakeno. Il punto 3 del documento approvato
dal Consiglio Supremo di Difesa dice espressamente:
«esclusione delluso di strutture militari quali
basi di attacco diretto ad obbiettivi irakeni». Antonio
Cassese e Paolo Benvenuti, tra i maggiori studiosi di
diritto internazionale, ritengono che limpegno sia
stato violato. Un altro importante studioso, Achille
Chiappetti, intervistato dal Giornale ha dichiarato che
lItalia non è uno Stato belligerante, ma neanche
uno Stato neutrale. Che cosa siamo, allora? E il governo
non aveva detto agli italiani una cosa diversa? Perché
è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale?
Il consiglio di sicurezza dellOnu ha approvato la
ripresa del programma «oil for food». Ma perché essa
sia effettiva tanto gli irakeni quanto gli angloamericani
dovrebbero consentire la ripresa del lavoro in Iraq alle
agenzie specializzate delle Nazioni Unite. Il nostro
governo fa parte della troika che guida lUnione
Europea. La Ue può far pressione sulle parti in guerra
per la ripresa effettiva del programma che garantisce in
45.000 centri lalimentazione di circa il 60% dei 23
milioni di irakeni. Altri due punti sono stati posti da
Blair: risoluzione della guerra israelo-palestinese, con
la garanzia della costituzione di uno Stato palestinese;
attribuzione alle Nazioni Unite della gestione del
dopoguerra.
Questi obbiettivi di Blair vanno sostenuti. Possono
costituire il germoglio di una ritrovata unità europea,
capace di ricostruire un rapporto paritario e positivo
con gli Stati Uniti.
----------------------------------
INTERESSANTE -
LO VANNO DICENDO IN TANTI... MA ORAMAI LA CATOSTROFE E'
FATTA A VANTAGGIO DELLE MULTINAZIONALI D'ARMI - GUARDA
CASO - AMERICANE.
DA - L'UNITA' - L'INTERVISTA
«Bisognava
neutralizzare il raìs con la diplomazia»
GERUSALEMME - «In discussione non è il fatto,
incontestabile, che Saddam Hussein sia uno spietato e
pericoloso dittatore. In discussione sono i tempi e gli
strumenti per neutralizzarlo. Sono certo che il popolo
iracheno, pur detestando il regime al potere, si trova
oggi a sostenere Saddam a causa dell'odio che gli
americani si sono attirati con il loro comportamento».
Ad affermarlo è Ran Cohen, ex generale e nuovo leader
del Meretz, la sinistra pacifista israeliana. Originario
dell'Iraq, Ran Cohen è stato costretto a fuggire da
Baghdad quando aveva 11 anni: «Proprio perché
-sottolinea- conosco bene e ho sofferto in prima persona
gli orrori del regime di Saddam, mi auguro che almeno
questa guerra sia breve e che l'eliminazione di un
dittatore spietato porti ad un cambiamento in meglio per
il popolo iracheno».
Gli Usa inseriscono la «guerra di
liberazione» dell'Iraq in un quadro più generale di
pacificazione del Medio Oriente. Condivide questa tesi?
«Non è in discussione il fatto che Saddam Hussein
sia uno spietato dittatore che ha già dimostrato più
volte in passato di essere in grado di mettere in
pericolo la regione. Se è ancora da provare che abbia
oggi armi chimiche e batteriologiche, non lo è il fatto
che non solo le ha avute in passate ma che anche -unico
al mondo- le ha usate provocando decine di migliaia di
morti. Quello su cui non sono d'accordo con gli
americani, riguarda i tempi e gli strumenti per risolvere
il problema. La mia posizione è molto più vicina a
quella degli europei, in particolare di Francia e
Germania, che volevano dare più tempo agli ispettori,
creando un sistema di pressioni economiche e diplomatiche
sull'Iraq, lasciando l'opzione militare solo e veramente
come ultima possibilità. Sono certo che oggi il popolo
iracheno -che detesta profondamente Saddam- si trova a
sostenerlo a causa dell'odio che gli americani sono
riusciti ad attirarsi con il loro comportamento. Per
quanto riguarda l'influenza della guerra in Iraq sui
futuri equilibri mediorientali, facendo un discorso
egoistico di chi è alla ricerca della pace con ogni
mezzo, potrei anche sperare che una volta concluso questo
conflitto bellico, americani ed europei trovino il tempo
e la forza di spingere israeliani e palestinesi sulla via
di un accordo».
Un accordo che presenta mille
incognite. A cominciare dal suo sbocco finale.
«Per me non è un'incognita. Sono certo che alla
fine la soluzione sarà quella di due Stati per due
popoli, con i confini più o meno delineati negli accordi
quasi raggiunti, compresa Gerusalemme ovest capitale
d'Israele e Gerusalemme Est capitale dello Stato
palestinese. Ma purtroppo nel mondo, e ancor più in
questa regione, la soluzione sarà accettata solo dopo
terribili sofferenze e spargimenti di sangue. L'unica
speranza è che gli Stati Uniti e l'Europa trovino la
forza e il coraggio di spezzare questa terribile spirale
costringendo i palestinesi a porre fine al terrorismo e,
al contempo, Israele a ritirarsi dagli insediamenti nei
territori occupati».
In questi giorni di guerra ho potuto
riscontrare direttamente, visitando a più riprese i
Territori, la crescita della popolarità di Saddam fra i
palestinesi. Ciò, unito al rafforzamento dei gruppi
radicali, allontana le speranze di pace?
«Da israeliano che si batte per il dialogo e per una
pace giusta e duratura, non posso che rattristarmi ed
indignarmi nel vedere le immagini di giubilo fra i
palestinesi quando avvengono i terribili attentati di cui
siamo testimoni e vittime; così come mi preoccupa
constatare la popolarità di cui gode Saddam Hussein, un
dittatore sanguinario che ha sulla coscienza migliaia di
vite di loro fratelli arabi. Ciò mi fa venire il dubbio
che i palestinesi non abbiano ancora capito che non
potranno mai giungere a realizzare il loro ideale di
Stato sostenendo leader del genere».
Lei è originario dell'Iraq, proprio di
Baghdad. Ciò l'aiuta a comprendere meglio quanto accade
in quel Paese?
«Sono stato costretto a fuggire dall'Iraq quando
avevo 11 anni. Mio fratello di 15 anni era stato
condannato a morte; l'altro mio fratello era già stato
imprigionato e torturato, e tutta la mia famiglia era in
pericolo. Ricordo benissimo Baghdad, le strade, la lingua
e non posso che dolermi e identificarmi nella sofferenza
del popolo iracheno. Un popolo colto, generoso, di grande
umanità; un popolo oppresso da una delle più feroci
dittature ancora in circolazione, che ha delapidato
immense ricchezze oltre che fatto scempio di innumerevoli
vite umane. D'altra parte, proprio perché conosco fin
troppo bene e ho sofferto in prima persona gli orrori del
regime di Saddam Hussein, mi auguro che almeno questa
guerra sia breve e porti ad un cambiamento in meglio
della situazione con l'uscita di scena di questo spietato
raìs. Ciò sarà un bene per l'Iraq e forse potrà
influire positivamente anche sul futuro di israeliani e
palestinesi».
-----------------------------------------
E PER FINIRE
ECCO LE BORSE COME REAGISCONO AL 10 GIORNO DI GUERRA.
Arpe convince il mercato,
Capitalia su di giri
19:30
La cura del direttore generale fa bene ai conti 2002
dell'istituto, molto buoni sui margini e la tenuta dei
costi, a detta degli esperti. Inoltre la banca ha
ribadito di voler raggiungere l'utile nel 2003. Il
mercato ha poi approvato anche la scelta di Capitalia di
non esercitare l'opzione che le consente di designare un
terzo compratore per la quota che Toro ha nel gruppo.
Prossimo passo: rinnovo patto di sindacato. Possibile
riduzione partecipazione in Generali continua
18:30
Bilancio positivo per il titolo del colosso elettrico che
nell'ottava ha incassato un +4,47% contro il -2,16% del
Mibtel. I conti 2002 in linea con le attese, il dividendo
stabile, un nuovo piano industriale 2003-2007 che sembra
riscuotere un certo successo, nonostante il target
ambizioso di taglio dei costi, questa la ricetta giusta
per ritrovare energia continua
17:40
Le rassicurazioni dell'Ad dell'Auto Boschetti sui
rapporti con General Motors non hanno sostenuto il titolo
che ha comunque recuperato parte delle perdite. Pesano
previsioni su mercato auto a marzo. Fiat Avio deve
restare in mani italiane, auspica Tabacci. Bene Ifil. Il
flop di Munich Re non deprime Generali. Mps e Capitalia
brillano tra le banche. Parmalat su di giri. Enel perde
appeal iniziale. Seduta no per Tod's continua
-------------------------------------
|