UN'INTERVISTA CON LATI OSCURI E POLITICI MA ANCHE CON PICCOLE VERITA' SE D'ALEMA NON SE LA SMETTE DI CONTESTARE I MOVIMENTI E COFFERATI :

DA - IL MESSAGGERO - L'INTERVISTA

«Il pacifismo arcobaleno farà perdere l’Ulivo»
Sartori attacca tutti: «Il Papa esagera, Berlusconi è un pesce fuor d’acqua, e basta con le furberie»

di MARIO AJELLO

ROMA — Professor
Giovanni Sartori, lei non sarà mica, come Epifani, un «nè-nè»: nè con Bush nè con Saddam?


«L’equilibrismo non è nella mia natura. Io mi comprometto sempre».


E quindi?


«Quindi non sono e non posso essere un "nè-nè". Ma c’è anche di peggio: quelli che preferiscono l’anti-americanismo all’anti-saddamismo».


Lei, che vive da tanti decenni a New York, consiglia allora di tifare Bush?


«Quando una guerra è cominciata, ci si deve schierare, senza furbizie elettorali. Io ho detto e stradetto, fino a un minuto prima che scoppiasse, che si trattava di un conflitto sbagliato e controproducente e non ho cambiato opinione. Ma adesso che si combatte, spero che vincano gli anglo-americani. Al più presto e senza troppo spargimento di sangue».


Sartori non sventola la bandiera arcobaleno?


«Non sventolo nessuna bandiera. Questo pacifismo è cieco e non lo approvo. Anzi, lo sa come lo chiamo?».


No.


«Cieco-pacismo. Chi è "senza se e senza ma" non vede niente».


Gli occhi devono restare aperti?


«Su questi problemi, non mi lascio trasportare dall’utero, anche perchè non ce l’ho. Sono un pacifista razionale».


Insomma Bush non è uguale a Hitler?


«Basta con queste stupidaggini alla Gino Strada. Critico Bush infinite volte e su un’infinità di temi. Ma preferisco che vinca lui e non Saddam. E mi sembra che anche la Chiesa stia esagerando».


Oddio, critica il Papa?


«La tradizione cattolica ha sempre affrontato questi temi, tenendo conto della loro complessità: guerra giusta, guerra ingiusta, guerra necessaria, guerra di aggressione, guerra di difesa...».


E ora?


«Ora anche il Papa promuove il "cieco-pacismo". Temo che il pacifismo assoluto diventi una dottrina della resa: a chi ti attacca, devi offrire l’altra guancia».


E’ così temerario da prendersela con il Santo Padre?


«Mi trovo in beata solitudine. E ricordo un versetto: "Beata solitudo, o sola beatitudo". Quindi se il Papa mi esclude dalla sua benevolenza, debbo accettare».


Alla condotta dei pacifisti, preferisce quella del governo Berlusconi?


«Nient’affatto. Vedo Berlusconi come un pesce fuor d’acqua, non abituato a nuotare nel mare dell’impopolarità. Si sente scomodo a prendere posizioni non in linea con i sondaggi e con la maggioranza degli italiani che sono contrari al conflitto».


Sta dicendo che nè il Polo nè l’Ulivo sono all’altezza della situazione?


«Io sono di questo parere, ma se me lo fa dire mi rovina sia a destra sia a sinistra».


La sinistra sta esagerando negli sventolii arcobaleno?


«E’ appiattita sulle posizioni di Cofferati e di Bertinotti. Alle prossime elezioni politiche fra tre anni, e non alle amministrative che ci sono fra poco, questo estremismo costerà caro all’Ulivo. Rischiano di perdere il voto dei moderati».


Se Giuliano Ferrara organizza una «Usa Day», lei vi andrà?


«Neanche per sogno».


Perchè è un americano vero con tanto di casa affacciata sul Central Park?


«Perchè sono troppo vecchio per questi esercizi atletici in piazza. Per di più, non ho mai aderito a una marcia o firmato appelli».


Che rarità!


«E’ la beata solitudine di cui sopra».


L’Italia avrà un ruolo nel ricomporre i cocci europei?


«Dipende dall’abilità di Berlusconi. Finora il Cavaliere ha tentato di fare due giochi. Quello del mediatore europeo e quello dell’amico americano. Quest’ultimo gli occorre per coprirsi sul conflitto di interessi».


In che senso?


«Berlusconi si aspetta che Bush ricambi la sua amicizia con altrettanta amicizia nel coprire la sua anomalia. E cioè il suo cumulo di potere politico ed economico. Insomma, il Cavaliere ha bisogno di Bush, per presentarsi al mondo come un leader immacolato».

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LE BUGIE DI UN UOMO RAI - CHE TRASLOCA - L'UNICA VERITA' CHE NON ABBIAMO SENTITO E' CHE SPERIAMO TUTTI SI PORTI DIETRO ANNCHE LA COGNATA - ASSUNTA NELL'AZIENDA IN MODO POCO CHIARO NELLA SUA GESTIONE :

DA - IL MESSAGGERO - L'INTERVISTA

«Biagi? Una scelta editoriale. Santoro? Non è da servizio pubblico, lo aveva capito anche Siciliano. La diretta pacifista? In Europa nessuno l’ha fatta»


Saccà: «Ho salvato l’azienda e ora mi cacciano»


Il direttore generale uscente: fatico a capire perché, ma lascio i conti a posto e resto un uomo Rai

di ALBERTO GUARNIERI

ROMA - «Io ho salvato la Rai dal disastro». Agostino Saccà, direttore generale uscente della tv pubblica, supporta con un mare di dati e cifre questa sua affermazione. Nel suo ufficio si lavora come il primo giorno di quest’anno vissuto pericolosamente ai vertici della più grande azienda di comunicazione italiana. Saccà è in Rai da 27 anni. Qui ha fatto di tutto: dal giornalista al manager. Lasciare, dopo aver toccato il traguardo più alto, con la certezza di aver lavorato non bene ma benissimo, deve essere molto difficile. Eppure, escludendo un bel rimprovero a Pippo Baudo, Saccà non si leva sassolini dalle scarpe. Se ci sono stati sfoghi sono stati in privato. Usa lo stesso stile felpato di Paolo Mieli, nell’intervista dell’addio. Per il successore infatti c’è solo miele. «Cattaneo? Gli ho parlato per telefono. Sapevo che era una persona valida e me lo ha confermato sia pure in poche battute».


Direttore, non si sente scippato?


«No. Ai saliscendi sono abituato. Dovetti lasciare Rai2, da braccio destro di Letizia Moratti mi ritrovai a occuparmi dell’immagine Rai, da direttore di Raiuno (dove ho battuto ogni record di ascolti e di raccolta pubblicitaria) mi spedirono al marketing salvo poi richiamarmi scusandosi».


Ma perché la Rai è così? Un posto dove i dirigenti perdono più tempo a guardarsi le spalle dai siluri che a lavorare. Colpa della politica?


«Non siamo ipocriti. In tutti i servizi pubblici europei la politica conta eccome. E certo ha contato in tutte queste mie vicende professionali. Ma non è solo un male: insegna a sopravvivere».


Davvero?


«Beh. È anche vero che negli ultimi dieci anni in Italia il sistema politico ha vissuto convulsioni di particolare intensità. E la Rai, che ne è la cartina di tornasole, ha cambiato vertice dieci volte di più del concorrente».


Tanto che ormai il cavallo stramazza.


«No, è talmente forte che non stramazza. Incespica, ma regge».


Senza la politica e il conflitto di interessi correrebbe ancora più forte di Mediaset.


«Troppo semplice ragionare così. Il sistema dei partiti esprime la volontà popolare. È consuetudine che chi vince le elezioni scelga la prima fila dei manager. Per questo io non ho mai fatto polemiche o addirittura azioni legali quando sono stato retrocesso. Sono le regole del gioco e valgono sia quando sali che quando scendi».


Ma stavolta lei esce senza un cambio politico. Esce perché "bisogna dare un segnale di discontinuità".


«In effetti stavolta mi è stato più difficile capire. Poi ho accettato che un nuovo presidente, tra l’altro scelto con un nuovo metodo, possa sentire il bisogno di un nuovo direttore al suo fianco. Fa parte della singolarità italiana. Ma la discontinuità, questo è il mio pensiero, non è un valore, anzi è esattamente il contrario. Non è facile accettare, ma alla fine l’ho fatto, che altri proseguiranno un lavoro che io avevo iniziato e non ho potuto concludere. Perché questo è quello che accadrà».


Ma è proprio sicuro di lasciarsi alle spalle un tesoro. La Rai è sommersa dalle critiche.


«Io ho fatto benissimo. L’ha riconosciuto l’azionista, se ne sono già accorti neo consiglieri come Rumi e Alberoni».


Guardiamo il suo bilancio. Che Rai lascia?


«Mi faccia prima parlare della Rai che ho trovato al mio arrivo, giusto un anno fa. E’ indispensabile».


Prego.


«Io ho trovato un’azienda con diverse crisi aperte. Di prodotto, con i programmi che per stressare la raccolta pubblicitaria si omologavano a quelli della concorrenza. Economica, con una previsione di passivo bilancio a fine 2002 per 170 miliardi di vecchie lire su cui avrebbe insistito un indebitamento di 500. La vendita di Raiway sarebbe servita solo tappare i buchi, altroché strategia. Organizzativa, con le divisioni inventate da Pierluigi Celli che si sono rivelate solo un insopportabile allungamento delle linee di comando».


La interrompo, perché non le ha abolite?


«Col Cda che mi ritrovavo non potevo. Però ne ho limitato nei fatti i poteri, abolendo l’assurdo mercato di compravendita tra servizi interni. Pensi che si faceva uscire un camion per recuperare un bastone di scena. Così la divisione Produzione poteva fatturare ad un altro ramo di azienda e accrescere il suo fatturato».


Roba da corrergli dietro col bastone. Comunque: le divisioni le ha fatte Celli, Raiway è operazione di Zaccaria e Cappon. Lei non è tenero coi suoi predecessori, ma c’era anche lei.


«Sì, e da direttore del marketing strategico, dove fui trasferito, scrissi a fine 2000 una relazione profetica. Si diceva a chiare lettere che Mediaset ci avrebbe battuto. Ed è successo pochi mesi dopo».


Una sorta di Cassandra?


«Un manager che sa fare il suo mestiere. Si puntava tutto sui nuovi media senza investire nulla sull’innovazione del prodotto. Così si finiva a comprare format uguali a quelli di Mediaset. Scoprimmo con orrore da una ricerca che "Quiz show" di Amadeus era diventato il nostro programma simbolo. Non era impossibile vedere la brutta china che si era presa».


E voi per risolvere il problema avete avuto la bella pensata di far fuori Biagi e Santoro.


«Calma, calma. Intanto ho chiuso i tanti contratti aperti con i lavoratori e ho dato buona parte di una gratifica che Cappon aveva negato. Sapevo che tiravo fuori altri soldi, ma per vincere una battaglia disperata avevo bisogno di una truppa motivata».


Usa metafore belliche di questi tempi?


«Sì, perché ascrivo anche a mio merito i risultati eccezionali che la Rai sta ottenendo nel seguire il conflitto in Iraq. Tutto il mondo ci ammira e vuole copiarci o assicurarsi la nostra collaborazione. E, per proseguire la metafora, ed è l’ultima volta che torno sull’argomento, è davvero singolare che con un piccolo esercito di 70 giornalisti in guerra si cambi il generale».


Torniamo a Biagi e Santoro. Quelli li avete cambiati. Su richiesta del premier Berlusconi?


«Assolutamente no. Biagi per pure ragioni editoriali. Il suo "Il fatto" aveva perso sei punti, era opportuno trovare per lui una nuova formula prima di avere seri problemi di ascolto. Senza strumentalizzazioni il problema si sarebbe risolto con soddisfazione di tutti».


E Santoro?


«Che lui non sia uomo da servizio pubblico lo hanno detto prima di questo Cda gli allora presidente e direttore generale Siciliano e Iseppi. L’Authority lo ha recentemente confermato con una sentenza. Io a Santoro ho offerto programmi diversi: storia, docudrama, gli stessi per cui lo feci tornare in Rai da Mediaset. Lui ha risposto: "rivendico la mia faziosità". Non vedo che altro ci sia da dire».


Anche sulla diretta pacifista negata non c’è altro da dire?


«Ne abbiamo parlato di più che non tutte le altre tv d’Europa».


Ma non l’avete voluta trasmettere per non influenzare i parlamentari, che non hanno gradito la tutela.


«Non ho mai pronunciato quella frase, i verbali della Commissione di vigilanza lo confermano».


Perché non lo ha detto subito?


«Perché ho rispetto delle istituzioni».


Tra cui non comprende il presidente Rai: litigavate sempre.


«Falso».


Via, Saccà...


«Puro folklore. Abbiamo due caratteri diversi. Io resto un giornalista, lui è un giurista. Poi io avevo fretta per poter condurre la grande sfida del risanamento. Chiedevo, come sempre, che i contratti fossero valutati in due giorni, non in un mese».


C’erano contratti sospetti.


«In questa azienda non si è mai verificato un caso di malversazione. E abbiamo sette enti diversi preposti al controllo».


Quindi andavate d’accordo.


«Senza intesa di fondo non si sarebbero raggiunti i fantastici risultati che sono stati raggiunti».


Ce li dica.


«Il bilancio di gruppo ha chiuso in attivo e l’indebitamento è stato ridotto a 150 dei 500 miliardi previsti. Rai spa è andata in attivo. I debiti poi sono coperti da un credito di 300 miliardi verso il Tesoro. Un risultato cui nemmeno il ministro Tremonti voleva credere tanto è stupefacente».


Ma intanto gli ascolti crollano e i programmi sono brutti.


«Gli ascolti sono in netta ripresa e la qualità della nostra informazione ci è invidiata da tutti».


Siete gli unici che guadagnano qualcosa da una guerra.


«In questo senso, solo in questo, ci aiuta. Ma anche il resto stava migliorando».


Anche Sanremo, anche Raidue?


«Il festival no. Purtroppo ho visto la scaletta troppo tardi. Non mi è rimasto che indovinare l’insuccesso. Su Raidue ho messo le mani solo tre mesi fa e già si sono registrati progressi».


Ora tocca a Cattaneo.


«Auguri».


E lei?


«Resto un uomo Rai. Adesso vado in vacanza, poi vedremo».

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QUESTA PICCOLA NOTIZIA - FA COMPRENDERE CHE TRE CHI LA GUERRA LA VUOLE E CHI LA FA - C'E' UNA PROFONDA E DIGNITOSA DIFFERENZA - CHE NON POTRANNO MAI CAPIRE I PRIMI.

DA - L'UNITA'

Marines affamati nel deserto soccorsi da un pullman di iracheni in fuga dalle città


di red

Il deserto fa fare strani incontri. Senza orientamento, affamati e assetati, un gruppo di marines sono stati rifocillati da un gruppo di civili iracheni.

Il paradossale episodio è avvenuto su una strada circa 250 chilometri a sud di Baghdad, dove i soldati di una divisione americana d'avanguardia, tagliati fuori dalle loro retrovie e quindi dai rifornimenti e stremati dalla fame e dalla sete, sono stati
soccorsi da iracheni che fuggivano in pullman verso il sud.

I marines, dopo una avanzata durata tre giorni e costata violenti combattimenti, si erano fermati per attendere il convoglio dei rifornimenti, quando due pullman con civili iracheni si sono fermati e alcune donne, dai finestrini, hanno passato cibo ai militari.

«Gli iracheni, in previsione del lungo viaggio che li avrebbe portati lontano dalle linee del fronte, avevano ucciso montoni e pollame, e fatto cuocere uova e patate» - ha raccontato il sergente Kenneth Wilson, che parla arabo. I militari, stavano esaurendo le loro razioni personali e avevano quasi finito l'acqua. «Ci hanno dato uova e patate. Un bellissimo gesto. - racconta il soldato Tony Garcia - Penso che la popolazione
locale ci sia riconoscente e si auguri la caduta di Saddam Hussein», è stata la sua interpretazione.

«Non ho mai pensato che un uovo possa essere così buono», ha commentato estasiato un altro marine.

All'offerta di cibo infatti un medico militare aveva avvertito i soldati che il cibo avrebbe potuto essere avvelenato. Nessuno l'ha ascoltato e con il formaggio donato è stata
preparata una fonduta, ma le patate erano già divorate prima che il piatto fosse pronto.

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UN BELL'ARTICOLO DI VIOLANTE - CHE NON PROPONE NULLA :

DA - L'UNITA'

Non basta dire No alla guerra


di Luciano Violante

La prossima settimana la Camera discuterà e voterà un documento presentato dall’Ulivo sulla questione dei profughi e degli aiuti umanitari alle popolazioni irachene. Il documento si divide in due parti. Nella prima impegna il governo, in Italia e nella Ue, per l’accoglienza dei profughi iracheni e curdi. E per l’agevolazione delle pratiche burocratiche relative all’asilo politico, qualora ne ricorrano i presupposti.
La seconda parte, invece, riguarda specificamente i bambini irakeni. Secondo notizie dell’Unicef in Iraq un bambino su otto muore prima di aver raggiunto i cinque anni. L’Ulivo chiede che il governo intervenga in tutte le sedi internazionali perché la guerra non impedisca il trasporto nelle città più colpite di medicinali, alimenti, prodotti salvavita e per la potabilizzazione dell’acqua.
Ieri, contraria la Lega, il governo ha recepito una direttiva della Ue per la protezione dei profughi e che noi avevamo espressamente citato nel nostro documento. È un fatto positivo, anche se insufficiente. E va ribadito che la non partecipazione diretta dell’Italia alla guerra è un’altra vittoria di tutto il movimento per la pace. Berlusconi aveva detto di essere al fianco di Bush e che i giochi erano orami chiusi. Il ministro della difesa Martino era pronto a dichiarare la guerra. Poi sono stati costretti a fare marcia indietro.
Il governo dev’essere continuamente incalzato. Non basta più dire no alla guerra. La ripetizione del No senza un nuovo indirizzo politico può frantumare il movimento tra apatia, rassegnazione, testimonianza generosa, ma non produttiva, ed estremismo. Il partito della guerra riprenderebbe quota.
Il No dev’essere accompagnato da analisi sui motivi reali di questa guerra, sulle sue possibili conseguenze in termini umanitari e politici, sul disordine internazionale che ne deriverebbe, sugli impegni da assumere per ridurne gli effetti negativi e per bloccarla quanto prima.
Il primo obbiettivo è la riconduzione alle Nazioni Unite di tutta la questione. Deve poi definirsi la condizione dell’Italia. Martedì il governo risponderà sulla questione dei paracadutisti americani partiti da una base italiana per andare ad occupare un campo militare in territorio irakeno. Il punto 3 del documento approvato dal Consiglio Supremo di Difesa dice espressamente: «esclusione dell’uso di strutture militari quali basi di attacco diretto ad obbiettivi irakeni». Antonio Cassese e Paolo Benvenuti, tra i maggiori studiosi di diritto internazionale, ritengono che l’impegno sia stato violato. Un altro importante studioso, Achille Chiappetti, intervistato dal Giornale ha dichiarato che l’Italia non è uno Stato belligerante, ma neanche uno Stato neutrale. Che cosa siamo, allora? E il governo non aveva detto agli italiani una cosa diversa? Perché è stato dichiarato lo stato di emergenza nazionale?
Il consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato la ripresa del programma «oil for food». Ma perché essa sia effettiva tanto gli irakeni quanto gli angloamericani dovrebbero consentire la ripresa del lavoro in Iraq alle agenzie specializzate delle Nazioni Unite. Il nostro governo fa parte della troika che guida l’Unione Europea. La Ue può far pressione sulle parti in guerra per la ripresa effettiva del programma che garantisce in 45.000 centri l’alimentazione di circa il 60% dei 23 milioni di irakeni. Altri due punti sono stati posti da Blair: risoluzione della guerra israelo-palestinese, con la garanzia della costituzione di uno Stato palestinese; attribuzione alle Nazioni Unite della gestione del dopoguerra.
Questi obbiettivi di Blair vanno sostenuti. Possono costituire il germoglio di una ritrovata unità europea, capace di ricostruire un rapporto paritario e positivo con gli Stati Uniti.

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INTERESSANTE - LO VANNO DICENDO IN TANTI... MA ORAMAI LA CATOSTROFE E' FATTA A VANTAGGIO DELLE MULTINAZIONALI D'ARMI - GUARDA CASO - AMERICANE.

DA - L'UNITA' - L'INTERVISTA

«Bisognava neutralizzare il raìs con la diplomazia»


GERUSALEMME - «In discussione non è il fatto, incontestabile, che Saddam Hussein sia uno spietato e pericoloso dittatore. In discussione sono i tempi e gli strumenti per neutralizzarlo. Sono certo che il popolo iracheno, pur detestando il regime al potere, si trova oggi a sostenere Saddam a causa dell'odio che gli americani si sono attirati con il loro comportamento». Ad affermarlo è Ran Cohen, ex generale e nuovo leader del Meretz, la sinistra pacifista israeliana. Originario dell'Iraq, Ran Cohen è stato costretto a fuggire da Baghdad quando aveva 11 anni: «Proprio perché -sottolinea- conosco bene e ho sofferto in prima persona gli orrori del regime di Saddam, mi auguro che almeno questa guerra sia breve e che l'eliminazione di un dittatore spietato porti ad un cambiamento in meglio per il popolo iracheno».


Gli Usa inseriscono la «guerra di liberazione» dell'Iraq in un quadro più generale di pacificazione del Medio Oriente. Condivide questa tesi?


«Non è in discussione il fatto che Saddam Hussein sia uno spietato dittatore che ha già dimostrato più volte in passato di essere in grado di mettere in pericolo la regione. Se è ancora da provare che abbia oggi armi chimiche e batteriologiche, non lo è il fatto che non solo le ha avute in passate ma che anche -unico al mondo- le ha usate provocando decine di migliaia di morti. Quello su cui non sono d'accordo con gli americani, riguarda i tempi e gli strumenti per risolvere il problema. La mia posizione è molto più vicina a quella degli europei, in particolare di Francia e Germania, che volevano dare più tempo agli ispettori, creando un sistema di pressioni economiche e diplomatiche sull'Iraq, lasciando l'opzione militare solo e veramente come ultima possibilità. Sono certo che oggi il popolo iracheno -che detesta profondamente Saddam- si trova a sostenerlo a causa dell'odio che gli americani sono riusciti ad attirarsi con il loro comportamento. Per quanto riguarda l'influenza della guerra in Iraq sui futuri equilibri mediorientali, facendo un discorso egoistico di chi è alla ricerca della pace con ogni mezzo, potrei anche sperare che una volta concluso questo conflitto bellico, americani ed europei trovino il tempo e la forza di spingere israeliani e palestinesi sulla via di un accordo».


Un accordo che presenta mille incognite. A cominciare dal suo sbocco finale.


«Per me non è un'incognita. Sono certo che alla fine la soluzione sarà quella di due Stati per due popoli, con i confini più o meno delineati negli accordi quasi raggiunti, compresa Gerusalemme ovest capitale d'Israele e Gerusalemme Est capitale dello Stato palestinese. Ma purtroppo nel mondo, e ancor più in questa regione, la soluzione sarà accettata solo dopo terribili sofferenze e spargimenti di sangue. L'unica speranza è che gli Stati Uniti e l'Europa trovino la forza e il coraggio di spezzare questa terribile spirale costringendo i palestinesi a porre fine al terrorismo e, al contempo, Israele a ritirarsi dagli insediamenti nei territori occupati».


In questi giorni di guerra ho potuto riscontrare direttamente, visitando a più riprese i Territori, la crescita della popolarità di Saddam fra i palestinesi. Ciò, unito al rafforzamento dei gruppi radicali, allontana le speranze di pace?


«Da israeliano che si batte per il dialogo e per una pace giusta e duratura, non posso che rattristarmi ed indignarmi nel vedere le immagini di giubilo fra i palestinesi quando avvengono i terribili attentati di cui siamo testimoni e vittime; così come mi preoccupa constatare la popolarità di cui gode Saddam Hussein, un dittatore sanguinario che ha sulla coscienza migliaia di vite di loro fratelli arabi. Ciò mi fa venire il dubbio che i palestinesi non abbiano ancora capito che non potranno mai giungere a realizzare il loro ideale di Stato sostenendo leader del genere».


Lei è originario dell'Iraq, proprio di Baghdad. Ciò l'aiuta a comprendere meglio quanto accade in quel Paese?


«Sono stato costretto a fuggire dall'Iraq quando avevo 11 anni. Mio fratello di 15 anni era stato condannato a morte; l'altro mio fratello era già stato imprigionato e torturato, e tutta la mia famiglia era in pericolo. Ricordo benissimo Baghdad, le strade, la lingua e non posso che dolermi e identificarmi nella sofferenza del popolo iracheno. Un popolo colto, generoso, di grande umanità; un popolo oppresso da una delle più feroci dittature ancora in circolazione, che ha delapidato immense ricchezze oltre che fatto scempio di innumerevoli vite umane. D'altra parte, proprio perché conosco fin troppo bene e ho sofferto in prima persona gli orrori del regime di Saddam Hussein, mi auguro che almeno questa guerra sia breve e porti ad un cambiamento in meglio della situazione con l'uscita di scena di questo spietato raìs. Ciò sarà un bene per l'Iraq e forse potrà influire positivamente anche sul futuro di israeliani e palestinesi».

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E PER FINIRE ECCO LE BORSE COME REAGISCONO AL 10 GIORNO DI GUERRA.

Arpe convince il mercato, Capitalia su di giri

19:30


La cura del direttore generale fa bene ai conti 2002 dell'istituto, molto buoni sui margini e la tenuta dei costi, a detta degli esperti. Inoltre la banca ha ribadito di voler raggiungere l'utile nel 2003. Il mercato ha poi approvato anche la scelta di Capitalia di non esercitare l'opzione che le consente di designare un terzo compratore per la quota che Toro ha nel gruppo. Prossimo passo: rinnovo patto di sindacato. Possibile riduzione partecipazione in Generali continua

18:30


Bilancio positivo per il titolo del colosso elettrico che nell'ottava ha incassato un +4,47% contro il -2,16% del Mibtel. I conti 2002 in linea con le attese, il dividendo stabile, un nuovo piano industriale 2003-2007 che sembra riscuotere un certo successo, nonostante il target ambizioso di taglio dei costi, questa la ricetta giusta per ritrovare energia continua

17:40


Le rassicurazioni dell'Ad dell'Auto Boschetti sui rapporti con General Motors non hanno sostenuto il titolo che ha comunque recuperato parte delle perdite. Pesano previsioni su mercato auto a marzo. Fiat Avio deve restare in mani italiane, auspica Tabacci. Bene Ifil. Il flop di Munich Re non deprime Generali. Mps e Capitalia brillano tra le banche. Parmalat su di giri. Enel perde appeal iniziale. Seduta no per Tod's continua

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