Wittgenstein
Buddhista?!
Di
Vania Costa
Sollecitata da esigenze personali ho iniziato
una ricerca di equilibrio interiore, serenità e
concentrazione. Recentemente mi sono accostata alla
filosofia orientale, soprattutto al Buddhismo
Zen, una scuola di meditazione nata in Tibet, ne VI
secolo d.C. e diffusa più tardi in Giappone
Questo incontro mi ha permesso, da una parte, di
approfondire il discrimine fra le "vie del
pensiero"
costruttivo, "factice" del mondo occidentale e
quelle contemplative ed introspettive del pensiero
orientale; dall'altra,di ricercare una chiave di lettura
nuova, alternativa a quella tradizionale, della filosofia
del linguaggio
vista da un punto di osservazione "assoluto" e
spesso etnocentrico. Mentre il pensiero occidentale trova
i
suoi nuovi paradigmi nel rifiuto della metafisica e
nell'elaborazione dellepistemologia che
trasforma e domina il mondo attraverso la scienza, la
tecnologia e lattivismo; il pensiero orientale
assegna all'individuo la responsabilità di essere
artefice del proprio destino e tenta di liberarlo dai
legami col tempo e con la sofferenza, attraverso la
meditazione ed un atteggiamento "amico" con
il prossimo e il creato.
Il pensiero occidentale, orientato verso la
produzione, il consumismo, la frenesia dell'avere,
identifica l'essere con l'apparire, orienta al possesso
di beni materiali, sacrifica l'uomo e i suoi
valori, causando il relativismo morale, l'indifferenza e
l'alienazione
Lo scopo della filosofia orientale Zen è la conquista da
parte dell uomo della conoscenza autentica e
della saggezza, fino a raggiungere l' illuminazione, uno
stato di armonia con la realtà esterna ed
interna, una corrispondenza biunivoca tra macrocosmo e
microcosmo in cui l'uomo è libero da tutti
i condizionamenti socio-culturali che lo conducono alla
schiavitù. Questo pensiero mi ha aiutato
praticamente ad interpretare gli eventi della vita
quotidiana, che modificano, confermano o
rafforzano aspetti del mio carattere, ma anche le mie
esperienze, le mie letture, il mio stile di vita,
lassimilazione di conoscenze disciplinari e
filosofìche.
Lo studio della "filosofia del
linguaggio",ad esempio, ha reso centrale, concreta
ed operativa la
riflessione che Wittgenstein fa sulla "situazione di
estraneità nell'incontro dei linguaggi".
Non si tratta a mio parere di una "lettura
forzata", ma della ricerca di possibili punti di
contatto,
capaci, quindi, di aprire nuovi orizzonti interpretativi
per una lettura '"originale" del pensiero di
Wittgenstein, viste le frequenti analogie che ho
riscontrato tra il pensiero del filosofo austriaco e
quello orientale.
Il primo punto di contatto fra le due
filosofie di vita è certamente il linguaggio, vero punto
di partenza della riflessione e concreto campo d'
indagine e di ricerrca speculativa. Se per Buddha
l'origine delle sofferenze sta nel cattivo o eccessivo
utilizzo del pensiero che provoca nell'essere umano uno
stato di angoscia di tensione e di paura,allo stesso modo
Wittgenstein è profondamente tormentato dagli stessi
problemi poiché aveva individuato lincapacità
della filosofia occidentale di affrontare la questione
ontologica, invischiata com'era nelluso di
proposizioniche esprimevano tautologie e non-sensi.
Per Wittgenstein, infatti la totalità del
linguaggio è la raffigurazione logica del mondo, è
unimmagine particolare che acquista significato
solo se le proposizioni vengono costruite correttamente e
nel loro contesto duso: la verità non è mai in
sé, ma in relazione a qualcosaltro. Analogamente
il Buddhismo insegna che ogni cosa è in relazione con le
altre e nessuna ha senso senza di esse.
La seconda riflessione riguarda la funzione
della filosofia che non viene qui considerata come una
dottrina o un dogma, ma unattività che mette
ordine nel "Caos" e lo trasforma in
"Logos".
Per i praticanti della filosofia Zen esiste la
certezza che si possa ottenere lilluminazione
attraverso uno sforzo personale e continuo, superando
ogni distinzione tra spirito e materia, tra mente e
corpo, che si possa mantenere, anche dopo il
"risveglio", lemozione, la carica
energetica, lapertura della mente e della
coscienza, che solo il Nirvana può provocare.
In Wittgenstein la filosofia è un'attività
che svela la mancanza di chiarezza del linguaggio e tende
ad eliminare i preconcetti, i misconcetti, le credenze
che inquinano la nostra mente. Essa deve
fornire quindi una "grammatica dell'evidenza"
per praticare un continuo e radicale controllo sul
linguaggio, inteso non solo come un ponte originario tra
'l'uomo e il mondo reale, ma anche tra
l'uomo e i suoi pensieri, poiché questi ultimi esistono
soltanto come significati.
L'individuo, per il filosofo del Circolo di Vienna, deve
potersi riconoscere soltanto se fa esperienza
del reale e se si pensa già "fuori", nel
mondo. Non è ammissibile, quindi, nessuna distinzione
tra
anima e corpo, tra dentro e fuori, tra essere e
non-essere, perché tutta l'esperienza è nell'io, perche
l'io è il mondo.
Ultima analogia riscontrata è la figura del
filosofo-saggio che non insegna e non vuole dimostrare
nulla, ne tantomeno pretende di convincere gli altri di
qualcosa.
Per Wittgenstein il filosofo si arrende all'evidenza
delle cose nel mondo e pronuncia il suo
imperativo: "Non pensare, ma guarda!". I1
monito ha il chiaro significato di insegnare a
"vedere così
e vedere diversamente" e comportarsi di conseguenza
nei consessi relazionali; ed esperienziali
dell'io. Le regole della speculazione filosofica saranno
create durante il cammino di interpretazione
del mondo. Analogamente, nella filosofia Buddhista esiste
una tecnica chiamata nozione di "dou",
che significa "seguire una via", senza teorie e
preconcetti . Il maestro Zen attraverso la postura, la
respirazione, il livello di concentrazione da
raggiungere, indica all'adepto la procedura per
conseguire i diversi stadi meditativi che lo conducono
all'illuminazione. Si deve lottare contro il
nemico dell'io, che è l'io stesso, e il subconscio, al
fine di sperimentare il nirvana.
Diversamente dal filosofo austriaco, negli insegnamenti
buddhisti la "regola" non si conosce e non
si costruisce in itinere, perché essa dovrebbe
identificarsi con la figura di Buddha e ognuno
dovrebbe seguire il suo modello di via
Questo principio rappresenta, indubbiamente,
il punto di distacco della filosofia occidentale, e in
particolare di quella di Wittgenstein, dal pensiero del
Buddhismo Zen.
Il nostro filosofo individua il pericolo di confondere
"il seguire una regola" con
"linterpretare una regola". Egli sostiene
che "non sono sufficienti le regole, ma abbiamo
bisogno anche di esempi. Le
nostre regole lasciano aperte certe scappatoie, e la
prassi deve parlare per se stessa". Si tratta di un
rischio che può minare alle radici ogni tipo di
filosofia del linguaggio che si scontra con un uso
concettuale e astratto della parola e che Wittgenstein
contrasta con il concetto di "significato come
uso"
Si potrebbe dire, insomma, che il filosofo
austriaco ha portato alla luce una diversa concezione
della
filosofia, molto più vicina alla tradizione orientale.
Secondo il suo modo di vedere, ci sarebbe una fedele
corrispondenza fra mondo, linguaggio e pensiero.Il
pensiero sarebbe unimmagine speculare del mondo. La
filosofia orientale, al contrario è su una posizione
opposta perché sostiene che il pensiero sia il prodotto
della nostra mente che sta in relazione con il mondo.
Lerrore umano consiste nel confondere il pensiero
con il mondo (realismo ingenuo). Lerrore della
filosofia occidentale consiste, dunque, nel tentativo di
spiegare il mondo con il pensiero che,in realtà,può
spiegare soltanto il pensiero: la vita è unaltra
cosa!
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