Dico e disdico
VALENTINO PARLATO

IL MANIFESTO


Può un presidente del consiglio (il cav. Silvio Berlusconi) un giorno invitare tutti gli italiani a spendere a più non posso e due giorni dopo dichiarare: «Tutti dobbiamo fare sacrifici»? La confusione, a palazzo Chigi e dintorni, è grande, ma la situazione non è eccellente. Certo Silvio Berlusconi non è stato fortunato: il suo mandato di governo ha coinciso con una crisi economica, della quale ancora non si può valutare tutta la portata, ma essere sfortunati (lo diceva il grande Napoleone) è peggio che essere inetti e, nel nostro caso, inettitudine e sfortuna si sommano. A tutto questo si aggiunge l'ansia: anticipare a oggi, domenica, il consiglio dei ministri sulla finanziaria non è solo un torto al precetto di santificare le feste. L'attuale maggioranza, nata dalla decomposizione della vecchia Dc e solo momentaneamente unificata dagli interessi individuali della tribù di comando e dalla illusoria ideologia individualistica dell'«arricchitevi», traballa. Sull'economia è un disastro se anche l'attuale governatore di Bankitalia dopo aver annunciato miracoli deve dire che l'ultima
spes sono le grandi opere pubbliche; un keynesismo da Porta Portese.

Ma al nostro Silvio non va bene neppure dove pensava di aver realizzato i maggiori successi: in politica estera. Alla dura verifica dei fatti si sta rivelando che essere riuscito a dare del tu a tutti i leader dell'universo, non significa affatto contare, aver peso. Aver fatto la corsa e essere il primo fedele del giovane Bush lo ha messo nella condizione classica del primo della classe che tutti gli altri compagni di scuola evitano. Non ha il peso di Blair e neppure la storia delle relazioni angloamericane e si trova isolato in Europa: Chirac lo manda al diavolo, Schröder anche e Putin (la sua ultima vantata conquista) non ci sta neppure lui. E, va aggiunto, non dovrebbe fare a meno di tener conto le inattese opposizioni dei democratici Usa e delle manifestazioni di Londra e di Roma.

L'economia e la guerra non sono giochetti che si possono affrontare con gli sberleffi o le battute di spirito, che sono il vanto del nostro attuale governante e neppure bastano gli inviti a pranzo nelle ville in Sardegna. La politica e anche gli uomini che la fanno sono un po' più seri di quanto pensi il nostro: non sono né Milano 2 e neppure Mediaset, che pure pesa, ma dove c'è l'abile Confalonieri.

Il cavaliere è confuso e annaspa e anche la sua maggioranza e il suo elettorato (è da un po' che Ilvo Diamanti lo spiega e lo ripete) non stanno tanto bene. Raggiungere il termine della legislatura, che sembrava una meta sicura non è più tale: la scommessa è diventata più rischiosa.

E' paradossale (e qui concordo ancora con Diamanti), ma al cavaliere l'unica speranza di sopravvivere viene ancora dall'opposizione. Un'opposizione non inerte, ma confusa e incerta. Che però, un po' per il delirio bellicista di Bush junior, un po' per le resistenze europee e un po' anche per le delusioni del popolo berlusconiano, comincia a muoversi. Non è più a encefalogramma piatto. In vario modo, ancora non del tutto evidente, sembra farsi strada un indirizzo che potrebbe coniugare passioni e interessi, cioè definire una politica capace di sbaraccare la blindatura maggioritaria dell'attuale maggioranza.

La finanziaria della domenica
GOVERNO: Super condono e trucchi sul patrimonio pubblico Stasera consiglio straordinario, ma i ministri litigano ancora
Convocazione straordinaria del consiglio dei ministri per questa sera alle 20,30. All'ordine del giorno (anzi della notte) c'è la legge finanziaria 2003 che deve essere varata dal consiglio dei ministri normale di domani mattina, 30 settembre data di scadenza per la presentazione della manovra. Oggi è anche il compleanno del presidente Silvio Berlusconi che sicuramente non perderà l'occasione per raccontare agli italiani che egli stesso fa i sacrifici in un momento difficile per tutto il paese. Ma il momento è difficile soprattutto per il ministro dell'economia Giulio Tremonti che sta cercando di mettere insieme disperatamente il puzzle di una finanziaria che solo qualche mese fa appariva molto più facile da gestire. Ora i conti disastrati e il pessimo andamento dell'economia impongono scelte dolorose. Per questo la finanziaria, come ha detto lo stesso Berlusconi, rischia di scontentare tutti nonostante la riduzione del prelievo fiscale anche per i redditi più bassi. I tagli ai finanziamenti per gli enti pubblici si stanno però per trasformare in tagli ai servizi. Il punto forte della manovra di Tremonti sono comunque i condoni e le cartolarizzazioni. In questo campo si sta esercitando la «creatività» del ministro. Si parla per esempio della vendita del patrimonio immobiliare e del demanio attraverso il trucco della vendita del diritto di superficie e d'uso.

Finanziaria, un regalo per Silvio
Consiglio dei ministri di notte Il governo anticipa a questa sera la riunione sulla finanziaria, lo stesso giorno del compleanno di Berlusconi. I ministri però litigano sui fondi e sui poteri. E ora spunta il trucco della vendita del patrimonio con il diritto di superficie
PAOLO ANDRUCCIOLI
Il governo ha fissato una riunione straordinaria sulla finanziaria per questa sera, domenica 29 settembre, festa di compleanno del premier Silvio Berlusconi. I motivi di una scelta di questo genere potrebbero essere tanti, ma due ci sembrano i più credibili. Il primo: il cavaliere deve chiedere «sacrifici» agli italiani (una parola che non esisteva nel suo vocabolario mediatico). Quindi vuol far vedere che egli stesso per primo è disposto a fare sacrifici per questa Italia che improvvisamente va male. Premier e ministri sacrificano così la sera della domenica per lavorare. Il secondo motivo è molto più maligno. I ministri stanno ancora litigando per tirare la coperta (stretta) dalla loro parte. Non si è ancora risolto definitivamente la questione di quello che avrebbe dovuto essere il fondo unico per i sud. L'ha spuntata Marzano contro Tremonti, ma il compromesso deve essere ancora affinato. L'altro problema ancora aperto è il rapporto con gli enti locali dato che viene confermata la linea della riduzione del trasferimenti (meno 2% agli enti) e viene confermato anche il divieto per gli stessi enti di aumentare le tasse locali.

Un'altra questione dirimente, che sembra per ora messa sotto il tappeto riguarda le regole. I ministri stanno litigando per difendere le risorse dei loro singoli ministeri. Si litiga politicamente sui tagli, si cerca un compromesso con le Regioni, i Comuni e le Province. Ma nessuno pensa a quello che potrebbe succedere nella realtà dopo l'approvazione della finanziaria 2003. Stiamo cioè parlando del decreto blocca spesa che il ministro Tremonti ha fatto approvare e che (seppure con qualche limitazione) gli permette di intervenire per bloccare spese di leggi che non hanno copertura adeguata. «E' molto probabile - commenta Beniamino Lapadula della segreteria nazionale della Cgil - che qualche spesa di qualche ministero sarà bloccata dopo l'approvazione della finanziaria». Insomma ci attendono belle sorprese nel campo del bilancio pubblico e della sua gestione allegra e creativa di questo periodo.

Fino a ieri sera sono circolate molte indiscrezioni e solo domani potremo leggere il testo ufficiale della Legge finanziaria perché la riunione di questa sera si concluderà troppo tardi per poterne dare notizia.

L'entità della manovra dovrebbe essere confermata in 20 miliardi di euro, di cui 8 di tagli sulla spesa, 4 miliardi per le cartolarizzazioni e altri 8 miliardi di euro dal concordato fiscale che in Parlamento potrebbe trasformarsi in un condono fiscale. Per quanto riguarda i risparmi, lo Stato riduce trasferimenti agli enti locali, costringendo così Regioni, Comuni e Province a trovare i soldi da altre parti (aumento dei costi dei servizi). Sempre sotto il capitolo risparmi e tagli c'è la manovra sulle tasse alle imprese, che ha suscitato la reazione della Confindustria. E' prevista infatti la riduzione della Dit, la tassa che era stata pensata dai governi precedenti per far reinvestire una parte degli utili e creare occupazione. La Dit viene ridotta del 35% del suo potenziale modificando il coefficiente con cui si calcolano gli incrementi di capitale. Le aziende sono comunque ancora sul piedi di guerra per la decisione di sospendere prima e poi reintrodurre solo in parte il credito di imposta.

Ma il punto forte di tutta la manovra riguarderà le dismissioni e le cosiddette cartolarizzazioni. Il meccanismo prevede l'individuazione da parte del Tesoro di pacchetti di beni pubblici i cui diritti potrebbero essere ceduti a termine. Siccome per la legge non si possono vendere le proprietà dello Stato, sia in termini di immobili, sia in termini di demanio, il governo sta studiando un meccanismo giuridico per aggirare l'ostacolo. Si vendono i diritti d'uso e di superficie, che essendo diritti reali possono essere acquistati da privati per poterli poi mettere a frutto (affitti, uso delle spiagge e del paesaggio, ecc), dando soldi liquidi allo Stato che farebbe cassa, ma che poi dovrebbe pagare l'affitto per poter utilizzare i suoi stessi beni. O meglio i beni della intera collettività. E veniamo quindi all'altro megacapitolo, quello delle entrate. Il governo conferma il concordato fiscale per adesione di massa che diventa condono. Il fisco invierà un offerta al contribuente in base al suo fatturato per accordarsi sulle tasse da pagare e il debito da sanare. Il concordato preventivo riguarderà tutti coloro che hanno un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro. Si potrà predeterminare l'imponibile fino al 2005. Prevista anche una sanatoria per le violazioni formali, mentre l'Irpeg sarà ridotta dal 36 al 34%. Cambiano anche tutte le aliquote Irpef in cinque scaglioni: 23% fino a 14 mila euro; 28% tra i 14 e 26 mila euro; 31% tra 26 e 33 mila euro; 39% tra i 33 e i 70 mila euro: 45% oltre i 70 mila euro.

Sempre in tema fiscale è prevista la riedizione della Tremonti bis e soprattutto del cosiddetto scudo fiscale la misura che era stata inventata da Tremonti per far rientrare i capitali italiani scappati all'estero, un'operazione che finora non ha certo dato gli esiti sperati. La riedizione dello scudo fiscale potrebbe questa volta coinvolgere anche le società di persone e si parla di un possibile innalzamento dell'aliquota.

Per quanto riguarda le pensioni sembrano per ora rientrati gli annunci più tremendi del partito interventista. Non ci dovrebbero essere cioè interventi sulle pensioni d'anzianità, mentre il trasferimento obbligatorio del Tfr ai Fondi pensioni è ancora nella delega che viaggia in parlamento ma non dovrebbe essere inserito in Finanziaria. Ci sarà invece il superamento del divieto di cumulo tra reddito da lavoro e pensione. Infine, ma non in ordine di importanza, sono previste tutta una serie di agevolazioni per rilanciare i consumi.

Il Progetto di una nuova Yalta
di Siegmund Ginzberg

L'UNITA'


S'è capito che questa guerra la vogliono fare ad ogni costo. «Per cambiare il regime», levar di torno un tiranno sanguinario che rappresenta una minaccia per l'America e il mondo, dicono.
Ma poco o niente s'è capito di cosa vogliano fare dopo.
Per molti è la madre di ogni dubbio. Ma di questo George W. Bush non parla. E chi, tra gli amici «più americani degli americani» come Tony Blair e Silvio Berlusconi, dovrebbe almeno chiederglielo, neppure. Cos'hanno in mente? Una specie di Yalta per il dopo Saddam Hussein? Una nuova spartizione di equilibri e interessi, un nuovo ordine petrolifero mondiale?
C'è aria di cose molto strane. Nuove, o forse vecchie. Danno per scontato che Bush otterrà l'autorizzazione del Congresso Usa all'attacco. Ma tra quelli che gli dicono no in modo appassionato in America c'è l'uomo che, per pochi voti, sarebbe stato presidente al posto suo: Al Gore. Punta all'autorizzazione dell'Onu. Ma a dirgli «no» secco, o almeno «calma, un attimo» sono proprio gli alleati della Nato. «Mosca è d'accordo con me», dice Jacques Chirac.
Ma non si sfugge all'impressione che ad apparire ora bizzarramente più possibilisti siano proprio i «vecchi nemici» Russia e Cina. Bush stavolta non ha bisogno degli europei e degli alleati Nato all'Onu (solo Inghilterra e Francia hanno diritto di veto in Consiglio di sicurezza, la cattolica Irlanda, membro di turno, conta solo un voto su 15, la Bulgaria cerca benemerenze, come tocca spesso ai nuovi arrivati con pecche). Ma che offerte «che non possono rifiutare» avrà fatto Bush per cercare di convincere il russo Vladimir Putin e al cinese Jiang Zemin? Licenza di «guerra preventiva» alla Georgia, come ritengono molti analisti? Licenza di poter dire un giorno: «Taiwan ci minaccia quindi interveniamo militarmente?» (è l'argomento con cui Jacques Chirac ha contestato la pericolosità della «nuova dottrina» americana nella sua recente intervista al New York Times.
Via libera nelle rispettive zone di «influenza»? Un posto d'onore al tavolo di una nuova Yalta? Una cointeressenza nel futuro di una delle più importanti risorse residue di petrolio al mondo, seconda solo a quelle dell'Arabia saudita?
Jeremy Rifkin, cacciatore quasi maniacale di «tendenze» complesse, ha notato in un articolo pubblicato l'altro giorno sul Washington Post la divaricazione, esplosa nel recente summit sullo «sviluppo sostenibile» di Johannesburg tra l'Europa, che spingeva per imporre l'obiettivo, su scala mondiale, di un 15% di energia rinnovabile da qui al 2010, e gli Stati uniti che vi si sono opposti. L'industria energetica europea, comprese le compagnie petrolifere, si sono buttate da tempo nella ricerca di alternative ai combustibili fossili; quelle americane no. Che il mondo tenda a dividersi tra chi punta ad utilizzare e spartirsi al meglio sino all'ultima goccia di petrolio (l'energia, anche a rischio di farsi bollare come «inquinatore del mondo», è stata l'ossessione di Bush sin dall'istante in cui ha messo piede alla Casa Bianca, da ben prima che fosse scaraventato ad occuparsi di Medio Oriente e dintorni) e chi comincia a pensare anche a strade diverse?
Ma questa, dicono, non è una guerra per il petrolio. È una guerra per liberare il mondo da un tiranno che ha armi di sterminio chimiche e batteriologiche, ha già dimostrato di non avere alcuno scrupolo a usarle, e sta facendosi l'atomica. Non era stata per il petrolio la Guerra fredda. Ma cosa sarebbe successo se avessero fatto una «guerra preventiva» all'Impero del Male o alla Cina di Mao, con l'atomica già mentre era nelle convulsioni terrificanti della rivoluzione culturale e aveva dichiarato guerra ideologica all'Occidente? Neanche la Seconda guerra mondiale era certo per il petrolio. Liberò il mondo da Hitler e si concluse con il patto a Yalta tra Roosevelt, Churchill e Stalin. Si dice: funzionò per quasi mezzo secolo. Ma a che prezzo? Ciascuno creò i suoi tiranni e i suoi mostri. Abbiamo davvero voglia di tornare a cose del genere? Ci conviene?
Non era solo per il petrolio che i vincitori della Grande guerra si divisero le spoglie dell'Impero turco, tracciando righe arbitrarie sulla carta, distribuendo troni. Erano convinti di «mettere fine a tutte le guerre», c'è chi è convinto che fu invece così che diedero inizio a tutte le guerre in Medio Oriente. Non si parlò solo di petrolio a Yalta. Ma sulla via del ritorno da Yalta Franklin Roosevelt, che pure era un democratico, pensò bene di fermarsi a Suez, incontrarsi sulla Uss Quincy con re Ibn Saud e promettergli il sostegno alla sua dinastia in cambio del petrolio che nei decenni successivi avrebbe «rifornito» la Guerra fredda. E, curiosamente, l'altro giorno al tavolo cogli europei a Copenaghen, il premier giapponese Junichiro Koizumi ha osservato che anche quella iniziata 60 anni fa dal suo paese contro gli Stati uniti con l'attacco a Pearl Harbor era stata giustificata come «guerra preventiva», perché gli negavano l'accesso al petrolio. Aggiungendo: «Per molti mesi abbiamo pensato che fosse un successo, finché la storia non ha dimostrato il contrario».
Ma almeno, una lunga occupazione militare aveva portato la democrazia in Giappone, il Piano Marshall consolidato quella in Europa occidentale. Tra le giustificazioni di una guerra all'Irak si sente ripetere che il «cambio di regime» potrebbe contribuire a far fiorire la democrazia, e con la democrazia lo sviluppo garantito dalla liberazione delle risorse petrolifere. «Appare probabile che il rimpiazzamento di Saddam con un regime decente apra la strada a più pace e stabilità nella regione. Un Iraq democratico sarebbe una possente refutazione del concetto paternalistico che gli arabi sono incapaci di democrazia», ha scritto ad esempio Richard Perle, antesignano dei teorici della guerra preventiva (ai tempi di Reagan voleva farla fare all'Urss). Suggestivo. Ma il guaio è che non c'è la minima indicazione intendano davvero per «cambio di regime».
Tra le ipotesi avanzate dagli addetti ai lavori: regime come quello di Saddam, solo senza più Saddam; un Karzai iracheno, che per resistere, si nota, dovrebbe sapere essere ancor più feroce di Saddam con i dissenzienti; nuove spartizioni che «correggano» quella del 1923, tenendo conto dell'intrico di interessi dei vicini; o fare dell'Iraq una specie di «51° Stato degli Usa». Fa senso che l'idea più brillante venuta sinora fuori (caldeggiata, pare da Cheney e dal vice di Rumsfeld, Wolfowitz, sia l'unificazione di Iraq e Giordania sotto la monarchia hashemita (l'ultimo re, ammazzato nel 1958, era zio di Hussein di Giordania). O ne hanno di migliori, ma per il momento non possono permettersi di raccontarle? Neanche i protagonisti di Yalta-uno dissero al mondo quello che stavano facendo. Ma viene l'atroce sospetto che almeno avessero le idee più chiare.

La Margherita: "Con una mano danno, con l'altra tolgono"
Critiche anche da Cisl e Uil: "Niente politiche per il Sud"
L'Ulivo boccia la Finanziaria
"Prendono in giro gli italiani"

LA REPUBBLICA

ROMA - L'opposizione attacca e accusa il governo di "prendere in giro gli italiani", "di dare con una mano e togliere con l'altra", di avere come unica cosa certa i sacrifici. Ma il giudizio più atteso sulla Finanziaria varata questa mattina è quello dei due sindacati vicini all'esecutivo. Per il momento il giudizio è "sospeso" in attesa di valutare con più calma il testo della manovra. Ma un'indicazione forte Cisl e Uil la mandano fin da subito: la Finanziaria è troppo debole nelle politiche per il rilancio del Mezzogiorno. "Non vanno", dice espressamente il segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta che sottolinea che "la nostra valutazione definitiva arriverà solo quando avremo in mano un testo e verificato se ci sarà il recepimento dell'accordo sul Patto per l'Italia" "perché ogni ora e ogni minuto le cose cambiano".

"Se saranno confermati - ha proseguito Pezzotta - gli interventi contro le agevolazioni per il Sud e altri provvedimenti annunciati fino ad oggi sicuramente il nostro giudizio sarà alquanto critico. Saremo esattori molto, molto esigenti". E non va molto più lontano Luigi Angeletti della Uil: "Il fatto principale in termini positivi è il taglio delle tasse e il rispetto del Patto che abbiamo sottoscritto col governo. L'elemento più criticabile è invece che non riusciamo a capire se gli investimenti per il Mezzogiorno saranno confermati".

E mentre il governo attende gli sviluppi di questi segnali poco incoraggianti, l'Ulivo non risparmia le critiche alla manovra. Solo "illusioni", afferma Francesco Rutelli. "Si continua solo a dare alla gente delle illusioni - dice il leader della Margheritoa - Si tagliano quattrini ai Comuni e alle Regioni ma i tagli li pagheranno le famiglie perchè dovranno spendere di più per i servizi, le scuole, gli asili, i trasporti, la sanità". "Stangata mascherata", rincara la dose Massimo D'Alema. Secondo il presidente dei ds, la Finanziaria appena approvata dal governo contiene "in modo mascherato una pesante stangata contro gli italiani perchè è evidente che il taglio dei trasferimenti agli enti locali, l'aggancio della fiscalità sulle imprese, si scaricherà sui cittadini in termini di aumento delle tariffe e di riduzione delle prestazioni sociali e di aumento dei prezzi al consumo dei prodotti".

Il presidente dei deputati della Margherita, Pierluigi Castagnetti se la prende con Silvio Berlusconi per avere avocato la gestione della presidenza del Fondo per il Sud: "Se da un lato è evidente che si tratta di una pezza per placare le lotte tra ministri, dall'altro fa sì che il premier surclassi persino Sant'Antonio che aveva, povero lui, il dono solo dell'ubiquità mentre Berlusconi è presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e, ora, anche presidente del Comitato".

Duro il giudizio di Pierluigi Bersani dei Ds: "Il governo insiste a spostare più in là il problema, a mettere polvere sotto il tappeto. Con questo sistema il prossimo anno siamo di nuovo nei guai seri". Dal punto di vista del rigore le misure previste "sono quasi tutte una tantum, condoni, marchingegni finanziari". E anche dal punto di vista dello sviluppo le imprese "ottengono qualche minima cifra su Irap e Irpeg ma hanno già avuto un salasso ben più rilevante con l'ultimo decreto". Per l'ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco la situazione dei conti pubblici è "catastrofica". E, per quanto riguarda la dichiarazione di Tremonti secondo il quale con la manovra Finanziaria è stata messa in atto la più grande riduzione Irpef mai fatta, il diessino Visco replica secco: "Voglio sottolineare che questa riduzione è uguale a quella fatta dal governo dell'Ulivo nel 2000 ed è pari a circa la metà di quella da noi realizzata nel 2001", dice Visco. Insomma, "questi sono giocatori di poker che sperano nella mossa successiva solo che prima o poi qualcuno andrà a vedere". Secondo il segretario dell'Udeur Clemente Mastella la Finanziaria "prende in giro gli Italiani"

Critico anche il responsabile economico per la Margherita Enrico Letta: "L'idea che mi son fatto è che la Finanziaria taglia con la mano destra quello che dà con la sinistra". Per esempio, dice l'ex ministro dell'Industria del centrosinistra, "gli sgravi per i redditi più bassi, che sono un fatto positivo, sono compensati dal pesante taglio agli enti locali, che equivale a un automatico taglio ai servizi alla persona in materia di sanità, assistenza sociale e istruzione".

(30 settembre 2002)

Maratona notturna per mettere pace tra i ministri
Berlusconi: "Il taglio della tasse è confermatissimo"
Il governo vara
la Finanziaria
Il premier gestirà direttamente i fondi del Mezzogiorno

LA REPUBBLICA

ROMA - Dopo una lunga maratona notturna, tensioni e polemiche tra i ministri, faccia a faccia preparatori, il coinvolgimento diretto del premier nella gestione dei fondi del Mezzogiorno, il governo ha varato la finanziaria 2003. Valore complessivo: venti miliardi. Durata della riunione: sei ore. Tempo utile per dirimere i nodi e le perplessità di alcuni ministri. O almeno per poter varare un testo che porta in calce la firma di tutto l'esecutivo, ma che non cancella i nervosimi interni. Come quelli del ministro della pubblica istruzione, Letizia Moratti che ha criticato le misure contenute nell'articolo 12 della Finanziaria sulla scuola. e come quelli del ministro delle attività produttive Antonio Marzano che, nel corso della riunione, si è lamentato per come si stava gestendo la questione dei fondi per il mezzogiorno. Questione che Berlusconi ha risolto prevedendo una flessibilità di spostamento delle risorse, sottraendo la gestione al comitato ad hoc e assumendola direttamente sulle sue spalle. Una sorta di interim che si aggiunge a quello del ministero degli esteri.

Alla fine Silvio Berlusconi annuncia: "L'avvio della riforma fiscale con un primo taglio delle tasse è confermatissimo. Ci saranno molti italiani che avranno più soldi da spendere perché, con la riduzione delle imposte per alcune tipologie di redditi, si potranno creare nuovi investimenti e nuovi consumi a sostegno dell'economia".

In attesa di saperne di più (Berlusconi illustrerà la Finanziaria oggi pomeriggio), l'unica cifra che si conosce è quella dell'entità globale della Finanziaria: 20 miliardi di euro. Esclusi, assicura il premier, tagli alle spese. Prevista, invece, la riduzione degli aumenti di spesa. "Non abbiamo tagliato le spese rispetto agli anni precedenti - dice Berlusconi -. Le spese sono quelle dello scorso anno con un incremento minore". La macchina dello Stato, assicura il premier, "continuerà a dare tutti i servizi che deve dare, ma aumenta le spese meno di quanto non aumenti il Pil".

Infine le polemiche interne al governo sulla stesura del testo. Il premier, ovviamente, minimizza: "Tutti i ministri cercavano ovviamente di portare avanti le necessità del proprio ministero per poter realizzare i programmi. E' chiaro che ci fosse da parte di ciascuno il tentativo di avere il più possibile dei fondi. Però quando si devono tagliare le spese....".


(30 settembre 2002)