"Manca solo la riforma delle pensioni"
Berlusconi: "Una Finanziaria
senza precedenti"
Tremonti: "Nel 2003 crescita al 2,3%
e indebitamento netto all'1,5%"

ROMA - "Una Finanziaria senza precedenti per la gente che lascia più soldi nelle tasche di milioni di famiglie in modo che possano consumare di più". Cosi Silvio Berlusconi, attorniato a palazzo Chigi dal suo vice Gianfranco Fini e dai ministri Giulio Tremonti, Rocco Buttiglione, Roberto Maroni, presenta il risultato delle fatiche notturne del governo. Una lunga notte di trattative che Berlusconi derubrica a "discussione vivace" e che alla fine trova un punto di arrivo che soddisfa tutti. E, non a caso, per dare il segno dell'unità attorno al tavolo della conferenza stampa c'erano un ministro per ogni pezzo della coalizione. Una Finanziaria "che ci permette di mantenere le promesse" e che fissa l'obiettivo del 2,3% di crescita per il 2003 e dell'indebitamento netto all'1,5%.

Berlusconi spiega. "E' una Finanziaria che non tocca la spesa sociale, che imbriglia le spese della Pubblica amministrazione ma non le riduce nella loro entità, che elimina sprechi che esistono e possono essere annullati. Una finanziaria che riduce Irpeg da 36% a 34%, riduce l'Irap alle piccole imprese anche se elimina regali elettorali della sinistra, che aumenta gli ammortizzatori sociali". Per abbreviare in uno slogan: "Meno spese, meno sprechi, più consumi, più produzione".

La migliore Finanziaria possibile ("l'essere riusciti non solo a non aumentare le tasse ma ad abbassarle di un punto in questa situazione è commendevole") alla quale per il premier manca solo una cosa: "La riforma delle pensioni". Di questo si discute in Europa ma, nonostante Berlusconi sia convinto che "non è logico che un cittadino stia per trent'anni sulle spalle dei cittadini più giovani", assicura che le "pensioni non entreranno nella Finanziaria nemmeno durante il dibattito parlamentare".

Per il resto c'è tutto, dice Berlusconi che striglia le Regioni ("quelli che ci criticano"): "dovranno gestire più attentamente i nostri soldi, e questo ci è dovuto", e l'opposizione: "Dice che non manteniamo le promesse e invece i 5 punti del contratto con gli italiani li abbiamo rispettati tutti". Quanto all'ottimismo il premier cita l'ex ministro Vanoni e dice: "Spargere ottimismo è un dovere per il governo".

Anche Fini e Buttiglione se la prendono con l'opposizione e mentre Maroni conferma che 700 milioni di euro saranno destinati agli ammortizzatori sociali mentre verrà abolito il divieto di cumulo fra stipendi e pensioni è Tremonti a spiegare la manovra nel dettaglio e nei numeri. Obiettivo di crescita per il 2003 2,3%, indebitamento all'1,5% dice il ministro dell'Economia "in linea con l'Europa - dice Tremonti - mentre l'opposizione formulava scenari che non inquadravano andamento europeo". Quanto alla spesa , "non ci sarà una riduzione. La spesa aumenta. Ma c'è una sua minor incidenza rispetto al Pil, che passerà dal 38,1% dello scorso anno al 37,6%".

Poi la conferenza finisce e Berlusconi manda a casa i suoi ministri: "Dopo una notte in bianco sono stanchi, loro non io".

(30 settembre 2002)

30.09.2002 L'opposizione già pronta a mobilitarsi contro la «Finanziaria degli inganni»

di Red.

La situazione dei conti pubblici, così come si prospetta anche dopo la presentazione della manovra Finanziaria è «poco meno che catastrofica» per Vincenzo Visco (Ds), ex ministro delle Finanze. «La vera novità è un innalzamento del debito netto a 2,1% e considerando che l'obiettivo era dello 0,5% è evidente che la situazione appaia quasi catastrofica», ha commentato parlando con i giornalisti in una pausa del direttivo dei Ds. «Bisogna anche considerare che il 2,1% deriva dal fatto che sono state aumentate le tasse sulle imprese dello 0,3-0,4%. Inoltre l'Eurostat aveva spostato da un anno all'altro un altro 0,3%. Se si considera tutto questo - ha spiegato Visco - quest'anno si andrebbe al 2,7%. Questa situazione disastrosa deriva esclusivamente dal fatto che in questi 15 mesi sono state fatte leggi completamente prive di copertura finanziaria e spesi soldi che non c'erano. Senza queste scelte avremo potuto chiudere sotto l'1%. Invece di un risultato disastroso vicino al 2,6%. Per l'anno prossimo sperano di raggiungere l'1,5% ma andranno sopra il 2%». Visco lancia una stoccata polemica al governo anche per quel che riguarda la dichiarazione di Tremonti secondo il quale con la manovra Finanziaria è stata messa in atto la più grande riduzione Irpef mai fatta. «Voglio sottolineare che questa riduzione è uguale a quella fatta dal governo dell'Ulivo nel 2000 ed è pari a circa la metà di quella da noi realizzata nel 2001», dice Visco. Come è possibile il taglio delle tasse previsto, considerando il quadro economico finanziario generale? «È possibile ridurre le tasse - risponde Visco - con i soldi che già avevamo messo noi in previsione. Se si fanno i conti degli ultimi due anni, le riduzioni messe in atto dall'attuale governo corrispondono a quelli messi in previsione dal centrosinistra». Quello che fa il governo, dunque, «è pura propaganda. Le cose vanno male, annaspano e cercano di manipolare l'opinione pubblica». Anche a proposito del rispetto del Patto di Stabilità Visco ha da aggiungere qualcosa. «Riusciranno a ridurre il disavanzo strutturale solo nella misura in cui riusciranno a mettere fuori bilancio attraverso le infrastrutture o altri marchingegni come quello trasformazione delle agevolazioni alle imprese in contributi in conto capitale, almeno 5-6 miliardi di euro». Ancora, «i tagli di spese sono solo virtuali e i proventi da condono irrealistici, tenendo conto che gran parte dei contribuenti si è già messo a posto. A meno che il governo non voglia esercitare una vera e propria minaccia in caso di mancata adesione». Insomma, «questi sono giocatori di poker che sperano nella mossa successiva solo che prima o poi qualcuno andrà a vedere». Infine, per quanto riguarda il congelamento dell'Irpef addizionale per gli enti locali, Visco osserva che si tradurrà in minor servizi e minor assistenza. «Incidentalmente - conclude il parlamentare Ds - va detto che poiché la manovra sull'Irpef è fatta in modo tale che una parte della popolazione ci rimetterebbe, c'è una clausola di salvaguardia che si tradurrà, per i contribuenti, nella necessità di tener conto di due diversi calcoli dell'Irpef e quindi in ulteriori costi per la presentazione dei redditi». Alle parole di Visco si uniscono quelle di Marco Rizzo, capogruppo dei comunisti italiani, che definisce la finaziaria «un gigantesco inganno che colpirà pesantemente i redditi dei cittadini italiani». «Il calo dell'irpef - afferma Rizzo - è una presa in giro: il governo con una mano dà un pò di briciole, con l'altra taglia massicciamente i traferimenti alle Regioni e agli enti locali, taglia i fondi alla scuola e alla sanità pubblica. I costi di questa operazione graveranno pesantemente nel potafoglio delle famiglie italiane». Negativo anche il giudizio di Dario Franceschini, coordinatore nazionale della Margherita, «non solo perchè non vengono mantenute le promesse elettorali come "meno tasse per tutti" o l' elevazione delle pensioni minime, ma si va esattamente in direzione opposta con una aumentata pressione fiscale. Tutto questo le famiglie italiane lo stanno capendo». di

Piergiorgio Liberati

Ecco quanto pesa la mancata restituzione del fiscal drag
di Raul Wittenberg

Cala l’Irpef per i redditi medio bassi con un complesso incrocio fra riduzioni del reddito su cui si deve pagare (deduzioni) e rimodulazione delle aliquote in vista della loro riduzione a due. L’entità della manovra sull’imposizione alle persone fisiche - 5,5 miliardi - non si allontana da quella prevista dal governo Amato per oltre 4 miliardi di euro dal 2002. E quindi effettivamente l’anno prossimo, sui redditi 2002, si verseranno meno imposte. Per i contribuenti però, a cominciare dai lavoratori dipendenti, pesa la mancata restituzione del drenaggio fiscale per oltre 1,5 miliardi di euro in due anni, le retribuzioni ferme ad una inflazione programmata lontana da quella reale, la maggiore partecipazione alla spesa sanitaria, l’inevitabile peggioramento dei servizi resi dagli enti locali.
Secondo il ministero dell’Economia per i lavoratori dipendenti la riduzione media Irpef è pari a 436 euro per i redditi fino a 11.000 euro, di 295 euro per i redditi tra 11.000 e 18.000 euro, 214 euro per i redditi tra 18.000 e 25.000 euro. La riforma introduce la fascia di reddito in cui non si paga l’Irpef («no tax area»), ridisegna la parte bassa della curva Irpef e trasforma le detrazioni per carichi di lavoro in deduzioni. Nessuno dovrà pagare di più grazie alla clausola di salvaguardia che prevede la possibilità per il contribuente di pagare l'Irpef in base alla situazione attuale. La clausola è prevista dal punto 3 dell’articolo della Finanziaria dedicato al fisco, l’articolo 2, stabilendo che riguardo all’imposta dovuta per l’anno prossimo (e negli anni successivi?) «in sede di dichiarazione dei redditi i contribuenti possono aoolicare le disposizioni...in vigore al 31 dicembre 2002, se più favorevoli».

La norma inizia con il nuovo sistema di deduzioni (riduzione dell’imponibile rispetto a quel che si guadagna) che - come previsto dalla riforma fiscale - dovranno sostituirsi al meccanismo delle detrazioni (riduzione dell’imposta che si sarebbe dovuto pagare su un certo reddito imponibile). E qui il semplificatore delle norme fiscali, come ama definirsi il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, cade in un ginepraio inestricabile con una formulazione talmente complicata che farà la fortuna dei commercialisti: nessuno sarà in grado di farsi la dichiarazione dei redditi. La vulgata del ministero spiega che la trasformazione delle detrazioni esistenti in deduzioni per le categorie lavoratrici avviene con l’aggiunta alle deduzioni esistenti (mutui, premi assicurativi, certe spese sanitarie ecc.) avviene con l’aggiunta di una nuova deduzione uguale per tutti di 3.000 euro. Ulteriori indicazioni determinano una «deduzione complessiva» di 7.500 euro per i lavoratori dipendenti, 7.000 per quelli da pensione e di 4.500 per i lavoratori autonomi. Si introduce poi una formula matematica per assicurare la progressività dell’imposta con l’aumentare del reddito, per cui nella sostanza le deduzioni complessive saranno decrescenti al crescere del reddito e tenderanno ad annullarsi per i redditi oltre i 26.000 euro.
In particolare l’imposta non è dovuta per i redditi da pensione fino a 7.500 euro annui, anche se il pensionato ha un reddito da terreni fino a 185,92 euro; l’abitazione non conta. Nella precedente normativa l’esenzione operava attraverso le detrazioni, sui redditi fino a 12 milioni di vecchie lire (6.197,4 euro) non contavano i terreni fino a 360.000 lire (185,92 euro).

Quindi la soglia di esenzione sale di 1.300 euro. La norma prosegue indicando la deduzione di base (3.000 euro) e le aggiunte differenziate per lavoratori dipendenti (4.500 euro) ai quali restano assimilati i collaboratori fino all’attuazione della delega previdenziale; per i pensionati (4.000 euro); per i lavoratori autonomi (1.500).

Risparmiamo al lettore la formula matematica con cui si perviene alla progressività, e che fa perno proprio sul reddito di 26.000 annui oltre quali non c’è deduzione. Ma se guardiamo al reddito medio da lavoro dipendente, pari a 22.000 euro annui, l’imponibile si ridurrebbe di 3.317 euro a 18.683 euro. Una volta stabilito il reddito imponibile, ecco le nuove aliquote: 23% fino a 15mila euro, da 15mila a 29mila il 29% che diventa il 31 per i redditi da 29mila a 32.600 e del 39% per quelli da 32.600 a 70mila euro. L’aliquota massima, il 45% per i redditi sopra i 70mila euro.

La norma prevede la sospensione degli aumenti delle addizionali Irpef comunali e regionali in attesa della legge sul federalismo fiscale. L’Irpeg scende dal 36 al 34%, si riduce l’Irap. Imprese e lavoratori autonomi potranno accedere sia al concordato preventivo di tre anni, e per il pregresso su importi non inferiori a 3.000 euro per le persone fisiche e a 9.000 euro per gli altri. Oltre i 5.000 (persone fisiche) o i 10.000 euro (gli altri) la maggiore imposta sulla parte eccedente si dimezza.


30.09.2002 Più danni per tutti

di Guglielmo Epifani

La Finanziaria varata dal Consiglio dei ministri è contro l’Italia. Perché contemporaneamente non è in grado di fare rigore, nè di determinare condizioni di sviluppo nella fase di forte rallentamento dell’economia e non rispetta nemmeno criteri di equità sociale. Il governo non fa rigore perché i conti sono approssimativi. Dopo mesi di propaganda ottimistica, l’esecutivo ha dovuto guardare in faccia una realtà totalmente diversa. Ma oggi i numeri sugli introiti previsti sono assolutamente aleatori e il concordato fiscale oltre a essere iniquo dal punto di vista morale è del tutto sovrastimato rispetto alle possibilità reali. La Finanziaria non assicura sviluppo perché taglia agevolazioni e investimenti ai settori produttivi e soprattutto al Mezzogiorno, il limite del Patto per l’Italia si trova così confermato come la Cgil aveva più volte denunciato: non c’è nessuno strumento di intervento a breve per sostenere gli investimenti. Un imprenditore che volesse investire oggi nel Sud non può farlo perché non sa quale quadro di agevolazioni e convenienze ha a disposizione. Con il rallentamento dell’economia mondiale e le gravi difficoltà, evidenti a tutti, del nostro sistema, il Mezzogiorno corre il rischio di perdere quelle possibilità di ripresa che negli anni scorsi si erano verificate. La Finanziaria, inoltre, non è equa perché la riduzione del peso fiscale arriva tardi ed è l’anticipo di una nuova manovra fiscale tutta spostata a favore dei redditi medio-alti. Non controllando l’inflazione e i prezzi, quello che i lavoratori a reddito più basso riceveranno lo pagheranno due volte. E, soprattutto, tagliando i trasferimenti agli enti locali nei settori della scuola e della sanità, il governo costringerà i cittadini, in particolare i giovani e gli anziani, a non avere più le prestazioni che fino ad oggi erano garantite e li costringerà a pagarsele da soli. Questa, poi, è una Finanziaria che ripristina una grande centralizzazione delle decisioni di spesa, un’assoluta discrezionalità di Roma a danno di Comuni e Regioni che vedono fortemente limitata la propria autonomia e i propri poteri. Si chiude così, con questo intervento pericoloso e dannoso per il Paese, il quadro degli attacchi avviato dal governo Berlusconi in materia di diritti con la minaccia all’articolo 18 e con la delega sul lavoro, e tutto questo non fa che confermare e rafforzare le ragioni dello sciopero generale indetto dalla Cgil per il prossimo 18 ottobre. Non a caso l’abbiamo chiamato «Uno sciopero per l’Italia», per l’Italia dei diritti, dello sviluppo con la qualità, per un Paese fondato sulla coesione sociale e istituzionale.

30.09.2002
La Finanziaria del sorriso, che taglia un po' di tasse ma tanta scuola, sanità, salario
di Marcella Ciarnelli

Quando definisce «di ferro» il suo governo, Silvio Berlusconi si sente molto Margaret Thatcher, uno dei suoi modelli preferiti. Sul far della sera, a Palazzo Chigi, in una sala Verde stipata all’inverosimile, il premier si esibisce nella sceneggiata «finanziaria che non toglie ma dà» dividendo la scena con un rappresentante per ogni partito della coalizione. Non necessariamente esperto in economia. Ma testimonial di una maggioranza che a tutti i costi vuol far credere di essere unita e coesa. Fini alla sua destra, Tremonti alla sinistra, Buttiglione e Maroni alle ali. Ascoltano assorti e forse un po’ assonnati data la notte in bianco trascorsa per cercare di mettere d’accordo le diverse esigenze che sui ministri qualche traccia l’ha lasciata, come ci tiene a sottolineare Berlusconi lo stakanovista, che si scusa per la mancanza di sintesi di alcuni dei suoi colleghi.
Lui va dritto per la sua strada a magnificare la Finanziaria «di un governo che mantiene le promesse e rispetta il patto per l’Italia e quello di stabilità» oltre al contratto con gli italiani siglato in tv. Una manovra «innovativa e senza precedenti» all’insegna del «meno sprechi», che «non tocca la spesa sociale e che imbriglia le spese della pubblica amministrazione». Un’operazione che è una sorta di inno alla gioia perché è dovere del governo e, innanzitutto, del premier «diffondere ottimismo così come ho letto in un discorso del ministro Ezio Vanoni», un politico che se fa gioco si può prendere ad esempio,che nel 1951 fu autore di una riforma tributaria che stabilì la riorganizzazione degli uffici finanziari.

Una manovra del sorriso a tutti i costi. Anche se i mercati crollano solo all’ipotesi che possa scoppiare la guerra che tanto piace al suo amico Bush. Anche se non va a genio alla maggioranza del sindacato, ai sindaci e i presidenti di Regioni che, ne è sicuro il premier, alla fine si ricrederanno «perché una gestione più attenta che nel passato è dovuta. Ce lo chiedono i cittadini e gli esperti: dobbiamo diminuire la spesa pubblica ed operare riforme strutturali» in modo da innestare un circolo virtuoso che in questo momento vedono solo lui e i suoi.

I dettagli della Finanziaria di Robin Hood il premier li ha lasciati alla complicata dialettica di Giulio Tremonti, gran maestro del celare dietro termini termini tecnici, preferibilmente inglesi, le fregature messe insieme per gli italiani. Lo fa con imbarazzo mascherato da stanchezza. Ma il premier in persona ci ha tenuto a confermare che nella manovra definita all’alba non è prevista nessuna riforma delle pensioni. «Su questo argomento sta lavorando l’Europa per aumentare l’età pensionabile». Come la pensa lui è cosa nota: «Non credo sia giusto far gravare un cittadino per altri trent’anni sulle spalle dei più giovani».
Gianfranco Fini si prende poco spazio, giusto il tempo per attaccare l’opposizione che a suo parere definendo «demagogica e populista» la manovra dimostrerebbe di avere armi spuntate al suo arco. Glissa sulla devolution, ferita aperta su cui non è caso nel giorno della gloria di gettare sale, il ministro Maroni che preferisce vantare il rispetto del patto con Cisl, Uil e gli industriali. Perde l’occasione di tacere Rocco Buttiglione quando, per un eccesso di zelo, fa notare a quanti insistono sul conflitto d’interessi di Berlusconi che «poiché chiediamo sacrifici solo alle grandi imprese che hanno realizzato utili elevati, con questa finanziaria le aziende del premier perdono diverse decine di miliardi».

Sulla lunga notte dei tagli ai ministeri solo notizie rassicuranti. «È stata una discussione vivace» conferma il premier che sull’evidenza non può mentire. «Bene hanno fatto i ministri nel difendere le proprie posizioni ma altrettanto bene ha fatto il premier -sottolinea Berlusconi parlando in terza persona -a contenere certe richieste». Nell’elenco degli scontenti in testa ci sono Letizia Moratti, Girolamo Sirchia, Beppe Pisanu e Lucio Stanca. Medaglia d’oro ad Antonio Marzano che si era illuso di gestire i fondi per il Mezzogiorno. Niente da fare. Il premier si è accaparrato un altro interim. I fondi per il Sud li gestirà Berlusconi in persona tra un viaggio all’estero, un vertice e un incontro da premier.