Abbandonare,
finanziare senza vincoli o irizzare l'auto italiana? Il giorno più nero della Fiat Il governo rinvia ogni decisione sulla crisi del Lingotto, proprio nel giorno più difficile: crollano le azioni in borsa, Moody's minaccia di gettare i titoli dell'avvocato Agnelli nella spazzatura. Oggi l'incontro a Roma tra la direzione aziendale e i sindacati LORIS CAMPETTI
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«Ma Torino si
salverà» Il sindaco Chiamparino chiede discontinuità a Fiat e sindacati LO. C. «Nulla può indurre all'ottimismo, ma non sono disperato. Torino ha le risorse per superare questo momento difficile. Molto dipenderà dall'atteggiamento Fiat: se al Lingotto hanno in testa di far pagare pagare sic et simpliciter i costi ai lavoratori; se non opereranno una discontinuità nei rapporti con i sindacati, allora la gestione sociale della crisi sarà complicata». Parla il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, mentre lo spettro dell'80 si aggira nel cielo di Torino. Sindaco, qual è l'aspetto più grave della crisi Fiat? L'avvitamento, la spirale che allontana il marchio Fiat dai consumatori. C'è una crisi di fiducia grave, ma penso che la fiducia nel futuro vada ricostruita innanzitutto all'interno dell'azienda, tra i quadri e nel management diffuso. Il cambiamento radicale nel gruppo dirigente ha spiazzato un'azienda dove la burocrazia conta ancora molto. C'è chi pensa: poteva andar peggio per Torino. Le prime vittime saranno Termini e Arese, magari Mirafiori si salverà... Se non si investe su prodotti competitivi, senza un vero piano industriale per il rilancio, nessuno stabilimento sarà garantito, tanto meno Mirafiori. Si dice che Torino dovrebbe ripartire con i modelli che usciranno nei prossimi anni. E' una scommessa, una speranza. Non chiedere a me se poi le cose andranno per il verso giusto... Senza una base industriale forte, neanche una seria finanziarizzazione è possibile, lo stanno comprendendo anche i rami della proprietà propensi a liberarsi della produzione per concentrarsi nella finanza.. Ma il futuro non si vede senza discontinuità nella gestione e nella proprietà, nelle relazioni, nella progettazione di propolsori. I manager Fiat mi dicono che i modelli in uscita entro il 2004 dovrebbero colmare il gap esistente. Poi, sono convinto anch'io che servono nette discontinuità. Nel rapporto con i sindacati, intanto. Serve un nuovo clima concertativo. Ma se tutti sono stati informati delle intenzioni della Fiat salvo i sindacati. Eppoi, i sindacati sono divisi, reduci da un accordo separato firmato da Fim e Uilm su un piano finto rifiutato dalla Fiom, facile profeta di sventura. Non credere che la Fiat mi abbia detto chissà cosa. Non giova a nessuno gridare «l'avevamo detto», piuttosto andiamo a vedere il gioco del nuovo management. Ce la farà Torino, e a che prezzo, a uscire dalla crisi? Le Olimpiadi bianche salveranno la città orfana dell'auto? La città ha le risorse per farcela, soprattutto in campo industriale. E non sottovalutare il traino, anche psicologico, delle Olimpiadi. Ma dobbiamo salvare il polo d'eccellenza sull'auto sostenendo la nascita di un grande produttore europeo, la Gm europea, integrando Fiat e Opel. Non credo alla nazionalizzazione e rifiuto la prassi dei finanziamenti pubblici a pioggia. Penso invece a una società mista per rilanciare la ricerca sui propulsori. Il comune è disponibile a investirci. |
«Licenziano
per vendere» Claudio Sabattini parla della crisi di oggi e di quella dell'80 P. A. Sulla crisi della Fiat e sui riflessi industriali in Sicilia, abbiamo intervistato Claudio Sabattini, segretario della Fiom siciliana, un sindacalista che da segretario generale della Fiom e prima ancora da responsabile nazionale del settore auto per la Fiom ha seguito tutto il percorso della Fiat dalla crisi del 1980 a oggi. Sabattini, come giudichi la crisi attuale e quali sono le similitudini - se ci sono - con l'80? Quella di oggi è una crisi pesantissima in un settore molto importante che però ha smesso di innovare sul piano soprattutto del prodotto. Una innovazione che implica investimenti giganteschi di fronte a ciò che altri già stanno facendo, come per esempio il motore a idrogeno. Questa mancanza di scelte strategiche della Fiat spiega l'alto indebitamento e la perdita di quote di mercato soprattutto in Italia. E causa di tutto ciò sta solo nella Fiat in quanto tale. Rispetto poi alle similitudini con l'80 a me sembra che ci sia soprattutto una differenza sostanziale tra quella crisi e questa di oggi. Nell'80 la Fiat rilanciava se stessa e si proponeva un ammodernamento e una innovazione tagliando in modo drammatico la forza lavoro. Oggi il presupposto della ristrutturazione è invece quello di poter acquisire la possibilità di vendere Fiat auto in condizioni possibili, dato che oggi è invendibile. Che cosa succederà ora in Sicilia? Ha un futuro lo stabilimento di Termini Imerese? Sia per la Sicilia, ma anche più in generale c'è da dire che si tratta della solita operazione senza un filo strategico. Un'operazione funzionale solo a tagliare per diminuire il debito. Credo che d'altra parte a Termini Imerese ciò non avrà nessuna possibilità di verificarsi perché qui si sono riassunti tutti i problemi di quest'ultimo decennio. Semmai il problema vero per la Fiat di Termini Imerese è quello del rilancio strutturale di prodotto e di processo. E' una questione generale che vale per la Sicilia, ma vale per tutto il gruppo e per tutte le realtà di Fiat auto. Non ha alcun futuro il tentativo di affrontare e risolvere la crisi attraverso un durissimo processo di ristrutturazione. In questi giorni sono state avanzate proposte precise a proposito del ruolo che lo stato italiano dovrebbe avere in questa vicenda. Ci sono state anche proposte di «nazionalizzazione», come quella avanzata per esempio dal segretario di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti. Che cosa ne pensi? Credo sia prima di tutto interessante dare uno sguardo all'Europa. Ci si accorgerà, valutando lo stato di salute delle industrie automobilistiche degli altri paesi, che gli esempi più positivi, quelli che più hanno saputo reagire alla crisi, sono quelli della Renault e della Volkswagen, due grandi gruppi industriali che sono a capitale misto. Intanto però dobbiamo capire se il piano Fiat serve ad azzerare il debito per facilitare la cessione a General Motors, cioè se serve solo alla famiglia Agnelli, oppure punti a rilanciare sul serio la principale industria italiana partendo dal Mezzogiorno. Questo lo capiremo già oggi a Roma all'incontro con Fiat. |
Arese senza
futuro Operai in lotta per un «altro» posto di lavoro MANUELA CARTOSIO MILANO
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Incentivi per
l'auto, ci sarà una proroga?
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La protesta
disperata di Termini Imerese
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Le due crisi VALENTINO PARLATO
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La
riorganizzazione del gruppo Fiat coinvolgerà
complessivamente 8.100 lavoratori: «Complessivamente - si legge nel piano - la cassa integrazione guadagni straordinaria e la mobilità interesseranno circa 8.100 lavoratori del gruppo Fiat ». La Fiat ha chiesto ufficialmente lo stato di crisi aziendale. Quattro ore di sciopero venerdì 11 ottobre, e un' altra giornata di protesta in un giorno da stabilire, sono la prima risposta di Fiom, Fim, Uilm e Fismic. Il Lingotto sta presentando alle parti sociali il piano di ristrutturazione in queste ore mentre Berlusconi ha convocato un tavolo interministeriale per analizzare la grave crisi torinese. Il gruppo Fiat presenterà la richiesta di stato di crisi per Fiat Auto e per alcuni stabilimenti di Comau e Magneti Marelli le cui attività sono strettamente condizionate dall'andamento di Fiat Auto. Oltre alla cassa integrazione, il gruppo Fiat intende far ricorso, per le altre società del gruppo, alla mobilità: il provvedimento interesserà 300 addetti della componentistica e 200 delle società dei servizi e di capogruppo, per un totale di 500 lavoratori, di cui 300 nell'area torinese. Un piano definito da Umberto Agnelli, presidente di Ifi e Ifil, triste ma necessario. La Cigs che parte da dicembre 2002 e per la durata di 1 anno, sarà così articolata: - TORINO: 1.000 lavoratori di Fiat Auto e 350 di Comau e Magneti Marelli che rappresentano meno del 5% dell'occupazione del gruppo Fiat nell'area torinese. A luglio 2003 la Cigs scatterà per altri 2.000 lavoratori (1.700 di Fiat Auto e 300 di Comau Service) per la cessazione dela Panda. Per i lavoratori dell'attività produttiva è previsto il rientro al lavoro in relazione all'avvio dei nuovi modelli ed alla crescita dei volumi. Per gli altri lavoratori verrà predisposto un piano di formazione per al ricollocazione e l'eventuale ulteriore utilizzo di strumenti di accompagnamento alla pensione. - ARESE: circa 1.000 lavoratori (25% degli addetti nel comprensorio e il 50% dell'occupazione di Fiat Auto nell'area) per i quali sono previsti la ricollocazione nell'ambito delle iniziative avviate nel comprensiorio da parte degli acquirenti dell'area e la predisposizione di un piano di formazione per nuovi impieghi e l'eventuale ulteriore utilizzo di strumenti per l'accompagnamento alla pensione. - CASSINO: 1.200 lavoratori (25% occupati) che potranno rientrare la lavoro nel 2003 in relazione alla salita dei volumi produttivi dalla Stylo station wagon. COSTI. «Si rende necessario adottare un più incisivo piano di ridimensionamento dei costi a tutti i livelli, anche con la revisione delle strutture di management». È uno dei passaggi chiave del piano presentato oggi dalla Fiat ai sindacati.La produzione dei veicoli a minimo impatto ambientale (Vamia) e delle costruzioni sperimentali, attualmente ad Arese, sarà trasferita a Torino. È quanto si legge nel piano del gruppo torinese presentato ai sindacati. PRODOTTI. Per l'innovazione dei prodotti, la Fiat Auto «ha un programma di investimenti in attivo fisso e in Ricerca e Sviluppo per 2,5 miliardi di euro in media l'anno tra il 2002 e il 2005». «Questi investimenti - si legge nel piano - sono finalizzati alla realizzazione di nuovi prodotti che andranno a coprire anche alcuni segmenti di mercato in espansione nei quali oggi l'azienda non è presente. Al termine del rinnovo della gamma l'età media dei modelli di Fiat Auto scenderà al di sotto dei quattro anni». |
CRISI FIAT Epifani: "A rischio migliaia di lavoratori" ROMA, 9 OTTOBRE 2002 - Se la Fiat non presenterà un vero e proprio piano industriale il rischio è quello di migliaia di licenziamenti. Lo ha detto il segretario confederale della Cgil, Marigia Maulucci, responsabile per le politiche economiche della confederazione guidata da Guglielmo Epifani. «Se la proposta della Fiat - ha spiegato Maulucci, a circa due dall' incontro tra Fiat e sindacati - è quella trapelata in questi giorni, credo ci saranno migliaia di lavoratori che saranno licenziati. Purtroppo, credo che quello che ci diranno risponderà proprio a questa entità e a queste caratteristiche. Infatti - ha spiegato - gli strumenti che vengono indicati per gestire gli esuberi, in assenza di un vero piano industriale e di sviluppo, sono sostanzialmente ammortizzatori senza futuro». «Noi, dunque, - ha proseguito Maulucci - confermiamo la scelta fatta non sottoscrivendo il precedente accordo con Fiat e la necessità che ci venga presentato un vero piano industriale che salvi l' asset industriale della casa torinese e l' occupazione. I posti di lavoro non vanno assolutamente dispersi. Per noi - ha concluso - se si parla di esuberi dovranno essere esuberi che devono ritrovare una collocazione lavorativa e produttiva» |
Allo studio
interventi a favore dei lavoratori Vertice di governo sulla crisi Fiat Incontro a palazzo Chigi con i ministri economici e del welfare: al centro della discussione le possibilità di sostegno sociale ROMA - La crisi della Fiat diventa un caso politico. È in corso dalle 19.15 un vertice di governo a palazzo Chigi. Partecipano alla riunione Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini, Giulio Tremonti, Antonio Marzano, Roberto Maroni, Maurizio Gasparri e Rocco Buttiglione. Al centro della discussione le possibilità di intervento del governo sulle ripercussioni sociali dei tagli previsti dal piano di di ristrutturazione presentato oggi ai sindacati.9 ottobre 2002 |
Fiat, la
riorganizzazione coinvolgerà 8.100 lavoratori Umberto Agnelli: dai sindacati ci aspettiamo collaborazione L'azienda investirà 2,5 miliardi entro il 2005: i nuovi modelli 9
ottobre 2002 I sindacati chiederanno l'intervento del governo per risolvere la crisi della Fiat. Lo ha detto il segretario generale della Uilm, Antonino Regazzi, che, nel corso della conferenza stampa seguita all'incontro con i vertici della casa torinese, ha ribadito come i sindacati «siano assolutamente contrari a discutere sulle eccedenze». «Allo stato dei fatti - ha aggiunto - non c'è alcuna garanzia per il rientro dei lavoratori dichiarati in esubero». Maroni precisa di essere contro l'ipotesi della reintroduzione di strumenti come prepensionamenti e mobilità lunga per la crisi Fiat. E aggiunge che le decisioni del Governo vanno nella direzione di incentivare la presenza al lavoro e non l'uscita sottolineando che la crisi riguarda l'intero governo e che sarà gestita dalla Presidenza del Consiglio. Per il vicepremier Fini, la chiusura di Termini Imerese è 'inaccettabile'. 'Sarebbe una tragedia sociale, dice, che avrebbe ripercussioni drammatiche in tutto il Sud'. Il ministro delle attività produttive Marzano ritiene che si possa valutare la possibilità di prorogare gli eco-incentivi per contribuire alla soluzione della crisi. Umberto Agnelli: «Dai sindacati ci attendiamo una risposta collaborativa perchè credo che sia nell'interesse nazionale che sia collaborativa». Il presidente di Ifi e Ifil sottolinea che la crisi 'va affrontata', in relazione alle trattative per sciogliere il nodo degli esuberi dei lavoratori. Le operazioni previste fino ad adesso - aggiunge - sono tutte in funzione di un rilancio'. Lo conferma D'Amato per il quale la Fiat sta creando i piani per provvedere al rilancio con una ristrutturazione significativa. Il piano industriale presentato oggi dalla Fiat ai sindacati prevede sostanzialmente un rinnovo della gamma prodotti, l'incremento delle vendite sui mercati europei e una crescita della redditività delle azioni commerciali. Per quanto riguarda l'innovazione dei prodotti che significa sostanzialmente l'ingresso in nuove fasce di mercato come quella delle MPV con la Punto monovolume e delle vetture a quattro ruote motrici con un fuoristrada e un SUV oltre a dei modelli nei settori dell'alto di gamma, la Fiat Auto prevede di investire tra il 2002 e il 2005 2,5 miliardi di euro in media ogni anno. Oltre a entrare in nuovi settori del mercato lo sforzo dell'azienda dovrebbe essere mirato ad abbassare l'età media dei modelli in gamma della Fiat Auto al di sotto dei quattro anni. Secondo l'azienda torinese inoltre il rinnovo dei prodotti passerà attraverso le piattaforme e i componenti comuni derivanti dall'alleanza con General Motors. Nel 2005, sempre secondo quanto ha affermato la Fiat nell'incontro con i sindacati, il 50% dei componenti sarà comune con il colosso di Detroit. Prevista anche una nuova generazione di motori a partire dal 2003 e in particolare un piccolo diesel common rail 1.3 che verrà assemblato sempre in comune in uno stabilimento polacco. Nella riunione con i sindacati, inoltre, Fiat ha delineato le strategie per quanto concerne la capacità commerciale e soprattutto la possibilità di portare a buoni livelli di redditività le attività di vendita. Per questa ragione saranno investiti più di 150 milioni di euro ogni anno nel periodo dal 2002 al 2005. Proseguirà inoltre la riduzione dello stock di vetture presenti sia in fabbrica sia nella rete di vendita con l'abbattimento delle famigerate immatricolazioni a km-0 e una minore presenza nelle fasce meno redditizie delle vendite agli autonoleggi. La riduzione degli organici secondo quanto presentato oggi ai sindacati è motivata da Fiat con il perdurare scostamento tra capacità produttiva e volumi di vendita ma soprattutto, ammette l'azienda, le misure sin qui adottate inclusi i quasi 3mila esuberi del mese di luglio sono state insufficienti. Tra le cause della non riuscita del primo piano di risanamento la Fiat individua la «pesante debolezza della domanda sul mercato europeo» che nei primi 9 mesi 2002 ha registrato una flessione di circa il 4% rispetto ai 9 mesi 2001 e in Italia dell'11% sempre rispetto ai nove mesi dell'anno scorso. C'è inoltre a parere della Fiat a incidere sulla contrazione della domanda la bassa crescita dell'economia europea e l'incertezza che grava sulla sua evoluzione e soprattutto il fatto che per il breve-medio periodo non si intravedono sostanziali di tendenza. Nel piano di tagli presentato dalla Fiat ai sindacati c'è comunque ancora una lieve possibilità di «trattativa». Il Lingotto infatti si è dichiarato «disponibile ad un confronto sulle iniziative anche in sede di ministero del Lavoro». |
09.10.2002 Sabattini (Fiom-Cgil): «Ci vuole uno sciopero generale, la Fiat deve adeguarsi ai tempi» di Antonio Iovane «Sciopero generale dell'intera
categoria dei meccanici»: dovrà essere questo lo
strumento per ribadire il «no ai pannicelli caldi della
cassa integrazione a zero ore per un anno». È il parere
del segretario siciliano della Fiom-Cgil, Claudio
Sabattini. |
Questo autunno
italiano di Rinaldo Gianola La drammatica crisi della Fiat è oggi il paradigma di questo autunno italiano. Da un anno e mezzo Berlusconi, DAmato e Fazio vanno in giro a raccontare che siamo alla vigilia di un nuovo miracolo economico, che il vero problema del Paese è larticolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che bisogna spendere invece di risparmiare perché il futuro ci sorride. Questo ottimismo propagandistico e irresponsabile, alimentato e condiviso acriticamente dai mezzi di informazione, contrasta con la realtà economica, industriale, finanziaria del Paese. La Fiat arriva a un punto di non ritorno: dopo questa ristrutturazione non sarà più la stessa. Quando una casa automobilistica taglia la produzione del 20-30%, chiude impianti storici, riduce la mano dopera di un quinto significa che altera le sue dimensioni, le ambizioni, le prospettive. Oggi i vertici della Fiat fanno il lavoro sporco per conto del futuro padrone americano, si apprestano a lucidare gli ottoni in attesa di poter spuntare un prezzo migliore quando presto si siederanno al tavolo con la General Motors per vendere lauto. È unoperazione tutta finanziaria, imposta dal sistema bancario che ha rinegoziato il debito del Lingotto e pagata, come sempre, dai lavoratori Ma le difficoltà non sono solo della Fiat. Oggi sono minacciati oltre 15mila posti di lavoro nel sistema bancario, altre migliaia sono a rischio nelledilizia, nel Mezzogiorno la sciagurata decisione di Tremonti di tagliare le politiche di incentivazione mettono sul lastrico decine di aziende e, in assenza di interventi immediati di segno opposto, è facile immaginare lesplosione di altre emergenze occupazionali e sociali. Persino il mitico Made in Italy della moda e dei mobili accusa difficoltà crescenti sui mercati internazionali. Di fronte a situazioni come queste, in parte determinate dalla debole congiuntura internazionale e in parte preponderante da clamorosi errori aziendali e da scelte sbagliate di politica industriale, in un Paese normale il governo, le forze politiche, gli Enti locali si metterebbero a disposizione per risolvere con le imprese e i sindacati i gravi problemi presenti. Anche in Germania la Volkswagen ha attraversato periodi difficili, anche in Francia la Renault ha chiesto ai suoi lavoratori pesanti sacrifici. Ma quelle due imprese automobilistiche, simboli delle economie di quei Paesi, ne sono uscite con la piena, responsabile collaborazione dellesecutivo, delle istituzioni che vedevano nel mantenimento delle produzioni, nella qualità dello sviluppo, le condizioni essenziali per garantire loccupazione e il benessere. In Italia di fronte alle difficoltà del primo gruppo industriale un ministro come Gasparri si propone di andare a Torino a dare lezioni di liberismo. Come si fa a governare con gente come questa che pensa solo a spararle più grosse per avere un titolo sul giornale? Il governo Berlusconi, per molti mesi, ha sottovalutato lallarme che i sindacati e la sinistra avevano lanciato sui gravissimi problemi del gruppo torinese. La maggioranza di centro-destra ha preferito attaccare i magistrati, dedicarsi alla Cirami e a risolvere i problemi giudiziari di Berlusconi e Previti, piuttosto che adoperarsi per prevenire una crisi devastante. Eppure qualche segnale cera stato: persino al Lingotto avevano licenziato prima il capo dellauto, Roberto Testore e poi lamministratore delegato del gruppo, Paolo Cantarella. Invece Berlusconi si limitava a guidare la nuova Lancia nel cortile di Palazzo Chigi. La caduta della Fiat, oggi, è la cartina di tornasole di una retrocessione del nostro sistema industriale: non abbiamo più la chimica, non cè più linformatica, la farmaceutica è finita nelle mani degli stranieri. Stiamo diventando un Paese di bravi assemblatori, non si fa ricerca, non cè una formazione adeguata. Per un anno e mezzo il governo e la Confindustria hanno concentrato i loro sforzi per manomettere lo Statuto dei lavoratori, per poter licenziare liberamente, convinti di poter utilizzare questa scorciatoia - meno diritti meno costi - per poter recuperare quei margini di competitività persi per strada negli ultimi anni, per mancanza di investimenti, di ricerca, di qualità. Una volta cera la svalutazione del cambio a salvarci, adesso cè il vincolo europeo della moneta unica e così questo governo e questa Confindustria pensano che riducendo i diritti delle persone si possano ritrovare i profitti e le quote di mercato. Siamo pronti a rinunciare allindustria dellauto? Siamo disposti ad accettare la chiusura di Arese, di Termini e magari domani di Mirafiori? Un Paese può anche scegliere di uscire da un settore industriale ritenuto maturo - ma che allestero produce ancora enormi profitti, innovazioni e lavoro - come lauto se ha qualche cosa di alternativo su cui puntare. Ma che cosa abbiano noi di alternativo e di strategico? Lunico grande gruppo di valore e dimensione internazionale è lEni. Forse qualche cosa potrebbe fare lEnel. LOlivetti-Telecom è oberata dai debiti e lobiettivo principale è non disturbare le attività del presidente del Consiglio. Poi scendiamo subito giù a gruppi medi e piccoli, magari di grande successo ma che non bastano. Certo, oggi, che ci troviamo ad assistere a una nuova, forse decisiva crisi della Fiat è doveroso interrogarsi sul potere pervasivo che il gruppo torinese e la famiglia Agnelli hanno sempre avuto nel Paese. Il condizionamento delle politiche economiche, la prevalenza degli interessi del gruppo su quelli generali, lesercizio di un potere che sarebbe apparso irrituale in altri paesi industrializzati. Questa sorta di protezionismo di Stato a favore della Fiat, tuttavia, non è servito a garantire lindipendenza del primo gruppo industriale. Quindici anni fa quando Craxi regalò lAlfa Romeo ad Agnelli, la Fiat deteneva circa il 60% del mercato italiano dellauto, in settembre la quota è scesa sotto il 30%. Di chi è la colpa di questa sconfitta? Non andate a cercare i responsabili tra gli "esuberi". |
09.10.2002 Una
sconfitta annunciata. Un paese che perde i pezzi Luciano Gallino, professore universitario, è uno dei più attenti studiosi della realtà torinese e piemontese. Professore, una crisi scontata? «La notizia della crisi stava nelle dichiarazioni stesse della dirigenza Fiat, dichiarazioni di parecchi anni fa. Dissero che per sopravvivere era necessario superare i tre milioni di veicoli prodotti... Con il tempo questa quota-obiettivo sarebbe salita. La Fiat non è mai arrivata a produrre tanto. Negli anni di punta raggiunse due milioni e mezzo o poco più di veicoli, ben sotto comunque il limite di.». Crisi scritta, dunque. La città, le sue istituzioni, la società torinesi hanno saputo rispondere? «Nella Grande Torino, la città e la sua provincia, gli sviluppi significativi sono riconoscibili. Lindustria informatica, ad esempio, la cosioddetta Ict, information comunication tecnology, occupa cinquantaquattromila addetti, molti di più ormai della Fiat, che è ferma a quarantamila. Non cè ovviamente solo linformatica. Sta di fatto che i centomila posti persi dalla Fiat in dieci anni sono stati assorbiti e questo dimostra tutto sommato la vitalità della struttura produttiva. Solo che quei centomila se ne sono andati gradualmente, pensionamenti, nuovi lavori. Adesso sono migliaia a rischiare e tutti assieme nel giro di pochissimo tempo. Il processo di crisi si è drammaticamente accelerato. Inoltre, senza eccedere nel pessimismo, non si deve mai dimenticare che il 65 per cento di unauto Fiat esce da aziende non Fiat, che per ogni dipendente Fiat ce ne sono altri due che lavorano allo stesso prodotto nella componentistica e nelle aziende terze negli stessi stabilimenti Fiat, alla manutenzione, ad esempio, o alla verniciatura. Se Mirafiori chiude per una anno, altri sei mila lavoratori sono a rischio». La critica tocca le politiche nazionali a favore della Fiat: troppi aiuti concentrati sul gigante torinese, dimenticando il resto che poteva svilupparsi, approfittando di una cultura manifatturiera... «Perdere lindustria dellauto sarebbe stato ed è gravissimo. Non solo per una tradizione che finisce. Perdendo lauto si perdono, nella ricerca e nella produzione, connessioni con altri settori davanguardia, dai nuovi materiali allelettronica. Nel momento peraltro in cui si vive linizio di una rivoluzione dei combustibili e dei motori, una rivoluzione che trascinerà con sè nuove tecnologie. Penso solo alla produzione dellidrogeno. Voglio dire: se cade lauto, cade il nucleo portante, trainante della ricerca, dellindustria, in settori davanguardia». Come sempre in questi casi ci si interroga sulle responsabilità... «Si può ragionare di una serie di cerchi concentrici. Il primo: questo paese non ha una politica industriale. Gli imprenditori di un tempo, da Olivetti a Pirelli agli stessi Agnelli, personaggi singolari ma straordinari come Mattei, grandi funzionari di stato come Pasquale Saraceno, sono scomparsi o sono invecchiati. Succede così che in Italia non vi siano più grandi imprenditori di livello mondiale. Sono stati sostituiti da un ceto imprenditoriale, la cui massima preoccupazione è larticolo diciotto o la flessibilità, temi di quarto o quinto ordine. La politica pubblica, che ha avuto un valore determinante in paesi come la Francia, la Germania o gli Stati Uniti, sè ritratta. La conseguenza è stata che progressivamente sè lasciato un primato italiano o un vantaggio italiano in tanti settori, nellinformatica, nella chimica, nellaereonautica dove cerano Siai Marchetti, Macchi, Agusta, la stessa Fiat. Considero ad esempio deleterio il mancato ingresso nel consorzio europeo per lairbus». Il cerchio più ristretto? «Lassetto della Fiat: troppe attività nello stesso gruppo, più finanza, assicurazioni, energia che auto. Se devi produrre auto ti devi concentrare sullauto, come hanno deciso le grandi aziende mondiali...». Lultimo cerchio? «La mancanza di modelli competitivi, che altre aziende europee hanno saputo invece presentare, modelli nuovi o risultato di un buon restyling. I francesi hanno per un secolo prodotto solo oneste carrette, come la R4. Nellultimo decennio hanno saputo organizzare un sistema di progettazione e produzione che ha garantito ogni anno nuovi modelli. La Volkswagen vive da trentanni con la Golf, che però ha sempre rinnovato. La Fiat ha perso questi appuntamenti». |
Il bis degli
anni Sessanta bocciato nel Terzo mondo Marco Revelli, docente universitario, ha dedicato molte pagine del suo lavoro saggistico alla Fiat e a Torino. In un libro pubblicato nel 1997, "La sinistra sociale" (Bollati Boringhieri), scriveva «se Torino uscirà dallo stallo in cui si trova... lo dovrà fare nonostante e contro la Fiat». Revelli, Torino dovrà fare nonostante e contro la Fiat. Doveva provarci prima? «La Fiat era diventato un peso, non un fattore di sviluppo, paralizzava ogni scelta, imponeva il proprio controllo. Cinque anni fa si erano create condizioni per una vertenza tra la città e la Fiat. Ci hanno risposto: ciò che è bene per la Fiat, è bene per la città. Un luogo comune di apparente buon senso, catastrofico in momenti straordinari che chiedevano coraggio. Quante volte ci è stato raccomandato: non fasciamoci la testa prima del tempo...». Ora è peggio perchè il sistema Italia rischia daffondare. «Non solo manca politica industriale. Ci sono paesi in cui una socialità dinamica compensa la fragilità del progetto pubblico... Sassiste a un effetto sistemico di decomposizione che cancella ogni ragione di aggregazione. Per questo faccio il tifo per la Fiom, che tiene in piedi un meccanismo che almeno aggrega e che ci salva da questa deriva». Solo la Fiom? «Se fossi un operaio Fiat mi costituirei parte civile contro Cisl e Uil, che in questi anni ci hanno inondato con dichiarazioni di impressionante superficialità». Anche per lintesa sugli esuberi di qualche mese fa? «Certo. Regolarmente in questi tempi, per lo meno dallaccordo con Gm, si sono ripetute le notizie di un precipitare della crisi. Ogni volta abbiamo ascoltato vacue rassicurazioni e avvertito invece il fastidio per chi denunciava la gravità della crisi. Tutto quello che sta succedendo non è privo di una propria storia e di un proprio sviluppo, non è il prodotto di circostanze che improvvisamente si manifestano... Lanamnesi è già stata scritta due anni fa, per certi versi cinque o sei anni fa, negli eventi degli anni novanta, dalla cacciata di Ghidella in poi, dalle scelte di Romiti, in una megalomane forma di globalizzazione, che lasciava intravvedere lo svuotamento dellepicentro piemontese, nellidea di Cantarella di puntare sui grandi numeri, nella fragilità del prodotto in un un mercato saturo come quello europeo... Quando un anno fa la Fiom lanciò lallarme sui rischi per loccupazione, le sono saltati tutti addosso... Ricordo le pagine torinesi della "Stampa" e di "Repubblica", le accuse, anche allora, di catastrofismo, di pessimismo». La Fiat ha pagato e paga la sua globalizzazione. Sarà stata una scelta sbagliata, ma anche sfortunata. «La Fiat ha scoperto tardi la globalizzazione, quando i giapponesi e gli americani la praticavano da tempo e lha realizzata in forma concentrata, massiccia, con un processo desplosione dal centro alla periferia, inseguendo il sogno di essere grande, tra coloro che stanno sopra i quattro milioni di automobili, con risorse finanziarie, familiari, sproporzionate per questo progetto. La Fiat ha cercato di ripetere il modello italiano, unutilitaria a tutti, puntando alla motorizzazione di massa in America latina e in paesi dellest come la Polonia, in Medio oriente, mettendo un piede in India e poi nel Maghreb e delocalizzando la produzione dove i costi erano più bassi. Nella grande illusione liberista della globalizzazione che distribuisce un po di ricchezza alle neo borghesie del terzo mondo. Hanno scambiato lideologia della globalizzazione con la realtà. Le cose infatti sono diversamente. Era prevedibile. Cerano stati gli avvertimenti della crisi brasiliana e di quella asiatica». La sua accusa alla Fiat è di aver divorato risorse che avrebbero giovato altrove. «Per una sorta di riflesso condizionato a Torino ma non solo a Torino si è non solo accettato ma anche attivamente premuto perché continuassero ad affluire risorse per tentare di salvare il salvabile. Sono stati dati fondi pubblici, sono state impegnate le banche che hanno investito migliaia di miliardi, senza garanzie per la comunità. Risorse che sono finite nei canali finanziari della Fiat, non certo a creare nuovi posto di lavoro. È gravissimo che non si siano considerate soluzioni alternative al salvataggio del gigante». |