Pietà per la Fiat LUIGI PINTOR Non è un lutto nazionale, la crisi della Fiat. E non è una crisi, ma un fallimento senza riscatto. Una sconfitta padronale, del capitalismo italiano trionfo e inetto, un piccolo otto settembre della classe dirigente. Una caduta degli dei senza grandezza. Lasciamo stare il passato storico, gli esiti monarco-fascisti del risorgimento, la disfatta del movimento operaio dopo la prima guerra mondiale, un triste passato che neppure la lotta di liberazione ha cancellato e che pesa ancora sul presente. Contentiamoci dell'ultimo mezzo secolo. Per cinque generazioni centomila operai hanno prodotto di decennio in decennio la nostra ricchezza negli stabilimenti targati Fiat, torinesi e decentrati, multinazionali ed extra-nazionali. Emigrati a milioni dal sud al nord e dal nord nelle periferie del mondo. Il lutto riguarda solo loro, il fallimento è consumato a loro spese e ricade sulle loro vite. La Fiat ha espresso il meglio di sé, sotto questo aspetto. Ha prodotto sì e no un solo modello intelligente di automobile ma, in compenso, ha esercitato splendidamente il suo dominio sulle maestranze del più grande insediamento operaio nazionale umiliandole in mille modi. La gloria dei suoi proprietari e manager non è la Topolino, la cementificazione del territorio, la «qualità totale» millantata e la competizione mercantile affidata alla formula uno, ma si riassume simbolicamente nei reparti confino e nell'espulsione di 61 sovversivi. Me ne ricordo perché fu l'ultima stagione di Berlinguer. La Fiat ha dato anche il meglio di sé nello scambio politico con i governi del paese, quali che fossero. Protezionismo e rottamazioni, soldi che perfino B. Craxi un giorno le rinfacciò, in cambio di una autorizzazione piemontese a procedere in qualsiasi direzione e con camicie di qualsiasi colore. Oggi si vede a occhio nudo, i suoi giornali e i suoi intellettuali organici sono più berlusconiani di Mediaset, in spasmodica attesa di provvidenze governative che rendano più praticabile la svendita della perla nazionale ai colossi americani o europei. E' strano che i cantori del capitale, per una volta, non incolpino di questo sfascio gli esuberi, l'avidità contrattuale dei salariati, l'invadenza dei sindacati di classe, dello statalismo e dei comunisti. E' strano che non invochino come giustificazione la crisi epocale del mercato dell'auto. Non è per pudore, è che non sanno cosa dire perché non possono ammettere che un tempio del capitale imploda e crolli su se stesso e su tutti i filistei. Nessun lutto, il capitalismo è un idolo e quello italiano è dorato solo in superficie. Non è il solo, anche altrove ci sono palloni gonfiati che scoppiano. La dignità abita più in basso, tra le masse di sconosciuti che non profittano ma lavorano e producono senza riconoscimento, senza voce né potere. Se il 18 ottobre riaffermerà questa dignità sarà un giorno, almeno un giorno, di rivalsa e quasi di festa. |
Sciopero generale dei meccanici Incassato il risultato straordinario dello sciopero di ieri in tutte le fabbriche Fiat, la Fiom rilancia e propone a Fim e Uilm lo sciopero della categoria. Ma Cisl e Uil ripetono il ritornello: la Cgil annulli lo sciopero del 18. Verso la svendita a Gm? LORIS CAMPETTI La Fiat non è affare privato degli Agnelli, se non altro perché 200 mila famiglie in tutto il mondo vivono, e neanche bene, del lavoro nelle fabbriche e negli uffici del Lingotto. Dunque, la Fiat è anche di chi ci lavora. Ma ancora, grazie a scelte piuttosto sciagurate che hanno consentito che tutti i marchi automobilistici nazionali si concentrassero nelle mani di un unico proprietario, la Fiat è l'auto italiana. Dunque, è un patrimonio collettivo, nazionale, la cui sorte non può essere decisa dagli azionisti di maggioranza responsabili del disastro e/o dai loro alleati nordamericani. E non è tollerabile l'atteggiamento del governo Berlusconi che usa la crisi, drammatica per tanti lavoratori, per togliersi i sassolini dalle scarpe, nell'ambito dello scontro tra nobiltà familiari e parvenu del capitalismo italiano. Al di là dei toni, delle sensibilità, dei ruoli, a pensarla così non sono in pochi. Intanto, tutti gli uomini e le donne in tuta e in camice che ieri hanno paralizzato la produzione in ogni fabbrica diretta e terziarizzata della Fiat Auto e a Torino come a Termini Imerese anche strade, autostrade, ferrovie. Lo pensano i sindacati dei metalmeccanici, che dalla Fiat neppure sono riusciti a ottenere un piano industriale serio, che faccia intuire la volontà di non chiudere o alienare agli americani . La Fiom, che con mesi di anticipo aveva capito e svelato l'imbroglio della multinazionale torinese e aveva rifiutato di apporre la sua firma sotto un progetto di licenziamenti e dismissioni, ora lancia un messaggio forte a chi quel progetto aveva firmato: se il destino della Fiat è una questione generale, nazionale, non basta lo sciopero unitario di ieri. Intanto serve uno sciopero generale di tutti i metalmeccanici, alle prese con un contratto nazionale che vede indisponibili i padroni e divise Fim, Fiom e Uilm. Uno sciopero generale di categoria che ribadisca l'indisponibilità a discutere di esuberi e strumenti, nonché di chiusura di stabilimenti, in assenza di un piano industriale. Cosa risponderanno Fim e Uilm, che non sia la provocazione che già ieri circolava: se ne può parlare, se la Cgil annullerà lo sciopero del 18? Ma anche nelle parole pronunciate ieri alle commissioni bilancio di Camera e Senato dal governatore di Bankitalia si ritrova una riflessione in consonanza con le preoccupazioni dei lavoratori e dei loro rappresentanti: se si vuole salvaguardare un patrimonio nazionale, è necessario «un piano industriale che, avendo presente competitività e collocazione del settore nel sistema economico, abbia respiro strategico». Antonio Fazio aveva in testa la difesa dell'occupazione, quando invocava una convergenza tra «poteri pubblici e parti sociali, isitituzioni, iniziativa privata, finanza nell'offrire certezze e prospettive». E ancora: «gli interessi dell'impresa, del settore, del territorio, dell'economia debbono essere strettamente raccordati con gli interessi generali del paese». Valorizzando la straordinaria partecipazionedei lavoratori allo sciopero unitario di ieri, la Fiom, per bocca del suo segretario generale Gianni Rinaldini, boccia la filosofia che vorrebbe «subordinare l'intervento pubblico all'accordo con la General Motors, come hanno dichiarato diversi ministri. Né è accettabile un intervento sugli ammortizzatori sociali che sarebbe un puro accompagnamento alle scelte di Fiat e Gm». Dunque? Dunque, per la Fiom «è necessario un intervento pubblico con una partecipazione diretta, che sia fondata però su un piano industriale degno di questo nome - continua Rinaldini - finalizzato all'innovazione e alla qualità del prodotto auto, con la salvaguradia degli attuali livelli occupazionali e degli stabilimenti esistenti». Partecipazione diretta, ovviamente, non vuol dire nazionalizzazione ma partecipazione nella proprietà della multinazionale. L'approccio alla crisi Fiat di azionisti e operatori di borsa è decisamente diverso: vendere, subito, l'automobile a Gm. Dopo aver lasciato sul campo in pochi giorni qualcosa come 2.000 miliardi di vecchie lire, ieri il titolo Fiat ha fatto un forte salto verso l'alto, fino a sfiorare il 10% di aumento. Come mai? Semplicemente perché il presidente Paolo Fresco, in un'intervista al Wall Street Journal, ha parlato apertamente delle trattative in corso con la General Motors per vendere agli americani l'intero comparto automobilistico. La discussione non è semplice, non si concluderà rapidamente perché sul tavolo di trattativa ci sono i soldi, e in particolare la svalutazione del 20% della Fiat comprata da Gm due anni fa, quando il valore del Lingotto era decisamente maggiore di quello attuale. E l'ipotesi, invece, di una fusione tra la Opel e la Fiat Auto? «Non è sul tavolo». |
Berlusconi incontra la Fiat Il governo è pronto a intervenire. La riunione con Fresco oggi o domani P. A. Il governo interverrà sulla Fiat. Ma non è ancora chiaro in che senso. Ieri il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha fatto sapere che incontrerà i dirigenti della Fiat tra oggi e domani, mentre un incontro con i sindacati è previsto per la prossima settimana, molto probabilmente giovedì 17 ottobre. Il premier ha detto che durante la riunione di ieri, originariamente fissata per discutere di finanziaria e Mezzogiorno, si è anche parlato di Fiat, smentendo molte dichiarazioni precedenti sia di sindacalisti che di rappresentanti del mondo delle imprese. Le misure che Berlusconi e i suoi ministri hanno in mente per affrontare la crisi della Fiat sono però ancora tutte da verificare e ieri sono circolate perfino notizie contrastanti sul contenuto della riunione. Quasi tutti gli interpellati hanno infatti dichiarato che di Fiat si è parlato ben poco ieri. Qualcuno, come per esempio il segretario confederale della Cgil, Paolo Nerozzi, ha detto che di Fiat non si è parlato proprio, nonostante la sollecitazione iniziale in questo senso del segretario della Cisl, Savino Pezzotta. Che di Fiat si è parlato poco è stata anche la dichiarazione del presidente di Confesercenti, Venturi, mentre il ministro per le politiche comunitarie, Rocco Buttiglione, ha detto che di Fiat ieri si è parlato poco ieri, ma che se ne parlerà la prossima settimana. Berlusconi, pochi minuti dopo la fine dell'incontro, ha invece smentito tutti durante la conferenza stampa a palazzo Chigi. «Al tavolo sul Mezzogiorno - ha detto il premier - si è parlato del tema della Fiat. Io ho dato garanzie che il governo sta lavorando al riguardo. Tra sabato e domenica incontrerò i responsabili della Fiat. Noi siamo consapevoli delle implicazioni negative che ci potrebbero essere ove non si trovassero rimedi alla crisi e quindi siamo fortemente impegnati a cercare le soluzioni». Inizialmente la riunione di ieri era stata organizzata per discutere delle questioni relative al Mezzogiorno anche in base alle sollecitazioni di sindacati e industriali. La scorsa settimana infatti il governo aveva ricevuto una lettera firmata dalla Confindustria, insieme alla Cisl e alla Uil, che sollecitavano una discussione approfondita sui problemi dello sviluppo del Mezzogiorno. Sia la Confindustria che Cisl e Uil continuano infatti ad essere insoddisfatti per l'impostazione della legge, mentre la macchina della Cgil è a pieno regime in vista dello sciopero generale del 18 ottobre prossimo. Ieri il segretario generale Guglielmo Epifani ha detto che i motivi dello sciopero sono aumentati, dalla finanziaria alla crisi Fiat. La riunione di ieri è stata comunque difficile per il governo perché in mattinata il presidente della Confindustria, Antonio D'Amato, durante la sua audizione in commissione alla Camera dei deputati, ha svolto un intervento molto critico nei confronti del governo Berlusconi a proposito della legge finanziaria in generale e della parte che riguarda il Sud in particolare. D'Amato non ha frenato le sue parole durante l'audizione attaccando tutte le recenti scelti del governo. Il presidente degli industriali ha però smussato molto i suoi attacchi dopo la riunione a Palazzo Chigi. Per D'Amato l'incontro di ieri è stato comunque positivo, «un passo avanti», perché il governo si è mostrato disponibile a correggere la legge finanziaria in alcuni punti determinati. Il parziale riavvicinamento di D'Amato al governo deriva anche dal giudizio simile che sia la Confindustria che il governo danno delle possibili vie d'uscita alla crisi Fiat. Sia D'Amato che Berlusconi pensano cioè che il governo non debba mettere in campo nessuna misura assistenziale. |
Il leader della Cisl chiede agli imprenditori un
gesto VERONA - Come risolvere la
crisi Fiat? Mentre sono al vaglio varie ipotesi - in
particolare l'aumento di capitale con l'intervento dello
Stato e della General Motors - Savino Pezzotta propone la
sua ricetta: "La proprietà deve, magari, mettere a
disposizione qualche gioiello, visto che di gioielli ne
hanno tanti". Il segretario generale della Cisl,
insieme alla necessità di un piano industriale che il
governo dovrà sostenere, propone insomma alla proprietà
della casa automobilistica torinese di fare un gesto
"per far capire se si vuole rilanciare la
Fiat". Visto che, aggiunge Pezzotta, "non è
che stiamo parlando di imprenditori che non hanno
possibilità". |
Il premier: "No alla chiusura di Termini
Imerese" ROMA - "Siamo impegnati a
cercare soluzioni. Chi guarda con angoscia alla
situazione della crisi Fiat sappia che lo Stato farà la
sua parte, nessuno deve temere che la crisi possa portare
negatività dolorose per i lavoratori". E ancora:
"No alla chiusura dello stabilimento di Termini
Imerese". Le parole di conforto per gli operai delle
fabbriche Fiat arrivano dal presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi che, dopo aver incontrato Cgil, Cisl e
Uil e Confindustria, parla della crisi dell'industria
torinese. |
Con la crisi Fiat servirebbe l'unità sindacale sulla pace sociale di EUGENIO SCALFARI Mai come in queste settimane il
governo ha tanto annaspato e la sua maggioranza è
apparsa tanto divisa su alcuni problemi di fondo: la
riforma della giustizia, la legge Cirami, la politica
economica, il federalismo, la sicurezza. In altri tempi
si sarebbe detto: la maggioranza si sfarina. Ma qui sta
avvenendo qualche cosa di diverso e di più profondo: a
sfarinarsi è lo stesso blocco sociale ed elettorale che
il 13 giugno del 2001 scelse questa maggioranza. La
questione dunque è molto più seria. |
Per Bankitalia "mancano riforme
strutturali" e la ripresa ROMA - Un giudizio tiepido,
qualche critica, l'affossamento del condono fiscale e
l'accusa di mancanza di coraggio. Al governatore della
Banca d'Italia, così come al presidente di Confindustria
Antonio D'Amato, questa Finanziaria non piace granché.
Intanto perché "mancano riforme strutturali che
incidano, in prospettiva, sulla dinamica della spesa
primaria" e poi perché il condono, anzi il
"concordato fiscale" che prevede mina la
credibilità di tutto il sistema fiscale.
Complessivamente, il disegno di legge "può essere
considerato soltanto un primo passo verso nella direzione
di un più rapido e sostenuto sviluppo della nostra
economia'' |
Il presidente della Bce lascia invariati i tassi
di interesse FRANCOFORTE - La ripresa
dell'economia tarderà, ma i tassi di interesse restano
invariati. La stabilità monetaria è il miglior antidoto
anti-crisi, ma alcuni Paesi (tra i quali l'Italia)
destano "preoccupazione" per le loro scelte di
politica economica. Lo ha detto Wim Duisenberg al termine
del direttivo di oggi. Secondo il presidente della Banca
centrale europea, le prospettive di una ripresa
dell'economia restano molto incerte anche se la crescita
dovrebbe ripartire nel 2003. Nel terzo trimestre di
quest'anno la Bce prevede una crescita del Pil di
Eurolandia in linea con quella registrata nei due
trimestri precedenti, dell'ordine dello 0,4%. Fine delle
speranze, quindi, anche per i più ottimisti che
attendevano un balzo in lato nell'ultima parte dell'anno, |
12.10.2002 Il cardinal Poletto alla Fiat: «Non si tiri da parte. E' una questione di giustizia» di red «La proprietà deve fare, anche per giustizia, la sua parte, dando segnali concreti e credibili di non volersi arrendere». Così l'arcivescovo di Torino, il cardinale Severino Poletto, ha detto la sua sulla crisi Fiat. Poletto dopo aver sottolineato che non ci sono solo bilanci, ma «persone che di questa crisi sono destinate a pagare le conseguenze», ha aggiunto :«Deve essere chiaro che il percorso tracciato non è per uscire dall'impresa ma per rilanciarla con programmi innovativi. Non possiamo permetterci che Torino e l'Italia perdano l'industria dell'auto». Poletto ha chiamato in causa pure l'impiego del «capitale pubblico» nella logica «di una reale ed efficace ricerca del bene comune» ed ha ha invitato tutti «ad un'assunzione di responsabilità: la proprietà, il governo, le istituzioni locali, i sindacati, i politici, gli economisti, i lavoratori stessi e le agenzie informative e formative».
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11.10.2002 Migliaia a Termini Imerese. Fassino: «Questa fabbrica deve vivere» di Aldo Varano Mogli, madri, compagne, fidanzate e figlie degli operai Fiat "gettati sulla strada", come dicono qui. Con loro, le professoresse, le impiegate, le donne dei commercianti e degli artigiani. Anche suore. Ognuna di loro ha un parente che rischia di essere risucchiato dalla disperazione. Gli operai hanno riempito il piazzale dell'ingresso 1 fin dal mattino. Sciopero, ovviamente, totale. A Termini tre giorni fa è stato montato un palco davanti ai cancelli Fiat. Chi vuole - operai, sindacalisti, politici - può chiedere di parlare. A metà mattina sono arrivati gli studenti. A migliaia. Stipati sulle macchine, coi camion dei trasportatori, perfino con un trattore. Moltissimi si sono fatti i chilometri dal paese fin qui a piedi. Hanno urlato solidarietà e slogan. Dopo, ad abbracciare il padre o lo zio in tuta, lì accanto. Non erano figli di papà che vanno verso il popolo, ma in gran parte ragazzi che studiano con lo stipendio da un milione e ottocento che papà guadagnava in Fiat. Fassino ha trovato ad accoglierlo una gran folla. Gli operai, molti con la famiglia, tutti quelli dell'indotto, grappoli consistenti di studenti. Moltissimi, prima e dopo il suo intervento, gli incontri con vecchi amici e compagni: operai Fiat di Torino tornati nella propria terra grazie all'impianto di Termini. "Mi raccomando Piero, non ci abbandonare". "Tieni duro". Sotto il palco a riceverlo il sindaco di Forza Italia con tanto di fascia tricolore: "Si consideri il mio segretario", gli ha poi detto dal palco. "E Violante - ha aggiunto - è il mio capogruppo. Anzi siete il segretario e il capogruppo di tutti i siciliani. Grazie per essere venuti". Sopra il palco, agli angoli, c'erano piantate tre bandiere: della Uilm, della Fim Cisl, della Fiom. Una specie di miracolo unitario dopo le rotture e contrapposizioni del patto per l'Italia e quelle del prossimo sciopero Cgil. Non era stato Fassino, del resto, a dire "Io Cisl e Uil e non li regalo a nessuno"? Un miracolo ancor più marcato dagli interventi - prima che parlassero Violante, Lumia e Fassino - dei rappresentanti Cgil, Cisl e Uil. Non per portare il saluto, ma per entrare nel merito delle proposte. Le migliaia di persone attorno al palco hanno percepito subito che i Ds hanno trasformato la loro visita in una iniziativa politica unitaria per ragionare su come procedere non solo per bloccare la chiusura ma anche per rilanciarne la competitività della fabbrica. E' stato questo il centro dell'intervento di Fassino, il segretario Ds cresciuto a politica, Torino e Fiat che ha passato una parte importante della propria vita, l'ha ricordato ieri, a occuparsi di crisi Fiat. Seguito con straordinaria attenzione, il segretario Ds ha detto cose chiare e semplici. Intanto, i Ds sono contro la cancellazione di Termini Imerese e lavorano perché "sia uno stabilimento produttivo di auto". Secondo, proprio per questo trovano "inaccettabile" un anno di cassa integrazione a zero ore: chiudere per un anno, ha argomentato il leader dei Ds, "significa per la fabbrica morire". Terzo, esistono le condizioni, se ognuno farà la propria parte, per impedire la chiusura di Termini Imerese e di tutti gli altri stabilimenti Fiat in Italia. Fassino ha riconosciuto la situazione di una crisi profonda della Fiat sottolineando le responsabilità del suo gruppo dirigente che non ha capito le modificazioni del mercato dell'auto nel mondo. Questa crisi non è mai stata grave come oggi quando si parla addirittura di possibile scomparsa della Fiat: è la crisi di un pezzo dell'economia italiana, di un pezzo dell'Italia. In questo quadro, ha detto il capo della Quercia, "si tratta di lottare fino alla certezza del futuro vostro e delle vostre famiglie". Insomma, per Fassino - restando i lavoratori e le loro organizzazioni uniti - si può discutere di tutto, di cassa integrazione, di rotazioni, di quel che si vuole. Ma ha scandito: "Si discuta di tutto, ma sapendo dove si va e in che modo e avendo, alla fine, la certezza per il lavoro di tutti i lavoratori di tutti gli stabilimenti". Parole coraggiose che, collocate nel cuore di un ragionamento di merito, hanno fatto scattare un lunghissimo e non scontato applauso. Da qui la proposta immediata dei Ds: "Il governo non si limiti a fare il notaio, attivi un tavolo in cui siedano sindacati, azienda, enti locali interessati, governo stesso con l'obiettivo di dare garanzie occupazionali a tutti gli stabilimenti Fiat". Positiva la reazione degli operai. I Ds sono convinti, lo ha detto Violante, che Termini è "una grande questione nazionale" e che lo stabilimento va recuperato "non per un problema di bisogno ma di merito e di capacità", non perché qui altrimenti si farebbe la fame ma per salvare competenze, capacità produttiva, esperienze accumulate a Termini. "Speriamo non sia necessario - ha detto Violante - ma se occuperete la fabbrica saremo al vostro fianco". Sarà una battaglia difficilissima, ha avvertito Fassino. "Serve l'unità dei lavoratori della Fiat e dell'indotto. Dei sindacati, perché abbiamo bisogno del massimo di compattezza. Unità col territorio e gli enti locali, con le donne e gli uomini che sanno che da questa fabbrica dipende il loro futuro". E "serve anche unità politica" ha aggiunto il segretario riprendendo un concetto già espresso da Violante. "Se il governo fa proposte credibili e giuste sosterremo queste cose e con la stesso spirito avanzeremo proposte, non per competere col governo, ma per raggiungere gli obiettivi che servono ai lavoratori".
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12.10.2002 "Se restiamo separati, non andremo lontano" MILANO l leader Uil Luigi Angeletti replica a Guglielmo Epifani cercando di andare alle origini delle divisioni, ma anche indicando alcuni temi su cui riprendere almeno lunità dazione. Alla radice della rottura Angeletti colloca «latteggiamento unilateralista prevalso nella Cgil: da qui linterruzione dei colloqui, poi implacabilmente la serie di decisioni che hanno determinato lattuale difficoltà unitaria». Angeletti, ma ora si può fare il disgelo? «Non sarà semplice perché nella Cgil è prevalsa lidea di poter fare da sola, idea non ancora del tutto superata anche se prima o poi lo sarà. Ad esempio prima o poi la Fiom capirà che scioperare da sola vuol dire solo far buttar via soldi ai lavoratori. Poco fa ha fatto uno sciopero alla Fiat che non è nemmeno apparso sui giornali e non ha avuto influito sulle decisioni della Fiat. La Cgil prenda coscienza della propria relatività: capisco che non fa piacere, però questo è il problema. Poi, semplicemente per utilità pratica e sapendo che separati non si va lontano, si potrà riaprire il dialogo». Da più parti si solleva il tema del rapporto con la bipolarità. Che ne pensa Angelettii? «È laltro corno del problema che anche la Cgil deve affrontare e che la porterà a ripensare la sua strategia: nellultimo anno la Cgil ha dato al centrosinistra più problemi che contributi. Anche noi continuiamo a pensare che l efficacia delliniziativa sindacale dipende da un sistema che poggi almeno sullunità dazione. Non abbiamo mai avuto problemi per riaprire il dialogo, né li avremo in futuro, anche se significa misurarsi, scontrarsi». Adriano Musi e Franco Lotito propongono di ripartire subito insieme su Fiat, Mezzogiorno, Finanziaria, regole. Angeletti è daccordo? «Le considero del tutto condivisibili. Sulla Fiat stiamo incalzando sia lazienda che il governo perché finalmente si faccia un piano credibile dellindustria dellauto che arresti il declino, e non per risparmiare i costi cosicché la Fiat possa vendere a migliori condizioni». Il Mezzogiorno. «Nel sindacato è condiviso che il Sud è una risorsa del Paese, ma lopinione pubblica non ha ancora ben capito che la crescita economica dellintero Paese è condizionata dal fatto che il Mezzogiorno cresca di più rispetto al resto del Paese. Non è solo un fatto di solidarietà: se il Sud cresce, ne trae vantaggio anche chi lavora a Ivrea o Treviso». Le regole: ormai sono indispensabili per varare piattaforme unitarie. «Il problema cè. Se è vero che cè pluralismo sindacale, dobbiamo però sapere che non è scontato che le opinioni combacino su una piattaforma o su uno o su un accordo. Lo dobbiamo dare per scontato, altrimenti ritorna il diritto di veto». E allora come pensare un nuovo sistema di regole? «Servono regole certe ed esigibili, che nessuno può applicare secondo le sue convenienze, per cui tutti possono esigere che gli altri le rispettino. Servono per impedire la paralisi o la divisione traumatica. Basterebbe applicare un principio: si misura la rappresentatività del sindacato attraverso il voto di tutti i lavoratori, come nelle elezioni delle Rsu. Questo può essere frutto non solo di un accordo, che comunque è necessario tra tutti i sindacati ed anche con le controparti in quanto lesercizio del voto devessere garantito anche nelle piccole aziende che sono il 92% dele imprese, ma queste regole devono anche essere recepite da una legge che le renda esigibili. Quando le opinioni su un problema divergono, allora i rappresentanti, eletti da tutti, votino a maggioranza». Pezzotta potrebbe fare obiezioni. « La Cisl ha accettato questo sistema nel pubblico impiego: perché dovrebbe negarlo al privato? Non accettiamo però che, come vorrebbe la Cgil, lunica forma di democrazia sia il referendum: lidea sottende il concetto che i sindacati non esistano e che essere o non essere iscritti sia indifferente. Se però proprio si vuole questo modello, che comunque non dà stabilità ai rapporti, allora deve valere per tutte le scelte, anche per lo sciopero». Si può superare limpasse delle piattaforme separate? «Bisognerebbe farlo, ma francamente non so come. Non mi viene in mente nulla. Bisognerebbe dire alla Fiom di ritirare la sua, ed allora si potrebbe ridiscutere e fissare delle regole che però siano valide sempre e per tutti». |
Troppe anime a
destra in cerca di sintesi politica
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