In Francia un fulmine
che colpisce l'Europa



di BERNARDO VALLI

ROMA - Sulla Francia distratta, leggermente annoiata da un voto giudicato superfluo, poco attraente, tanto insipido da non attirare un elettore su tre, da non smuovere quelli in
vacanza sulle spiagge atlantiche e mediterranee, accarezzate da una primavera radiosa, si è abbattuto ieri sera un fulmine. Un fulmine che ha cambiato l'immagine politica del Paese.

Il volto di un famoso capo xenofobo, Jean-Marie Le Pen, campeggia da allora su una delle grandi democrazie europee. Sarà lui, il razzista Le Pen, ad affrontare Jacques Chirac al ballottaggio del 5 maggio, quando i francesi designeranno
il nuovo presidente della Repubblica. Egli ha avuto infatti più voti di Lionel Jospin. Ha superato di almeno una lunghezza il primo ministro socialista che sino a qualche
settimana fa, per i buoni risultati conseguiti dal suo governo e per la sua personale integrità e capacità, sembrava destinato alla più alta carica dello Stato.

Il fulmine non ha risparmiato l'Europa che guarda adesso, sbigottita e perplessa, la Francia, una delle sua nazioni guida, diventata l'arena di un confronto politico tra centrodestra ed estrema destra. Jacques Chirac, il presidente che appariva declinante, è diventato all'improvviso (con il suo modesto 20%) l'incontestabile campione della democrazia rispettabile di fronte al
campione dello sciovinismo. Il voto che appariva inutile, un voto di troppo, a tanti francesi, ha prodotto effetti sconvolgenti.

Prima di dire che si tratta di un'altra avanzata del populismo galoppante in tante contrade, bisogna sottolineare
l'assenteismo (più del 28%, il più alto nella storia della Quinta Repubblica) che ha tolto al secondo candidato della Francia per bene la possibilità di occupare il posto che gli
spettava nel duello finale. Alla notizia del trionfo di Jean-Marie Le Pen, i molti francesi che ingombravano le
autostrade di ritorno da un fine settimana assolato, sono rimasti sbalorditi. Se l'avessero immaginato, non pochi sarebbero ritornati in tempo, prima della chiusura dei
seggi. E' in questi casi che ci si accorge che la democrazia non è né un regalo né un diritto naturale, ma qualcosa che si conquista e si difende. E' per averlo dimenticato
(come è accaduto in altri Paesi vicini) che oggi la Francia offre il suo volto peggiore.

Diciamo pure: maledetta domenica! La sinistra ha tradito Jospin. Non solo perché molti suoi elettori sono rimasti al mare o in montagna, con i figli in vacanza scolastica, ma anche perché le liste minori, in particolare le tre "trotzkiste", hanno dirottato più del dieci per cento dei suffragi espressi; e perché uno stravagante candidato come Jean-Pierre Chevènement, per tre volte ministro socialista, ha voluto presentarsi come un cavaliere solitario, ottenendo
un pessimo risultato, un cinque per cento che sarebbe stato prezioso, anzi vitale per Jospin.

La sinistra si è auto affondata. L'applauso dei militanti socialisti a Lionel Jospin, ieri sera, quando ha annunciato il suo definitivo ritiro dalla vita politica, era il saluto alla nave che colava a picco con il suo capitano. Nei prossimi quindici giorni coloro che gli hanno negato l'accesso al ballottaggio, lasciando via libera a Jean-Marie Le Pen, dovranno accodarsi a Jacques Chirac per impedire l'insediamento del capo del Front National nel Palazzo dell'Eliseo, dopo il voto del 5 maggio. La Francia per bene dovrà unirsi dietro il "vecchio colonnello", che invece di andare in pensione, come poteva accadergli, dovrà salvare l'onore del Paese.

Ed egli ha tutte le carte per farlo, poiché non ha mai trescato (perlomeno ufficialmente) con l'estrema destra, neppure quando i suoi voti gli erano indispensabili. Tra i due settantenni, tra lui e Le Pen, c'è una antica
tenzone. Chirac non può che vincerla. Ma il prezzo è già alto. I militanti del Front National, appena conosciuti i risultati, hanno cominciato a scandire: "Chirac in
prigione". Si riferivano agli scandali che hanno coinvolto l'ex sindaco di Parigi, oggi
presidente della Repubblica.

Il seguito della campagna elettorale sarà agitato.
Gli elettori hanno duramente punito la classe politica tradizionale. Mai i principali candidati di centrodestra e di centrosinistra avevano ottenuto quozienti tanto scarsi.
Chirac e Jospin insieme non hanno raccolto neppure il 37%. Tutto il resto è andato agli outsider. E' stato uno schiaffo al presidente e al primo ministro. All'establishment
politico, in cui il Paese stenta a riconoscersi da quando il panorama politico è diventato "un grande prato centrista". Le vecchie fedeltà a sinistra e a destra sono svanite.
L'assenteismo è cresciuto e i voti oscillano da un estremo all'altro, ad ogni appuntamento elettorale.

Dall'86, ad ogni scrutinio, la Francia boccia il governo. Più che optare per l'opposizione licenzia i ministri. E' accaduto puntualmente nell'86, appunto, e poi nell'88, quando ci furono elezioni anticipate, poi nel '93 e di nuovo nel '97, in occasione di altre elezioni convocate anzitempo. Ieri non si trattava di rinnovare l'Assemblea Nazionale, ma i francesi hanno comunque mandato (definitivamente) a
casa il primo ministro che voleva diventare il capo dello Stato. Hanno di fatto silurato il governo che più di ogni altro in Europa ha conseguito buoni risultati economici negli ultimi cinque anni.

Il Paese non capisce più il linguaggio della classe politica tradizionale. Non segue i discorsi strettamente economici. Non crede più che la politica possa cambiare la vita. Sa che l'economia dipende da fattori esterni alla nazione. In parte dall'Europa e in parte dalla situazione internazionale. Se non infastidisce, il mondo globale confonde le idee. E' qualcosa che sfugge, che non si influenza con un voto. Jean-Marie Le Pen l'ha capito. Questa è la sua ultima elezione. L'ha ben preparata. Han fiutato gli umori e ha adeguato il suo linguaggio. Mi è capitato di ascoltarlo alla radio, di notte, e sebbene riconoscessi la sua voce, gli argomenti e i toni con cui li esprimeva mi hanno fatto dubitare che fosse veramente lui. Il Le Pen che conoscevo parlava altrimenti.

Adesso era più suadente. Meno aggressivo. Un po' meno xenofobo. Meno severo con gli immigrati arabi. Sciovinista ma più sfumato nel suo razzismo. Era soprattutto preciso, meticoloso, non generico, nell'elencare e spiegare le sue riforme. Riforme piccole ma significative per gli elettori. Come aumentare il numero delle infermiere per assistere le persone anziane. Come garantire le pensioni. Come assistere gli handicappati. E, in particolare, come garantire la sicurezza. La sicurezza degli individui, delle famiglie, dei quartieri, delle città. La Francia che presentava era una contrada ricca di insidie. Ladri, assassini, truffatori. Per lo più immigrati, stranieri che non solo insidiano la quiete dei cittadini, ma che deformano la nazione. Quanti saranno tra dieci, tra venti, tra trenta anni?

Già oggi i giovani francesi frequentano scuole agitate, in preda alla violenza dei coetanei stranieri. Chissà cosa accadrà nel futuro delle nuove generazioni. La sicurezza degli individui e delle famiglie e l'avvenire della Francia. Ecco due temi concreti che hanno consentito a Jean-Marie Le Pen di realizzare la sua grande ambizione: partecipare al finale dell'elezione presidenziale. E poter affrontare Chirac da pari a pari. La maratona elettorale francese cominciata ieri non è che una prima tappa. Dopo il
ballottaggio del 5 maggio ci saranno le legislative di giugno, dove riemergeranno tutti i fantasmi, i demoni della maledetta domenica d'aprile.

(22 aprile 2002)