Si scatena il candidato del
Front National all'Eliseo
Accuse anche a Blair: "Non sei meno razzista di
me"
COMMENTO
La
sinistra europea
dopo le macerie
di
EUGENIO SCALFARI
HA SCRITTO ieri Ilvo Diamanti a
chiusura del suo articolo sui fatti francesi:
"L'anomalia italiana non c'è più". Rimane
naturalmente il triste primato - ancora e credo per
sempre esclusivamente nostro - di un capo di governo che
è al tempo stesso il monopolista dell'intero sistema di
comunicazione televisivo; su questo punto non ci batte e
non ci batterà nessuno. Ma per il resto, populismo,
demagogia, tentazioni nazionalistiche o comunque
euroscettiche, attacco ai corpi intermedi per annullarne
o indebolirne l'autonomia, liberismo e dirigismo
pasticciati insieme, non siamo più soli in Europa, anzi
siamo in numerosa anche se molto scadente compagnia.
Restano ancora in piedi Schroeder e Blair, ma il primo è
quanto mai pericolante, il secondo, lui sì, è anomalo e
lo è sempre stato sia quando il pendolo oscillava verso
sinistra sia ora che si è vigorosamente collocato a
destra. Anomalo Blair perché anomala è ed è sempre
stata l'isola inglese di fronte al continente europeo per
un vasto ventaglio di cause a tutti note e che qui
comunque sono fuori dal nostro tema. Il tema, tanto per
delimitarlo con esattezza, riguarda l'effetto dei fatti
francesi sull'Europa (e sull'Italia) e sulla sinistra
europea (e italiana). Ce n'è d'avanzo.
In Francia è andato a fondo il Partito socialista dopo
cinque anni di coabitazione forzata con un Capo dello
Stato leader della destra ex gollista ma rigorosamente
contro la destra xenofoba di Le Pen. Avevano governato
bene i socialisti francesi ma questa circostanza,
apparentemente fondamentale, non li ha salvati dal
naufragio. Le cause, come concordemente rilevato da tutti
gli osservatori francesi e stranieri, sono state due. La
prima non riguarda soltanto i socialisti ma anche la
destra chiracchiana, cioè l'intero establishment
politico; riguarda la politica in quanto tale e si
definisce con una sola parola: disaffezione.
La gente, avendo perso ormai da tempo il senso
dell'appartenenza, ha preso in odio la politica e i
politici. Essi a loro volta sono diventati da tempo
autoreferenti e castali. Questi due mondi non si
incontrano più.
Il risultato quantitativo emerge da due percentuali che
dicono tutto: le forze di Chirac e di Jospin sommate
insieme rappresentano il 36 per cento dei voti espressi e
il 25 per cento degli aventi diritto al voto. Questa è
la disaffezione. Si vota per chi si propone come non
politico anzi antipolitico, vecchio o giovane che sia.
Essendo caduto il sentimento di appartenenza, ciascuno
pensa al proprio interesse, la percezione del bene comune
è scomparsa dalle categorie mentali.
Quindi si preferisce l'antipolitico che interpreta la
pancia della gente e i suoi supposti interessi
primordiali. In questa situazione non c'è più posto per
il socialismo. Quanto al neogollismo di Chirac, vincerà
perché Le Pen è impresentabile e la "gauche"
sarà costretta a votare per il suo avversario storico.
Ma intanto il leader xenofobo ha fatto man bassa di voti
popolari, operai, e "lumpen" e si prepara a
lanciare l'arma del referendum anti-Europa. Sarà lunga
questa storia, domenica scorsa ne è stata scritta solo
la prima pagina.
Ma la seconda causa del naufragio socialista riguarda
invece soltanto Jospin e il gruppo dirigente radunato
intorno a lui: non sono stati riconoscibili e
riconosciuti dalla loro gente che ha ritenuto, a torto o
a ragione, che scegliere tra il capo del governo
socialista e il presidente della Repubblica gollista
fosse un inutile esercizio e un'inutile fatica.
Conseguenza: sono rimasti al mare oppure hanno dato il
loro consenso ai massimalisti di destra e di sinistra:
nazionalisti, xenofobi, trotzkijsti; sedici candidati,
sedici etichette, un supermarket di piccole ambizioni, di
micro-ditte elettorali, specie a sinistra. Qui da noi ne
sappiamo qualche cosa.
Ora l'Europa è direttamente minacciata nel suo spirito
fondativo. Non dai proclami di Le Pen, almeno per ora, ma
dalle pulsioni nazionali che la destra europea, anche la
più moderata, ha portato sul proscenio. Ha ragione Prodi
di allarmarsi ma i fatti sono purtroppo fatti. I Sedici
dell'Unione, i Ventuno della Comunità, saranno d'ora in
avanti altrettanti galli intorno ai tavoli del negoziato.
La moderata destra spagnola per prima, l'Italia di
Berlusconi-Tremonti-Bossi a pari merito, la Francia di
Chirac in testa se non altro per disinnescare la miccia
lepenista, Blair e la sua anomalia insulare. Vedremo tra
poco Olanda e Germania ma ormai il giocattolo è rotto,
ripararlo sarà estremamente difficile.
La sinistra europea, con il sogno socialdemocratico
infranto, ha dinanzi a sé un compito immane: ricostruire
un'appartenenza ideale che tenga insieme tutte le sue
anime, ma anche darsi carico della modernizzazione nelle
sue molteplici forme globali. Immaginare una politica
riformista senza inseguire l'avversario. Negoziare con
gli interessi senza divenirne schiava. Riportare la sua
gente in battaglia senza abbandonarsi al massimalismo
chiacchierone. Unificarsi senza chiudersi nel ghetto del
settarismo. Rilanciare un disegno europeo che accresca la
sovranazionalità ma non il dirigismo degli eurocrati.
L'idea d'Europa sarà al centro della battaglia mentre
non lo è stata finora in nessuno dei paesi che la
compongono. Ma bisogna farne un'idea-forza, non una
disputa astratta e lontana. Terribilmente difficile, ma
vitale per la sinistra europea perché su questo terreno
si gioca la sua rinascita o la sua definitiva estinzione.
La sinistra italiana, in mezzo a tanti errori, tante
sconfitte, tante deplorevoli vanità di capi e capetti,
ha però un vantaggio: da qualche mese le sue varie anime
sono tornate in linea, hanno riscoperto il gusto della
partecipazione, cominciano a capire che è finito il
tempo di recriminare e di stracciarsi le vesti ed è
venuto quello di ricompattarsi e marciare uniti. Ci sono
ancora qua e là alcuni profetanti che reclamano vendette
e invocano autodafé ma sono frutti fuori stagione
perché oggi la strada da percorrere non consente
alternative: modernizzare i diritti ed estenderli a tutti
gli esclusi, così come hanno sentito ed espresso i padri
e i figli affiancati gli uni agli altri al Circo Massimo
il 23 marzo, nello sciopero generale del 16 aprile e come
sarà ancora il 1[b0] maggio.
Estenderli nel lavoro, nella scuola, nell'economia,
nell'informazione, nell'efficienza e autonomia della
magistratura, nella crescita delle imprese. E investire
sull'Europa, sulla sua identità passata e futura, sulla
sua capacità di esprimersi unitariamente riconoscendosi
negli ideali della libertà e della giustizia. La
sinistra è questo o non è. I fatti francesi ne hanno
dato drammatica conferma. Qui da noi si era capito già
prima, Silvio Berlusconi aiutando. Si può pensare che
proprio da qui il pendolo ricominci a muovere in
direzione opposta? Talvolta i sogni si avverano se a
sostenerli c'è l'umiltà di partecipare e l'orgoglio di
costruire il futuro.
(24 aprile 2002)
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