di Giuseppe D'Avanzo da La Repubblica, 24 gennaio
1997 IN ATTESA dei carabinieri che lo accompagneranno
in galera, Adriano Sofri si costringe a parlare di se
stesso come di un altro. Di tanto in tanto, l'amarezza
sembra afferrarlo e la sua voce prende curiosamente un
timbro ironico e lieve.
Nelle Note alla sesta sentenza, lei accenna agli
"innumerevoli errori" che ha commesso nella
conduzione della vicenda giudiziaria. Quali sono stati?
Ho sbagliato tutte le volte che ho pensato che potesse
prevalere la ragionevolezza, la sensatezza delle cose e
dei rapporti che, nonostante la drammaticità della
vicenda, credevo potessero rimanere civili e
reciprocamente rispettosi".
Che cosa non rifarebbe?
Non andrei in modo così cordialmente fiducioso incontro
a un processo, come il primo processo, che è stato una
tracotante dimostrazione di partito preso. Per il resto,
rifarei tutto. Non sono capace di comportarmi
diversamente da come mi comporto. Ciò non toglie che il
modo in cui mi comporto si è dimostrato assolutamente
negativo e, in particolare, ha acuito contro di me
un'avversione personale della quale non so se felicitarmi
o lamentarmi".
A volte, si è avuta l'impressione che
quest'avversione trovasse il suo motivo nel fatto che lei
non è simpatico.
Che io sia antipatico è stato addirittura un argomento
usato dal pubblico ministero in aula. Io non penso di
essere antipatico. Penso che ci sia nei miei confronti
una volontà punitiva come quella che certi precettori di
un tempo riservavano ai ragazzi indocili. Strada facendo,
l' avversione verso di me invece che attenuarsi, perché
dopo tutto non ero un malfattore particolarmente
pericoloso, è cresciuta nel corso degli anni".
È stata un'avversione di carattere personale o
politico? Valentino Parlato (Il manifesto) parla di
"vendetta politica". Lei si sente vittima di
una vendetta politica?
Forse vendetta è una parola troppo forte da usare
rispetto agli esordi di questa storia, ma c' è stato un
desiderio molto forte di rivalsa su tempi lontani,
nonostante - appunto - fossero molto lontani. Io ho
l'impressione che, con il tempo, la cattiveria nei miei
confronti sia diventata sempre più attuale e non
memoria"".
Come spiegherebbe le ragioni di quel che lei definisce
"un sequestro", a una persona che non ha
letto le carte del processo?
Rinuncerei. Gli direi che mi fa molto piacere ritrovare
qualcuno che non ha seguito questa storia e proverei a
usare questa circostanza fortunata per essere, sia pur
brevemente, come sono davvero e non essere costretto a
difendermi o spiegare la mia situazione
giudiziaria".
Il primo risultato pubblico della sua condanna è che,
dopo molti anni, un coro univoco critica una decisione
della Magistratura...
Radio Radicale mi ha chiesto: questo ti dà almeno una
soddisfazione? Ho risposto di no. Però io considero
molto triste che queste manifestazioni di critica
arrivino quando le cose si sono compiute. Faccio un
esempio ed è raro che io mi lamenti, perché sono molto
orgoglioso. Quando è venuta fuori la notizia, data
peraltro dai giornali, della stesura di una
"sentenza suicida" deliberatamente tesa ad
annullare un'assoluzione, non un commento è stato
pubblicato sulla stampa. Non un giurista o un opinionista
ha dedicato un commento a quella che io considero
un'obiettiva vergogna".
E tuttavia, a partita chiusa, quel coro di protesta
sollecita una domanda: perché è stato lasciato a
combattere la sua battaglia in solitudine?
Per varie ragioni. In quest' ultimo periodo perché
questa storia si era molto consumata. La stragrande
maggioranza delle persone che ho sentito in questi giorni
era persuasa che non sarebbe potuta finire così. Quindi,
c'è stata una specie di sottovalutazione derivante dal
logoramento della storia. Altra ragione: non hanno
giovato le ricorrenti accensioni polemiche sulla
"lobby di Lc", il "caso
Rostagno" è stato il culmine di questa buriana, per
me inspiegabile. Anche il mio atteggiamento - penso - che
non abbia favorito il costituirsi di solidarietà
organizzate intorno a me. Anzi, le ho scoraggiate per
avere una vita meno penosa di quella di chi diventa un
simbolo. Voglio, infine, aggiungere un'altra ragione.
Forse strana ma, per me, molto importante: sono passati
nove anni e il correre del tempo ha significato anche che
moltissime persone, umanamente decisive per me, sono
semplicemente morte".
Può farmi i nomi?
Da Sciascia a Moravia, da Natalia Ginzburg a Grazia
Cherchi a un'infinità di altre che non cito non perché
siano per me meno importanti ma perché sono meno note.
Questo processo è stato ammazzato anche per
vecchiaia".
Francesco Merlo (Corsera) ha scritto che con lei hanno
processato il Sessantotto. Condivide quest'opinione?
Per molto tempo mi sarei opposto, addirittura
irridendola, a un'analisi di questo genere. Del resto,
come si sa, ho cercato di tenere fuori da qualunque
politicizzazione questo processo. Pensavo che negli altri
ci fosse un'intenzione politica e io volevo escluderla.
Strada facendo, la nostra criminalizzazione è diventata
il fondamento per far passare come terrorismo non gli
anni del terrorismo, ma tutti gli anni che lo hanno
preceduto e, secondo questa interpretazione, incubato.
Dunque oggi, nonostante suoni un po' come uno slogan
retorico, in quel giudizio c'è una verità".
Lei non si è appellato alla Cassazione dopo il primo
processo mostrando una sfiducia nella capacità della
giustizia di correggere i propri errori. Poi ha fatto
ricorso contro i giudici per aver manipolato le sentenze.
Non c'è una contraddizione?
Non sembri un gioco di parole, ma ho l'impressione
inversa: non mi sono appellato, dopo il primo grado, per
una fiducia nella giustizia. Ho sostenuto - molto prima
che arrivasse quel verdetto e per spiegare la mia
decisione - che nel mio processo non riconoscevo la
possibilità dell'errore. L'affare era per me così
chiaro che non bisognava consentirsi la possibilità
dell'errore. Il diritto d'appello è un diritto e non un
dovere, e tantomeno una pigra abitudine come è diventata
in Italia. Dunque, era una dichiarazione di totale
fiducia in qualunque corte perché in una sola volta quel
caso avrebbe dovuto essere chiuso. Viceversa ora io ho
ricorso a Brescia. Avevo rifiutato qualsiasi mossa
preventiva. Potevo ricusare quel giudice sleale che aveva
già annunciato in un salotto romano la sua sentenza
preconfezionata. Ho deciso di non fare nessuna mossa
preventiva. Quando il pregiudizio del giudice è
diventato reale con quella vergognosa condanna, ho
presentato con scrupolo rassegnato la mia denuncia. In
questo caso, comunque, la mia fiducia è
bassissima".
La vicenda è finita qui?
Dal punto di vista giudiziario, senz'altro sì. Dal punto
di vista umano, no. Sono vivo, i miei coimputati sono
vivi. I giudici sono vivi e allegri. Dunque, lo
spettacolo va avanti".
In questi momenti che decidono una vita c'è sempre un
pensiero banale, laterale che si fa largo. Qual è il
suo?
Ce ne sono di invadenti e futili: la scoperta
ininterrotta di come delle cose a cui si è abituati da
una vita improvvisamente diventano insensate. Io ho
migliaia di libri qui, ma adesso non li ho più. Ho un
giardino, nella casa in cui vivo, ma non ce l'ho più. E
così la mia macchinetta del caffé...".
Ha mai pensato in queste ore al suo accusatore,
Leonardo Marino?
Io cito continuamente Marino, ma è un "obbligo
degli atti" perché ha costituito il pretesto
essenziale di questa persecuzione. In realtà, ho uno
scarsissimo interesse per Marino. Non ho il minimo
sentimento vivace nei suoi confronti, e tantomeno di
odio. Lo considero un disgraziato che ha fatto una cosa
spaventosa, ma decisamente al di sopr a delle sue
possibilità".
Chiederà la grazia?
Spero di non rimbambire così da evitare una schiocchezza
del genere".
I suoi toni sono stati disincantati. Eppure, leggo da
un'anticipazione di Panorama un'intervista attraversata
dal furore. Lei dice: "Maledico i responsabili
della mia persecuzione".
Con Panorama ho parlato prima della sentenza. E discutevo
dei processi, non della sentenza definitiva e di quel che
significa oggi per me".
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A futura memoria
di Giuliano Ferrara da Panorama, 24 gennaio 1997
Giuliano Ferrara ha incontrato Adriano Sofri poco
prima che la Cassazione confermasse la condanna dell'ex
leader di Lotta Continua per il suo convolgimento
nell'assassinio del commissario Calabresi. "Di Sofri
so due cose: gli sono amico e non è il mandante di alcun
omicidio" scrive il direttore di Panorama.
Domanda. Che farai se la Cassazione conferma la
condanna?
Risposta. Preparo la borsa e aspetto di entrare in
un carcere.
E poi?
Venderò cara la pelle. Non considererò chiuso niente
altro che me stesso, tutto il resto resterà aperto. Ho
un modello di detenuto, caro alla storia italiana: quello
che voleva far costare al nemico il suo carcere più di
una battaglia perduta.
La galera non dovrebbe affliggere, ma è fatta per
stroncare gli uomini.
Quegli anni che girano intorno al '68 hanno aperto le
case chiuse. Da allora, in qualche senso, non ci sono
più i sepolti vivi. Casini, manicomi, galere noi li
vedevamo come varianti dei camposanti, ma non è più
così da quando i detenuti scatenarono le rivolte dei
tetti, delle lenzuolate, dei torsi nudi, delle bende
sulla fronte. Si capì allora che andare in galera non
escludeva il fatto di continuare a essere.
Diranno che minacci eversione tra le sbarre...
Anzi. Se penso a detenuti benemeriti, che in carcere
socializzano e lavorano, ti dirò che sono tuttavia piu
incline, salvi i doveri di solidarietà che gli altri
detenuti ricambiano, a una detenzione solitaria. E'
essenziale il riparo, ormai per me ha un senso tutto
speciale la distanza, il sogno alla Woolf è quello di
una cella tutta per sè.
Hai sperimentato l'inimicizia di molti, in questi
anni...
Sì, ma mi è rimasta l'energia per maledire i
responsabili di una faccenda così losca, di una
persecuzione tanto abietta.
Leonardo Marino?
No, per Marino provo un disprezzo distratto. E' per i
giudici infedeli e per chi li ha aiutati che agito,
sperando in buone probabilità di successo, una severa
maledizione.
Che dice Randi, la donna che vive con te?
Paga molto, ma molto piu di me il peso di questa
persecuzione giudiziaria.
I figli Luca e Nicola?
Sono anni che fanno i paladini dell'imputato padre. Sono
complementari. Quando non ce la fanno piu, si danno il
turno. C'è il processo di Luca e quello di Nicola. Ho
avuto gli orecchioni da grande, con mesto ritardo, e loro
mi hanno dato una mano. Ringrazio Dio per questi figli.
Dio?
Non sono credente, ma lo scrivo con la maiuscola.
C'è gente da ringraziare, penso.
Tantissima gente. E un grazie basta.
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