DAL MOMENTO PERCEZIONALE AGLI UNIVERSALI DELLE COSE: FINITEZZA - DUALITA- COMUNICATIVITA Percorrendo il reale, nelle sue pieghe e nelle sue chiome, nelle sue latitudini e nelle sue longitudini, nellinfinitamente piccolo e nel sommamente grande, non possiamo non constatare come ogni forma, dalla più semplice alla più complessa, si dispiega davanti alla nostra primaria percezione (la vista) come MODULO FORMALE A PRIORI. Esse (le forme) sono già nel senso che esistono create e messe lì a dispiegare, con temporale gradualità nel contesto spazio-tempo in cui sono collocate, la loro manifesta spettacolarità al cospetto della vigile ed articolata attività percezionale cui per destinazione naturale sono esposte. Nel corso della storia, generazioni diverse, con motivazioni e condizionamenti culturali differenti, allorché le hanno incontrate, non hanno potuto esimersi dallosservarle e contemplarle in modo sempre nuovo e diverso, esplicando e tessendo sulla loro fisicità e sulla loro reale consistenza, unanalisi ed unindagine continua; analisi divenuta, nel tempo, via via sempre più capillare e complessa, attesa lesigenza infinita di sempre meglio conoscerne lintima e misteriosa essenza. Potremmo, a rigore, affermare che sono le volute delle loro configurazioni periferiche a caratterizzare in modo unico e definito la primaria impressione che abbiamo di esse, così ponendo in noi le basi fondamentali per il successivo, inevitabile giudizio. Orbene, la coscienza e la conoscenza che accompagnano lessere contemporaneo, in qualsivoglia ambito egli si trovi ad operare, fosse quello dellarte o della scienza, della filosofia o della ideologia, o semplicemente lessere anonimo della immensa e variegata moltitudine degli umani, fanno germogliare in noi un sentimento di meravigliata riverenza al cospetto di un siffatto, stupefacente spettacolo. E la riverenza è tanto più viva e sentita, a guisa delleffettuarsi e del determinarsi sempre più esteso di quella consapevolezza e quella conoscenza. Le forme riempiono il REALE, esse sono il REALE. E questi (il REALE) checché si pensi è identico da sempre, da milioni di anni, dalla comparsa delle cose, dalla nascita delle forme. Siamo noi, infatti, man mano che entriamo nella vita, a darci premura di incontrarlo, a darci stimolo ad esaminarlo, studiarlo, analizzarlo, per avere di esso una coscienza sempre nuova e diversa. (Basti, a tal proposito, osservare le opere darte su uno stesso tema o soggetto, eseguite da differenti artisti in epoche e con condizionamenti culturali diversi: cambia la visione, cambia il risultato). Comunemente imputiamo tale fenomeno allo spirito del tempo, con ciò indicando linsieme molteplice dei modi di vedere e percepire le cose a seconda delle epoche. Ma per lartista, lo spirito del tempo altro non è che la necessità imperiosa di coagulare quel sentire e dilatare immaginificamente quel REALE tal che esso, risultando sempre meno coatto e liberando ogni aspetto del suo fondo potenziale venga, alla fine, assoggettato allazione fluida della fantasia creatrice per divenire così pascolo ameno e ridondante per ogni forma di fruizione ed interazione consapevole e gioiosa. Un siffatto atteggiamento, senza essere alieno o dimentico della suprema finalità delluniverso e di ciò che esso contiene, si manifesta, diviene e cresce sempre in verticale generando in noi accumuli sempre nuovi di conoscenza la quale, a sua volta sedimentata, pone in essere nuove problematiche ed accende inedite potenzialità per la dipartita verso remoti ed ancora sconosciuti orizzonti al fine di addizionare REALE su REALE in tutti i segmenti del fare e del pensare in cui è impegnata lazione generatrice dello spirito. Non uno iota rimane inerte, improduttivo o incomunicante. Tutto si dispiega ad esistenza non in sé e da sé ma, appunto, in relazione alla nostra capacità di cogliere e percepire quanto ci circonda e con questo interagire in modo molteplice e profondo onde poter dar vita, istante dopo istante, a REALI novelli ed aggiuntivi, in un processo continuo e dagli esiti imprevedibili ed infiniti. Non cè frazionamento, frattura o netta divisione tra una forma e laltra; tutte sottostanno alla legge naturale di sfuggente gradualità. Per cui ogni nostro intervento teso ad una arbitraria classificazione, appare irrimediabilmente come il connotato di una forzatura o di una trasgressione. Losservazione attenta delle forme (ossia la forma e le parti infinitesime che la compongono), ci avverte che ognuna di esse digrada, per così dire, sfuma impercettibilmente verso altre entità formali attigue, a guisa di gradiente circolare continuo. Ogni configurazione formale è preceduta e seguita da altre configurazioni formali che da essa si dipartono con indirizzo omnidirezionale, a schema ritmico ed andamento modulare. Ed elemento caratterizzante di tale situazione è una sorta di arabesco segnico che invisibilmente fluttua da una entità formale ad unaltra, in modo mimetico sì ma che, alla fine, eludendo ogni arbitrio immaginativo, evidenzia le possibili modulazioni e prefigura le infinite configurazioni. Queste non hanno, a dire il vero, laspetto di una immediata riconoscibilità, ma sono supportate a tale scopo dal carattere costitutivo dello spirito che, nel mentre le identifica ponendole nellarea dellattenzione consapevole, le espone allarbitrio dellazione fluida della fantasia immaginifica. Siffatto stato di cose è palese ed esso manifesta la propria evidenza come atto di verità a priori; e sappiamo bene che ogni cosa che da sé si rivela e si evidenzia, detiene in sé gli elementi ed espone il volto di una verità. Se estrapoliamo dal contesto dellesistenza una sola entità, sia essa fisica o metafisica, reale o astratta, ancor prima di promuovere (con essa) un qualsivoglia dialogo, dobbiamo anteporre alle nostre finalità artistiche, filosofiche, sociologiche, ideologiche o scientifiche precostituite, lattenzione su quel particolare momento magico che è lo stupore derivante dal saluto primordiale del nostro primario incontro con le cose; il pensiero di trovarsi o ritrovarsi a vivere ed a coesistere insieme come per incanto, come fosse la prima volta, dimentichi e liberi dalla schiavitù di ogni interesse contingente; la percezione consapevole di esserci senza sapere di venire da chissà dove, e di riempire lo spazio ed il tempo, qui ed ora, in modo fisico, unico ed irripetibile. Scopriremo così che le FORME, con i loro connotati cromatici, le loro volute strutturali, il loro ricamare lo spazio come un sinuoso ed iridescente arcobaleno, innanzitutto, prima ancora che su di esse attiviamo il giudizio (il pericoloso giudizio limitante e discriminante!), sono là ad ammonirci, ad avvertirci, a comunicarci, ad informarci, a commuoverci, a gridarci con tutta la forza della loro evidenza, lincontestabilità della loro esistenza e della loro unicità. Lartista contemporaneo vive questa consapevolezza più che in qualsiasi altra epoca, conscio che ogni suo atteggiamento discrimine, ogni sua azione dimentica di quanto sopra detto, saranno riflessi inesorabilmente nella sua opera la quale, pertanto, risulterà manchevole ed incompleta. Così quando opera per citazione o agisce per prelievo sia pure il più minimale possiamo dargli significanza o esplicazione che egli stia mostrando un atto di riverenza nei confronti del REALE naturale o di quello addizionato. E questa riverenza (o atto conseguente) è il segnale esteriore dellaver raggiunto quella consapevolezza e nel contempo è la motivazione del mostrare quella entità o singolarità formale; esporla, per così dire, su un piano di osservazione ed attenzione corale, spettacolarizzando la sua esistenza al fine di rendere solare la sua percettibilità configurazionale. Sappiamo, peraltro, che latto comunicativo esplica la sua azione a differenti ed infiniti livelli; ma è indubbio che esso resta principalmente ed essenzialmente un dire ed un mostrare un alcunché di oggettivo e di reale. Oggettivo, sintende, in senso universale, poiché a rigore tutto (e quindi, anche ciò che reputiamo soggettivo) diventa oggettivo allorché lo mostriamo al senso della vista e lo esponiamo allattenzione plurale. Se, dunque, in tale ampiezza si esplica il processo comunitativo, è palese che le reazioni vicendevoli che da esso discendono sono infinite ed imprevedibili; per cui siamo perfettamente consapevoli della estrema interdipendenza che lega ciascuna cosa allaltra e come ogni particolarità di queste sarà evidenziata soltanto mediante la relativa prossimità spaziale alle altre. Le cose invadono lo spazio fisico in maniera conflittuale, ma tale da renderlo sensibile e vitale. Potremmo meglio dire che esse sono il presupposto per lapparizione dello spazio, perché questi si evidenzi e si renda percettibile alla nostra ricognizione visiva. Lo spazio, quindi, a seguito della invasione delle cose, emerge e si manifesta restandone modulato e strutturato in ogni senso, ma soprattutto in senso estetico. Le cose, poi, al loro limitare periferico, allorché incontrano lo spazio, danno vita ad un fenomeno percezionale che appelleremo segno della cosa. Questo segno, daltro canto, connota la cosa in maniera estetico-formale, unica ed irripetibile che, per tal verso, si mostra ricevibile dal nostro senso della vista. Ma anche ciò che riempie la cosa contribuisce a determinare con la sua conformazione più o meno estesa il confine della cosa stessa, cosicché il segno che ne discende sarà il distintivo che la caratterizza e la rende reale a quelle circostanti, in un silenzioso gioco ripieno di mutuo rispetto estetico-relazionale. E inevitabile che lazione del vedere obblighi locchio a fissare un solo punto della cosa guardata ignorando il resto della sua estensione che da quel punto si diparte. Sappiamo bene, però, che ciò avviene per via della struttura fisiologica della vista costretta, come dire, a mettere a fuoco un punto per volta della cosa stessa. Sappiamo anche che nel mentre non è possibile fissare contemporaneamente più punti, purtuttavia non ignoriamo, non scartiamo a priori gli altri e, quindi, la consapevolezza che abbiamo della loro esistenza e della loro effettività integrale; cosicché diremo che non con locchio, ma con la mente operiamo panoramicamente su quel reale mostrato. Non vè dubbio, tuttavia, che ogni singolo punto percepito attiva il giudizio e che, di conseguenza, lattivarsi di questi ha luogo nellistante esatto in cui inizia il mostrarsi di quel punto e poi un altro ancora, il tutto in un complesso gioco di istantanei rimandi. Occorre, altresì, ribadire che nessun giudizio si genera da sé stesso se non vè nozione od essenza da cui e su cui orientarlo; non è, infatti, possibile immaginare una realtà aliena, diversa da quella che si genera col trascorrere degli istanti temporali. Dalla consapevolezza di un tale processo allanalisi critica istituita su un determinato lavoro artistico, ritenuto sommariamente ripetitivo di un altro con impaginazione e tematica analoga, il passo è breve e giova qui semplicemente ricordare che due oggetti, due pensieri non possono occupare contemporaneamente lo stesso spazio e lo stesso istante di tempo. Se, dunque, le cose si generano ed arrivano allattenzione dei nostri sensi una per volta, losservazione (ed il conseguente giudizio che su di esse poniamo in essere) ha andamento sequenziale e modulare che abbisogna successivamente di una operazione di sintesi perché diventi intellegibile alla nostra facoltà cognitiva. Ne scaturisce una triade ove ogni fase è presupposto essenziale per lattivazione e la sussistenza dellaltro: PERCETTO-CONCETTO-GIUDIZIO che, pertanto, appariranno come la sintesi di unazione e di un rimando straordinariamente vitale per la percezione consapevole del REALE. Di generazione in generazione luomo affina la sua capacità di ascolto e di dialogo con ogni aspetto dellesistenza. Ma ciò può avvenire in modo completo solo se ci si sofferma su un elemento per volta e con la consapevolezza che in tale processo vè sempre qualcosa che sfugge o si dimentica e che, infine, va perduto. Posto sullaltare dellosservazione consapevole e percettivamente reale un pensiero, unidea, istantaneamente precludiamo ad altre immagini la possibilità di generarsi e di attivarsi. Diremo, allora, che queste non avranno mai lonere né lonore di venire ad esistenza; non potranno mai apparire ed entrare nella sfera del percetto attivo per divenire, appunto, oggetto di osservazione, concettualizzazione e giudizio. In un processo siffatto molto rimane nascosto, moltissimo resta nellalveo della pura possibilità, suscitando in noi il rammarico di non aver mai potuto conoscere né attentamente osservare ciò che non è mai stato. Loperazione di scelta operata dallartista nellimpostare il suo fatto estetico ha del coercitivo per lartista stesso. Egli, infatti, è consapevole come nessun altro di ciò che perde allorché pone in essere la sua scelta fra le tante che gli mostrano possibili. Avrà mai loccasione di recuperare quei segni e quelle immagini? Avrà mai la possibilità, sia pure strumentale, di fermarle e in qualche modo fissarle, per ammirarle e meglio riguardarle? Al tempo presente lunica possibilità è offerta dal metodo della ripetizione seriale. Ogni cosa che si mostra è unevidenza ed ogni cosa da questa generata è tratto dellevidenza stessa. Ogni cosa manifestata dallevidenza è creazione ed ogni creazione è un atto artistico. Ogni proposizione segnica, pittorica o plastica è realtà, così come ogni variante incidentale di tale proposizione è sviluppo reale ed oggettivo di tale realtà. Ogni asserzione di pensiero è verità ed ogni suo contrario o variante parallela, obliqua o verticale è parte costitutiva discendente da essa verità. Possiamo perciò riassumere che ogni elementarità reale o concettuale, fisica o metafisica, concreta o astratta, possiede in sé e inconfutabilmente da sé manifesta il connotato di una verità; così come ogni dispiegamento e articolazione del molteplice racchiude e riassume in sé il crisma della verità. Tali verità, peraltro, sono solo nuclei di quella verità generale e complessiva che va ricercata entro il perimetro che tutte le ingloba e le contiene. Va, altresì, soggiunto che per poter qualificare reale una data verità occorrerebbe poter additare una non verità, atteso che ogni dualismo evidenzia due realtà antitetiche sì, ma di pari valore effettuale. La luce ed il buio sono ambedue necessari luna per la sussistenza dellaltro ed entrambi contribuiscono alla determinazione della realtà così come la conosciamo. Nessuno di essi può legittimamente definirsi VERITA in assoluto, in quanto ambedue sono aspetti diversi della medesima realtà-verità. Ogni cosa, ogni aspetto della realtà si mostra, ossia espone, esibisce il suo status esistenziale-configurazionale. Tale status che è tale e non altro ha la tendenza ad innescare tutta una serie di funzioni relazionali con il mondo circostante che risulteranno essenziali e determinanti per lattivazione dellazione percettiva. La percezione che con esso si genera, poi, non vive di luce propria ma è interamente il riflesso del giudizio che automaticamente poniamo in essere per effetto della centralità del punto di vista personale e, per ciò che interessa, del giudizio soggettivo particolare. Appare evidente, pertanto, che lindicazione che ci anima a riguardare i minuti ed infiniti aspetti delle cose non è innata in noi, bensì generata dalla prassi, man mano che influenze esterne hanno evidenziato un aspetto , un altro, o un altro ancora delle cose stesse. Ma la realtà, nel suo insieme, riassunta nei diversissimi elementi che la compongono, non è né brutta né bella: essa appare soltanto. Finanche gli stessi concetti di bene e di male, risultano precari senza lintroduzione di un elemento esterno discriminante. Quando ci disponiamo ad operare per il tramite di unazione anziché per unaltra, lo facciamo autonomamente poiché cè da conseguire un fine ben determinato, e non perché lazione, in quanto tale, sia buona o cattiva. Solo ricorrendo ad un criterio di morale discriminante può essere legittimata e qualificata la nostra scelta operante; solo rispetto ad un cosiddetto terzo punto che è il dato a priori per il conseguimento del fine specifico operiamo la relativa scelta. Osserviamo, pertanto, che svincolati dal terzo punto risultiamo, nella vita, impegnati con un molteplice costituito da cose, pensieri, azioni, eventi, accadimenti, ossia con un universo infinito formato di pura percezione e casualità. Diremo, allora, che la finalità cui le cose tutte sono sottoposte pone in esse unambivalenza, un dualismo esistenziale ed effettuale che successivamente diventa in noi presupposto per lattivazione e lintroduzione del giudizio. Ma il nostro giudizio discende sempre da una visione soggettiva ed, in arte, occorre sempre più rifuggire dal soggettivo. Gli elementi figurali che compongono lopera darte nuova debbono attingere agli aspetti universali delle cose proprio perché essi non siano il riflesso di un giudizio visionale soggettivo. Anche se si può eseguire larte senza sapere riflessivamente cosa larte sia, è indubbio che in essa si compendia ogni aspetto dellessere nella sua interezza ed assolutezza. Vanno, pertanto, considerati tutti i messaggi che provengono dalle cose e non solo quelli percepiti dallocchio allatto del nostro incontro con loro. Secondo la pratica artistica tradizionale, se volessimo perpetuarci a rappresentare le cose, dovremmo innanzitutto procedere a visionare le cose stesse per poi operare una scelta (soggettiva) tra gli infiniti oggetti di natura caduti sotto la nostra attenzione allatto dellazione ricognitiva; in questa sede, finiremmo con lo scegliere quelli che meglio rispondano al nostro senso estetico ed al gusto artistico imperante nel momento in cui si opera. Occorre, altresì, soggiungere che, pur se la prassi artistica non esaurisce qui il suo limite, ma comprende ed ingloba tantissime altre istanze di ordine culturale, psicologico ed emozionale - in stretta dipendenza, queste, con quanto proposto dalla cultura del tempo, ( ossia lo spirito che veleggia su una società in una data epoca) - finiremmo, in definitiva, col proporre nella rappresentazione artistica solo lequivalente della nostra visione personale e della nostra idealità soggettiva. In altri termini, il pittore antico, allorquando voleva dipingere un nudo di donna ( a meno che non fosse il ritratto di una donna nuda particolare) sceglieva fra i tanti nudi possibili quello che più rispondeva alla sua idea artistica di un tale tema. Quella donna, così, doveva riassumere nel corpo qualità plastiche di un particolare interesse coincidenti con lo spirito del tempo di quel pittore che, unite alla sua visione soggettiva, gli permettessero di mettere in risalto la sua idea artistica del tema prescelto. In pittura è loggettivazione di ciò che viene proposto a rendere il pensiero dellartista. Diremo, pertanto, che se dessimo vita ad un nudo di donna, oltre a dover creare un fatto pittorico, dovremmo operare la scelta di una persona che abbia una configurazione fisico-plastica particolare nonché attributi anatomici tali e che, riassunti, siano indicativi del singolare aspetto plastico-formale di quella donna; ma nelloperare una tale scelta non potremmo esimerci dal ricorso al conseguente nostro particolare giudizio, ossia quel giudizio che presiede e sta alla base affinché si possa mettere in atto una tale scelta. Avremmo, senza volerlo, posto le premesse per unindicazione di giudizio che, alla fine, potrebbe risultare a dir poco coercitiva nei confronti di coloro che guarderanno tale opera, con il risultato di sottoporre alla loro attenzione soprattutto ed essenzialmente lesito del nostro punto di vista soggettivo e non lessenza oggettiva del tema prescelto; ovvero la visione pura, spurgata di ogni particolarità e soggettività, metafora grafo-plastica di valore universale. Quanto detto costituisce valida argomentazione acchè ogni momento, ogni circostanza del vivere sia occasione per rivedere il cammino dellarte percorso sino a quellistante, nonchè la nostra posizione nel costituirsi continuo di quella realtà. Ciò significa avere la percezione netta che infiniti sono gli aspetti delle cose che ci circondano e fra i quali necessariamente dobbiamo scegliere. Tale scelta, tuttavia, dovrà attivarsi solo in sede di esposizione e strutturazione di quegli universali; solo allora, infatti, la visione si aprirà genuina ai nostri sensi permettendoci di comprendere e filtrare appieno gli idiomi misteriosi della natura e dellesistenza nel suo insieme. Basta tendere la coscienza sulle cose e sulla loro metafisica effettività che subitaneamente il pensiero schiude alla nostra percezione la consapevolezza che ogni entità, reale o astratta che sia, in quanto tale, è innanzitutto un arcano formale. Da ciò discende la necessità di bandire nelloperazione artistica ogni rappresentazione di quegli oggetti così come si dispiegano alla nostra percezione visiva, perché mutata è la nostra consapevolezza che abbiamo ora di loro. Essi, infatti, al cospetto della nostra maturata coscienza sono divenuti opere finite in sé che hanno esaurito ogni possibilità di rappresentazione artistica tradizionale e soffrirebbero, per tal verso, di discriminazione arbitraria e di parte. Occorre, invece, prendere atto dellampia valenza esistenziale insignita ed acquisita dalle cose tutte, trasmutandone lintima essenza in metafora formale che permetta allartista di organizzare e riferire solo e soltanto le loro valenze oggettive ed i loro aspetti universali. Tale MUTAZIONE permetterà finalmente di abolire la millenaria gerarchia di valori istituita ad ogni ora ed in ogni luogo sulle cose. E il tempo presente che ci addita una tale necessità. Pertanto, va solennemente svelato, dichiarato e preso atto che ogni entità fisica, metafisica o astratta, in quanto esistenza è attraversata o detiene in sé gli universali di FINITEZZA, DUALITA e COMUNICATIVITA. Questi sono talmente evidenti, chiari e distinti che qualsiasi dubbio di pensiero su di loro risulterebbe correo di un pretestuoso atteggiamento cerebrale. Essi (gli universali) evidenziano le cose tutte e queste, di riflesso, evidenziano quelli. Cè, in tale contesto, un vicendevole interesse ad emergere a mostrarsi a qualificarsi per lesistenza. Ogni particolarità è bandita, ogni dato relativo ne esce sconfitto, annullato, ridicolizzato. Ritornando allesempio precedentemente descritto, diremo che quellipotetico pittore sceglierebbe una donna che, secondo la sua visione personale e la sua formazione culturale, riassumesse i concetti di bello soggettivo ed arbitrario. Ma il concetto di bello di cui dispone quel pittore sè costituito in lui solo perché come conseguenza di giudizio si è contrapposto e radicato nella sua coscienza il concetto di brutto. Egli, pertanto, esprimerà nella sua opera il bello soggettivo solo per il tramite del suo opposto. E perché di grazia, dovremmo dar luogo a rappresentazioni che solo soggettivamente reputiamo belle ed omettere tutto ciò che sempre soggettivamente riteniamo che bello non è? Non vè il rischio in siffatto atteggiamento, di compiere unazione riduttiva verso la vita e di plagiare coercitivamente il fruitore delle opere che creeremmo? La creazione artistica, perché risulti congrua abbisogna di oggettivarsi nel suo essenziale e nel suo universale; quelluniversale che permea tutte le cose, nessuna esclusa. Avrà, così, il grosso pregio di non essere partigiana e di risultare, al fine, realtà visiva unica, perfettamente intellegibile da ogni spirito libero. La nostra epoca, caratterizzata comè da velocità di elaborazione, sintesi ed assorbimento continui, acuisce in modo drammatico la prospettiva di tale problema ed addita lunica soluzione ora possibile: la rappresentazione artistica modulare della realtà mediante ICONOGRAMMI METAFORICI UNIVERSALI (I.M.U.). Si oltrepasserà, in tal modo, laspetto puramente epidermico delle entità per pervenire alla rappresentazione delle cosiddette essenze-verità assolute, ossia gli aspetti universali che presiedono al dispiegamento della vita ed al suo divenire, nei suoi sempre inediti e novelli aspetti, oltre ogni limite di spazio e di tempo. Verrà, inoltre, posta in essere ed evidenziata la bellezza pura che risiede nellassolutezza configurazionale-esistenziale delle cose; e ciò risulterà per lartista un valore nuovo che lo guiderà e lo inciterà nella sua azione poliedrica di dilatazione e amplificazione del creato. Non sarà, come potrebbe apparire, un semplice processo di astrazione dalle forme date (in questo senso ha già operato larte fino ad ieri). Sarà, invece, una creazione ex-nova, equivalente plastico unico, metafora grafo-pittorica di ogni cosa e di ogni azione, di ogni pensiero e di ogni sensazione, espressione totale e diveniente di ogni forma e realtà. Sarà, altresì, evento pedagogico capace di istituire un livello etico nuovo nelle nostre relazioni con il mondo delle cose; quelletica di ispirazione non più arbitraria ma consapevolmente sincrona con ogni atto di natura. Ciò che dovrà essere riferito nella creazione artistica nuova, infine, è luniversale ed i discorsi poetici che quelluniversale è in grado di attivare e di plasmare. Come la natura, nel suo spazio, colloca gli elementi-base gli uni accanto agli altri finché perviene ai suoi assiomi formali (atomo, pietra, fiore, animale, pianeta stella, galassia, ecc., ovverosia i costituendi del visibile), parimenti opereremo noi nello spazio dellarte, tessendo e strutturando forme e colori con le nostre operazioni artistiche unicamente mediante quegli universali (I.M.U.). Appelleremo ogni entità sopradescritta discorso poetico della natura creatrice e li qualificheremo unici, finiti ed irripetibili, incastonati come sono nel mosaico infinito della realtà. Su nessuno di loro la NATURA ha inciso o dato segno di discriminazione o di giudizio. Donde allora il nostro giudizio che incessantemente poniamo in essere, in ogni tempo ed in ogni luogo, su di loro? Il processo creativo non è fenomeno isolato, né tantomeno ottuso atteggiamento cerebrale. Lumile e consuetudinaria azione degli occhi nella vita di tutti i giorni, fagocita incessantemente e senza posa la realtà nel suo insieme, svela e ricompone, conduce ad unità ed ordine ogni configurazione formale che, sedimentata e metabolizzata viene, appunto, restituita sotto forma esaltata e dilatata. Questa azione viene effettivamente posta in essere allorché lartista si propone come finalità primaria, linterpretazione spirituale del mondo, per darne unidea riflessa nella propria arte. E, altresì, necessario che egli esca dal soggettivo, omogeneizzi tutti i vari gradi del sentire e del percepire, per restituire in arte un equivalente come somma di tutti gli elementi che formano il mosaico della realtà, conferendo ad essi un quoziente di universalità; quella universalità che tutti li accomuna e saldamente li vincola per latto esistenziale. Riassumendo, a ben considerare risultiamo nella vita come incastonati in una moltitudine di entità formali, tutte difformi tra loro ma collocate, silenziose e mute, le une accanto alle altre in uno scenario caratterizzato essenzialmente da sequenzialità prospettica, conseguenza questa della collocazione spaziale relativa di quelle forme stesse. Risulta evidente che così disposte, nessuna di esse può legittimamente rivendicare il diritto ad una migliore considerazione rispetto alle altre. Se infatti siamo tutti egualmente partecipi del meraviglioso scenario che è la vita, se la nostra fantasia creatrice scaturisce dallo stesso profondissimo caos delle idee, dobbiamo rifuggire la suggestione e, quindi, la strumentalizzazione coattiva esercitata dalle propaggini del REALE, quella porzione di REALE che ci viene incontro per prima ed aggredisce percettivamente i nostri recettori di senso per effetto, appunto, della loro prossimità spaziale. Se ci spogliamo delle mode culturali legate alla visione collettiva ed agli stereotipi di pensiero germinati dai tempi, se liberiamo da ogni serraglio la nostra istintiva individualità percezionale, ci scopriremo, con stupore, come al mattino della nostra relazione con le cose. Ci apparirà chiaro, allora, che le cose sono, esse sono soltanto collocate le une accanto alle altre per la pura esigenza di esserci per la pura necessità di darsi come reale, concreto e doveroso atto fisico di partecipazione per la fattualità della vita da "LA VISIONE MODULARE" di Giustino DE SANTIS Editore C.D.E. Ragusa (Italia) Anno 1994 |