Il ballerino anarchico fu arrestato per la strage milanese del '69
In carcere tre anni prima che si dimostrasse la sua innocenza
E' morto Pietro Valpreda
fu assolto per Piazza Fontana

L'attentato alla Banca dell'Agricoltura causò 16 morti
Contro di lui non c'era nessuna prova

REPUBBLICA 7 LUGLIO 2002

MILANO - Pietro Valpreda, l'anarchico ex ballerino che fu accusato e poi assolto per la strage di Piazza Fontana, è morto nella sua abitazione di Milano. Aveva 69 anni ed era da circa un anno malato di tumore. "L'ultimo anno è stato travagliato e doloroso, ma Pietro si è spento serenamente e senza sofferenze - ha detto la sorella - in questi ultimi giorni, tra ospedale e casa, sono venuti in tanti a portargli l'ultimo saluto e commoventi testimonianze d'affetto".

Valpreda era stato arrestato quattro giorni dopo lo scoppio della bomba alla Banca dell'Agricoltura nel centro del capoluogo milanese il 12 dicembre del '69, insieme al ferroviere Giuseppe Pinelli, che quattro giorni dopo morì cadendo dalle finestre della Procura di Milano mentre veniva interrogato.

Valpreda fu arrestato sulla base della testimonianza di un tassista, che alla polizia disse: "Si è diretto con una borsa verso la Banca dell'Agricoltura, quando è tornato dopo pochi attimi, non aveva più la valigetta...". L'ex ballerino negò sempre ogni coinvolgimento, ma rimase comunque in carcere fino al 1972, quando la pressione dell'opinione pubblica costrinse il governo ad emettere un decreto legge che ridusse i termini della carcerazione preventiva. Grazie alla legge che è ricordata con il suo nome, l'anarchico uscì dal carcere: di sue responsabilità nella strage, oltre alla testimonianza del tassista, non si trovò mai alcuna traccia.

Nell'esplosione di Piazza Fontana morirono sedici persone, e 90 rimasero ferite: l'attentato diede inizio agli anni bui della "strategia della tensione". Trent'anni dopo per quella strage furono condannati gli esponenti neofascisti di Ordine Nuovo, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni.

I funerali di Valpreda svolgeranno domani alle 14.30
presso il Circolo anarchico

SCHEDA / La cronologia
Piazza Fontana
33 anni di misteri

ROMA - Queste le principali tappe dell' inchiesta e dei processi che si sono susseguiti, in questi trentatre anni, sulla strage di piazza Fontana che ha visto Pietro Valpreda tra i principali imputati. L'anarchico è stato assolto nel 1985.

12 dicembre 1969: un ordigno esplode nella Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza Fontana a Milano. 17 morti e 84 feriti.

15 dicembre 1969: a Milano l' anarchico Giuseppe Pinelli precipita da una finestra della Questura mentre viene interrogato. Lo stesso giorno è arrestato Pietro Valpreda.

23 febbraio 1972: si apre a Roma il primo processo. Dopo 4 giorni la Corte si dichiara incompetente e rinvia gli atti a Milano.

13 ottobre 1972: la Cassazione assegna la competenza a Catanzaro.

23 febbraio 1979: a Catanzaro si conclude il processo, cominciato il 18 gennaio 1977. Ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini. Quattro anni e mezzo per Valpreda e Merlino per associazione sovversiva.

12 agosto 1979: a Buenos Aires viene arrestato Giovanni Ventura.

23 agosto 1979: Franco Freda viene catturato in Costa Rica.

20 marzo 1981: a Catanzaro si conclude il processo di secondo grado. La sentenza assolve per insufficienza di prove dall' accusa di strage Franco Freda e Giovanni Ventura ma li condanna a 15 anni per attentati a Padova e Milano. Confermate le condanne di Valpreda e Merlino per associazione sovversiva.
Assolto Giannettini.

10 giugno 1982: la Corte di Cassazione annulla la sentenza d'appello di Catanzaro e rinvia il processo a Bari. Confermata solo l' assoluzione di Guido Giannettini.

1 agosto 1985: a Bari la Corte d' Assise d' Appello assolve per insufficienza di prove Freda, Ventura, Merlino e Valpreda.

27 gennaio 1987: la Cassazione respinge i ricorsi degli imputati di Bari contro la sentenza di secondo grado, rendendola definitiva.

27 marzo 1987: a Caracas è arrestato Stefano Delle Chiaie ritenuto coinvolto nella vicenda con Massimiliano Fachini.

20 febbraio 1989: la Corte d' Assise di Catanzaro assolve per non avere commesso il fatto Delle Chiaie e Fachini. Delle Chiaie viene scarcerato.

11 aprile 1995: a Milano, per una inchiesta parallela, il giudice istruttore Guido Salvini rinvia a giudizio Giancarlo Rognoni, Nico Azzi, Paolo Signorelli, Sergio Calore, Carlo Digilio e Ettore Malcangi e trasmette a Roma gli atti riguardanti Licio Gelli per il reato di cospirazione politica.

Aprile 1995: il pm Grazia Pradella, in seguito affiancata da Massimo Meroni, diventa titolare della nuova inchiesta sulla strage di piazza Fontana.

Luglio 1995: Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi sono iscritti nel registro degli indagati con l' accusa di strage.

14 luglio 1997: il gip Clementina Forleo emette due ordini di custodia cautelare, uno per Carlo Maria Maggi, l'altro, non eseguito, nei confronti di Delfo Zorzi, da vari anni imprenditore in Giappone.

8 giugno 1999: sono rinviati a giudizio per strage Zorzi, Maggi e Giancarlo Rognoni; per favoreggiamento Stefano Tringali.
In seguito viene rinviato a giudizio anche Carlo Digilio.

24 febbraio 2000: davanti ai giudici della seconda Corte d' Assise di Milano inizia il processo.

18 maggio 2001: il pm Massimo Meroni conclude la requisitoria: chiede l'ergastolo per Zorzi, Maggi e Rognoni. Reato prescritto per il pentito Digilio mentre per Stefano Tringali, accusato di favoreggiamento, chiede due anni di reclusione.

30 giugno 2001: i giudici della seconda Corte d' Assise accolgono le conclusioni dell' accusa e condannano Zorzi, Maggi e Rognoni all' ergastolo. Tre anni a Tringali, prescritto Digilio.

19 gennaio 2002: deposito delle motivazioni. I pentiti Digilio e Siciliano sono credibili.

(7 luglio 2002)

Tre ergastoli
per piazza Fontana


MILANO - La condanna arriva trentadue anni dopo la strage. Carcere a vita per i neofascisti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, al termine del processo per l'attentato del 12 dicembre del '69 di piazza Fontana (16 morti e 88 feriti). Tre anni per favoreggiamento per Stefano Tringali, mentre per il pentito Carlo Digilio, i giudici hanno decretato di "non doversi procedere" per estinzione del reato. Eccola la sentenza dei i giudici della seconda corte d'Assise di Milano, salutata dall'applauso dei familiari delle vittime.

Uno dei tre condannati, Delfo Zorzi, ex leader di Ordine Nuovo a Mestre, indicato come l'esecutore materiale dell'attentato, da anni si trova in Giappone dove ha ottenuto la cittadinanza, un nuovo lavoro e un nuovo nome (Hagen Roy). Fino ad oggi le richieste di estradizione non hanno avuto seguito. Maggi, all'epoca responsabile di Ordine Nuovo nel Veneto, già condannato all'ergastolo per la strage alla questura di Milano nel '73, sarebbe stato invece l'ispiratore dell'attentato, compiuto con l'appoggio logistico di Giancarlo Rognoni, del gruppo "La Fenice".

Era il 1969 e Con l'attentato di piazza Fontana si cominciò a parlare di "strategia della tensione". Alle 16,30 del 12 dicembre una bomba esplode dentro la Banca nazionale dell'Agricoltura a Milano. E' una strage: per terra restano 16 morti e 88 feriti. Nella stessa giornata un ordigno, inesploso, viene scoperto nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala. Altre bombe esplodono invece a Roma: alla Banca nazionale del Lavoro in via Veneto (13 feriti), all'Altare della Patria e all'ingresso del Museo del Risorgimento (altri 4 feriti).



Gli investigatori arrestano una decina di militanti dei circoli anarchici. Tra questi il ferroviere Giuseppe Pinelli e il ballerino Pietro Valpreda. Il 15 dicembre, durante un'interrogatorio, Pinelli precipita da una stanza del quarto piano della Questura di Milano. "Si è suicidato" dice la Questura. "E' stata ucciso dal commissario Calabresi" ribatte la sinistra extraparlamentare.

Ma gli anarchici, dimostreranno indagini e processi, erano innocenti. Nonostante questo Valpreda subirà diversi processi e resterà a lungo in carcere prima di essere definitivamente assolto. Il 3 marzo del '72 vengono arrestati i neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura e l'inchiesta passa ai giudici Gerardo D'Ambrosio ed Emilio Alessandrini. Nel '74 però la Corte di Cassazione sottrae l'inchiesta a Milano e l'istruttoria viene trasferita a Catanzaro: gli imputati verranno asssolti. Le indagini ripartono nel '90, sempre a Milano, con la riapertura del fascicolo da parte del giudice Guido Salvini e del Pm Grazia Pradella. Il 24 febbraio del 2000 si apre quindi il processo conclusosi oggi. "E' una sentenza politica" polemizza l'avvocato Gaetano Pecorella, difensore di Delfo Zorzi. "Tutte le volte che qualcuno perde un processo - replica l'avvocato di parte civile, Federico Sinicato - subito parla di sentenza politica".

(30 giugno 2001)

Carcere a vita per i neofascisti Zorzi, Rognoni e Maggi
Dopo 32 anni la verità sulla strage milanese



Le manifestazioni a 30 anni dalla strage di piazza Fontana
Il treno di Dario Fo e il corteo antifascista a Roma


Diliberto promette
"Via il segreto di Stato"

Il ministro, contestato a Milano da autonomi e Prc,
assicura che chiederà di togliere tutti gli omissis

MILANO - Prima scena, Milano: urla e fischi coprono la voce del ministro della Giustizia Oliviero Diliberto che annuncia: "Chiederò di togliere tutti gli omissis e i segreti di Stato sulle stragi degli anni Settanta". Seconda scena, Brescia: parte il "treno della memoria e del dolore" con a bordo Dario Fo. Arriverà a Milano per unirsi alle manifestazioni, per non dimenticare. Terza scena, Roma: un corteo di poco più di duecento persone parte dal Museo della resistenza di via Tasso, dove il mese scorso qualcuno aveva fatto esplodere una bomba rudimentale per ripetersi pochi giorni dopo con un altro ordigno vicino a Montecitorio.

Eccola Piazza Fontana 30 anni dopo: l'anniversario della bomba che nel cuore di Milano uccise 16 persone. Fu la strage che inaugurò la stagione delle altre stragi, della strategia della tensione, dei misteri irrisolti, dei suicidi sospetti, degli insabbiamenti, dei tentativi di golpe e della P2. E proprio
oggi Ugo Paolillo che istruì le indagini sull'attentato ricostruisce come una telefonata della Procura generale di Roma bloccò l'azione della magistratura togliendo il caso a Milano. Ancora ombre, dunque. Ancora tasselli mancanti.

"Gridate compagni, gridate". In piazza Fontana il guardasigilli Diliberto è stato interrotto dalla contestazione di sinistra: urla, fischi e una decina di esplosioni di petardi dai settori della piazza dove si trovavano giovani autonomi milanesi. Cori di "Cossiga boia" sono invece arrivati da alcuni gruppi di Rifondazione comunista, che come i giovani autonomi contestavano la partecipazione di Diliberto al governo D'Alema e l'avallo della guerra in Kosovo e la vicenda Ocalan. Il ministro ha interrotto il discorso con queste parole: "State tranquilli compagni e gridate, perché non mi farò intimidire da voi". Altre contestazioni, oltre a quelle contro la presenza sul palco dei presidenti del Consiglio Comunale Massimo De Carolis e della Provincia Ombretta Colli, hanno toccato anche l'intervento del segretario generale della Camera del Lavoro di Milano, Antonio Panzeri.

Sceso dal palco, Diliberto ha detto: "Chiederò che siano tolti tutti gli omissis e il segreto di Stato sugli atti riguardanti lo stragismo degli anni Settanta" e ha replicato agli attacchi parlando del "cretinismo" dei contestatori.

Ma la questione del segreto di Stato da abolire è andata anche oltre la manifestazione. Diliberto ha aggiunto: "Credo che sia un dovere per un governo come il nostro, di centrosinistra, un governo democratico. Per quanto mi riguarda, io l'ho già fatto per Portella della Ginestra". Dall'opposizione gli risponde il presidente del Comitato di controllo sui servizi segreti, Franco Frattini: "Il ministro ha ragione, ma dovrebbe fare, invece di limitarsi a chiedere".

Il treno della memoria. E' partito da Brescia alle 11.30. Il "treno della memoria e del dolore", nato da un'idea del premio Nobel Dario Fo e di Franca Rame "Sarebbe meglio chiamarlo il treno della conoscenza - ha detto Fo - una delle cose da evitare in queste occasioni è cedere alle tentazioni di commemorare. Meglio fare informazione e chiedere giustizia". In piazza della Loggia, luogo di un altro drammatico momento della strategia della tensione, stamani si era tenuta una breve cerimonia. Otto partigiani hanno consegnato ad altrettanti ragazzi le sagome delle vittime della bomba che il 28 maggio del '74 esplose nel corso di una manifestazione sindacale indetta per protestare contro l'escalation di attentati fascisti in città nelle settimane precedenti.

Roma, la paura di un nuovo inizio. Si sono mossi da via Tasso, dal museo storico della Resistenza dove di recente è stato fatto esplodere un ordigno rudimentale, diretti a piazza Venezia, dove il 12 dicembre del 1969 fu fatta scoppiare una bomba davanti all'altare ella patria. Erano 200 quelli che hanno risposto all'appello lanciato dagli "Antifascisti romani". I manifestanti hanno sfilato dietro uno striscione con la scritta "Piazza Fontana, la strage è di Stato".

(12 dicembre 1999)

Le reazioni del militante di Ordine Nuovo dopo l'ergastolo
Tokyo cerca di uscire dall'impasse dell'estradizione


Piazza Fontana, Zorzi "sconvolto"
e il Giappone è in imbarazzo

Il neofascista ha ottenuto la cittadinanza nipponica
Taormina attacca i magistrati: "Non vogliono la riforma"

VENEZIA - Problemi col Giappone per l'eventuale estradizione di Delfo Zorzi e polemiche in Italia dopo i tre ergastoli per la strage di piazza Fontana. Lo scontro, da noi, è tra il sottosegretario agli Interni (e avvocato) Carlo Taormina che ieri aveva parlato di "storia riscritta con la penna rossa" e che oggi replica duramente alle critiche del vicepresidente dell'Anm, Giovanni Salvi.

Sul caso Zorzi parla il suo avvocato veneziano, Antonio Franchini, che è stato il primo a riferigli la novità. L'ex militante di Ordine Nuovo non ha avuto bisogno di ascoltare i discorsi del suo legale, gli è bastato il tono della voce: "Ho capito, è andata male". "Era sconvolto e estereffatto" ha detto il suo legale.

"Una camera di consiglio fulminea", gli ha spiegato Franchini annunciando il ricorso in appello: "la battaglia è appena cominciata, la sentenza deve essere riformata e Zorzi vuole battersi fino in fondo per dimostrare la sua innocenza".

"Il segnale dell'ingiustizia - ha proseguito il legale - è l'ergastolo a Rognoni perchè contro di lui non c'è assolutamente nulla. Quello appena concluso è stato uno dei pochi processi in cui la difesa è riuscita a dimostrare che il pentito mentiva su punti essenziali. Se fosse stato il primo processo per piazza Fontana avrebbero assolto tutti gli imputati, ma visto che era l'ultimo...".

Zorzi, per il quale il governo italiano aveva chiesto l'estradizione, vive da moltissimi anni in Giappone, nell'elegante quartiere residenziale di Aoyama. E il Giappone, dopo la condanna, è adesso in pesante imbarazzo nei confronti dell'Italia.

Fonti bene informate giapponesi spiegano: "Più che giuridico, il problema è ora eminentemente politico. Se anche l'attuale governo italiano riproporrà la richiesta di estradizione, rafforzata da una sentenza di condanna al massimo della pena per un reato di terrorismo, Tokyo non potrà che considerare sotto occhi diversi l'intero fascicolo riguardante il signor Roi Hagen".

Tra Italia e Giappone non esistono trattati di estradizione (l'unico paese con il quale Tokyo ha un accordo del genere sono gli Stati Uniti, e, presto, la Corea del Sud) e per Delfo Zorzi, in Giappone dalla prima metà degli anni '70 dove si è sposato con una donna originaria di Okinawa, dalla quale ha avuto due figli, trasformandosi in uomo d'affari di successo nel settore dell'import di prodotti anche di alta moda, c'è l'ostacolo della cittadinanza giapponese ottenuta nel 1989 con la nuova identità di Roi e Hagen.

"La legge in generale non ammette l'estradizione di cittadini giapponesi - hanno spiegato le fonti - Ma Zorzi non è cittadino giapponese dalla nascita, come è invece il caso dell'ex presidente peruviano Alberto Fujimori, e la cittadinanza, come gli è stata concessa così può essere revocata, se ne esistono gli estremi".

Secondo ambienti familiari con la pratica, l'estradizione del neofascista italiano definito dalla sentenza di Milano come l'esecutore materiale della strage di Piazza Fontana, in un primo momento sembrava sul punto di essere accolta ma si è poi arenata dietro le continue richieste di documentazione supplementare da parte del ministero della giustizia giapponese. Ma ora la situazione giuridica è cambiata e gli scenari sono diversi e tutti da decifrare.

Ma la polemica, si diceva, divampa anche in Italia. Per bocca del sottosegretario agli Interni Carlo Taormina. E lui, che nella vita fa l'avvocato, che rivolto all'Associazione nazionale magistrati e del Csm che lo aveva criticato ("Non è possibile che ci sia una commistione di interessi professionali e gestione del governo" aveva detto Giovanni Salvi, vicepresidente dell'Anm), critica: "Gli attacchi ai miei danni sono il sintomo di una logica corporativa evidente: nel momento in cui si capisce che la giustizia può essere riformata si sta facendo muro perchè ciò non accada".

(1 luglio 2001)

07.07.2002
La storia del primo, vero depistaggio che per 30 anni ha coperto gli assassini

di Gianni Cipriani

Che fosse innocente, un "capro espiatorio", i più avvertiti lo avevano già capito fin dal 1971, quando a seguito dell'inchiesta avviata dal giudice di Treviso, Giancarlo Stiz e trasmessa ai giudici milanesi D'Ambrosio, Alessandrini e Fiasconaro, cominciò ad emergere la "pista nera" che portò all'incriminazione dei neofascisti Franco Freda, Giovanni Ventura e dell'informatore del Sid, Guido Giannettini. Poi i processi, le istruttorie, le scoperte delle responsabilità istituzionali e dei depistaggi dei servizi segreti hanno trasformato con gli anni, suo malgrado, Valpreda nell'emblema delle vittime di quello che era definito - e non solo dall'estrema sinistra - lo "stato stragista" e connivente con il terrorismo fascista.

Eppure, se i simboli hanno un valore, si può dire che il pieno riscatto morale e politico di Pietro Valpreda, che era stato definitivamente assolto solo nel 1985 con la sgredevole formula dell'insufficienza di prove (in realtà non aveva commesso il fatto) si ebbe solo nel 1997. Per la precisione il 21 febbraio del 1997, quando il pentito Carlo Digilio, l'ordinovista e informatore dell'intelligence Usa che ha rivelato per primo i retroscena della strage del 12 dicembre 1969, raccontò le macchinazioni fasciste per "incastrare" Valpreda e, per suo tramite, gli anarchici, cui andava attribuita la strage.

L'ex neofascista, infatti, tra le tante cose ha raccontato le chiacchiere che tra camerati erano state fatte al termine di una delle tante cene durante le quali si beveva, si progettavano attentati e, magari, ci si lasciava andare a qualche confidenza: ad un certo punto - ha spiegato l'agente delle strutture informative americane - il discorso era caduto sugli anarchici arrestati per gli attentati del 12 dicembre 1969. A quel punto Maggi rispose "in modo ironico ma con sicurezza" che "l'incriminazione degli anarchici era una mossa strategica che era stata studiata dai Servizi Segreti al momento in cui era stata concepita l'intera operazione".

Proprio così. Il depistaggio preventivo, organizzato in anticipo sulla strage del dicembre del 1969 per dare un volto al "mostro" e sviare le indagini da destra. Certo, da un punto di vista della verità politica, questo era già ampiamente un dato di fatto nel 1997. Eppure in quel 21 febbraio l'operazione-Valpreda finì in un verbale della magistratura. Fatto non trascurabile, se proprio poco più di anno fa, sulla base delle testimonianze di Carlo Digilio e altri, per la strage sono stati condannati in primo grado Carlo Maria Maggi, il responsabile di Ordine Nuovo nel Triveneto; Delfo Zorzi, il miliardario oggi latitante in Giappone difeso dall'avvocato Pecorella, ora presidente della commissione giustizia della Camera, e Giancarlo Rognoni, leader dei neofascisti del gruppo "La Fenice".

Ha poco da dire, l'avvocato Taormina che: "Si sta riscrivendo la storia d' Italia con la penna rossa", come esternò subito dopo la sentenza. In realtà tutti gli elementi raccolti dal giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, fin dal 1990 non solo hanno confermato le intuizioni di D'Ambrosio, ma hanno consentito di aprire un filone d'indagine che sta facendo complessivamente luce su tutti i misfatti della "strategia della tensione". Il ruolo dei neofascisti, le coperture istituzionali, l'internazionale nera, l'atteggiamento ambiguo, se non convivente, degli ufficiali dei servizi segreti americani presenti in Italia, i rapporti sotterranei di solidarietà e di sinergia tra la destra ufficiale e quella extraparlamentare. Nodi centrali nel dibattito storico-politico dai quali non si può prescindere.

Oggi (nonostante qualche ridicolo schiamazzo per attribuire piazza Fontana ai comunisti) la storia di piazza Fontana è parte integrante della storia patria. Chiaro il ruolo di quei fascisti e di quei settori istituzionali i quali speravano, attraverso quei poveri 16 morti attribuiti agli anarchici, di ottenere lo "stato d'emergenza" e la stretta autoritaria funzionale ai disegni di chi voleva ristabilire ordine e sicurezza, soprattutto contro la sinistra colpevole (c'era stato il '68 e poi l'autunno caldo sindacale) di dar copertura ai sovversivi. Vicende assai lontane che, pure, sembrano d'attualità nelle loro dinamiche. E allora è bene ricordare quanto è emerso nell'indagine a proposito dei tentativi di colpevolizzare la piazza democratica. Tramite i depistaggi. Ha raccontato Digilio dei giorni successivi a piazza alla strage: "Io rividi Maggi pochissimi giorni prima del Natale 1969 (…) e gli chiesi una giustificazione ed una spiegazione di quanto era successo a Milano e Roma. Egli mi rispose che non dovevo fare critiche né di tipo morale, né di tipo strategico, in quanto i fatti del 12 dicembre erano solo la conclusione di quella che era stata la nostra strategia maturata nel corso di anni e che c'era una mente organizzativa al di sopra della nostra, che aveva voluto questa strategia. Io gli risposi che in questo modo la destra avrebbe perso credito ed in più noi tutti avremmo rischiato di persona. Lui mi rispose che non dovevamo preoccuparci, perchè chi aveva organizzato questa strategia aveva anche pensato a come portare le indagini su altri e così effettivamente stava succedendo".

Oggi le carte processuali su Piazza Fontana riempiono armadi ed armadi. Documenti, atti dei servizi segreti, testimonianze, rapporti di polizia e carabinieri. Se si dovesse, a tutti i costi, descivere il colore che emerge da tutto ciò, ci si dovrebbe fermare al nero. Il colore del lutto. E delle bombe fasciste.

Il "sovversivismo" delle classi dirigenti. Di allora e di adesso di

Nicola Tranfaglia

La scomparsa a 79 anni, per un tumore di cui era già malato da tempo, di Pietro Valpreda, l’anarchico accusato ingiustamente dalla questura di Milano come il «mostro» che aveva provocato con l’attentato esplosivo alla Banca Nazionale dell’Agricoltura il 12 dicembre 1969 sedici morti e 88 feriti, riporta gli italiani che hanno almeno quarant’anni e i giovani che hanno letto qualcosa su quegli anni, a un periodo assai oscuro della storia repubblicana. Valpreda, arrestato poche ore dopo la strage indicato da un testimone che non si sarebbe rivelato attendibile, restò in carcere 3 anni prima che l’inchiesta giudiziaria, depistata con l’intervento di complicità che partivano da vertici del potere esecutivo, intraprendesse la strada di quell’estremismo neofascista legato a Ordine Nuovo che aveva rapporti stretti con gli apparati dello Stato e i servizi segreti italiani e americani. Ci sono voluti più di trent’anni per giungere, grazie alla nuova istruttoria del giudice Salvino a Milano, dopo i processi a Bari, a Catanzaro fino alla Corte di Cassazione che non avevano raggiunto la verità data la reticenza di illustri testimoni e gli errori iniziali delle indagini, per ricostruire in maniera convincente le origini e i protagonisti della macchinazione che aveva condotto alla strage. La svolta decisiva di una «strategia della tensione» che aveva avuto inizio già negli anni Cinquanta all’ombra della guerra fredda e del pericolo comunista ma che, di fronte alla contestazione studentesca del ’68, alle lotte operaie del ’69 e all’avanzata elettorale del Partito comunista e più in generale della sinistra, aveva ormai fatto un salto di qualità. Quella strategia si proponeva - sulla base di un pensiero comune all’estrema destra di Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo e ad umori prevalenti negli ambienti militari - di trasformare la guerra politica contro i comunisti e i loro alleati in guerra civile per bloccare qualsiasi mutamento della maggioranza parlamentare e del governo in una direzione di apertura alle masse operaie e contadine e alla forze politiche che le rappresentavano. Questo rappresentò piazza Fontana e così è rimasta nella memoria degli italiani e delle vittime di quella strategia: centinaia di innocenti uccisi barbaramente che chiedono ancora giustizia e che attendono, dopo la sentenza della Corte d’Assise di Milano che ha confermato l’istruttoria di Salvini condannando l’ordinovista veneto Delfo Zorzi come esecutore materiale della strage, i neofascisti Freda, Ventura e Giannettini, l’ex capitano del Sid Maletti e la Ginterpress di Lisbona come quelli che hanno guidato il commando ordinovista all’azione, nuovi sviluppi di indagine che siano in grado di ricostruire in maniera compiuta i legami di quella strage con le successive dall’Italicus a Piazza della Loggia a Brescia fino a quella della stazione di Bologna nel 1980 che conclude provvisoriamente quella terribile stagione. Se Valpreda fu in questa luce una tra le prime, sfortunate vittime del depistaggio costante che ha caratterizzato la vana ricerca dei colpevoli della «strategia della tensione», Zorzi resta tutt’ora in Giappone, con il suo passaporto diplomatico concessogli a suo tempo dalle autorità italiane, e non ci risulta che nessuno, in attesa dei successivi gradi di giudizio che richiederanno altri anni di tempo, ha mosso ancora un dito per chiederne l’estradizione in Italia. Né i misteri d’Italia sono finiti, tutt’altro. Negli ultimi tre anni sono caduti due uomini che erano al servizio delle istituzioni, Massimo D’Antona che lavorava con il ministro Bassolino e Marco Biagi che ha lavorato per il ministro Maroni, ma nulla sappiamo ancora sui colpevoli dei nuovi atti terroristici. Al contrario assistiamo, come ha dimostrato la vicenda delle dimissioni di Scajola seguite alle sue frasi infelici e alla mancata scorta del professore bolognese, a una assai scarsa preoccupazione, per non dire peggio, dell’attuale governo di fronte alla difesa dei possibili bersagli dell’azione terroristica. Dovrebbe esser chiaro ormai a tutti quelli che vogliono comprendere quello che accade nel nostro paese che, con tutta evidenza, non sono stati ancora rimossi gli ostacoli che durante la guerra fredda hanno a lungo impedito di far luce sulla verità delle stragi e dei terrorismi. Si è scritto a lungo che allora non si poteva farlo per l’azione di servizi stranieri che operavano nel nostro paese più o meno in collegamento con parti della classe dirigente italiana o dell’esecutivo che utilizzavano quelle azioni per il loro gioco politico anticomunista. Ma oggi la guerra fredda è finita, nella Nato è presente anche la Russia di Putin e c’è da chiedersi, allora, se la spiegazione dei nuovi attentati non debba trovarsi tutta all’interno del nostro paese. Se non ci troviamo ancora una volta, come tante volte è avvenuto nella nostra storia, di fronte a quel «sovversivismo» delle classi dirigenti di cui parlava a suo tempo Gramsci che conduce una classe politica che esercita un’egemonia troppo debole a utilizzare mezzi extralegali per condurre una lotta che tema altrimenti di non vincere contro chi si oppone all’attuale equilibrio di potere. Una classe politica antidemocratica che non accetta di limitare lo scontro a livello politico e parlamentare, oltre che culturale, e lo estende a manovre e intrighi, all’uso di servizi segreti e di apparati dello Stato per aver ragione di un’opposizione politica e sociale che tende ad estendersi di fronte al liberismo selvaggio e allo smantellamento dello Stato sociale di diritto che caratterizza la politica berlusconiana. Le vicende più recenti, in particolare l’oscuro assassinio di Biagi e di D’Antona fanno pensare proprio a ipotesi di questo genere e si saldano purtroppo ancora una volta con la passata stagione che ebbe tra i suoi attori involontari, tra le sue vittime l’anarchico Pietro Valpreda.

 

 

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