Il ballerino anarchico
fu arrestato per la strage milanese del '69
In carcere tre anni prima che si dimostrasse la
sua innocenza
E'
morto Pietro Valpreda
fu assolto per Piazza Fontana
L'attentato alla Banca dell'Agricoltura causò 16
morti
Contro di lui non c'era nessuna prova
REPUBBLICA
7 LUGLIO 2002
MILANO - Pietro
Valpreda, l'anarchico ex ballerino che fu
accusato e poi assolto per la strage di Piazza
Fontana, è morto nella sua abitazione di Milano.
Aveva 69 anni ed era da circa un anno malato di
tumore. "L'ultimo anno è stato travagliato
e doloroso, ma Pietro si è spento serenamente e
senza sofferenze - ha detto la sorella - in
questi ultimi giorni, tra ospedale e casa, sono
venuti in tanti a portargli l'ultimo saluto e
commoventi testimonianze d'affetto".
Valpreda era stato arrestato quattro giorni dopo
lo scoppio della bomba alla Banca
dell'Agricoltura nel centro del capoluogo
milanese il 12 dicembre del '69, insieme al
ferroviere Giuseppe Pinelli, che quattro giorni
dopo morì cadendo dalle finestre della Procura
di Milano mentre veniva interrogato.
Valpreda fu arrestato sulla base della
testimonianza di un tassista, che alla polizia
disse: "Si è diretto con una borsa verso la
Banca dell'Agricoltura, quando è tornato dopo
pochi attimi, non aveva più la
valigetta...". L'ex ballerino negò sempre
ogni coinvolgimento, ma rimase comunque in
carcere fino al 1972, quando la pressione
dell'opinione pubblica costrinse il governo ad
emettere un decreto legge che ridusse i termini
della carcerazione preventiva. Grazie alla legge
che è ricordata con il suo nome, l'anarchico
uscì dal carcere: di sue responsabilità nella
strage, oltre alla testimonianza del tassista,
non si trovò mai alcuna traccia.
Nell'esplosione di
Piazza Fontana morirono sedici persone, e 90
rimasero ferite: l'attentato diede inizio agli
anni bui della "strategia della
tensione". Trent'anni dopo per quella strage
furono condannati gli esponenti neofascisti di
Ordine Nuovo, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e
Giancarlo Rognoni.
I funerali di Valpreda svolgeranno domani alle
14.30
presso il Circolo anarchico
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SCHEDA / La
cronologia
Piazza Fontana
33 anni di misteri
ROMA - Queste
le principali tappe dell' inchiesta e dei
processi che si sono susseguiti, in questi
trentatre anni, sulla strage di piazza Fontana
che ha visto Pietro Valpreda tra i principali
imputati. L'anarchico è stato assolto nel 1985.
12 dicembre 1969: un ordigno esplode nella
Banca Nazionale dell'Agricoltura in piazza
Fontana a Milano. 17 morti e 84 feriti.
15 dicembre 1969: a Milano l' anarchico
Giuseppe Pinelli precipita da una finestra della
Questura mentre viene interrogato. Lo stesso
giorno è arrestato Pietro Valpreda.
23 febbraio 1972: si apre a Roma il primo
processo. Dopo 4 giorni la Corte si dichiara
incompetente e rinvia gli atti a Milano.
13 ottobre 1972: la Cassazione assegna la
competenza a Catanzaro.
23 febbraio 1979: a Catanzaro si conclude
il processo, cominciato il 18 gennaio 1977.
Ergastolo per Freda, Ventura e Giannettini.
Quattro anni e mezzo per Valpreda e Merlino per
associazione sovversiva.
12 agosto 1979: a Buenos
Aires viene arrestato Giovanni Ventura.
23 agosto 1979: Franco Freda viene
catturato in Costa Rica.
20 marzo 1981: a Catanzaro si conclude il
processo di secondo grado. La sentenza assolve
per insufficienza di prove dall' accusa di strage
Franco Freda e Giovanni Ventura ma li condanna a
15 anni per attentati a Padova e Milano.
Confermate le condanne di Valpreda e Merlino per
associazione sovversiva.
Assolto Giannettini.
10 giugno 1982: la Corte di Cassazione
annulla la sentenza d'appello di Catanzaro e
rinvia il processo a Bari. Confermata solo l'
assoluzione di Guido Giannettini.
1 agosto 1985: a Bari la Corte d' Assise
d' Appello assolve per insufficienza di prove
Freda, Ventura, Merlino e Valpreda.
27 gennaio 1987: la Cassazione respinge i
ricorsi degli imputati di Bari contro la sentenza
di secondo grado, rendendola definitiva.
27 marzo 1987: a Caracas è arrestato
Stefano Delle Chiaie ritenuto coinvolto nella
vicenda con Massimiliano Fachini.
20 febbraio 1989: la Corte d' Assise di
Catanzaro assolve per non avere commesso il fatto
Delle Chiaie e Fachini. Delle Chiaie viene
scarcerato.
11 aprile 1995: a Milano, per una
inchiesta parallela, il giudice istruttore Guido
Salvini rinvia a giudizio Giancarlo Rognoni, Nico
Azzi, Paolo Signorelli, Sergio Calore, Carlo
Digilio e Ettore Malcangi e trasmette a Roma gli
atti riguardanti Licio Gelli per il reato di
cospirazione politica.
Aprile 1995: il pm Grazia Pradella, in
seguito affiancata da Massimo Meroni, diventa
titolare della nuova inchiesta sulla strage di
piazza Fontana.
Luglio 1995: Delfo Zorzi e Carlo Maria
Maggi sono iscritti nel registro degli indagati
con l' accusa di strage.
14 luglio 1997: il gip Clementina Forleo
emette due ordini di custodia cautelare, uno per
Carlo Maria Maggi, l'altro, non eseguito, nei
confronti di Delfo Zorzi, da vari anni
imprenditore in Giappone.
8 giugno 1999: sono rinviati a giudizio
per strage Zorzi, Maggi e Giancarlo Rognoni; per
favoreggiamento Stefano Tringali.
In seguito viene rinviato a giudizio anche Carlo
Digilio.
24 febbraio 2000: davanti ai giudici della
seconda Corte d' Assise di Milano inizia il
processo.
18 maggio 2001: il pm Massimo Meroni
conclude la requisitoria: chiede l'ergastolo per
Zorzi, Maggi e Rognoni. Reato prescritto per il
pentito Digilio mentre per Stefano Tringali,
accusato di favoreggiamento, chiede due anni di
reclusione.
30 giugno 2001: i giudici della seconda
Corte d' Assise accolgono le conclusioni dell'
accusa e condannano Zorzi, Maggi e Rognoni all'
ergastolo. Tre anni a Tringali, prescritto
Digilio.
19 gennaio 2002: deposito delle
motivazioni. I pentiti Digilio e Siciliano sono
credibili.
(7 luglio 2002)
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Tre
ergastoli
per piazza Fontana
MILANO
- La condanna arriva trentadue anni dopo la
strage. Carcere a vita per i neofascisti Delfo
Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, al
termine del processo per l'attentato del 12
dicembre del '69 di piazza Fontana (16 morti e 88
feriti). Tre anni per favoreggiamento per Stefano
Tringali, mentre per il pentito Carlo Digilio, i
giudici hanno decretato di "non doversi
procedere" per estinzione del reato. Eccola
la sentenza dei i giudici della seconda corte
d'Assise di Milano, salutata dall'applauso dei
familiari delle vittime.
Uno dei tre condannati, Delfo Zorzi, ex leader di
Ordine Nuovo a Mestre, indicato come l'esecutore
materiale dell'attentato, da anni si trova in
Giappone dove ha ottenuto la cittadinanza, un
nuovo lavoro e un nuovo nome (Hagen Roy). Fino ad
oggi le richieste di estradizione non hanno avuto
seguito. Maggi, all'epoca responsabile di Ordine
Nuovo nel Veneto, già condannato all'ergastolo
per la strage alla questura di Milano nel '73,
sarebbe stato invece l'ispiratore dell'attentato,
compiuto con l'appoggio logistico di Giancarlo
Rognoni, del gruppo "La Fenice".
Era il 1969 e Con l'attentato di piazza Fontana
si cominciò a parlare di "strategia della
tensione". Alle 16,30 del 12 dicembre una
bomba esplode dentro la Banca nazionale
dell'Agricoltura a Milano. E' una strage: per
terra restano 16 morti e 88 feriti. Nella stessa
giornata un ordigno, inesploso, viene scoperto
nella sede milanese della Banca Commerciale
Italiana in piazza della Scala. Altre bombe
esplodono invece a Roma: alla Banca nazionale del
Lavoro in via Veneto (13 feriti), all'Altare
della Patria e all'ingresso del Museo del
Risorgimento (altri 4 feriti).
Gli investigatori arrestano una decina di
militanti dei circoli anarchici. Tra questi il
ferroviere Giuseppe Pinelli e il ballerino Pietro
Valpreda. Il 15 dicembre, durante
un'interrogatorio, Pinelli precipita da una
stanza del quarto piano della Questura di Milano.
"Si è suicidato" dice la Questura.
"E' stata ucciso dal commissario
Calabresi" ribatte la sinistra
extraparlamentare.
Ma gli anarchici, dimostreranno indagini e
processi, erano innocenti. Nonostante questo
Valpreda subirà diversi processi e resterà a
lungo in carcere prima di essere definitivamente
assolto. Il 3 marzo del '72 vengono arrestati i
neofascisti Franco Freda e Giovanni Ventura e
l'inchiesta passa ai giudici Gerardo D'Ambrosio
ed Emilio Alessandrini. Nel '74 però la Corte di
Cassazione sottrae l'inchiesta a Milano e
l'istruttoria viene trasferita a Catanzaro: gli
imputati verranno asssolti. Le indagini ripartono
nel '90, sempre a Milano, con la riapertura del
fascicolo da parte del giudice Guido Salvini e
del Pm Grazia Pradella. Il 24 febbraio del 2000
si apre quindi il processo conclusosi oggi.
"E' una sentenza politica" polemizza
l'avvocato Gaetano Pecorella, difensore di Delfo
Zorzi. "Tutte le volte che qualcuno perde un
processo - replica l'avvocato di parte civile,
Federico Sinicato - subito parla di sentenza
politica".
(30 giugno 2001)
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Carcere a vita per
i neofascisti Zorzi, Rognoni e Maggi
Dopo 32 anni la verità sulla strage milanese
Le
manifestazioni a 30 anni dalla strage di piazza
Fontana
Il treno di Dario Fo e il corteo antifascista a
Roma
Diliberto
promette
"Via il segreto di Stato"
Il
ministro, contestato a Milano da autonomi e Prc,
assicura che chiederà di togliere tutti gli
omissis
MILANO - Prima scena,
Milano: urla e fischi coprono la voce del
ministro della Giustizia Oliviero Diliberto che
annuncia: "Chiederò di togliere tutti gli
omissis e i segreti di Stato sulle stragi degli
anni Settanta". Seconda scena, Brescia:
parte il "treno della memoria e del
dolore" con a bordo Dario Fo. Arriverà a
Milano per unirsi alle manifestazioni, per non
dimenticare. Terza scena, Roma: un corteo di poco
più di duecento persone parte dal Museo della
resistenza di via Tasso, dove il mese scorso
qualcuno aveva fatto esplodere una bomba
rudimentale per ripetersi pochi giorni dopo con
un altro ordigno vicino a Montecitorio.
Eccola Piazza Fontana 30 anni dopo:
l'anniversario della bomba che nel cuore di
Milano uccise 16 persone. Fu la strage che
inaugurò la stagione delle altre stragi, della
strategia della tensione, dei misteri irrisolti,
dei suicidi sospetti, degli insabbiamenti, dei
tentativi di golpe e della P2. E proprio oggi Ugo
Paolillo che istruì le indagini sull'attentato
ricostruisce come
una telefonata della Procura generale di Roma
bloccò l'azione della magistratura togliendo il
caso a Milano. Ancora ombre, dunque. Ancora
tasselli mancanti.
"Gridate compagni, gridate". In piazza
Fontana il guardasigilli Diliberto è stato
interrotto dalla contestazione di sinistra: urla,
fischi e una decina di esplosioni di petardi dai
settori della piazza dove si trovavano giovani
autonomi milanesi. Cori di "Cossiga
boia" sono invece arrivati da alcuni gruppi
di Rifondazione comunista, che come i giovani
autonomi contestavano la partecipazione di
Diliberto al governo D'Alema e l'avallo della
guerra in Kosovo e la vicenda Ocalan. Il ministro
ha interrotto il discorso con queste parole:
"State tranquilli compagni e gridate,
perché non mi farò intimidire da voi".
Altre contestazioni, oltre a quelle contro la
presenza sul palco dei presidenti del Consiglio
Comunale Massimo De Carolis e della Provincia
Ombretta Colli, hanno toccato anche l'intervento
del segretario generale della Camera del Lavoro
di Milano, Antonio Panzeri.
Sceso dal palco, Diliberto ha detto:
"Chiederò che siano tolti tutti gli omissis
e il segreto di Stato sugli atti riguardanti lo
stragismo degli anni Settanta" e ha
replicato agli attacchi parlando del
"cretinismo" dei contestatori.
Ma la questione del segreto di Stato da abolire
è andata anche oltre la manifestazione.
Diliberto ha aggiunto: "Credo che sia un
dovere per un governo come il nostro, di
centrosinistra, un governo democratico. Per
quanto mi riguarda, io l'ho già fatto per
Portella della Ginestra". Dall'opposizione
gli risponde il presidente del Comitato di
controllo sui servizi segreti, Franco Frattini:
"Il ministro ha ragione, ma dovrebbe fare,
invece di limitarsi a chiedere".
Il treno della memoria. E' partito da Brescia
alle 11.30. Il "treno della memoria e del
dolore", nato da un'idea del premio Nobel
Dario Fo e di Franca Rame "Sarebbe meglio
chiamarlo il treno della conoscenza - ha detto Fo
- una delle cose da evitare in queste occasioni
è cedere alle tentazioni di commemorare. Meglio
fare informazione e chiedere giustizia". In
piazza della Loggia, luogo di un altro drammatico
momento della strategia della tensione, stamani
si era tenuta una breve cerimonia. Otto
partigiani hanno consegnato ad altrettanti
ragazzi le sagome delle vittime della bomba che
il 28 maggio del '74 esplose nel corso di una
manifestazione sindacale indetta per protestare
contro l'escalation di attentati fascisti in
città nelle settimane precedenti.
Roma, la paura di un nuovo inizio. Si sono mossi
da via Tasso, dal museo storico della Resistenza
dove di recente è stato fatto esplodere un
ordigno rudimentale, diretti a piazza Venezia,
dove il 12 dicembre del 1969 fu fatta scoppiare
una bomba davanti all'altare ella patria. Erano
200 quelli che hanno risposto all'appello
lanciato dagli "Antifascisti romani". I
manifestanti hanno sfilato dietro uno striscione
con la scritta "Piazza Fontana, la strage è
di Stato".
(12 dicembre 1999)
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Le reazioni del
militante di Ordine Nuovo dopo l'ergastolo
Tokyo cerca di uscire dall'impasse
dell'estradizione
Piazza
Fontana, Zorzi "sconvolto"
e il Giappone è in imbarazzo
Il
neofascista ha ottenuto la cittadinanza nipponica
Taormina attacca i magistrati: "Non vogliono
la riforma"
VENEZIA
- Problemi col Giappone per l'eventuale
estradizione di Delfo Zorzi e polemiche in Italia
dopo i tre ergastoli per la strage di piazza
Fontana. Lo scontro, da noi, è tra il
sottosegretario agli Interni (e avvocato) Carlo
Taormina che ieri aveva parlato di "storia
riscritta con la penna rossa" e che oggi
replica duramente alle critiche del
vicepresidente dell'Anm, Giovanni Salvi.
Sul caso Zorzi parla il suo avvocato veneziano,
Antonio Franchini, che è stato il primo a
riferigli la novità. L'ex militante di Ordine
Nuovo non ha avuto bisogno di ascoltare i
discorsi del suo legale, gli è bastato il tono
della voce: "Ho capito, è andata
male". "Era sconvolto e
estereffatto" ha detto il suo legale.
"Una camera di consiglio fulminea", gli
ha spiegato Franchini annunciando il ricorso in
appello: "la battaglia è appena cominciata,
la sentenza deve essere riformata e Zorzi vuole
battersi fino in fondo per dimostrare la sua
innocenza".
"Il segnale dell'ingiustizia - ha proseguito
il legale - è l'ergastolo a Rognoni perchè
contro di lui non c'è assolutamente nulla.
Quello appena concluso è stato uno dei pochi
processi in cui la difesa è riuscita a
dimostrare che il pentito mentiva su punti
essenziali. Se fosse stato il primo processo per
piazza Fontana avrebbero assolto tutti gli
imputati, ma visto che era l'ultimo...".
Zorzi, per il quale il governo italiano aveva
chiesto l'estradizione, vive da moltissimi anni
in Giappone, nell'elegante quartiere residenziale
di Aoyama. E il Giappone, dopo la condanna, è
adesso in pesante imbarazzo nei confronti
dell'Italia.
Fonti bene informate giapponesi spiegano:
"Più che giuridico, il problema è ora
eminentemente politico. Se anche l'attuale
governo italiano riproporrà la richiesta di
estradizione, rafforzata da una sentenza di
condanna al massimo della pena per un reato di
terrorismo, Tokyo non potrà che considerare
sotto occhi diversi l'intero fascicolo
riguardante il signor Roi Hagen".
Tra Italia e Giappone non esistono trattati di
estradizione (l'unico paese con il quale Tokyo ha
un accordo del genere sono gli Stati Uniti, e,
presto, la Corea del Sud) e per Delfo Zorzi, in
Giappone dalla prima metà degli anni '70 dove si
è sposato con una donna originaria di Okinawa,
dalla quale ha avuto due figli, trasformandosi in
uomo d'affari di successo nel settore dell'import
di prodotti anche di alta moda, c'è l'ostacolo
della cittadinanza giapponese ottenuta nel 1989
con la nuova identità di Roi e Hagen.
"La legge in generale non ammette
l'estradizione di cittadini giapponesi - hanno
spiegato le fonti - Ma Zorzi non è cittadino
giapponese dalla nascita, come è invece il caso
dell'ex presidente peruviano Alberto Fujimori, e
la cittadinanza, come gli è stata concessa così
può essere revocata, se ne esistono gli
estremi".
Secondo ambienti familiari con la pratica,
l'estradizione del neofascista italiano definito
dalla sentenza di Milano come l'esecutore
materiale della strage di Piazza Fontana, in un
primo momento sembrava sul punto di essere
accolta ma si è poi arenata dietro le continue
richieste di documentazione supplementare da
parte del ministero della giustizia giapponese.
Ma ora la situazione giuridica è cambiata e gli
scenari sono diversi e tutti da decifrare.
Ma la polemica, si diceva, divampa anche in
Italia. Per bocca del sottosegretario agli
Interni Carlo Taormina. E lui, che nella vita fa
l'avvocato, che rivolto all'Associazione
nazionale magistrati e del Csm che lo aveva
criticato ("Non è possibile che ci sia una
commistione di interessi professionali e gestione
del governo" aveva detto Giovanni Salvi,
vicepresidente dell'Anm), critica: "Gli
attacchi ai miei danni sono il sintomo di una
logica corporativa evidente: nel momento in cui
si capisce che la giustizia può essere riformata
si sta facendo muro perchè ciò non
accada".
(1 luglio 2001)
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07.07.2002
La storia del primo, vero depistaggio che per 30
anni ha coperto gli assassini
di
Gianni Cipriani
Che
fosse innocente, un "capro espiatorio",
i più avvertiti lo avevano già capito fin dal
1971, quando a seguito dell'inchiesta avviata dal
giudice di Treviso, Giancarlo Stiz e trasmessa ai
giudici milanesi D'Ambrosio, Alessandrini e
Fiasconaro, cominciò ad emergere la "pista
nera" che portò all'incriminazione dei
neofascisti Franco Freda, Giovanni Ventura e
dell'informatore del Sid, Guido Giannettini. Poi
i processi, le istruttorie, le scoperte delle
responsabilità istituzionali e dei depistaggi
dei servizi segreti hanno trasformato con gli
anni, suo malgrado, Valpreda nell'emblema delle
vittime di quello che era definito - e non solo
dall'estrema sinistra - lo "stato
stragista" e connivente con il terrorismo
fascista.
Eppure, se i simboli
hanno un valore, si può dire che il pieno
riscatto morale e politico di Pietro Valpreda,
che era stato definitivamente assolto solo nel
1985 con la sgredevole formula dell'insufficienza
di prove (in realtà non aveva commesso il fatto)
si ebbe solo nel 1997. Per la precisione il 21
febbraio del 1997, quando il pentito Carlo
Digilio, l'ordinovista e informatore
dell'intelligence Usa che ha rivelato per primo i
retroscena della strage del 12 dicembre 1969,
raccontò le macchinazioni fasciste per
"incastrare" Valpreda e, per suo
tramite, gli anarchici, cui andava attribuita la
strage.
L'ex neofascista,
infatti, tra le tante cose ha raccontato le
chiacchiere che tra camerati erano state fatte al
termine di una delle tante cene durante le quali
si beveva, si progettavano attentati e, magari,
ci si lasciava andare a qualche confidenza: ad un
certo punto - ha spiegato l'agente delle
strutture informative americane - il discorso era
caduto sugli anarchici arrestati per gli
attentati del 12 dicembre 1969. A quel punto
Maggi rispose "in modo ironico ma con
sicurezza" che "l'incriminazione degli
anarchici era una mossa strategica che era stata
studiata dai Servizi Segreti al momento in cui
era stata concepita l'intera operazione".
Proprio così. Il
depistaggio preventivo, organizzato in anticipo
sulla strage del dicembre del 1969 per dare un
volto al "mostro" e sviare le indagini
da destra. Certo, da un punto di vista della
verità politica, questo era già ampiamente un
dato di fatto nel 1997. Eppure in quel 21
febbraio l'operazione-Valpreda finì in un
verbale della magistratura. Fatto non
trascurabile, se proprio poco più di anno fa,
sulla base delle testimonianze di Carlo Digilio e
altri, per la strage sono stati condannati in
primo grado Carlo Maria Maggi, il responsabile di
Ordine Nuovo nel Triveneto; Delfo Zorzi, il
miliardario oggi latitante in Giappone difeso
dall'avvocato Pecorella, ora presidente della
commissione giustizia della Camera, e Giancarlo
Rognoni, leader dei neofascisti del gruppo
"La Fenice".
Ha poco da dire,
l'avvocato Taormina che: "Si sta riscrivendo
la storia d' Italia con la penna rossa",
come esternò subito dopo la sentenza. In realtà
tutti gli elementi raccolti dal giudice
istruttore di Milano, Guido Salvini, fin dal 1990
non solo hanno confermato le intuizioni di
D'Ambrosio, ma hanno consentito di aprire un
filone d'indagine che sta facendo
complessivamente luce su tutti i misfatti della
"strategia della tensione". Il ruolo
dei neofascisti, le coperture istituzionali,
l'internazionale nera, l'atteggiamento ambiguo,
se non convivente, degli ufficiali dei servizi
segreti americani presenti in Italia, i rapporti
sotterranei di solidarietà e di sinergia tra la
destra ufficiale e quella extraparlamentare. Nodi
centrali nel dibattito storico-politico dai quali
non si può prescindere.
Oggi (nonostante
qualche ridicolo schiamazzo per attribuire piazza
Fontana ai comunisti) la storia di piazza Fontana
è parte integrante della storia patria. Chiaro
il ruolo di quei fascisti e di quei settori
istituzionali i quali speravano, attraverso quei
poveri 16 morti attribuiti agli anarchici, di
ottenere lo "stato d'emergenza" e la
stretta autoritaria funzionale ai disegni di chi
voleva ristabilire ordine e sicurezza,
soprattutto contro la sinistra colpevole (c'era
stato il '68 e poi l'autunno caldo sindacale) di
dar copertura ai sovversivi. Vicende assai
lontane che, pure, sembrano d'attualità nelle
loro dinamiche. E allora è bene ricordare quanto
è emerso nell'indagine a proposito dei tentativi
di colpevolizzare la piazza democratica. Tramite
i depistaggi. Ha raccontato Digilio dei giorni
successivi a piazza alla strage: "Io rividi
Maggi pochissimi giorni prima del Natale 1969
(
) e gli chiesi una giustificazione ed una
spiegazione di quanto era successo a Milano e
Roma. Egli mi rispose che non dovevo fare
critiche né di tipo morale, né di tipo
strategico, in quanto i fatti del 12 dicembre
erano solo la conclusione di quella che era stata
la nostra strategia maturata nel corso di anni e
che c'era una mente organizzativa al di sopra
della nostra, che aveva voluto questa strategia.
Io gli risposi che in questo modo la destra
avrebbe perso credito ed in più noi tutti
avremmo rischiato di persona. Lui mi rispose che
non dovevamo preoccuparci, perchè chi aveva
organizzato questa strategia aveva anche pensato
a come portare le indagini su altri e così
effettivamente stava succedendo".
Oggi le carte
processuali su Piazza Fontana riempiono armadi ed
armadi. Documenti, atti dei servizi segreti,
testimonianze, rapporti di polizia e carabinieri.
Se si dovesse, a tutti i costi, descivere il
colore che emerge da tutto ciò, ci si dovrebbe
fermare al nero. Il colore del lutto. E delle
bombe fasciste.
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Il "sovversivismo"
delle classi dirigenti. Di allora e di adesso di
Nicola
Tranfaglia
La scomparsa a 79 anni,
per un tumore di cui era già malato da tempo, di
Pietro Valpreda, lanarchico accusato
ingiustamente dalla questura di Milano come il
«mostro» che aveva provocato con
lattentato esplosivo alla Banca Nazionale
dellAgricoltura il 12 dicembre 1969 sedici
morti e 88 feriti, riporta gli italiani che hanno
almeno quarantanni e i giovani che hanno
letto qualcosa su quegli anni, a un periodo assai
oscuro della storia repubblicana. Valpreda,
arrestato poche ore dopo la strage indicato da un
testimone che non si sarebbe rivelato
attendibile, restò in carcere 3 anni prima che
linchiesta giudiziaria, depistata con
lintervento di complicità che partivano da
vertici del potere esecutivo, intraprendesse la
strada di quellestremismo neofascista
legato a Ordine Nuovo che aveva rapporti stretti
con gli apparati dello Stato e i servizi segreti
italiani e americani. Ci sono voluti più di
trentanni per giungere, grazie alla nuova
istruttoria del giudice Salvino a Milano, dopo i
processi a Bari, a Catanzaro fino alla Corte di
Cassazione che non avevano raggiunto la verità
data la reticenza di illustri testimoni e gli
errori iniziali delle indagini, per ricostruire
in maniera convincente le origini e i
protagonisti della macchinazione che aveva
condotto alla strage. La svolta decisiva di una
«strategia della tensione» che aveva avuto
inizio già negli anni Cinquanta allombra
della guerra fredda e del pericolo comunista ma
che, di fronte alla contestazione studentesca del
68, alle lotte operaie del 69 e
allavanzata elettorale del Partito
comunista e più in generale della sinistra,
aveva ormai fatto un salto di qualità. Quella
strategia si proponeva - sulla base di un
pensiero comune allestrema destra di
Avanguardia Nazionale e di Ordine Nuovo e ad
umori prevalenti negli ambienti militari - di
trasformare la guerra politica contro i comunisti
e i loro alleati in guerra civile per bloccare
qualsiasi mutamento della maggioranza
parlamentare e del governo in una direzione di
apertura alle masse operaie e contadine e alla
forze politiche che le rappresentavano. Questo
rappresentò piazza Fontana e così è rimasta
nella memoria degli italiani e delle vittime di
quella strategia: centinaia di innocenti uccisi
barbaramente che chiedono ancora giustizia e che
attendono, dopo la sentenza della Corte
dAssise di Milano che ha confermato
listruttoria di Salvini condannando
lordinovista veneto Delfo Zorzi come
esecutore materiale della strage, i neofascisti
Freda, Ventura e Giannettini, lex capitano
del Sid Maletti e la Ginterpress di Lisbona come
quelli che hanno guidato il commando ordinovista
allazione, nuovi sviluppi di indagine che
siano in grado di ricostruire in maniera compiuta
i legami di quella strage con le successive
dallItalicus a Piazza della Loggia a
Brescia fino a quella della stazione di Bologna
nel 1980 che conclude provvisoriamente quella
terribile stagione. Se Valpreda fu in questa luce
una tra le prime, sfortunate vittime del
depistaggio costante che ha caratterizzato la
vana ricerca dei colpevoli della «strategia
della tensione», Zorzi resta tuttora in
Giappone, con il suo passaporto diplomatico
concessogli a suo tempo dalle autorità italiane,
e non ci risulta che nessuno, in attesa dei
successivi gradi di giudizio che richiederanno
altri anni di tempo, ha mosso ancora un dito per
chiederne lestradizione in Italia. Né i
misteri dItalia sono finiti,
tuttaltro. Negli ultimi tre anni sono
caduti due uomini che erano al servizio delle
istituzioni, Massimo DAntona che lavorava
con il ministro Bassolino e Marco Biagi che ha
lavorato per il ministro Maroni, ma nulla
sappiamo ancora sui colpevoli dei nuovi atti
terroristici. Al contrario assistiamo, come ha
dimostrato la vicenda delle dimissioni di Scajola
seguite alle sue frasi infelici e alla mancata
scorta del professore bolognese, a una assai
scarsa preoccupazione, per non dire peggio,
dellattuale governo di fronte alla difesa
dei possibili bersagli dellazione
terroristica. Dovrebbe esser chiaro ormai a tutti
quelli che vogliono comprendere quello che accade
nel nostro paese che, con tutta evidenza, non
sono stati ancora rimossi gli ostacoli che
durante la guerra fredda hanno a lungo impedito
di far luce sulla verità delle stragi e dei
terrorismi. Si è scritto a lungo che allora non
si poteva farlo per lazione di servizi
stranieri che operavano nel nostro paese più o
meno in collegamento con parti della classe
dirigente italiana o dellesecutivo che
utilizzavano quelle azioni per il loro gioco
politico anticomunista. Ma oggi la guerra fredda
è finita, nella Nato è presente anche la Russia
di Putin e cè da chiedersi, allora, se la
spiegazione dei nuovi attentati non debba
trovarsi tutta allinterno del nostro paese.
Se non ci troviamo ancora una volta, come tante
volte è avvenuto nella nostra storia, di fronte
a quel «sovversivismo» delle classi dirigenti
di cui parlava a suo tempo Gramsci che conduce
una classe politica che esercita unegemonia
troppo debole a utilizzare mezzi extralegali per
condurre una lotta che tema altrimenti di non
vincere contro chi si oppone allattuale
equilibrio di potere. Una classe politica
antidemocratica che non accetta di limitare lo
scontro a livello politico e parlamentare, oltre
che culturale, e lo estende a manovre e intrighi,
alluso di servizi segreti e di apparati
dello Stato per aver ragione di
unopposizione politica e sociale che tende
ad estendersi di fronte al liberismo selvaggio e
allo smantellamento dello Stato sociale di
diritto che caratterizza la politica
berlusconiana. Le vicende più recenti, in
particolare loscuro assassinio di Biagi e
di DAntona fanno pensare proprio a ipotesi
di questo genere e si saldano purtroppo ancora
una volta con la passata stagione che ebbe tra i
suoi attori involontari, tra le sue vittime
lanarchico Pietro Valpreda.
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