"RISCHIAMO IL
FASCISMO":
INTERVISTA
A RANIERO LA VALLE
Quale
aspetto del progetto di riforma in discussione in
Parlamento vi sembra più preoccupante?
La distruzione del rapporto fiduciario tra governo e
Parlamento che comporta, sostanzialmente, la
trasformazione del Parlamento in una Camera di
registrazione della volontà del primo ministro.
Che poi avrebbe anche il potere di
sciogliere la Camera
Secondo il disegno di riforma presentato dal Polo, il
Senato della Repubblica viene ridotto a luogo di
compensazione dei conflitti tra Stato e Regioni. Oltre ad
essere privato di alcune delle funzioni legislative che
lo caratterizzano attualmente, il nuovo Senato perderebbe
soprattutto la caratteristica di Camera politica. Questo
mentre l'altra Camera, quella dei deputati, diverrebbe,
di fatto, lo "zimbello" del primo ministro, nel
senso che il capo del governo potrebbe scioglierla in
qualsiasi momento. La Riforma prevede inoltre
l'istituzionalizzazione della maggioranza che ha vinto le
elezioni. Solo la maggioranza uscita dalle urne sarebbe
abilitata a indicare il nome di un eventuale successore
del premier eletto dal popolo. Così, mentre la parte
della Camera non appartenente alla maggioranza viene
ridotta alla insignificanza politica, è sufficiente che
il primo ministro abbia un piccolo gruppo di supporter in
Parlamento per ottenere un potere di veto su qualsiasi
candidatura alternativa alla sua.
Come
giudica l'atteggiamento dell'opposizione in questi primi
giorni di votazione della Riforma?
Una parte del centrosinistra ha deciso di astenersi sul
primo articolo posto in votazione, che è stato
considerato "innocuo", in quanto non faceva
altro che definire la composizione del Parlamento e
l'articolazione nelle due Camere. In quel caso,
l'opposizione non ha capito che si trattava del primo
voto che si dava sulla riforma costituzionale ed aveva
perciò un alto valore simbolico. Bisognava perciò
scegliere di dare un forte messaggio al Paese, per
promuovere una stagione di mobilitazione e di lotta
contro questo progetto. L'astensione è stata invece
percepita nel Paese come il frutto di una tattica
attendista. Come se l'opposizione volesse dire: vediamo
come va a finire. Invece si sa già come va a finire: la
riforma, comunque emendata, rappresenta un sovvertimento
dello Stato di diritto
Pensi
che ora l'opposizione sceglierà la linea della
contrapposizione frontale alla Riforma?
Ormai credo di sì, sarà scontro frontale perché la
fisionomia di questo progetto è totalmente
identificabile. La battaglia decisiva è, ormai sono
tutti a pensarlo, il referendum che seguirà
l'approvazione definitiva da parte del Parlamento. La
questione è che, affinché quest'ultima chance
possa produrre un esito positivo, occorre che questa
battaglia cominci subito e cominci nel Paese. Non si può
aspettare che si concluda l'iter parlamentare per
cominciare la mobilitazione referendaria. Il Paese va
mobilitato subito: questa è la ragione per cui nel
convegno appena concluso a Monteveglio i Comitati
Dossetti hanno dichiarato, nel documento finale,
l'intenzione di promuovere fin da ora la nascita di
comitati per il no al referendum.
Certo,
non si può dire che la Bicamerale di D'Alema abbia
qualche responsabilità, dal punto di vista politico e
culturale, rispetto allo stato di cose presenti.
Anzi. Quella Bicamerale rappresenta senza dubbio un
cattivo precedente, perché ha in fondo accettato la
cultura dei denigratori della Costituzione, facendo
propria la logica perversa che, insomma, la Costituzione
era anche buona, ma andava rinnovata perlomeno nella sua
seconda parte. In una fase storica in cui sono in serio
pericolo, o sono già state abolite, molte delle garanzie
che contraddistinguono uno Stato di diritto, decidere di
mettere mano ad un cambiamento profondo della
Costituzione è un'operazione di per sé eversiva.
Anche
i riformatori di oggi sostengono di voler cambiare solo
la seconda parte della nostra Costituzione
Ma come sappiamo i principi e i valori che sono stati
sanciti nella prima parte della nostra Carta si
sostanziano poi nelle strutture e nelle istituzioni che
sono definite nella seconda. Se si fanno affermazioni di
principio sull'eguaglianza dei diritti e poi nella parte
normativa che riguarda l'ordinamento dello Stato si
scrivono norme che contraddicono l'uguaglianza, si
vanifica di fatto, rendendoli inefficaci, la forza di
quei principi. La stessa cosa vale per l'art. 11: se non
ci sono organi di garanzia che impediscono che il primo
ministro possa portare l'Italia in guerra, che senso ha
la formulazione sul ripudio della guerra?
Padre Sorge, nell'ultimo editoriale di
"Aggiornamenti sociali" (v. notizia successiva)
parla di una democrazia sempre più formale che
sostanziale, dove i poteri forti (legislativo, esecutivo,
economico-finanziari, informazione) si concentrano nelle
mani di una sola persona. La nostra democrazia è in
pericolo?
Non c'è dubbio: noi in Italia rischiamo il fascismo.
Nessun regime nasce d'emblée, ma si forma nel
tempo. La costruzione di uno Stato che non è
democratico, non è garantista, che non realizza la
divisione dei poteri, che non riconosce l'uguaglianza dei
diritti ed il compito della Repubblica di rimuovere gli
ostacoli che impediscano l'effettiva realizzazione di
questa uguaglianza, una Costituzione che non promuove lo
sviluppo integrale della persona umana, ebbene, una tale
Costituzione apre le porte al fascismo.
Da:
Adista Notizie n° 69 del 9
ottobre 2004
www.adista.it
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