Gli scenari del Sisde: la
mafia non ha avuto le leggi
che aspettava per evitare gli ergastoli dei boss. E si
vendicherà
Cosa
Nostra, rapporti segreti
"Previti e Dell'Utri nel mirino"
Nella lotta tra le cosche prevalgono ancora i corleonesi
di Riina
Un progetto di aggressione: colpire i politici
considerati "vicini"
di GIUSEPPE D'AVANZO"IDDU, pensa sulu a iddu",
vanno dicendo i mafiosi. La legge sul legittimo sospetto
carezzerà contro pelo gli "uomini d'onore" di
Cosa Nostra siciliana. Quel cavillo di legge, programmato
per liberare il Re e gli amici del Re dai legacci
milanesi, li attossicherà come un veleno. Peggio della
revisione del falso in bilancio. I mammasantissima sono
sprofondati nelle galere "umiliati e vessati",
come dice Leoluca Bagarella, con l'assoluto isolamento
imposto dal 41bis. Non riescono a controllare come
vorrebbero, come dovrebbero, gli "affari di
famiglia". Non possono garantire ai picciotti e alle
loro famiglie una vita decente e onorata. Mentre sulla
"loro" Sicilia piovono miliardi di euro, là
fuori, in libertà, ci sono solo le donne.
Tutti i maschi Riina e Bagarella di Corleone sono in
galera, così i Madonia di Resuttana, così i Gravano di
Brancaccio... Sono stati buoni e zitti per quasi dieci
anni. Dopo le bombe del 1993, nessun attentato, nessun
morto ammazzato, nemmeno una minaccia che è una, nemmeno
un botto al tritolo. Quasi dieci anni di tregua e di
"invisibilità". I tempi, alla fine, sarebbero
cambiati e bisognava aver pazienza. Hanno avuto pazienza.
Hanno fatto quel che dovevano, alle elezioni del 2001
come si è capito dalle loro conversazioni intercettate.
Ne hanno ottenuto rassicurazioni e "promesse".
Hanno cercato di fare "politica" a loro volta,
di trovare anche vie di compromesso. Passato l'inverno
del 2002, Pietro Aglieri, per conto delle famiglie di
Palermo e di Bernardo Provenzano, ha offerto la
"dissociazione" in cambio un "trattato di
pace" con lo Stato italiano. Un buco nell'acqua. Ci
ha provato Leoluca Bagarella con i toni minacciosi dello
stile dei Corleonesi. Ancora niente. Ora Cosa Nostra si
prepara a mettere da parte pazienza e diplomazia per
afferrare di nuovo le armi e spargere ancora terrore e
morte e veleni.
Non è uno
"scenario", non è cabala di
"analista". Sono notizie "soffiate"
agli agenti sul campo del Servizio per le informazioni e
la sicurezza democratica (Sisde) da "attendibili
fonti d'ambiente": la mafia siciliana è pronta a
lanciare "un'operazione di forte impatto con
ricadute destabilizzanti sul piano politico e idonea,
comunque, a far capire allo Stato (come non sono stati in
grado di fare Pietro Aglieri e Leoluca Bagarella) che i
capi di Cosa Nostra non intendono accettare lo
status-quo". Le informazioni dell'intelligence
incrociano e si sovrappongono alle indicazioni raccolte
dal Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia
criminale. "Attendibili fonti fiduciarie" degli
investigatori della Polizia criminale annunciano "un
progetto di aggressione che avrà inizio con azioni in
toto non percettibili all'opinione pubblica fino a
raggiungere toni manifesti, con la commissione, in un
secondo momento, di azioni eclatanti".
Secondo le "voci di dentro" di Cosa Nostra, due
uomini sono in gravissimo pericolo. Si chiamano Marcello
Dell'Utri e Cesare Previti. Ma le manovre "non
percettibili all'opinione pubblica", più cupe di
una minaccia di morte, sono già cominciate stringendo
d'assedio Gianfranco Micciché, ministro junior e
coordinatore di Forza Italia in Sicilia.
Repubblica è in grado di ricostruire gli annunci cattivi
di una nuova stagione di violenze attraverso i documenti
del Sisde e della Polizia criminale e le conferme di
qualificate fonti investigative.
* * *
Il mafioso si "deve fare la galera". La galera,
per un mafioso, è la regola e prova di
"mafiosità". L'ergastolo, no. L'ergastolo è
più atroce della morte perché è la lenta fine del
potere, l'annichilimento del comando. Salvatore Riina
dice che "sei o sette anni di branda" non sono
un problema e sono il meno. Fino a quando là fuori sanno
che, prima o poi, il boss ne verrà fuori, la famiglia e
gli affari della cosca saranno al sicuro. Se là fuori
sanno che il capo mafioso è in carcere per la vita,
prima o poi, il tradimento lo travolgerà e, con lui, la
famiglia di sangue e di mafia.
Zu' Totò Riina ricorda con
orrore in quale stato di avvilimento si ridusse Luciano
Liggio. Entrò in carcere come Capo dei Capi.
Ergastolano, finì che faceva il buffone nei tribunali,
con un havana appeso al labbro fingendo d'essere "il
Boss". I picciotti ridevano di lui. Si ode tanto
clamore sul 41bis (il carcere duro), ma il problema non
è primario: appare più lo schermo al vero
"dibattito" tra Mafia e Istituzioni. "La
galera si deve fare e, se è dura, pazienza".
Il nodo da sciogliere per Cosa Nostra è l'ergastolo dei
mammasantissima. Per attenuarne gli effetti o per
cancellarlo occorrono leggi, norme, cavilli. In
Parlamento, quelle proposte di legge sono già state
presentate da parlamentari del Polo. Perché non
"camminano"? Perché non "volano"
come il "falso il bilancio" o il
"legittimo sospetto"? Perché non diventano
"priorità"? In fondo, sono soltanto due leggi,
ragionano i mafiosi. Due articoli per legge.
La prima è la Pepe-Saponara (n.1447, presentata il 20
novembre 2001). Modifica il codice di procedura penale.
Si richiama alla "Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali". Allarga le ipotesi di revisione del
processo, nel caso in cui un imputato non ha potuto
controinterrogare il testimone d'accusa, le cui
dichiarazioni rese in istruttoria sono state ammesse. La
Pepe-Saponara apre il varco, propone un principio, il
"diritto a un processo equo" (art. 6 della
Convenzione).
A quel principio, si appella la seconda legge utile alla
cancellazione "tombale" dei processi di mafia.
La si rintraccia nel gran corpaccione dei 45 articoli
della "proposta Pittelli". Quel che interessa i
mafiosi è all'articolo 15. Così innova il 3 comma
dell'art. 192 ("Valutazione della prova"):
"Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo
reato o da persona imputata di procedimento connesso sono
valutate unitamente a ulteriori elementi di prova di
diversa natura, documentale ovvero testimoniale, che ne
confermano l'attendibilità". Bisogna tradurlo. Le
dichiarazioni di un pentito di mafia, per avere valore,
non possono essere confermate soltanto da un altro
pentito, devono essere confermate da "elementi di
prova di diversa natura". Se queste due proposte
(Pepe-Saponara/Pittelli) dovessero diventare legge, non
ci sarebbe processo di mafia degli ultimi dieci anni che
si salverebbe dal colpo di spugna.
E allora perché la maggioranza non si dà da fare?, si
indignano i mafiosi. Che cosa fanno quegli avvocati che,
ieri, erano nei collegi di difesa e oggi sono allo
scranno parlamentare? I boss, in carcere, non comprendono
i ritardi. Stramaledicono: "Sono soltanto due
fottute leggi. Se Iddu, non pensasse sulu a
iddu...". Scrive l'intelligence: "Tra marzo e
luglio, e cioè tra la lettera di Pietro Aglieri e quella
di Leoluca Bagarella, la risposta del ceto politico alle
istanze di Cosa Nostra è stata totalmente negativa: il
progetto Pepe-Saponara, che prevede effetti retroattivi
della riforma del giusto processo (con evidenti ricadute
positive anche sulla posizione di mafiosi condannati),
non procede mentre sul 41bis tutte le forze politiche,
pressoché all'unanimità, si sono espresse contro
l'abolizione e a favore di ulteriori inasprimenti. La
situazione vede, dunque, i capi di Cosa Nostra di fronte
a una vanificazione delle speranze, alla quale è
verosimile intendano reagire". Reagire? Come?
* * *
"In questo momento, secondo attendibili fonti
d'ambiente - si legge nell'"appunto riservato"
inviato dal direttore del Sisde a Palazzo Chigi - Cosa
Nostra, superata la crisi degli anni '90, è tornata a
essere decisamente forte in termini economici, di
controllo del territorio e di infiltrazione nei settori
più sensibili della società siciliana... Questo stato
di cose rende ancora più impellente l'esigenza, per la
mafia, di mantenere aperti quei collegamenti tra
latitanti e capi detenuti, che il 41bis rende molto
precari... Per questo, come dimostrano le iniziative di
Aglieri e di Bagarella e le informazioni d'ambiente, i
boss hanno deciso di "non accettare" comunque
il protrarsi di questo status".
Ecco allora la strategia e gli obiettivi della risposta
mafiosa. "Le fonti indicano che, vista l'inefficacia
delle proposte di "pacificazione", i capi di
Cosa Nostra in carcere potrebbero aver deciso di reagire
con gli strumenti criminali tradizionali colpendo
obiettivi ritenuti paganti. Secondo le stesse fonti,
avrebbero però affermato l'intenzione "stavolta...
di non fare gli eroi"".
Si comprende la preoccupazione dei boss. L'ultima volta
(1992/1993) che si misero in testa di fare la guerra allo
Stato, invece di "conviverci", ottennero solo
allarme dell'opinione pubblica e leggi severe,
repressione spietata, ergastoli. Questa volta Cosa Nostra
vuole scegliere una via di mezzo. Colpire e uccidere,
come sempre. Non però icone della lotta alla mafia (come
Falcone e Borsellino), ma uomini politici (a torto o a
ragione) ritenuti dall'opinione pubblica vicini alla
mafia.
"Queste informazioni - scrivono gli agenti del Sisde
- inducono a ritenere altamente probabile che, a breve e
a medio termine, Cosa Nostra torni a colpire
selettivamente e simbolicamente evitando però ricadute
negative di una eventuale eliminazione di personalità
assimilabili a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e agli
altri esponenti delle istituzioni assassinati in passato
(...non faremo gli eroi...). L'obiettivo potrebbe quindi
essere una personalità della politica che,
indipendentemente dal suo effettivo coinvolgimento in
affari di mafia, venga comunque percepito come
mascariato, come compromesso con la mafia e quindi non
difendibile a livello di opinione pubblica. Questa linea
di ragionamento induce a ritenere che l'onorevole
Marcello Dell'Utri possa essere percepito da Cosa Nostra
come un bersaglio ideale (insieme ad altri esponenti
siciliani della Casa delle Libertà). La sua esposizione
mediatica dai contorni negativi e la sua vicinanza al
Presidente del Consiglio potrebbero essere ritenute dalla
mafia utili per mandare un messaggio di forte impatto
criminale e destabilizzante. Analogamente
destabilizzante, in questa ottica, potrebbe ritenersi un
attentato ai danni dell'onorevole Previti, il cui profilo
pubblico è molto simile a quello dell'onorevole
Dell'Utri anche in relazione ai rapporti con il
Presidente del Consiglio".
* * *
Tutta Cosa Nostra sceglierà questa strada? O ci saranno
resistenze a imbracciare ancora le armi contro lo Stato,
agli ordini di quei Corleonesi che hanno già guidato
l'organizzazione alla sua sconfitta più grave? È a
questi due quesiti che dà risposta il rapporto del
Servizio centrale operativo della Criminalpol.
Non tutto fila liscio tra gli "uomini d'onore",
a quanto pare. Due partiti, i Corleonesi e i Palermitani.
Due capipartito, Riina e Provenzano. Due opzioni, lo
scontro frontale proposto dal primo; la
"trattativa" scelta dal secondo. Un solo
vincente, il "partito della guerra", il partito
di Riina e Bagarella. "La "petizione" di
Leoluca Bagarella, a nome di tutti i detenuti del carcere
de L'Aquila, è rivolta sostanzialmente al mondo
politico, al ministero della Giustizia e ai magistrati di
sorveglianza - scrivono gli investigatori - La successiva
entrata in scena di altri 31 mafiosi, ristretti nel
carcere di Novara - che hanno fatto pervenire al
segretario dei Radicali una lettera aperta di protesta
contro il comportamento degli avvocati penalisti, già
loro difensori e ora parlamentari - ha il duplice scopo
di formalizzare ufficialmente l'adesione totale al
"messaggio" di Bagarella; di appesantirne il
contenuto, attraverso un messaggio mafioso".
Per sgombrare il campo da ogni perplessità, Riina ha
lavorato come sempre. Nel 1972 si liberò di Luciano
Liggio, latitante a Milano, con una telefonata anonima
alla polizia. Trent'anni dopo, con la stessa tecnica: una
telefonata anonima, ha lanciato "un preciso
richiamo", come lo definisce lo Sco, a Bernardo
Provenzano. Antonino Giuffrè è il braccio destro di
Provenzano. È latitante. Con Salvatore Lo Piccolo e
Matteo Messina Denaro, forma il triumvirato che, per
conto di zu Binnu, vuole rimettere in piedi Cosa Nostra
nel solco della tradizione: vivere nello Stato non contro
lo Stato, pensando soltanto agli affari e dimenticando il
tritolo.
La telefonata di un anonimo "consiglia" ai
carabinieri di Lercara Friddi di fare una capatina in
contrada Masseriazza nella campagna di Vicari. Giuffrè
esce in manette dal cascinale. Provenzano è servito, il
"partito della trattativa" è servito.
L'arresto, "pilotato e gestito dal gruppo corleonese
riconducibile a Riina e Bagarella" - scrive lo Sco -
svela che "la questione nei suoi molteplici aspetti
va assumendo toni allarmanti e pericolosi che potrebbero
anche concretizzarsi in azioni di ritorsione contro
avvocati palermitani che attualmente rivestono ruoli
istituzionali, in passato loro difensori, e più in
generale contro obiettivi organici ad apparati politici,
nell'ottica mafiosa di scuotere l'attenzione sul problema
del regime carcerario duro e sul problema dei processi.
Il progetto di aggressione potrebbe iniziare con azioni
non in toto percettibili all'opinione pubblica fino a
raggiungere toni manifesti con la commissione, in un
secondo momento, di azioni eclatanti".
* * *
L'assalto di Cosa Nostra non sembra di là da venire,
lontano nel tempo. Investigatori e 007 parlano di
"breve periodo" e, tra loro, c'è chi quel
"progetto di aggressione" lo vede già
concreto, ritiene che abbia preso già il via e la fretta
con cui il Parlamento affronterà la "Cirami"
non potrà che accelerarne le tappe. Secondo una
qualificata fonte investigativa, la manovra stringe già
d'assedio Gianfranco Micciché, uomo-cardine della
vicenda politica siciliana. Nel racconto
dell'investigatore, i guai del ministro junior hanno la
stessa origine dei guai di Nino Giuffrè. Una telefonata
anonima. Una voce consiglia ai carabinieri di tener
d'occhio quel Martello e la cocaina che porta in tasca.
"A chi la consegna?", dice la Voce.
"Seguitelo e lo saprete".
Il resto della storia è nota. Martello entra al
ministero delle Finanze e Miccichè finisce
apparentemente nella cronaca nera, in realtà in un gioco
pericolosissimo dove in palio ci può essere la morte.
Chi ce lo ha messo e perché? L'anonimo, questa volta,
era in squadra con Provenzano con l'obiettivo di
sbloccare "la trattativa" prima dell'inizio
della "guerra"? O, nella telefonata, c'è
ancora lo "zampino" di Totò Riina che ha
avviato, con "un'azione non percettibile
dall'opinione pubblica", l'"operazione di forte
impatto destabilizzante" che mira a indebolire
pubblicamente l'immagine di Miccichè per colpirlo poi
senza pagarne il prezzo, come per Salvo Lima, e
incassando l'attenzione e la sensibilità del potere
politico? Quale che sia la risposta, Cosa Nostra dopo
dieci anni è pronta a sfidare ancora lo Stato. Lo Stato
sarà in grado di sfidare Cosa Nostra?
(7 settembre 2002)
|
Girotondini in
piazza, gelo con DAlema
«Saremo in
centomila. Lui non viene? Altri hanno impegni e
partecipano lo stesso»
ROMA - Girotondini
in conferenza stampa. Tarda mattinata, sede della
Fnsi, terzo piano. La manifestazione del prossimo 14
settembre annunciata in unatmosfera euforica,
moderatamente scaramantica, buonista con tutti tranne
che con Massimo DAlema. Lintervista che
il presidente dei Ds ha rilasciato al Corriere
della Sera , infatti, non è piaciuta. «Ah, già
- dice Paolo Flores DArcais - DAlema non
verrà a piazza del Popolo perché ha un
impegno...». Deve partecipare ad alcune Feste
dellUnità in Emilia... «Beh, certo, anche
quelle sono feste importanti. Però...». Cosa?
«Pure Sergio Cofferati dovrebbe andare a una Festa
dellUnità, e invece ci sarà, ha trovato il
modo di essere con noi». Davvero? «Certamente. Ma
non cè da stupirsi troppo. Evidentemente,
DAlema ha detto al suo autista di essere più
prudente...».
Sghignazza Francesco Pardi detto «Pancho»,
«luomo che io, nello scorso febbraio, sul
palco di piazza Navona, indicai per scherzo, quasi
per fare un esempio, come il nuovo, possibile leader
della sinistra italiana. E il bello è che non solo
ci avete creduto voi giornalisti, ma pure lui...».
Nanni Moretti prende la scena. Con disinvoltura,
sicuro, simpatico. Molto morettiano . Come
quando, per richiamare due giornalisti, urla:
«Bambiniiii... silenzio!».
Per uno che è abituato a gestire conferenze stampa
ai festival del cinema di tutto il mondo, da Cannes a
Venezia, questa qui organizzata nella sede della
Federazione nazionale della stampa italiana, deve
sembrargli proprio molto più semplice e però anche
molto più emozionante. Ad un certo punto, gli va via
la voce. Corde vocali strette. «Io credo che il
nostro lavoro degli ultimi mesi sia stato molto,
molto utile e... uff! uff!...».
Interviene subito in soccorso Marina Astrologo, una
delle animatrici storiche dei girotondi romani.
Perché poi, ecco, ciò che maggiormente colpisce, in
questa conferenza stampa, è il ritmo, lintesa,
la gestione dei temi e delle polemiche. Prendiamo il
caso montato da Antonio Di Pietro. Che si sente
rammaricato «per non poter dire, io proprio io che
sono il padre di Mani pulite, mezza parola dal
palco». E loro, i girotondini, in coro affettuoso:
«Ma noi a Di Pietro vogliamo bene, scherziamo?».
Non potrà parlare, spiegano, «solo perché la
nostra è una manifestazione così, di movimento, di
associazioni, di gente, e speriamo ci siano anche
quelli che han votato per il centrodestra, indignata
per come il governo sta gestendo questioni importanti
come linformazione, la giustizia,
leconomia...».
Dice Moretti: «Devessere chiara una cosa: noi
non ci sovrapponiamo ai politici e ai partiti. Noi
vogliamo soltanto sostenerli. Come accadde davanti al
Senato, alla fine di luglio, quando la maggioranza
tentava di imporre la legge Cirami». Nega
contrapposizioni: «Cè un tempo per piazza
Navona e uno per piazza del Popolo. Ora è il tempo
di piazza del Popolo. Sono daccordo con quanto
dice Massimo DAlema: vanno bene i movimenti ma
non bastano. Nonostante i successi manteniamo il
senso della realtà e del ridicolo. E non abbiamo mai
detto che da una parte sta Berlusconi,
dallaltra stanno i girotondi».
Sarà una manifestazione pacifica. «Ma ci avete
visti?», dice Marina Astrologo. Cè ottimismo
sui numeri. «Saremo almeno centomila». Almeno.
«Cè pure un sacco di gente che arriverà in
autostop...». Manifestazione autofinanziata, con
inizio alle ore 15 e Moretti gran cerimoniere. Gira
voce che, sul palco, possa esserci anche Michele
Santoro. Qualcuno dice Roberto Benigni. Sicure le
esibizioni di Roberto Vecchioni, Avion Travel e Luca
Barbarossa. Chiuderanno Francesco De Gregori e
Fiorella Mannoia. Insieme. In concerto. Nella gran
piazza dove applaudiranno anche quasi tutti i leader
del centrosinistra.
Se si escludono infatti Massimo DAlema e Enrico
Boselli dello Sdi, gli altri dovrebbero presentarsi
tutti. Da Francesco Rutelli e Piero Fassino,
freddini, a Sergio Cofferati, «molto convinto».
Fausto Bertinotti e Antonio Di Pietro presenti
ciascuno con «piattaforme autonome». Verdi e
Comunisti italiani «meno problematici». Come
Vittorio Agnoletto, leader no global: «Sarà una
grande manifestazione, lo sento».
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LA SCHEDA/L'intervento di
Moretti apre il "fiume carsico degli scontenti"
giustizia, informazione, scuola: la società civile
adesso si mobilita
Da
piazza Navona parte
l'avventura dei girotondi
NESSUNO ha
voglia di stabilire una primogenitura. Del resto il
movimento dei girotondi ci tiene a restare senza padri,
senza nome, senza partiti. Ma sulla scintilla iniziale il
dibattito è aperto. C'è chi dice che senza il
"Resistere, resistere, resistere" di Francesco
Saverio Borrelli la macchina non si sarebbe messa in
moto. Altri sostengono che senza il j'accuse di Nanni
Moretti ai leader dell'Ulivo in piazza Navona (era il 2
febbraio), il primo girotondo, quello del 26 gennaio
intorno al tribunale di Milano, sarebbe rimasto un
episodio.
Fatto sta che nel giro di un mese, il "fiume carsico
degli scontenti" è ormai venuto alla luce, e la
'piazza dei girotondi' è ufficialmente nata. "E' un
magma civico che erompe da una domanda di rappresentanza
debole e inespressa - scriverà il politologo Ilvo
Diamanti -, un movimento nato da una promessa di
cambiamento non mantenuta". Società civile,
semplici cittadini, intellettuali, artisti: ecco chi sono
quelli che puntano il dito contro il governo Berlusconi,
ma anche verso una sinistra ritenuta troppo lontana dalla
società. Per questo i partiti dell'opposizione, e in
particolare i diesse, all'inizio restano spiazzati. E' il
3 febbraio quando il segretario della Quercia Fassino
telefona a Moretti, che ha appena detto che "i
leader dell'Ulivo se ne devono andare". E che per
guidare il centrosinistra sarebbe meglio uno sconosciuto
professore di Firenze, 'Pancho' Pardi.
Inizia così un dialogo
difficile, che in tutta la prima fase è segnato dalla
reciproca diffidenza, e che solo prima dell'estate
troverà un punto di equilibrio. Intanto - siamo appena a
metà febbraio - la macchina 'girotondina' è in pieno
movimento. Prende i volti delle 'ragazze qualsiasi' che
da Milano a Roma inviano e-mail e fanno firmare appelli.
Sono traduttrici, giornaliste, professioniste. Si
chiamano Marina Astrologo a Roma o Daria Colombo a
Milano, e si portano dietro professori universitari,
giuristi, editori e un pattuglione di uomini di cultura e
spettacolo. Tra questi, naturalmente, Nanni Moretti.
Il 17 febbraio arriva la conferma che non si tratta di un
fuoco di paglia. Chiamate a raccolta in poco tempo,
migliaia di persone circondano pacificamente, tenendosi
per mano, il palazzo di giustizia di Roma. E solo una
settimana dopo, al Palavobis di Milano, la giornata della
legalità organizzata dalla rivista Micromega raccoglie
oltre quarantamila persone. Gli organizzatori se ne
aspettavano diecimila.
Di quella giornata il ministro Castelli dirà: "Mi
ricordano gli anni di piombo". E allora tutta
l'opposizione, anche quella più perplessa sui
'girotondi', scenderà in campo contro il Guardasigilli.
E' l'inizio di un lento disgelo tra la sinistra
'istituzionale' e il movimento della 'società civile'.
Ma perché arrivi a compimento bisognerà attendere
ancora.
Intanto le 'altre' piazze si fanno sentire, con le
manifestazioni dell'Ulivo (500.000 persone a Roma il 2
marzo) e gli imponenti cortei di Cgil, Cisl e Uil
sull'articolo 18. Il movimento dei 'girotondi', nato sui
temi della giustizia, allarga il suo orizzonte, e tra
marzo e aprile 'circonda' le sedi Rai (e stavolta c'è
anche Fassino) e i provveditorati contro la riforma
Moratti. Poi, per un paio di mesi, tutto tace. Si dice
che i 'girotondi' abbiano esaurito la spinta iniziale.
Non è vero.
Basta la legge sul legittimo sospetto votata dal Senato a
fine luglio per riportare in piazza, di nuovo, migliaia
di persone. Nanni Moretti è di nuovo lì, sotto Palazzo
Madama. Le foto lo ritraggono mentre grida
"Vergogna!" e si fa il megafono con le mani.
Parlamentari dell'Ulivo scendono tra i manifestanti, e
gridano anche loro. A settembre la legge sarà alla
Camera. I girotondini si preparano a invadere
pacificamente Piazza del Popolo. Il clima è cambiato. Ci
saranno anche i partiti del centrosinistra, mentre
Fassino dice che ci vuole "un nuovo Ulivo aperto ai
movimenti". Nanni Moretti, che volente o nolente è
diventato un leader, lancia l'appello: "Il 14
settembre in centomila". Con la speranza che, come
accadde al Palavobis, ne arrivino anche di più.
(4 settembre 2002)
|
Presentata la manifestazione di sabato
dei girotondini
Moretti: "Nessuna contrapposizione con i
partiti"
"In piazza
per la legalità
anche chi vota a destra"
di MATTEO TONELLI
ROMA - Scansa
amabilmente ogni polemica. Chiama a raccolta anche gli
elettori del centrodestra perché, giura, "i temi
della manifestazione di sabato devono essere patrimonio
di tutti". Lancia un ponte verso i partiti,
"per i quali noi siamo stati e siamo uno stimolo, ma
non vogliamo certo sostituirli". E'un Nanni Moretti
dai toni morbidi quello che presenta la manifestazione
per la legalità di sabato a Roma. Una manifestazione
che, "non è un assedio alle istituzioni", che
costerà "molti soldi" e che si preannuncia
"straordinaria".
Giornate febbrili queste per lo stato maggire dei
girotondini. Ieri una prima riunione, oggi la
presentazione alla stampa. Moretti si porta dietro i
girotondisti della prima ora: le romane Marina Astrologo
e Silvia Bonucci, il professore fiorentino Pancho Pardi,
il direttore di Micromega Paolo Flores d'Arcais. Dopo
quel "vergogna" urlato a pieni polmoni davanti
al Senato, oggi è il giorno dei toni morbidi,
rassicuranti. Nessuna polemica con nessuno. Non con i
partiti "andiamo avanti senza contrapposizioni con
la consapevolezza che c'è un tempo per piazza Navona e
un tempo per piazza del Popolo". Non con Massimo
D'Alema che alla manifestazione non ci sarà e che
auspica che non si crei una rigida contrapposizione tra i
movimenti da una parte e Berlusconi dall'altra ("una
cosa a cui non abbiamo pensato, manteniamo il senso del
ridicolo" replica Moretti).
Non con Francesco Rutelli "che ha
ragione quando dice che i movimenti da soli non
bastano". E a chi ha cercato di
"avvelenare" il clima della manifestazione
"vogliamo dire che non abbiamo mai pensato ad un
assedio selvaggio a Montecitorio. Che questa
manifestazione si sarebbe tenuta il 14 settembre a piazza
del Popolo lo abbiamo deciso il 31 luglio durante il
sit-in davanti a palazzo Madama".
Ma quanti saranno in piazza sabato? Molti, moltissimi,
girano i promotori. "C'è un grande fermento in
giro" dice Flores d'Arcais. Tantissimi, soprattutto
se si considera la natura della manifestazione:
autorganizzata e autofinanziata. Appuntamento alle 15 a
piazza del Popolo: parleranno Moretti, Flores, Pardi,
Astrologo "e altri che decideremo". Suoneranno
Luca Barbarossa, Roberto Vecchioni, gli Avion Travel.
Chiuderanno Fiorella Mannoia e Francesco De Gregori.
Tutti gratuitamente. Ma il palco, quello, bisogna
pagarlo. E allora si batte cassa: "Dateci una mano o
Moretti non potrà più fare film" scherza Flores
(conto corrente sul sito www.centomovimenti.it, con
Lamberto Sechi direttore responsabile della newsletter).
Resta il tempo per un Moretti che racconta quanto stia
significando per lui questa esperienza. "Che mi ha
coinvolto molto, d'altronde se non avessi fatto qualcosa,
in futuro mi sarei vergognato".
(4 settembre 2002)
|
Le delegazioni dei 189 paesi trovano
l'intesa sullo sviluppo sostenibile
ma nel Piano d'azione ci sono pochi vincoli e scadenze
troppo vaghe
Accordo a
Johannesburg
Powell contestato
Il discorso del segretario di Stato Usa fischiato
dalla platea
JOHANNESBURG - Accordo
nella notte a Johannesburg sul Piano d'Azione per uno
sviluppo sostenibile. Un piano debole che provoca molte
delusioni che verrà formalmente sottoscritto nel
pomeriggio in seduta plenaria. Il primo a fare le spese
del senso diffuso di frustrazione, è il segretario di
Stato Usa, Colin Powell duramente contestato durante il
suo discorso di questa mattina. Powell è stato costretto
a interrompersi ogni volta che citava Bush (almeno
quattro) e i suoi impegni per la lotta contro la fame nel
mondo e lo sviluppo sostenibile. Fuori, la contestazione
ha dato origine a qualche tafferuglio mentre i
rappresentanti delle Organizzazioni non governative hanno
abbandonato la seduta.
Prima, nella notte, l'accordo: il via libera è arrivato
sul capitolo dei diritti delle donne nella politica
sanitaria. In questo modo il piano del vertice mondiale
sullo sviluppo sostenibile è stato adottato dalle
delegazioni dei 189 paesi presenti e consegnato alla
storia. Senza eccessivi trionfalismi però. Nelle 70 pagine sono molte enunciazioni e buoni propositi,
pochissime scadenze e vincoli precisi. Oggi pomeriggio,
in seduta plenaria, il documento verrà formalmente
approvato.
Dopo la grande attesa, bordate di
fischi. E' stato ripetutamente interrotto da
contestazioni sonore degli ambientalisti l'intervento di
Colin Powell, segretario di stato e capo-delegazione
americana. "Traditi dai governi", si leggeva su
un cartello, uno dei tanti branditi dai dimostranti, che
intedevano protestare per l'esiguità dei risultati a
loro parere conseguiti attraverso il summit. "Vi ho
sentiti", ha prontamente replicato a un certo punto
Powell, rivolto ai manifestanti, abbandonando la lettura
del testo del discorso preparato in anticipo. Powell è
stato costretto a interrompersi lungamente per ben
quattro volte, specie quando il segretario di Stato Usa
ricordava gli impegni assunti dal presidente Bush per la
lotta contro la fame nel mondo e lo sviluppo sostenibile.
Alla fine gli applausi sono stato completamente
sopraffatti dai fischi e alcuni ecologisti sono stati
trascinati via dagli agenti del massiccio servizio di
sicurezza.
In precedenza numerose organizzazioni umanitarie non
governative rappresentate al vertice, su iniziativa
soprattutto degli 'Amici della Terra', avevano già
lasciato i lavori per esprimere la loro avversione nei
confronti di quanto è stato da essi stessi definito
"il tradimento di cento milioni di persone, povere e
vulnerabili".
Nel pomeriggio, comunque, arriverà la firma sull'accordo
raggiunto. Due gli ostacoli che per giorni hanno
impegnato le delegazioni: gli aiuti finanziari dei
governi del Nord ai Paesi del Sud del mondo e lo
smantellamento dei sussidi all'agricoltura europei e
americani, che ostacolano l'accesso dei prodotti dei
paesi poveri ai mercati delle nazioni più ricche e
industrializzate.
Nonostante ore di trattative però, il bilancio è
tutt'altro che esaltante. I 143 paesi in via di sviluppo
riuniti nel G77 hanno ottenuto solo una riaffermazione
dell'impegno, preso di recente da Ue e Stati Uniti, di
frenare il progressivo calo, in atto da diversi anni, dei
loro aiuti pubblici allo sviluppo e di discutere la
riduzione delle loro sovvenzioni agricole nel corso di
tre anni, "senza pregiudicare il risultato dei
negoziati". Già da ieri, inoltre, era stato
conquistato il "via lbera" di Russia, Cina e
Canada al protocollo di Kyoto sui tagli ai gas serra. Un
passo avanti nell'isolamento americano sulla delicata
questione.
Per quanto riguarda le risorse idriche il piano impegna
la comunità internazionale a dimezzare, entro il 2015,
la proporzione di esseri umani senza acqua potabile e
servizi igienici adeguati e ad "accrescere
sostanzialmente" la parte delle energie rinnovabili
nel consumo energetico mondiale. Principi che però non
sono accompagnati da alcuna cifra, nè scadenze temporali
precise, nonostante le pressanti richieste dei paesi
europei.
La questione di quanto vincolante sarà l'accordo finale
raggiunto nei dieci giorni di maratona negoziale al
summit di Johannesburg dipenderà da una dichiarazione
politica che verrà perfezionata nelle prossime ore.
(4 settembre 2002)
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COMMENTO
L'assalto alla Corte
RAFFAELE K. SALINARI*
La vittima: la Corte penale internazionale. Il mandante:
l'amministrazione Bush. Il killer: Silvio Berlusconi. Non
ci sarebbe altro da dire per commentare le affermazioni
del premier italiano in merito alla concreta possibilità
che l'Italia, la nazione ove la Corte penale
internazionale è nata, possa firmare un accordo separato
con gli Usa per garantire ai soldati americani
l'impunità in caso di crimini di guerra. Il direttore
esecutivo della Convenzione internazionale per la Cpi,
William R. Pace, aveva lanciato l'allarme già in luglio
dopo la firma di Israele e Romania, avvertendo che gli
Stati uniti si stavano preparando ad utilizzare in modo
massiccio l'articolo 98, quello che consente appunto
accordi bilaterali d'esenzione tra nazioni aderenti alla
Corte. A seguito della posizione europea, apparentemente
ferma ma fragile, e della deroga ottenuta dal Consiglio
di sicurezza sulle operazioni di peacekeeping, il
Direttore ora domanda a tutte le organizzazioni aderenti
di investigare se il testo presentato dagli Usa alla
firma di Israele, Romania, Tagikistan e Timor est, è lo
stesso che viene proposto anche per altri paesi. Questo
significa, spiega William R.Pace nella nota diffusa, che
gli Usa intendono adattare il testo alle circostanze,
introducendo probabilmente anche paragrafi aggiuntivi ad
hoc, per invogliare alla firma. Non sappiamo cosa Bush
abbia promesso a Berlusconi ma sicuramente la
contropartita c'è ed è consistente, visto il pressing
degli Usa per smantellare la Corte. La firma di un
articolo 98 da parte dell'Italia aprirebbe un effetto
domino le cui conseguenze sono facili da immaginare, in
particolare su scala europea. Basti pensare che se
l'Olanda, che attualmente ospita la Corte, dovesse
prendere la stessa decisione, sarebbe a rischio la sede
stessa del Tribunale internazionale. Di fronte alla
gravità di questa prospettiva, che mette a repentaglio
l'esistenza della Corte, rinnoviamo con forza la
richiesta alle forze politiche democratiche di aprire un
fronte di salvaguardia parlamentare in favore della
universalità di cui deve godere questa istituzione. Lo
facemmo già durante l'estate ma evidentemente il tema
non rientrava tra le priorità dell'Ulivo, cosa che ha
permesso a Berlusconi di presentarsi ad Elsinore per il
prossimo incontro tra i ministri degli esteri europei,
con questa devastante posizione ( e poi dicono che la
riforma della Farnesina è ancora da fare!). Alle
associazioni che scenderanno in piazza il 14 settembre
per difendere la giustizia ed il rispetto delle regole
democratiche, chiediamo di inserire tra i punti
programmatici anche la difesa della Corte penale
internazionale. Noi ci saremo. Terre Des Hommes,
Convenzione per la Corte penale internazionale
«Sono un ufficiale della riserva»
Cofferati rientra al festival dell'Unità di Modena.
Grande successo tra il popolo diessino, lui insiste
sull'Ulivo. «La politica - dice - non si fa solo nei
partiti. Torno alla Pirelli, aspetto l'ordine di servizio
aziendale. Ma se succede qualcosa di straordinario, io
sono pronto»
SARA MENAFRA
MODENA
Applausi cadenzati che manco la marcia di Radetsky al
concerto di capodanno. Poi l'ovazione. Tutti in piedi.
«Sergio, Sergio, Sergio». E' lui. Sergio Cofferati che
arriva alla festa nazionale dell'Unità a Modena «per
dirci come dobbiamo fare a mandare via questo governo»
sintetizza Milena, impiegata modenese. «Ma no, è venuto
per dirci che è il futuro capo della coalizione»,
rimbrotta subito Elvio che nell'attesa dell'annuncio è
arrivato apposta da Alessandria. Alla fine Cofferati
accontenterà tutti, attaccando naturalmente il governo
Berlusconi, ma dedicandosi soprattutto al futuro della
sinistra e dell'Ulivo. Ma in attesa del primo intervento
pubblico autunnale del segretario della Cgil, l'opinione
di Elvio è diffusissima. Tanto che davanti alle
poltroncine su cui si siedono l'intervistatore, Giampaolo
Pansa e il segretario della Cgil qualcuno ha messo anche
un cartello: «Caro Cofferati, la Pirelli potrà fare a
meno di te: l'Italia: no!». Qui a Modena dove i cartelli
della strada statale indicano nell'ordine «Verona -
Reggio Emilia - Festa nazionale dell'Unità» l' arrivo
del segretario nazionale della Cgil è l' evento della
serata. La sala Conad, quella dei dibattiti più grandi
che in tutto contiene 1.200 persone alle otto di sera è
già piena all'estremo: 2000 persone secondo la questura
(la polizia di stato è presente in sala) di più secondo
quelli dell' organizzazione, che a guardarsi intorno
sulla matematica di piazza sembrano più ferrati.
Calmate le ovazioni l'intervista inizia. Una parentesi
sulla visita che ieri mattina Cofferati ha fatto ad
Adriano Sofri - «non voglio mandare nessun messaggio, è
una persona che volevo conoscere da tempo». Poi però si
arriva al sodo. E alla domanda per un attimo la sala si
ammutolisce: «Allora - chiede Pansa, e in salse diverse
ribadisce la questione praticamente per tutta la serata -
a settembre che cosa ci sarà: un'altra proroga per farti
rimanere segretario della Cgil oppure è proprio vero che
andrai alla Pirelli?». La risposta di Cofferati mette
d'accordo in un sol colpo tutta la sala: «Il primo
obbligo che ho è uscire da una organizzazione che
rispetto molto, come la Cgil. Per questo in questi mesi
mi sono occupato della formazione del nuovo gruppo di
dirigenti. Perché non sono il tipo di persona che dice:
io me ne vado e chi resta si arrangi». Insomma Cofferati
non farà politica il 1 ottobre, non perché non voglia
ma perché crede che «il passaggio diretto dal sindacato
alla politica sia una cosa sbagliata». Eppoi c'è anche
un punto di principio, tutto rivolto alle battutine aspre
di Berlusconi: «Se io passassi direttamente alla
politica la destra direbbe subito che allora è vero che
la Cgil in tutto questo tempo ha fatto politica. Io
questa soddisfazione non gliela voglio dare». Ultra
ovazione. Il sessantaquattrenne Vittorino di Mirandola,
provincia di Modena, si alza in piedi dalle prime file
urlando «Sergio sei forte» e poi spiega «Ha ragione
lui meglio aspettare». Detto questo forte e chiaro anche
all'insistente (e per la verità un po' contestato)
Giampaolo Pansa, l'autodefinitosi «ufficiale di
riserva» Cofferati Sergiodi fare politica sembra avere
molta voglia. «Non ho mai chiesto di essere collocato,
ma se c'è da rimboccarsi le maniche sono una delle tante
persone di sinistra disposte a farlo». La proposta del
collegio pisano è stato rifiutata, «ma ringrazio chi me
l'ha fatta».
Cofferati non risparmia neppure qualche frecciatina ai
suoi compagni di partito o di coalizione. «Forse c'è
tanta fretta di ricollocarmi perché nella politica
istituzionale qualcuno ha paura che io rimanga
disoccupato», e poi più in generale «non credo che i
partiti siano l'unico modo per fare politica, anzi se
rischiano di soffocare se non si aprono alla società».
Dunque nei prossimi mesi Cofferati rimarrà alla guida
della fondazione Di Vittorio, la fondazione di ricerca
storica del sindacato, a cui promette di dedicare una
parte consistente del suo tempo libero. Poi, «fra
qualche anno», se «qualcuno me lo chiede», se
accadessero «fatti diversi concreti, nuovi, non
presunti, che richiedono una mia disponibilità
effettiva», Cofferati ci sarà.
Va bene, fra qualche anno. Ma una volta arrivati al voto,
e «anche prima - rincalza il segretario - dato che le
scadenze elettorali sono molte», che fare? La risposta
è sempre la stessa: puntare sul grande ulivo «l'Ulivo
è stata un'esperienza di cui hanno fatto parte quasi
tutte le forze della sinistra, da Di Pietro ai Comunisti
italiani». Passato un mese, la posizione di Cofferati
non è cambiata di un millimetro dalla famosa intervista
rilasciata all'inizio di agosto al Corriere della sera:
«La coalizione non può essere fatta con un bilancino
che misuri gli interessi delle varie componenti ma deve
riunirsi attorno a un programma. Questo è quello che
penso, per questo sono stato anche molto criticato, ma
che devo fare? Insisterò su questo punto da libero
cittadino, da dipendente della Pirelli e da presidente
della Fondazione Di Vittorio».
«Un fallimento annunciato»
Intervista al senatore verde Francesco Martone. «Solo
partnership con i privati»
MA.FO.
INVIATA A JOHANNESBURG
Nessuno lo dice in modo esplicito. I delegati al Vertice
delle Nazioni unite dibattono di acqua, clima, «sviluppo
sostenibile». Si dividono su obiettivi e scadenze, sul
peso da dare alla parola «globalizzazione», sui sussidi
agricoli. Ma c'è uno spettro che incombe e nessuno
nomina: è l'11 settembre del 2001, l'attacco alle torri
gemelle di New York, e tutto ciò che è seguito.
«Inutile nascondersi che l'ordine del giorno di questo
vertice, e il tono dei negoziati di questi giorni, sono
influenzati dal grande assente: la trasformazione della
geopolitica globale seguita all'11 settembre, e la crisi
dell'approccio multilaterale», ci dice Francesco
Martone, senatore eletto come indipendente nelle liste
verdi - lui proviene da un lavoro di attivismo e critica
delle politiche di «sviluppo» delle istituzioni
finanziarie internazionali. «L'11 settembre ha segnato
l'inizio di una nuova era della politica imperiale
statunitense. Incurante del blowback, l'effetto
boomerang di cui parla Chalmers Johnson, Washington ha
rafforzato la propria posizione unilaterale».
E questo come ha influito su un vertice sullo
«sviluppo sostenibile»?
In primo luogo, a differenza di quanto era successo
dieci anni fa al Vertice della Terra di Rio qui sia i
paesi ricchi che quelli del Sud - il gruppo dei G77 -
ruotano attorno allo stesso asse di discorso, il
commercio. Del resto la prima conferenza internazionale
che si è tenuta dopo l'11 settembre è stata quella di
Doha, dell'Organizzazione mondiale del commercio. Dal
presidente della Banca mondiale James Wolfenson al capo
del Wto Mike Moore in quei giorni dichiaravano che il
terrorismo e le minacce alla sicurezza nascono dalla
povertà, cioè dall'esclusione di alcune regioni dai
mercati mondiali, e dunque per lottare contro il
terrorismo bisognava accelerare la liberalizzazione dei
mercati, ergo migliorare le condisioni di vita dei
paesi poveri - con un'equazione assai discutibile. Quella
era anche la prima occasione in cui la comunità
internazionale serrava le file attorno agli Stati uniti e
alla loro «guerra globale» al terrorismo. Sia negli
accordi di Doha, sia poi nel vertice di Monterrey sulla
«finanza per lo sviluppo», l'influenza statunitense è
stata evidente - basti pensare che i G77 hanno mandato
giù la questione della good governance, il buon
governo, cioè trasparenza e lotta alla corruzione e
apertura dei mercati, che gli Usa ponevano come
condizione ai loro aiuti e investimenti. Washington
accompagna il suo attacco al multilateralismo con
iniziative unilaterali di spesa: come i 5 miliardi di
dollari in aiuti promessi a Monterrey, su basi
bilaterali: uno strumento della propria politica estera.
Qui riprenderanno la proposta di 4,5 miliardi di dollari
per l'Africa, che il segretario al tesoro Paul O'Neil
aveva lanciato durante il suo tour qui con Bono. Tutto
questo indebolisce il multilateralismo. Anche la campagna
mediatica sul «fallimento annunciato» di questo vertice
di Johannesburg serviva a dire che queste istituzioni
internazionali non funzionano, sono baracconi
burocratici, meglio puntare su risultati concreti: per
Washington sono accordi bilaterali e volontari, le
«partnership pubblico-privato» di cui si parla tanto
qui, i cosiddetti accordi di «tipo 2».
E' quella che molti chiamano «privatizzazione delle
politiche ambientali»...
Sì, e va assieme alla manovra di trasformare questa
conferenza da una sull'ambiente a una che afferma la
centralità dei mercati nella lotta alla povertà. Del
resto, l'equazione tra sicurezza e lotta alla povertà è
parziale. L'Undp usa un concetto di «sicurezza umana»
più articolato, che comprende la pace e la stabilità
geopolitica. Trovo singolare che questa conferenza non
discuta dei conflitti sulle risorse naturali. Si parla di
necessità di garantire l'accesso alle risorse, senza
però considerare che questo modello di sviluppo con
grande dispendio di energia e risorse, oltre ad avere un
impatto ambientale e sociale insostenibile, è anche
generatore di guerre: attinge a risorse strategiche
scarse, e spesso situate in aree ad alta instabilità
geopolitica. Pensate al petrolio e all'acqua. Qui in
Africa ne abbiamo esempi impressionanti: la premura del
Sudafrica di invedere militarmente il Lesotho tre anni fa
- e per prima cosa controllare la diga di Katze che
rifornisce d'acqua il Guateng, la regione di
Johannesburg. O i conflitti etnici in Nigeria, la guerra
civile nell'enclave petrolifero di Cabinda in Angola, al
problema che pongono le concessioni petrolifere in Sahara
occidentale. Insomma: poteva essere l'occasione per
affrontare il nesso tra guerre, conflitti ed estrazione
di risorse. Ma questo comportava anche riconoscere il
debito ecologico che noi abbiamo nei confronti di questi
paesi considerati soprattutto produttori di materie
prime.
|
L'anchorman di 'Sciuscià' ormai fuori
dal palinsesto autunnale
"Sì, lavoro anche gratis, per difendere la mia
libertà"
Santoro:
"Mi censurano
è un atto da fascisti"
di ANTONELLO CAPORALE
ROMA - Michele Santoro,
ma quanto guadagni?
"Perché lo chiedi a me e solo a me?"
Perché hai detto che lavori gratis pur di andare in
onda.
"Questo è il mio sacrificio per pagarmi la libertà
di espressione. Non è poco, ma è quello che posso
fare".
Io chiedevo per curiosità.
"Se lo chiedi a Ferrara, Lerner o Vespa. Se lo
chiedi anche al tuo direttore, io sono pronto a dare le
mie cifre. Così si capirà finalmente a che livello
sono".
Non ti incavolare perché io non c'entro.
"Noto una punta di supponenza che non mi piace.
L'atto che stiamo subendo è squisitamente di matrice
fascista. Il mio programma credo porti alla Rai qualcosa
come 200 milioni a puntata, se ne disfano,
perché?".
In Bulgaria fece capire qualcosa.
"Appunto, Berlusconi non vuole che andiamo in onda
perché sa che il mio programma è come un giornale, è
un appuntamento fisso e imprescindibile per centinaia di
migliaia di cittadini. La tv è un prolungamento della
mente di chi sta a casa".
E' un po' come un partito. Tu vai alle feste
dell'Unità, la gente canta Bella Ciao.
"Grazie a Bella ciao io mi sono salvato il culo per
qualche tempo. Era un editoriale a difesa della mia
libertà. L'audience subì un picco altissimo in quei
minuti".
Eri così stonato che da casa pensarono: ma questo che
si è messo in testa!
"Stonato, ma era un editoriale. Era una canzone
della Resistenza".
Però poi la storia finisce con Maurizio Costanzo che
si mette a cantare Contessa, e non è mica bello.
"Lui ha perso la scommessa e paga. Lo ringrazio.
Trovi qualcosa di strano?".
Penso che poi non si capisca dove termina il programma
di Santoro e dove inizia il partito di Santoro.
"Ma cosa devo fare? Stare zitto? Ma non è mai
successa una cosa simile, qui non ne va di mezzo la mia
faccia o il mio portafoglio. Qui stanno sbaraccando
un'azienda in attivo".
Per il 14 settembre hai promesso fuochi d'artificio.
"Ho detto che sarà una sorpresa, devo meditare
bene".
A casa lo sanno e condividono?
"La mia compagna dice che tendo ad esagerare".
Ma il 14 settembre cosa succederà?
"Forse non ricordi, ma su di me pende un
procedimento disciplinare. Quindi dovrò considerare le
cose che dico e che faccio e non compromettere la mia
esistenza in Rai".
Finirà con un girotondo intorno a Santoro.
"La telenovela, come piace chiamarla, continuerà
ancora. Mi spiace ma ne vedrete delle belle. Sarà un
fiume in piena. Perché l'atto...".
Intrinsecamente fascista.
"Esattamente, è fascista".
Fassino che dice?
"Non frequento Fassino, non frequento i
politici".
Nemmeno a cena?
"Mi sembra di ricordare che Rutelli abbia atteso i
risultati elettorali mordendo un toast insieme a
Vespa".
La sinistra non ha capito per chi giochi: per tutti o
per la tua ditta.
"Io non ho chiesto nulla alla sinistra, e la
sinistra niente mi ha dato. Mi aspetto che combattano
Berlusconi. Punto".
Secondo me gli stai proprio sullo stomaco a
Berlusconi, perché l'ha detto da Sofia, infischiandosene
che è la capitale della Bulgaria e che non faceva una
bella figura a emanare un diktat bulgaro.
"Berlusconi conosce la televisione e sa che di
questi tempi, in una stagione di grandi conflitti sociali
insieme al moto ondoso creato dalle leggi sulla
giustizia, un programma come il mio...".
L'avrebbe potuto comunicare privatamente a
Baldassarre. Invece il presidente della Rai giura che non
l'ha mai sentito.
"Baldassarre tende a dare una versione non puntuale
della realtà. Dice che avrei violato leggi, regolamenti
e questo non mi risulta".
Saccà?
"Mah, Saccà"
Bugiardo?
"Dice che Sciuscià è finito come format
televisivo. Come fa a dirlo è un mistero. Credo che
abbia bisogno di un bravo consulente all'immagine".
Ha ingaggiato un giovane promettente, Klaus Davi.
"L'immagine alta, non questa".
Oltre al girotondo resta come estrema possibilità un
blocco stradale.
"Ma se domani chiudono un giornale, non perché
perde copie ma perché non piace a qualcuno, sarebbe
giusto e prudente stare zitti? Qui si mette in
discussione il diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero. Chiedo: è un diritto che merita di
essere difeso?".
Un girotondo intorno a Santoro dunque?
"Si scende in piazza, Santoro fa quello che pensa
giusto e in tv dice quello che crede senza badare al
ricavo e senza dover accontentare un padrone. La
sinistra, ripeto, a me non ha dato mai niente, semmai ha
tolto".
La sinistra non ti è amica, ma perché allora
Berlusconi va sempre da Vespa?
"E perché?".
Rutelli chi l'ha fatto parlare?
"Avrei fatto ponti d'oro, salti di gioia se
Berlusconi fosse venuto da me nell'ultima giornata di
campagna elettorale".
Non ci viene e non ti vuole vedere.
"Questo l'ho capito".
(3 settembre 2002)
|
Medio Oriente, Russia nella Nato e
paesi poveri
Tutte le ragioni per cui il premier dovrebbe entrare
nella storia
Il Nobel a
Berlusconi?
Ecco le motivazioni
Il comitato promotore guidato dal senatore di Fi
Gentile
invia la documentazione per la candidatura
COSENZA - Come Gandhi,
anzi, meglio. Dopo la Fininvest, la Standa, il Milan,
Forza Italia, Palazzo Chigi, adesso lo attende il Nobel.
Non quello per l'economia, visto l'andazzo dei conti
pubblici italiani, né quello per la medicina, visto che
ancora non ha inventato cure miracolose per il Parkinson
o l'Alzheimer. Quello che ci vuole per il capo del
governo italiano è il premio Nobel per la pace.
Almeno di questo è convinto il senatore di Forza Italia
Antonio Gentile, eletto a Cosenza, che mesi fa ha
organizzato un comitato a sostegno, e poi ha inviato
regolare richiesta. Ora vengono rese note anche le
motivazioni che farebbero meritare al premier il
prestigioso riconoscimento, ragioni che Gentile definisce
"oggettive", dunque talmente ovvie da non
meritare neanche una discussione. Fosse per Gentile,
dunque, gli accademici svedesi non dovrebbero neanche
discuterne, e chi ha osato farci qualche ironia sopra è
solo "vittima di un pregiudizio lombrosiano".
Allora, le motivazioni. Berlusconi
merita il Nobel per "Il forte ruolo svolto a favore
dell'ingresso della Russia nella Nato; per la
cancellazione dei crediti che l'Italia vantava verso
alcuni Paesi poveri; per aver interpretato la sua
funzione istituzionale come un percorso limpido e
coerente di mediazione dei conflitti internazionali;
perché ha restituito all'Italia una vocazione
diplomatica dispersa".
Chissà che ne pensa, di quest'ultimo punto il senatore
Andreotti. O Renato Ruggiero, il ministro degli Esteri
dimissionato perché non piaceva a Umberto Bossi.
"Fatto sta - è sempre il senatore Gentile che parla
- che il premier italiano ha assunto una posizione di
coraggioso interventismo nella risoluzione del drammatico
sequestro dei palestinesi a Betlemme", e ha perfino
organizzato a Roma, subito dopo l'attentato dell'11
settembre, il vertice della Fao (che tra l'altro è
rimasto in Italia solo dopo un lungo braccio di ferro tra
il governo e l'organizzazione dell'ONU).
E non è finita, perché il documento è talmente
puntiglioso da essere stato scritto perfino in corsa,
anzi in volo. Mentre Berlusconi è ancora in aereo per
Johannesburg, il senatore Gentile segnala che il premier
"ha proposto al vertice una misura di aiuto ai Paesi
poveri parallela all'aumento del prodotto interno lordo
dei Paesi ricchi". Se Nobel sarà, sarà a tempo di
record.
(2 settembre 2002)
|
E' finita
l'illusione
di MASSIMO RIVA
LA NOTIZIA non è cattiva,
ma pessima. Innanzitutto in termini contabili: con il
buco di tre miliardi di euro in agosto, il fabbisogno
pubblico dei primi otto mesi dell'anno diventa una
voragine di 34 miliardi, addirittura il 60 per cento in
più rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente.
Ciò significa che l'impegno assunto dal governo di
contenere il disavanzo 2002 attorno all'1 per cento del
Pil non è più una penosa bugia, ma un impudente inganno
della pubblica opinione.
Di questo passo, volendo essere ottimisti, si può
sperare di chiudere l'anno in corso un poco sopra il due
per cento: ovvero su livelli analoghi a quelli del 2001.
Come dire, insomma, che i quindici mesi della cura
Tremonti sono trascorsi del tutto invano; anzi il malato
sta peggiorando. Tant'è che, a questo punto, per
raddrizzare le prospettive del bilancio 2003 diventa
reale e fondata l'ipotesi di una manovra pesantissima da
non meno di 30 miliardi di euro.
A rendere più fosco questo orizzonte c'è poi
l'atteggiamento del governo, che non è più esagerato
definire irresponsabile. Per spiegare il buco di agosto,
infatti, il ministero dell'Economia si è trincerato
dietro l'ovvia giustificazione della bassa crescita in
atto nell'economia italiana. Peccato che un simile
argomento, sulle bocche di Berlusconi e Tremonti, risulti
essere per loro un "boomerang" micidiale. Che
il divario fra entrate e uscite dell'Erario aumenti a
causa della frenata congiunturale è un fatto, ma
altrettanto è un fatto che esso ha assunto le
proporzioni di una voragine proprio perché l'attuale
governo ha voluto insistere nel fare previsioni di
crescita che non stavano letteralmente né in cielo né
in terra, dietro le quali ha mascherato la sua inerzia
assoluta.
Per rispettare le promesse di Bengodi che aveva sparso a
piene mani durante la campagna elettorale, l'accoppiata
Berlusconi-Tremonti ha continuato a mentire agli italiani
presentando un bilancio di previsione 2002 scritto con
l'inchiostro della fantasia. Per il riequilibrio dei
conti si è puntato tutto su una speranza di crescita
dell'economia superiore al due per cento, che è stata
mantenuta ferma per mesi e mesi: non solo a dispetto
delle ben più basse stime delle maggiori autorità
internazionale, ma perfino contro le indicazioni che la
realtà delle rilevazioni statistiche fornivano
implacabili trimestre dopo trimestre. Dunque, se i conti
oggi non tornano, la colpa non è del rallentamento
dell'economia, ma di chi quella frenata non poteva non
vedere ma ha fatto finta di non vedere.
E, quel che è peggio, lo ha fatto deliberatamente.
Tant'è che ancora in questi giorni, a meno di un mese
dalla presentazione della manovra finanziaria per il
2003, l'intero governo insiste nel giurare sulle cifre di
un Documento di programmazione (Dpef) che era già
superato in primavera, quando è stato presentato, e oggi
appare come una caricatura della realtà contabile della
finanza pubblica. Qualcosa del genere accadde anche lo
scorso anno, quando a fine settembre venne presentata una
Finanziaria 2002 che ripeteva le stime calcolate prima
della tragedia americana dell'11 settembre senza
minimamente adeguarsi al radicale cambiamento di
prospettive che il crollo delle Twin Towers avrebbe
inesorabilmente provocato.
Sordi al monito secondo cui soltanto i cretini non
cambiano mai idea, fermi agli slogan di una campagna
elettorale miracolistica, il presidente Berlusconi e il
fido ministro Tremonti hanno così creato le premesse del
disastro finanziario del quale ora si cominciano a
intuire le proporzioni. E adesso, non paghi di una catena
di insuccessi sempre più evidenti, mostrano di non
sapere fare altro che continuare su questa loro strada.
È soltanto di ieri la notizia sull'aggravamento del buco
dei conti pubblici in agosto, ma è appena di pochi
giorni fa l'ilare annuncio del presidente del Consiglio
al meeting ciellino di Rimini che "l'economia
va".
Ma dove va, on. Presidente? Avevate previsto una crescita
del Pil al 2,3 per cento per quest'anno. Poi, a
primavera, il ministro Tremonti ha tentato di cambiare le
carte in tavola parlando di un aumento dell'1,3 pur senza
nulla fare per tamponare gli effetti di questo taglio sui
saldi della finanza pubblica. Ora perfino un soggetto non
privo di simpatie per il governo, come la Confindustria,
prevede che sarà un lusso se la crescita 2002 sfiorerà
l'uno per cento. Dove va, dunque, l'economia italiana? E,
d'altro canto, dove potrebbe andare nel mezzo di una
congiuntura internazionale debole tanto in Europa che
negli Stati Uniti? È ovvio che si tratta di domande
retoriche. Il punto vero è che qualcuno a Roma ha
coltivato la delirante illusione che l'Italia potesse
trasformarsi nella locomotiva di se stessa in un
orizzonte congiunturale che diventava sempre più oscuro
per tutti. Ora siano alla resa dei conti con questa
follia che va ricordato aveva sedotto milioni di
italiani. E il conto s'annuncia, ogni mese, sempre più
salato, mentre chi dovrebbe porvi riparo continua a non
voler prendere le misure con la realtà e a sfuggire
all'assunzione delle proprie responsabilità.
Le uscite ordinarie dello Stato stanno sempre più
sopravanzando le entrate ordinarie del medesimo. Di
conseguenza il debito pubblico, che la saggia politica
inaugurata da Carlo Azeglio Ciampi stava riconducendo nel
sentiero degli impegni assunti con l'unione monetaria,
minaccia di invertire il cammino del risanamento e di
riportare il paese alla condizione di sorvegliato
speciale in Europa. Il divario fra l'inflazione domestica
e quella degli altri soci dell'Unione si sta di nuovo
allargando e mette in serio pericolo la competitività di
prezzo del "made in Italy". Ebbene, in questa
inquietante congiuntura, il meglio che le menti della
maggioranza berlusconiana sanno partorire per raddrizzare
i saldi del bilancio è il ricorso a qualche condono
(fiscale, forse previdenziale, magari anche edilizio).
Tutto insomma, anche la replica delle peggiori imprese
dell'era democristiana della decadenza, pur di non dover
ammettere di aver perso il controllo dei conti pubblici e
di non avere il coraggio politico (e forse neppure
l'attrezzatura culturale) per affrontare i guasti
provocati dal proprio incosciente ottimismo
propagandistico.
Ma gli italiani, a cui più prima che poi toccherà
pagare con lacrime e sangue il costo di queste follie,
per il momento forse potranno consolarsi con il
tragicomico spettacolo offerto in questi giorni da
Palazzo Chigi. Dove il presidente del Consiglio nei panni
di un novello Fregoli è impegnatissimo nella triplice
veste che occupa nella crisi del calcio che lo vede
recitare dalla parte della Rai come capo del governo,
dalla parte di Mediaset come suo proprietario, dalla
parte della Lega come principale del suo presidente
Galliani e come patron del Milan. Questa sì è la grande
politica, altro che quelle noiose bazzecole dei conti
pubblici.
(3 settembre 2002)
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Brutte notizie dai dati resi noti dal
ministero dell'Economia
Ad agosto registrato un disavanzo di tremila milioni di
euro
Conti pubblici,
il fabbisogno
sopra i 34 miliardi di euro
ROMA - Ancora brutte
notizie per i conti pubblici e questa volta è il fronte
del fabbisogno statale a rendere ancora più nero il
settembre di Giulio Tremonti. I tecnici del ministero
dell'Economia hanno infatti certificato che nel mese di
agosto si è registrato un disavanzo di circa 3 miliardi
di euro a fronte di un avanzo di 2.828 milioni registrato
nello stesso mese dello scorso anno. E così, nei primi
otto mesi del 2002 il disavanzo cumulato arriva a quota
34.100 milioni di euro, con una crescita del 60,6 per
cento rispetto al "rosso" di 21.232 milioni
registrato tra gennaio e agosto del 2001.
Le ragioni del peggioramento dei conti pubblici sono
legate in parte all'anticipo dei versamenti delle imposte
per le dichiarazioni Irpeg (l'autoliquidazione delle
società) a giugno-luglio mentre nel 2001 questo
appuntamento cadeva in agosto. Ma pesa anche l'andamento
negativo della congiuntura che pesa non solo in Italia ma
anche negli altri paesi europei.
"L'andamento del saldo del mese di agosto 2002 -
afferma il ministero dell'Economia - è da attribuirsi
principalmente al mancato gettito dell'autoliquidazione
dell'Irpeg, il cui termine di versamento è stato
anticipato al mese di luglio. Ad incidere sul fabbisogno
dei primi otto mesi dell'anno contribuisce, inoltre, per
1.000 milioni, la diversa modalità di versamento delle
accise sugli oli minerali".
Sul fronte delle spese, il ministero dell'Economia
segnala che "il saldo delle operazioni con la Ue
continua ad incidere negativamente rispetto ai primi otto
mesi dello scorso anno per circa 2000 milioni di
euro". Ma è la congiuntura economica a pesare più
di tutti: "Più in generale - afferma il Tesoro - il
maggior fabbisogno dell'anno riflette in buona misura,
oltre l'ampio utilizzo della compensazione dei crediti di
imposta, l'andamento non soddisfacente dell'economia e
conseguentemente delle entrate tributarie, come del resto
sta accadendo negli altri Paesi Europei".
(2 settembre 2002)
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