La guerra
globale è cominciata di MICHEL COLLON Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova Giovedì 18 luglio 2002 A seguito di numerose richieste e per allacciare nuovi contatti, vi invio "La guerra globale è cominciata", documento che ho scritto subito dopo l'11 settembre 2001.Le vostre osservazioni saranno ben gradite. Michel Collon - Belgium michel.collon@skynet.be La guerra globale è cominciata MICHEL COLLON «Guerra contro il terrorismo» ? Se si trattava di un film, questa sceneggiatura ufficiale sarebbe stata rifiutata in quanto non stava in piedi e nascondeva altre motivazioni. Prima situazione inverosimile: nel 1999, poi nel 2001, i Talebani avevano stimato che la presenza di Bin Laden sul loro territorio impediva il loro riconoscimento internazionale e quindi avevano proposto agli Stati Uniti di eliminarlo o di neutralizzarlo. A loro volta, gli Stati Uniti avevano rifiutato. Questo è stato rivelato da Laili Helms, rappresentante ufficiale dei Talebani a Washington. Che non è stato smentito.Perché? Seconda situazione inverosimile: poco prima degli attentati, Bin Laden, il nemico pubblico attivamente ricercato, a quanto si dice, da tre anni, era andato tranquillamente a curarsi a Dubai e vi aveva incontrato il responsabile locale della CIA. Terza situazione inverosimile: dopo gli attentati, i Talebani di nuovo avevano proposto di consegnare Bin Laden, purchè fosse giudicato in un paese neutrale. Una simile soluzione era stata applicata per l'attentato aereo di Lockerbie, che aveva dato luogo alla condanna di un cittadino libico. Ma Bush aveva immediatamente rifiutato. Perché? Quarta situazione inverosimile: attualmente tutti sanno che gli Stati Uniti hanno messo in campo, finanziato ed armato Bin Laden per controllare l'Afghanistan. Si parla meno del fatto che hanno anche utilizzato queste fanatiche milizie per simili obiettivi in Bosnia, in Kosovo, in Macedonia, in Cecenia. Perché si rifiutano di rendere palese il dossier sul loro ruolo in queste guerre ,dalle conseguenze tanto tragiche? Quinta situazione inverosimile: ci hanno raccontato che bisognava eliminare i Talebani per garantire la democrazia e far rispettare i diritti delle donne. E chi mettono al loro posto? L'Alleanza del Nord di quella buon'anima del Comandante Massoud, con un curriculum sanguinario di terrore e di traffici criminali. Infatti, chi aveva imposto a Kaboul la Sharia islamica, nel 1994? Massoud, proprio lui! Flagrante contraddizione, anche sullo sfondo del problema: tutti sanno che il terrorismo non sarà eliminato con le bombe, ma aggredendo le ingiustizie e le oppressioni che gli forniscono il terreno di cultura. Di conseguenza, viene portato l'attacco alla fame nel mondo, che 15 miliardi di dollari sarebbero sufficienti per eliminarla? No! Viene aumentato di 40 miliardi di dollari il budget militare USA. E i bilanci Europei vanno a seguire. Invece di risolvere la questione Palestinese, Bush stipula nel novembre 2001 un contratto per una cifra enorme (200 miliardi di dollari) per costruire un aereo da caccia ancora più terribile, il Joint Strike Fighter; ciascuna vittima di questo riempirà le tasche già ben ingrassate dei costruttori, la Lockheed Martin e la Boeing. Tutto questo ci porta a domandarci se la guerra non fosse stata decisa ben prima degli attentati. Sì, ha affermato l'ex ministro Pakistano degli Affari Esteri, Niaz Naïk. Già dalla fine di luglio, «alcuni funzionari americani gli avevano parlato di un piano americano inteso a scatenare un'azione militare per rovesciare il regime dei Talebani e insediare al loro posto un governo di Afghani "moderati". Il piano dovrebbe avere inizio a partire dalle basi situate nel Tadjikistan, dove sono già all'opera i consiglieri USA. A lui veniva dichiarato che, se l'azione veniva confermata, avrebbe avuto luogo prima delle nevi, al più tardi verso la metà di ottobre.» Come dare una spiegazione a tutte queste situazioni inverosimili? In realtà, ciò che gli Stati Uniti perseguono tramite questa guerra è costituito da cinque obiettivi ben più ampi:
A perseguire tanti obiettivi contemporaneamente, una superpotenza può apparire forte. In realtà, mostra anche tutta la sua debolezza. Sempre più contestati, dal terzo mondo all'Organizzazione Mondiale del Commercio(OMC-WTO), dai giovani antimondializzazione su Internet e nella strada, gli Stati Uniti e i loro alleati reagiscono con la guerra. Ma tosto o tardi, i diversi obiettivi entreranno fra di loro in contraddizione. Mentre la loro arroganza, la loro mala fede, la loro aggressività non fanno che aumentare la rivolta dappertutto. L'Impero è in crisi! Chiunque lotta per il progresso, la giustizia e la pace, è dunque spinto a porsi la domanda sugli obiettivi reali, se si vuole dare una spiegazione a ciò che sta accadendo attorno a noi. Prima di tutto risulta necessario domandarsi perché gli stessi dirigenti USA - che per abitudine minimizzano l'ampiezza di quello che fanno - dichiarano questa volta che la guerra durerà lunghi anni e che altri Stati dovranno diventarne gli obiettivi. Inoltre, questi stessi dirigenti prendono - all'estero, ma anche sul loro stesso territorio - delle misure di repressione estremamente gravi. Che loro potranno utilizzare contro qualsiasi opposizione politica, e in particolare contro il movimento antiglobalizzazione. Sì, noi siamo entrati in una nuova forma di guerra, più grave ancora delle precedenti. Noi siamo entrati nella guerra globale! Obiettivo n° 1 : Controllare le vie del petrolio. Molte delle guerre cosiddette "incomprensibili" in realtà sono conflitti per l'oro nero; questo l'ho già scritto nel mio libro Monopoly . Le multinazionali del petrolio USA e il loro governo intendono controllare tutte le vie che permettono di esportare le enormi riserve di petrolio e di gas dell'Asia Centrale. Le nostre carte geografiche indicano i Paesi che hanno la disgrazia di trovarsi sulla strada verso Occidente: Cecenia, Georgia, Kurdistan, ma anche la Yugoslavia e la Macedonia . Quindi devono subire ingerenze e altrettante guerre. Ma queste carte mostrano che le minacce si stanno rivolgendo anche sulla via Orientale, verso la Cina e il Giappone. Ecco perché la CIA sostiene attivamente le milizie islamiche Uïguresi anticinesi dello XingJiang. Sulla strada verso Sud ci pensa la multinazionale USA Unocal, che intriga da molto tempo per il controllo di un oleodotto da costruire attraverso l¹Afghanistan e il Pakistan. Alla fine fruttuosi benefici! L'industria petrolifera è onnipresente nel cuore stesso dell'Amministrazione USA. Ha fornito tutti i ministri degli Affari Esteri dopo la Seconda Guerra Mondiale, ad eccezione di due. Uno dei quali certamente l'attuale: Colin Powell. Ma non ha perso al cambio, visto che la famiglia Bush è una delle più importanti famiglie petroliere del Texas. E soprattutto perché l'effettivo capo dell'Amministrazione Bush, vale a dire Dick Cheney, è lui stesso un carico pesante di questa industria. Proprio prima di diventare vice-Presidente, Cheney era stato per cinque anni alla testa di Halliburton, una delle principali società di servizi per l'industria petrolifera, presente in più di 130 paesi e che impiega circa centomila persone. Volume di affari nel 1999: 15 miliardi di dollari. Una delle 400 più grosse multinazionali del mondo. Per arrivare a così splendidi risultati, Cheney non ha esitato ad ordire manovre con la dittatura in Birmania. E in Nigeria, i suoi investimenti sono fortemente aumentati dopo l'assassinio di numerosi militanti ecologisti e la repressione delle proteste popolari nel delta del Niger. Inoltre alcuni responsabili dell'Amministrazione avrebbero appoggiato Halliburton nel conseguire importanti contratti in Asia e in Africa, secondo documenti del Dipartimento di Stato arrivati nelle mani del Los Angeles Times . Dunque, la guerra annunciata è arrivata! In effetti, sono più di vent'anni che Washington manovra e complotta per impadronirsi dell'Afghanistan, crocevia strategico dell'Asia. Lo scopo non è variato, ma i metodi sì. All'inizio si trattò di armare le milizie Islamiche contro l'Unione Sovietica: la più grossa operazione CIA di tutti i tempi. Nel 1966 un diplomatico USA in Pakistan confidava: «Voi non potete gettare miliardi di dollari in una Jihad anticomunista, accettare dei partecipanti da tutto il mondo ed ignorare le conseguenze. Ma noi l'abbiamo fatto. I nostri obiettivi non erano proprio la pace e il benessere in Afghanistan. Il nostro obiettivo era ammazzare dei comunisti e cacciare i Russi.» Quindi i moudjahiddins della CIA hanno rovesciato il solo regime che aveva emancipato le donne Afghane e tentato, malgrado i gravi errori, di apportare un po di progresso sociale. E come questi moudjahiddins ultra-poveri avrebbero pagato le armi americane? Trasformando il loro paese - con la benedizione della CIA - nel primo produttore mondiale di eroina. E questo ha comportato la creazione dell'importantissima filiera della droga Afghanistan Turchia Balcani - Europa. Con tutte le sue conseguenze. Del resto il cocktail petrolio armi droga è un classico della CIA. Dopo questa grande vittoria del "loro" terrorismo, gli Stati Uniti avrebbero favorito i Talebani, a dispetto delle vive critiche delle organizzazioni di difesa dei diritti dell'uomo. Interrogata allora sulle sorti delle donne Afghane, Madeleine Albright rispondeva: «Affari loro, affari interni!». La ministra USA degli Affari esteri recitava la sua parte di rappresentante di commercio quando Unocal aveva invitato sontuosamente questi Talebani in Texas. Segnaliamo anche che Henry Kissinger in persona aveva assistito nel 1995 alla firma sull'accordo per un oleodotto, fra Unocal, il suo socio Saudita Delta, e il presidente del Turkmenistan. In seguito, Unocal e quindi Washington avrebbero deciso di cambiare cavallo. Non essendo riusciti i Talebani a rendere stabile il paese diviso, bisognava puntare su altre forze per rimpiazzare gli alleati di ieri divenuti scomodi ed imbarazzanti. Dunque, questa guerra, decisa ben prima degli attentati, non è più umanitaria delle precedenti! Ma l'Afghanistan non è sicuramente il solo paese vittima della guerra per il petrolio e per il gas. Oltre all' Iraq, citiamo fra gli altri il Caucaso, la Colombia, l'Algeria, la Nigeria, l'Angola... In breve, dappertutto nel mondo dove si trova petrolio e gas, gli Stati Uniti decidono che quello appartiene a loro, cercano di installarvi le loro basi militari e provocano o suscitano i conflitti, che loro giudicano utili ai loro interessi. Qualsiasi persona di buon senso si domanderà allora: gli Stati Uniti hanno veramente bisogno di tutto questo petrolio per i loro stabilimenti e le loro automobili, supponendo ugualmente che debbano conservare l'attuale assurdo modello economico, sprecone ed inquinante, dove il litro di petrolio, sottopagato ai produttori, è nei fatti, al netto delle tasse, meno caro di un litro di acqua? No, gli Stati Uniti non hanno proprio bisogno di tutto questo petrolio. Le riserve dei giacimenti situati negli USA sono fra le tre e le cinque volte superiori a quelle dell'Asia Centrale. E quelle di gas naturale dieci volte. Dunque non si tratta di assicurare, come va dicendo il governo degli USA ad ogni guerra, «la certezza degli approvvigionamenti energetici». E allora, una nuova domanda, altrettanto logica: il petrolio è veramente lo scopo ultimo degli Stati Uniti? No, in sé non è uno scopo. È un'arma, una possibilità di ricatto. Come ugualmente ho scritto in Monopoly (p.112) : «Chi vuole governare il mondo deve controllare il petrolio. In qualsiasi posto questo si trovi.» Nella guerra economica che caratterizza il capitalismo, gli Stati Uniti intendono detenere un mezzo di pressione strategico per il controllo degli approvvigionamenti energetici dei loro grandi rivali (Europa e il Giappone) e di tutti gli altri paesi che rischiano di mostrarsi troppo indipendenti. Ad esempio, se l'oleodotto, che dal Caucaso va verso Occidente, è russo, e non turco o macedone, l'Europa avrebbe accesso ad un petrolio che Washington non controllerebbe più. Inoltre, nel momento di decidere di installare basi militari in certe regioni petrolifere, Washington non sarebbe costretta ad invitare per questo i suoi "cari alleati". Detto questo, il petrolio è sufficiente a spiegare questa guerra contro l'Afghanistan ? No, c'è molto di più, dato che gli Stati Uniti conoscevano bene le difficoltà per conquistare questo paese. Gli Inglesi e i Sovietici vi si erano già fracassati i denti! Obiettivo n° 2 : Imporre le basi militari USA nel cuore dell'Asia. Nel 1997, Zbigniew Brzezinski, già citato, definiva l'asse - chiave della politica estera americana: controllare l'Eurasia (Europa + Asia), cioè il 75% della popolazione mondiale e il 60% delle ricchezze economiche e naturali del mondo. Per questo bisognava indebolire i rivali potenziali: Europa, Russia, Cina. Ed impedire qualsiasi alleanza fra di loro. È il continente Asiatico che conosce, e che andrà a conoscere, la più forte espansione. E in Asia, è la Cina che eccita le bramosie con il suo formidabile mercato potenziale e il suo eccezionale tasso di crescita del 9,8%, in questi ultimi vent'anni. La sua produzione, tra il 1990 e il 1999, è pressoché triplicata. Secondo certe stime, la percentuale degli USA nel PIB mondiale continuerà a calare - era del 50% nel 1945, poi del 35% negli anni 60, attualmente è del 28%, ed è destinata a calare al 15 o al 10% verso il 2020 e sarà raggiunta da quella della Cina. L'influenza asiatica ed internazionale della Cina non cessa di aumentare. Il sogno di Washington è quello di riportare la Cina allo stato di neo-colonia e di sicuro liquidare il socialismo. Sogno non facile da realizzare, sia con i dollari, sia con le minacce. In quanto Pechino persegue in modo imperturbabile la propria strategia: sviluppo accelerato, mantenendo nel contempo la coesistenza pacifica con gli Stati Uniti. Comunque i dirigenti Cinesi hanno compreso molto bene l'avvertimento lanciato loro nel 1999, quando gli Stati Uniti hanno deliberatamente bombardato la loro ambasciata a Belgrado. In realtà quello che si è cominciato in Afghanistan, non è altro che l'accerchiamento strategico di questa Cina troppo ribelle e potente. Nel retroscena di questa guerra, è la Cina che costituisce sicuramente l'obiettivo più importante per Washington. Ma due altre potenze Asiatiche sono allo stesso modo prese di mira: la Russia e l'Iran. Certamente, la nuova borghesia Russa è attualmente ridotta a ruoli secondari, i suoi strumenti di azione sono fortemente limitati dalla catastrofe sociale ed economica provocata dalla restaurazione capitalistica. Proprio per questo, essa cerca di conseguire al più presto un ruolo internazionale di peso. Cercando di combinare due metodi a volte alleandosi servilmente con l'Occidente, e a volte giocando le proprie carte, per rendersi maggiormente "indispensabile" e far salire le proprie quotazioni all'incanto. Quindi Mosca intrattiene rapporti commerciali e annoda alleanze con quei paesi classificati da Washington come "canaglia" : Corea del Nord, Iran, Iraq, Siria... E Poutin si oppone allo scudo spaziale antimissili, vale a dire al rilancio di una rovinosa corsa agli armamenti. Cosa cerca, ad esempio, Washington, sostenendo le milizie islamiche separatiste in Cecenia? Approfittare del breve periodo in cui la Russia si trova in un momento di crisi per indebolirla stabilmente e impedirle di ridiventare una seria rivale. La terza potenza di questa regione che Washington cerca di destabilizzare è l'Iran. Dopo aver organizzato nel 1952 il rovesciamento del troppo indipendente Primo Ministro Iraniano Mossadegh, dopo aver sostenuto la sanguinosa dittatura dello Scià Pahlevi, Washington ha incassato in questo paese una cocente disfatta con la rivoluzione islamica ed anti-imperialista del 1979. Per indebolirla, allora Washington ha deliberatamente provocata la guerra Iran Iraq (1980-1988). Ugualmente ha giocato la carta dell'Afghanistan per esacerbare le contraddizioni tra mussulmani sciiti (Iran) e sunniti (Arabia Saudita, Emirati del Golfo, Afghanistan, Pakistan). In questi paesi, Washington ha puntato sulla strategia islamista sunnita del generale Zia , che aveva eliminato fisicamente il Primo Ministro Bhutto. In particolare è con l'intermediazione dei servizi segreti Pachistani che la CIA ha utilizzato i moudjahiddins afghani. Obiettivo: fiaccare l'URSS, ma anche l'Iran. Impedire un'alleanza anti-egemonica Cina - Russia - Iran Sicuramente, il principio fondamentale di tutta la politica imperialista resta "Dividere per regnare". Su questo continente Asiatico, ecco gli Stati Uniti temere sopra ogni cosa, spiega ancora Brzezinski, che : «La Cina potrebbe diventare il fulcro di una alleanza anti-egemonica Cina - Russia - Iran.» Si è delineata una tale alleanza con il "Gruppo di Shanghaï", che riunisce la Cina, la Russia, e quattro Repubbliche dell'Asia Centrale: Kazakhstan, Tadjikistan, Kirghizstan et Ouzbekistan. Obiettivo: la cooperazione contro le incursioni del terrorismo islamico e la collaborazione economica. Una tale cooperazione sarebbe la ben accetta da queste Repubbliche, anch'esse danneggiate in modo disastroso dalla restaurazione del capitalismo e dalla distruzione dell'URSS. La produ zione industriale del Kazakhstan e del Tadjikistan si è abbassata del 60%. Secondo gli accurati esperti dell'Esercito USA, «un tale fallimento economico è paragonabile all'entrata in guerra del paese.» Commento di un analista Australiano: «Il nuovo Gruppo di Schanghaï potrebbe sicuramente emergere come una forza potente contro l'influenza degli Stati Uniti nelle regione.Secondo l'agenzia Russa Interfax, l'India e il Pakistan potrebbero essere interessati a collegarsi con questa organizzazione.» Tutto ciò risulta insopportabile per gli Stati Uniti, che non hanno mai concesso, in nessuna parte del mondo, che si instauri un "mercato comune" che non sia sotto il loro controllo. Un altro stratega più importante, Henry Kissinger, ha così esposto la strategia USA: «Esistono tendenze, sostenute dalla Cina e dal Giappone, a creare una zona di libero scambio in Asia.Una nuova crisi finanziaria di una certa importanza, in Asia o nelle democrazie industriali, renderebbe certamente più celeri gli sforzi dei paesi Asiatici per meglio controllare i loro destini economici e politici. Un blocco Asiatico ostile, combinando le nazioni le più popolose del mondo con grandi risorse e alcuni dei paesi industrializzati più importanti, sarebbe incompatibile con gli interessi nazionali Americani.Per queste ragioni, l'America deve mantenere una sua presenza in Asia, e il suo obiettivo geopolitico deve essere quello di impedire la trasformazione dell'Asia in un blocco ostile, cosa che avverrebbe molto probabilmente sotto la tutela di una delle sue grandi potenze.» In breve, dividere per regnare! Visto che nella bocca di Kissinger la parola "ostile" significa: "non sottomesso agli interessi delle multinazionali degli Stati Uniti". Perciò, non è assolutamente una scommessa rischiosa se gli Stati Uniti intervengono in Afghanistan. Essi hanno deciso di utilizzare questo Paese, situato nel centro del cuore dell'Asia, come base per le future azioni contro le vicine Russia, Iran o Cina. Washington è interessata all'ex base Sovietica di Bagram in Afghanistan, ma - cosa più facile - ha già convertito l'Ouzbekistan in base militare e vuole prendere il controllo degli aeroporti del Turkmenistan. Obiettivo: cacciare le truppe Russe dalla regione. Veramente molto utile questa guerra! Tanto più che gli Stati Uniti si aspettano delle difficoltà circa le loro attuali basi Asiatiche: Corea, Taïwan, Giappone L'insediamento di truppe USA in Ouzbekistan è stato presentato come una misura di urgenza decisa dopo gli attentati. In realtà, è già dal 1999 che Washington vi aveva inviato i suoi "berretti verdi", accogliendo anche numerosi ufficiali nelle scuole militari USA. Inoltre, nel 1999 questo Paese era stato incorporato in una alleanza militare antirussa, il GUAM : Géorgia, Ucraina, Azerbaïdjan, Ouzbekistan e la Moldavia. In effetti, gli Stati Uniti cercano, in ciascuna regione strategica, di instaurare uno Stato che possa diventare in qualche maniera la loro Israele, la loro portaerei. Dopo il Kosovo e la Grande Albania, l'Azerbaïdjan e l'Ouzbekistan sono gli eletti. Nel Caucaso, l'Azerbaïdjan e la Georgia si sono totalmente integrate nella strategia USA. Per contro, le Repubbliche petrolifere dell'Asia Centrale sono più recalcitranti, valutano i pro e i contro di un avvicinamento economico e politico con la Cina e la Russia. Come farle oscillare a favore degli Stati Uniti? Ricordiamo questa massima dell'ex ministro USA James Baker : «Noi non dobbiamo opporci all'integralismo, se non nella misura in cui contrasta i nostri interessi.» Presto, se queste Repubbliche petrolifere rifiutassero di sottomettersi, gli Stati Uniti le destabilizzeranno totalmente, utilizzando ancora più intensamente le milizie Islamiche di base in Afghanistan. Uno scenario già sperimentato in Kosovo : è proprio a partire e con l'aiuto della base militare USA di Camp Bondsteel che i terroristi dell'UCK hanno attaccato il sud della Serbia alla fine del 2000, e la Macedonia nella primavera del 2001. Oggi tutti i Paesi dell'Asia Centrale stanno più o meno ingaggiando una guerra contro queste milizie panislamiste. Delle quali la più importante è il "Movimento Islamico" dell'Ouzbekistan, addestrato a Mazer-i-Sharif, che ospita anche le milizie attive in Cecenia e nello Xing-Jiang cinese. Grazie alla guerra contro l'Iraq, gli Stati Uniti hanno potuto impiantare basi militari nel Golfo Persico. Grazie alla guerra contro la Yugoslavia, si sono installati in Bosnia, in Kosovo e in Macedonia. Questa volta, sperano di installarsi in Georgia, Azerbaïdjan, Turkménistan e Ouzbekistan, e stanno modernizzando la loro base turca d'Incirlik e quella in Arabia Saudita. Se perverranno a conquistare una posizione molto vantaggiosa, gli USA si avvicineranno militarmente molto di più all'Iran, al Pakistan e alla Cina, e accerchieranno ancora meglio la Russia. Eccellente punto di partenza anche per nuove avventure verso Sud: l'Oceano Indiano, l'Indocina Controllare il petrolio della Cina Perché Unocal e le altre compagnie USA associate nel consorzio Unocal sono così interessate a questa via Afghana del petrolio, in definitiva assai rischiosa? Il petrolio e il gas dell'Asia Centrale sono già adesso esportati verso l'Europa.E allora? Secondo Bob Todor, vice-Presidente di Unocal : «L¹Europa occidentale è un mercato difficile, caratterizzato da prezzi elevati per i prodotti del petrolio, per una popolazione che sta invecchiando ed una concorrenza crescente da parte del gas naturale. In più, la regione è sottoposta ad una competizione feroce.» Dunque, il mercato Asiatico risulta molto più interessante per Unocal in quanto, spiega ancora Todor, questo oleodotto arriverebbe all'Oceano Indiano e sarebbe ben più vicino ai mercati-chiave dell'Asia: «Le compagnie del petrolio USA potrebbero vendere in mercati a forte espansione. I profitti annunciati sono largamente più elevati di quelli del mercato Europeo. Ma la costruzione non può cominciare se non si insedia in Afghanistan un governo internazionalmente riconosciuto.» Unocal parla di profitti sui quali confida. Ma l'Amministrazione USA pensa anche al ricatto che potrebbe esercitare sull'economia Cinese. Per cominciare ad applicare le strategia definita da Brzezinski e Kissinger, il petrolio risulta l'arma sognata. Poiché lo sviluppo continuo dell'industria Cinese fa aumentare in modo deciso il suo fabbisogno in petrolio e in gas. Una volta ancora, chi controlla la produzione e il trasporto di queste materie prime controlla anche l'economia di tutti i paesi che ne sono dipendenti. Pechino ha intravisto il pericolo. Alla fine dell'agosto 2000, Xia Yishan, ricercatore all'Istituto di Ricerca per gli Affari Internazionali di Cina, scriveva: «In ragione di una crescita economica sostenuta, il nostro Paese ha dovuto importare grandi quantità di petrolio in questi ultimi anni... Nel momento in cui noi contiamo di investire all'estero per il nostro petrolio( ), il capitale monopolistico internazionale, con l'aiuto dei suoi governi, ha allungato la mano sui più grandi mercati di petrolio e di gas nel mondo. Il capitale monopolistico occidentale lotta aggressivamente per conquistare le risorse dei paesi dell'ex-URSS. Senza dubbio, tutti tenteranno con accanimento di impedire alle compagnie Cinesi di ottenere queste risorse energetiche. Noi dobbiamo formulare al più presto una nostra strategia opportuna:la soluzione fondamentale risulta la produzione interna.» E, dopo gli attentati, la reazione di Pechino è immediata. Fin dal 21 settembre, Zhu Xingshan, vice-Direttore dell'Istituto di Ricerca del Centro Economico dell'Energia ne trae le indicazioni: «Noi avevamo progettato di installare degli oleodotti per aumentare i nostri approvvigionamenti, a partire dall'Asia Centrale e dalla Russia, e avevamo già accordi con la Russia. Ma , in seguito agli attacchi dell'11 settembre, noi dobbiamo modificare questa strategia. Obiettivamente gli attacchi hanno fornito un pretesto agli Stati Uniti per penetratre nell'Asia Centrale.» E parimenti sostiene, per una rapida creazione di riserve strategiche, la necessità di ricerche più accelerate sulla liquefazione del carbone «lavoro trascurato da lunghi anni, visti i costi elevati e i danni all'ambiente. Ma, in seguito agli attacchi dell'11 settembre, noi siamo costretti a cambiare il nostro atteggiamento a considerare tali questioni.». Veramente sotto pressione per trovare Bin Laden? Perché il Capo di Stato Maggiore Britannico ha dichiarato, dopo due settimane di bombardamenti, che questo conflitto «potrebbe durare 50 anni»? In definitiva, sapevano già dall'inizio che questa guerra sarebbe stata lunga, ma hanno dovuto attendere un po di tempo prima di affermarlo. L'importante era scatenare la guerra, manipolando l'opinione pubblica e nel forzare la volontà dei loro "alleati". Inoltre, decisamente in fretta, il ministro USA Rumsfeld si è messo a dichiarare che poteva essere che Bin Laden non si sarebbe più trovato. Perché? Perché, se voi siete una superpotenza e se contate assolutamente di impiantare le vostre basi militari in un punto strategico dove queste non sono poi così tanto desiderate, allora voi dovete tenere nascosto il vostro piano. Creare quindi un problema e poi versare benzina sul fuoco! E vigilare a che questo problema non trovi risoluzione tanto presto. Un precedente: gli Usa avevano promesso un Kosovo multietnico e pacificato, ma in realtà hanno armato ed istigato l'UCK al fine di destabilizzare la regione per molto tempo. Grazie a questo hanno potuto installarvi la più grande base militare creata all'estero dopo la guerra in Vietnam. Washington non desidera una soluzione, vuole solamente un problema. Di lunga durata! Per una superpotenza che brama dominare e sfruttare il mondo, far precipitare i popoli nelle sofferenze non è un problema morale. Giusto una carta buona nel grande gioco strategico. Sta tutta qui la definizione della barbarie moderna! Obiettivo n° 3 : Preservare il domino USA sull'Arabia Saudita Se la guerra attuale di Bush è una guerra di attacco per conquistare il dominio dell'oro nero in Asia Centrale, nel contempo è una guerra di difesa per salvare il regime Saudita, alleato decisivo in Medio-Oriente. Infatti, Bin Laden è saudita come la maggioranza dei presunti autori degli attentati, come pure dei sostenitori finanziari della sua organizzazione Al Qaeda. E in testa alle grandi accuse di Bush a Bin Laden, figura proprio questa: «Loro (Bin Laden e soci) intendono rovesciare i governi esistenti in numerosi Paesi Arabi, come l'Egitto, l'Arabia Saudita e la Giordania.» Sarebbe forse una grande perdita per il popolo dell'Arabia Saudita, se questo regime corrotto e tirannico, l'ultimo regime feudale al mondo, scomparisse? Non sembra proprio, persino agli occhi del New York Times : «Fino ad ora, il flusso di petrolio e di denaro Saudita ha messo a tacere qualsiasi critica seria Americana rispetto alla totale corruzione della famiglia reale, al suo disprezzo della democrazia e alle sue ripugnanti violazioni dei diritti dell'uomo commessi in suo nome.». In effetti, sempre secondo lo stesso giornale, sembrerebbe che solo gli Stati Uniti subirebbero una perdita: «Da decenni, gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita hanno tratto profitto da questo mercato senza emozioni per il cuore della loro relazione: l'America riceveva il petrolio per mantenere in movimento la propria economia e l'Arabia Saudita la protezione della potenza militare Americana.» Esatto. Nel 2000, l'Arabia ha venduto più di sessanta miliardi di dollari$ di petrolio sui mercati mondiali. La metà di quello venduto dal Medio Oriente. E a tutto interesse di Washington, dato che invece di reinvestire questi petrodollari nella regione, di creare un'industria locale e uno sviluppo sociale, come aveva tentato di fare l'Iraq, la dinastia Saudita li dissipa in un lusso insensato, ma soprattutto a Wall Street e nei buoni del tesoro Americano. Quindi assorbendo una parte del considerevole déficit USA. Il Kuwait e gli Emirati Arabi fanno lo stesso. Inoltre, controllare gli sceicchi e gli emiri consente a Washington di mantenere il prezzo corrente del petrolio espresso in dollari e non in euro. Allora, va tutto bene? Salvo che perfino una parte di questi ricchi contestano, riconosce un altro grande editorialista USA, William Pfaff : «L'Arabia Saudita viene attaccata anche dai figli dell'élite Saudita, come Mr.Bin Laden( ) nemici dichiarati sia dell'America, sia dei loro dirigenti che loro definiscono corrotti.» Il denaro per i terroristi viene dalle loro tasche, conferma il New York Times: «Questi costituiscono l'élite della società Saudita; sono uomini prosperi e rispettati con investimenti che coprono il mondo intero e una reputazione di generosità. Ma il governo USA afferma attualmente che uno dei più importanti personaggi, Yasi al-Qadi, e molti altri influenti cittadini Sauditi hanno trasferito milioni di dollari in favore di Osama bin Laden.» Quali interessi economici possono spiegare questo conflitto? Sicuramente Bin Laden appartiene ad una ricca famiglia di affaristi. Si tratta di una borghesia nazionale o solamente di un'altra frazione dell'aristocrazia feudale? In ogni caso, sembra che al presente sia entrata in collisione con la dinastia reale e con gli Stati Uniti. E questo perché i 5.000 membri dell'élite dinastica non hanno creato un sistema industriale e bloccano lo sviluppo economico del paese, essendo appagati di piazzare mille miliardi di dollari nelle banche straniere. D'altra parte non è il solo posto del terzo mondo dove le classi dominanti, un tempo privilegiate dagli USA, finiscono per contrastarsi rispetto alla spoliazione messa da loro in atto senza limiti. Questo si è già visto con le "tigri" del Sud-Est Asiatico, nella Corea del Sud, in Malesia Ma l'Arabia Saudita non è proprio un paese dove tutti sono ricchi, e senza conflitti di classe? In verità, il forte ribasso dei prezzi del petrolio in questi ultimi anni ha trascinato quello delle rendite dei normali cittadini. Dai 16.000$ all'inizio degli anni 80, la rendita annuale pro capite è precipitata ai 7.000$ attuali, con una crescente polarizzazione fra ricchi e poveri, messa in risalto anche dal Financial Times : «I quartieri ricchi di Riyad, con le loro lussuose boutiques in stile USA, contrastano fortemente con la povertà del sud della città o con un certo numero di donne che mendicano nelle strade.». Il 35% degli uomini è disoccupato. E il 95% delle donne. Non ci sono industrie per assorbire questa armata in espansione di disoccupati. In questa lotta per il potere, i diversi clans Sauditi utilizzano la religione come strumento. Ma anche il risentimento provocato nella gioventù dall'oppressione della Palestina e la presenza delle truppe USA, considerate come occupanti, ufficialmente 5.000 unità, ma secondo altre fonti cinque volte di più. Già obiettivi di numerosi attentati, fra i quali quello del 1996 vicino a Dahran (19 soldati USA uccisi). La maggioranza della popolazione Saudita si augura vedere diminuita l'influenza USA sul paese. Bin Laden fornisce un'espressione a questa corrente di opinione, rinforzata maggiormente dopo l'11 settembre. Ritorniamo alla questione chiave: dove bisogna piazzare i petrodollari? I paesi Arabi devono restare come semplici appoggi degli USA o ricercare il loro proprio sviluppo? È esattamente la medesima contraddizione che aveva sollevato Saddam Hussein nel febbraio 1990. Parlando davanti ai Capi di Stato del Consiglio di Cooperazione Araba (Iraq, Arabia Saudita, Egitto e Giordania), egli aveva chiesto il ritiro delle truppe USA dalla regione: «Se i popoli del Golfo, compresi tutti gli Arabi,non staranno attenti, la regione del Golfo Arabo sarà sotto il governo degli Stati Uniti.» E proponeva accordi commerciali di cooperazione economica. Il crimine massimo! Proporre che i popoli di una regione - e di quale regione! - si organizzino in funzione dei loro interessi più opportuni e non di quelli delle multinazionali USA! Evidentemente è questo che ha provocato la terribile punizione inflitta all'Iraq. Washington ha così voluto presentare un esempio di distruzione totale per intimidire per sempre qualsiasi borghesia Araba tentata di seguire una via indipendente. Ma Washington corre veramente il rischio di perdere la sua posizione dominante in Arabia Saudita? Sì, risponde un esperto de l'"Advanced Strategic and Political Studies" di Washington : «Nel 1995 l'Arabia Saudita ha rischiato di precipitare nella guerra civile, in ragione di una lotta intestina per il potere,alla quale in Occidente non fu assolutamente dato risalto ( ), fra il principe di casa reale Abdullah e il suo rivale e cognato, il principe Sultan. Abdullah aveva invitato la suprema autorità religiosa, l'Ulema, di sostenere le sue aspirazioni al trono.Ma l'Ulema aveva rifiutato. Abdullah consolidava allora la sua posizione comandando alla Guardia Nazionale Beduina di effettuare delle manovre militari molto spettacolari.» Il conflitto non è terminato: «Più tempo Bin Laden riuscirà a sfuggire alle bombe Americane, più egli stimolerà lo spirito di resistenza nei suoi partigiani Sauditi. In questa situazione, il principe ereditario Abdullah ( ) potrebbe sicuramente ricercare l'abdicazione del re Fahd. Lui e la famiglia reale allora dovranno affrontare una scelta difficile:o affrontare Bin Laden, o concludere un grande patto di compromesso.Abdullah potrebbe decidere di condurre le truppe beduine della Guarda Nazionale Saudita in una grande battaglia contro i seguaci di Bin Laden. Una grande battaglia fra Wahabiti senza precedenti, in pratica una guerra civile. Oppure potrebbe invitare l'America a ritirare le sue forze dal Paese.Il patto di compromesso ridurrebbe fortemente l'influenza dei membri della famiglia reale considerati come gli alleati dell'Occidente.» Il dilemma sussiste anche per Washington. Certamente non è per un caso che Bush ha ordinato di bloccare alcune inchieste dell'FBI che conducevano verso certi appoggi Sauditi per Bin Laden. Infatti, è nel complesso del Medio-Oriente che Washington si trova di fronte ad una potente contraddizione: non vuole e non può rinunciare ne' a Israele ne' all'Arabia Saudita. Israele è la sua principale pedina militare, in definitiva è semplicemente un'estensione dell'esercito USA. Ma Israele non può sostenersi se non opprimendo i Palestinesi e minacciando i suoi vicini. D'altra parte, l'Arabia Saudita è la sua più importante pedina economica per conservare le entrate del petrolio nelle sue proprie casse. Ora i governanti Sauditi, come gli altri dirigenti Arabi, si devono confrontare con la pressione della lotta del popolo Palestinese. La sola credibile lotta di massa, la sola che esclude qualsiasi compromesso e pasticcio marcio di cui sono ghiotte le classi privilegiate, siano arabe o le altre. L'Intifada è l'incubo di Washington. E la speranza per tutti i popoli! Obiettivo n° 4 : Militarizzare l'economia come "soluzione" alla crisi A dispetto di certe circostanze favorevoli, le crisi congiunturali del capitalismo occidentale si succedono a intervalli sempre più ravvicinati. Inoltre, molte regioni cosiddette "promettenti" sono crollate una dopo l'altra: le "tigri" asiatiche, la Russia, l'America Latina Ogni volta, gli analisti finanziari hanno avuto paura che Wall Street e tutto il sistema mondiale fossero entrati in una recessione catastrofica. Molti non escludendo una riedizione del crach del 1929 e considerando con timore il rallentamento dell'economia, iniziato alla fine del 2000 Ad ogni modo, anche se per questa volta è riuscito a sfuggire al crach, il capitalismo occidentale non fa che ritardare il suo problema. In quanto riesce sempre a travasare il peso della crisi sul terzo mondo e sui poveri. Ma questa "soluzione" ha creato un problema ancora più grande: come potranno le multinazionali vendere a coloro che hanno impoverito? Questo si chiama "segare il ramo sul quale si è seduti". Il fossato ricchi-poveri non è solo un'immorale ingiustizia; è anche per il capitalismo un problema economico insolubile. Da un lato esistono delle capacità di produzione senza precedenti e crescenti di continuo; d'altro lato, un divario sempre più grande fra quelli che producono e quelli che dovrebbero consumare. Nove persone su dieci oggi si trovano nel bisogno, e i programmi della Banca Mondiale o del FMI non cessano di aggravare la loro situazione di miseria. Non è questa la maniera di procurarsi dei clienti che faranno cambiare l'economia globale! Anche prima degli attentati, l'economia USA (il modello al quale si fa riferimento) arrivava a perdere un milione di posti di lavoro in un anno. E le compagnie tecnologiche (l'avvenire della Borsa, ci avevano detto!) erano in caduta libera. Come rilanciarle? Per i governanti USA, non ci sono trentasei metodi. Gonfiare il bilancio dei comandi militari è il metodo che è stato impiegato ogni volta che l'economia USA è stata minacciata di recessione e che aveva necessità di "uscire dalla crisi". All'epoca della guerra del Vietnam, quindici economisti USA qualificati scrivevano: «È impossibile immaginare per l'economia un sostituto alla guerra. Non esistono tecniche comparabili in termini di efficacia per mantenere un controllo sull'occupazione, la produzione e i consumi. La guerra era, e resta, da sempre un elemento essenziale per la stabilità delle società moderne. (Il settore militare) costituisce il solo settore d'importanza dell'economia globale assoggettato ad un controllo completo e ad un potere discrezionale delle autorità di governo.La guerra, e solo la guerra, è in grado di risolvere il problema delle giacenze nei magazzini.» Dunque è la pace il nemico! Alla fine del suo mandato, Clinton aveva raccomandato di aumentare del 70% in sei anni il budget militare USA, benchè questo superasse già da solo quello di tutte le altre grandi potenze militari riunite. Nella via già tracciata Bush ha continuato con il progetto di Difesa Nazionale Missilistica (NMD), con il super-bombardiere JSF e con altri programmi militari. Questa militarizzazione dell'economia persegue due obiettivi. Primariamente, poiché vi è una caduta dei consumi privati come motore dell'economia, supplire ai consumi con enormi programmi di commesse pubbliche di armamenti. Bisogna sapere che il "complesso militar-industriale", come si dice, non si limita assolutamente ai soli mercati di cannoni in senso tradizionale, ma congloba ugualmente le multinazionali "classiche": Ford, General Motors, Motorola, le società tecnologiche Secondariamente, utilizzare ancora di più la forza militare per accaparrarsi le ricchezze del pianeta. A tutto svantaggio certamente dei popoli del terzo mondo, ma anche a detrimento di quelli che Washington chiama suoi amici e che sono in realtà i suoi rivali nella spartizione del mondo. Lo "scudo spaziale anti-missili" (NMD) è di questo l'esempio perfetto.Innanzitutto non si tratta di uno "scudo", ma bensì un'arma offensiva. Questa permetterà agli Stati Uniti di aggredire tutti i paesi, a loro piacere, senza timori di risposta agli attacchi. Inoltre, garantisce una manna di opulenti benefici per il complesso militar-industriale. Infine, il NMD permette agli Stati Uniti, rilanciando la corsa agli armamenti, di scavare un fossato ancora più grande e di indebolire i loro potenziali rivali militari: Europa, Russia, Cina. Già l'Unione Europea ha deciso di mettersi al passo con la creazione di un'industria militare unificata e aumentando i budgets in funzione dell'Euro-Esercito. Obiettivo n° 5 : Spezzare la resistenza del terzo mondo e la lotta anti-mondializzazione Ovunque cresce la resistenza alla mondializzazione imperialista. Fra i popoli del terzo mondo, ma anche nei paesi ricchi. Anzitutto nel terzo mondo. In paesi molto diversi, ma che hanno in comune il rifiuto a mettersi in ginocchio Cuba difende il suo socialismo. L'Iraq resiste sempre, malgrado dieci anni di embargo e di bombardamenti. Il nuovo Congo tenta di preservare la sua indipendenza. I Coreani, da entrambe le parti, aspirano alla riunificazione e alla pace. E movimenti rivoluzionari avanzano nuovamente, ispirati da un progetto di società alternativa: Colombia, Nepal, India, Filippine, Messico Il Nord del'America Latina inquieta particolarmente Washington, che teme di vedere la formazione di un triangolo progressista: Colombia, Venezuela, Equador. Questo triangolo porterebbe Cuba fuori dal suo isolamento e sconvolgerebbe il rapporto di forze in tutto il continente, offrendo un appoggio e nuove prospettive alle lotte popolari del Brasile e dell'Argentina. In questo mondo di guerre e di rivolte, l'Intifada ha costituito un fattore molto importante. Se la Nato è riuscita ad infliggere una disfatta ai Serbi, i Palestinesi hanno mostrato, loro, che un popolo finisce sempre per risollevarsi. Che le oppressioni, anche le più forti, o i tradimenti, i più perniciosi, non possono venire a capo dello spirito di resistenza. La seconda Intifada ha decisamente rinforzato la collera delle masse arabe e mussulmane. Inoltre, nei paesi industrializzati, la resistenza arriva a conoscere uno sviluppo molto importante. Con Seattle e Genova una nuova generazione si è lanciata nella lotta. Giovane, combattiva, creativa. Nel momento in cui la sinistra tradizionale e il movimento operaio si sono lasciati addormentare dalle promesse di un mondo migliore, a condizione di non combattere il sistema, ecco il risveglio! Un movimento di massa: di giovani soprattutto, radicati in numerosi paesi e che iniziano a coordinarsi, che non tollerano più l'ingiustizia, il saccheggio del terzo mondo, la distruzione del pianeta, che proclamano «che un altro mondo è possibile», e si battono per prepararlo subito, inventando gli opportuni metodi di lotta. La generazione Internet! Un' arma nuova e formidabile che permette a milioni di giovani di informarsi e di informare al di fuori dei mezzi di informazione di massa dominanti. «Don't hate the media. Be the media.» (Non detestare i media. Diventa i media), propone la nuova agenzia IndyMedia, che è stata alla testa di questa informazione alternativa a Genova e, a causa del suo successo, il bersaglio dei manganelli di Berlusconi. Dopo IndyMedia del Belgio, sono nate altre sezioni o si preparano a nascere in altri paesi Europei. Grazie a Internet, i cyber-attivisti sono riusciti a creare spettacolari mobilitazioni internazionali, mettendo in difficoltà la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio(WTO) e il FMI, abituati a regolare le sorti dei popoli, escludendo la partecipazione di questi. La porta sbarrata è stata abbattuta. La discussione sulle sorti del pianeta è divenuta globale. E quando si leggono i documenti della Banca Mondiale o dei servizi di polizia USA, si ha la misura di quanto sia temuto questo nuovo movimento e la sua efficacia con Internet. Per certo, questo movimento è molto variegato, e questo d'altra parte ne costituisce la ricchezza e l'estensione. Per certo, i governanti Occidentali tentano già di recuperarlo, proponendogli, dopo i manganelli, il "dialogo". Provando di persuadere i movimenti che non occorre denunciare il sistema attuale, ma è sufficiente solamente aggiustarlo con qualche tocco di umanità e di partecipazione. E, per certo, questo movimento avrà da risolvere molteplici questioni delicate Come riuscire a collegarsi con il movimento operaio, con le odierne lotte dei lavoratori, vittime un po' dappertutto in Europa della medesima logica? Come riuscire a superare gli ostacoli ancora frapposti dai dirigenti sindacali che generalmente sono chiusi a riccio nei confronti di questi giovani e completamente affidati seriamente alla causa dell'Europa delle multinazionali? Come allargarsi da movimento anti-mondializzazione in un movimento anti-guerra, come sono già riusciti i giovani Greci e i giovani Italiani (150.000 manifestanti in Italia contro la guerra nell'ottobre 2001), ma che in Francia e negli altri paesi Europei necessita di tempi più lunghi? Infine, come definire più chiaramente questo "altro mondo" al quale essi aspirano, traendo insegnamenti dalle società socialiste, ma in modo obiettivo e senza lasciarsi impressionare dai bilanci distorti che ne vengono tracciati, non senza secondi fini? L'avvenire del movimento dipenderà dalle risposte a questi interrogativi. E su tutti, immediatamente: partecipare al sistema, o contestarlo radicalmente? Il canto delle sirene non manca proprio! Di fronte alla contestazione e alla sua popolarità, i dirigenti del capitalismo Occidentale non cessano di ripetere che essi hanno capito il messaggio e vanno a tenerlo in conto. Ma nella realtà, quello che si presenta è l'inverso. Quando le privatizzazioni, che hanno toccato gli azimuts, e la distruzione delle protezioni statuali sono risultate catastrofiche per i paesi del terzo mondo, in ogni trattativa, i paesi ricchi hanno provato ad imporre i medesimi "rimedi" del passato. 100 dei 142 paesi membri dell'Organizzazione Mondiale del Commercio hanno affermato che gli accordi già realizzati ( commercio, proprietà intellettuale, servizi, ecc.) sono squilibrati e favorevoli ai paesi ricchi. Malgrado questo, dirigenti e mezzi di informazione Occidentali non cessano di ripetere che è necessario proseguire nella medesima direzione e generalizzare questa situazione anche ad altre materie. Che la salvezza arriverà dall'apertura totale al mercato. In realtà questa medicina è un veleno, così spiega Raoul Jennar, analista dell'ONG Oxfam : «Permettere agli investitori e in particolare alle società transnazionali di comportarsi dappertutto a loro piacimento, mettere le imprese nazionali in concorrenza con le compagnie transnazionali, imporre ai paesi del Sud del mondo delle limitazioni in materia ambientale quando i grandi inquinatori sono al Nord, queste sono alcune delle intenzioni dell'Unione Europea. Il colonialismo storico ha trovato nuovi strumenti per perpetuarsi.» La necessità di costruire un fronte internazionale Già da questo momento la nascita di un tale movimento antimondializzazione è un avvenimento di una importanza storica che probabilmente supera quella del Maggio 68. Oggi diventa possibile creare un fronte internazionale contro l'ingiustizia e contro la guerra. Collegando il Nord e il Sud, le lotte del terzo mondo con quelle dei progressisti dei paesi ricchi. Contro la guerra del Vietnam, un fronte simile aveva permesso di fare arretrare il più potente esercito del mondo e di arrestare i suoi crimini. Oggi questo diventa ancora più necessario. Poiché tre compiti urgenti si impongono alla sinistra mondiale e bisogna assolutamente affrontarli unendo tutte le forze:
Esaminiamo in breve queste tre minacce Una guerra "senza limiti" 1. La guerra scatenata nell'ottobre 2001 sarà molto lunga. Non si fermerà con un cambiamento di potere a Kaboul, ne' lo stesso, se si arriverà ad una occupazione duratura trasformando l'Afghanistan in un protettorato USA o internazionale. Poco dopo l'11 settembre, il vice-ministro USA della Difesa Wolfowitz aveva invocato che si attaccasse non solamente l'Afghanistan, ma anche le «basi terroristiche in Iraq e nella valle della Bekaa in Libano». Parlando parimenti di «porre fine (sic) agli Stati che sostengono il terrorismo».La lista di questi Stati a "termine" comprende l'Afghanistan, ma anche l'Iraq, il Sudan, ed anche la Siria o la Corea del Nord. In maniera più tattica, il ministro degli Affari esteri Colin Powell ha fatto comprendere che gli Stati Uniti non conseguiranno mai risultati, ogni volta attaccando da tutti i lati. Quindi era necessario costruire un "fronte contro il terrorismo" il più largo possibile, cercando di inglobarvi i paesi Arabi, la Russia, addirittura la Cina. Powell pensava che questo fronte si sarebbe reso impossibile da un attacco immediato contro l'Iraq ( che la maggioranza degli Arabi sostengono). Gli Europei si sono allineati sulle posizioni di Powell. Dunque, i paesi-bersaglio verranno aggrediti uno alla volta. Quanto tempo durerà tutto ciò? Il vice-presidente USA Cheney parla di una guerra «che durerà molto di più delle nostre vite». Il capo di stato maggiore aggiunto afferma che gli Stati Uniti non hanno pianificato mai operazioni militari di una tale ampiezza dopo la Seconda Guerra mondiale. In puro stile marketing, i dirigenti degli Stati Uniti subito avevano battezzato la loro guerra col bel nome di "Giustizia senza confini". Hanno dovuto in tutta fretta ritirare la prima parola. Ma le due restanti sono perfettamente adeguate: in effetti noi siamo entrati in una guerra senza confini. La guerra globale! Ed infatti si tratta di una guerra per imporre la mondializzazione. Nel 2000, il presidente della società francese di sistemi d'arma Aerospatiale aveva dichiarato, sicuramente alla ricerca di commesse: «Bisognerebbe essere ciechi per non vedere i prodromi di una guerra fredda intesa su scala planetaria. È chiaro che la globalizzazione non è relativa solo alla sfera dell'economia.» Guerra fredda? Un eufemismo! Le vittime - che sono in verità del Sud del mondo - non la trovano tanto fredda. E non lo sarà sempre di più. Quando ha scatenato i bombardamenti sull'Iraq nel 1991, Bush padre aveva solennemente promesso che quella "ultima guerra" avrebbe permesso di inaugurare un Nuovo Ordine mondiale di giustizia e di pace. In seguito non si hanno mai avute così tante guerre: Bosnia, Somalia, Yugoslavia, Macedonia, Caucaso, Congo, Colombia, Afghanistan e via così E Bush II fa di tutto per accelerare questo ritmo infernale. 2. Il secondo compito del fronte internazionale per la pace, è di impedire la criminalizzazione dei movimenti di liberazione del terzo mondo. L'Unione Europea ha accettato le pretese di Bush : tutti i paesi alleati agli USA dovranno compilare la lista delle organizzazioni "terroristiche" presenti sul loro territorio, impedire qualsiasi sostegno a queste organizzazioni, rinforzare l'apparato poliziesco e giudiziario per misure più repressive, come la detenzione preventiva senza limiti di tempo. Oggi, queste misure riguardano soprattutto le organizzazioni integraliste. Ma, secondo i dettami delle priorità americane, possiamo sicuramente affermare che prossimamente saranno sulla lista il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, le FARC Colombiane, o il Nuovo Esercito Popolare delle Filippine. Il 13 novembre 2001, il governo Britannico ha presentato un progetto definito "antiterroristico", che contraddice in modo esplicito l'articolo 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Qualsiasi persona non solamente accusata, ma semplicemente sospettata di attività terroristiche potrà essere detenuta per una durata illimitata senza processo, ne' imputazioni. Lo stesso giorno, Bush firmava un ordine militare che permetteva «il giudizio dei presunti terroristi, di nazionalità straniera, emanato da una corte militare speciale e non da tribunali civili.». Le prove accusatorie potranno rimanere segrete, gli accusati non potranno presentare alcun ricorso e, come ha scitto il New York Times, «i diritti della difesa saranno drasticamente limitati.» Da un lato, gli Stati Uniti si oppongono accanitamente alla creazione di qualsiasi tribunale internazionale che potrebbe giudicare i loro crimini di guerra. D'altro canto gli USA stessi si preparano a giudicare, nell'arbitrio, quelli che osano tentare di liberare i loro popoli. E costoro saranno chiaramente battezzati "terroristi", dopo una campagna di demonizzazione mediatica. 3. Ma gli attentati hanno anche fornito un pretesto ideale per criminalizzare il movimento antimondializzazione. E nel contempo qualsiasi opposizione politica o popolare nei paesi Occidentali. A Genova, questo non è avvenuto di certo a buon mercato. I manganelli di Berlusconi non sono riusciti, secondo molti sondaggi Europei, che a rendere il movimento antiglobalizzazione ben più simpatico dei G-8 e degli organi dirigenti del capitalismo internazionale. Al presente, le circostanze sono ben più favorevoli. E tutto di un colpo, l'Europa vede terroristi dappertutto. Il 21 settembre 2001, il Consiglio Europeo ha deciso che tutti gli Stati mettano immediatamente e sistematicamente le loro informazioni sul terrorismo a disposizione dell'Europol. Questa, d'ora in poi, potrà condurre inchieste su tutto il territorio dell'Unione e persino obbligare a questo alcuni Stati. Avendo ricevuto il termine "terrorismo" un significato molto largo, andremo presto a conoscere nell'Unione Europea una centralizzazione dell'informazione sull'opposizione politica senza precedenti. E queste informazioni, senza alcun controllo, dovranno essere trasmesse agli Stati Uniti. Il 30 settembre, la Commissione Europea ha adottato una proposizione di "lotta contro il terrorismo". La sua definizione dimostra che si va ben al di là della contingenza degli attentati perpretati contro gli USA: «Le azioni terroristiche minano le leggi e i regolamenti e i principi fondamentali sui quali poggiano le tradizioni costituzionali e la democrazia degli Stati membri dell'Unione. Esse vengono commesse contro uno o più Stati, contro le loro istituzioni o la loro popolazione, con l'intento di intimidirli o distruggere le strutture politiche, economiche e sociali di questi paesi.» In questo documento si parla esclusivamente di assassinii, di rapimenti, di impiego di armi? No! Se commessi per raggiungere uno degli obiettivi indicati in precedenza, divengono anche atti di terrorismo: «la presa di possesso o la distruzione di proprietà dello Stato, di mezzi di trasporto pubblico, di luoghi pubblici o il blocco di bisogni di base come l'energia elettrica, o la messa in pericolo di persone, di beni, di animali o dell'ambiente.». L'Unione Europea ammette, anch'essa, che la violenza di strada con carattere politico rientra nell'ambito della sua definizione. Dunque, José Bové potrà essere etichettato come "terrorista". Come qualunque militante sindacale o antiglobalizzazione in Europa, se ricorrerà ad una delle tradizionali forme di azione di strada. Infatti, questa definizione di crimine politico allude ad un largo ventaglio di forme di opposizioni al capitalismo. Nello stesso modo viene ostacolata la mobilitazione via Internet: gli «attacchi per mezzo di sistemi informatici» costituiscono anche un delitto terroristico, se rientrano nel concetto politico di terrorismo analizzato prima. Le multinazionali Europee sono anch'esse una forza di pace? Prima di concludere, bisogna ancora esaminare una questione di sovente proposta nei dibattiti: l'Europa risulta essere più saggia e meno guerriera del cow boy USA ? Non sarebbe il caso di sostenere un Euro-Esercito, ma solo per fargli compiere "missioni di pace"? Ha forse ragione Le Figaro di scrivere che «i Quindici divergono sensibilmente dagli Americani rispetto al loro rapporto con il resto del mondo. ( ) Washington tende a gestire il pianeta con metodi tecnico-militari, gli Europei cercano di sviluppare un approccio globale della sicurezza, dove il militare non è che un mezzo fra gli altri di gestire politicamente i conflitti.» ? In realtà queste due linee tattiche esistono anche negli Stati Uniti, l'abbiamo già visto. Ma i loro obiettivi sono gli stessi, ed è per questo che i dirigenti Europei non hanno per niente smascherato i reali obiettivi fondamentali di Bush contro il terzo mondo. Chris Patten, Commissario Europeo agli Affari Esteri, mostrandosi completamente d'accordo con la strategia Powell, ha richiesto una «leadership assoluta per costringere la comunità internazionale ad investirsi in modo molto forte in questo combattimento...Bisognerà "convincere" i paesi reticenti.» . In buona sostanza, l'Unione Europea si è allineata dietro alla leadership USA! Dal 12 settembre, ha accettato peraltro di fare riferimento all'articolo 5 del Trattato della NATO che obbliga a sostenere militarmente gli Stati Uniti. Nondimeno, è tutto rosa in questo "ménage" ? Al momento di lanciare i bombardamenti contro l'Afghanistan, George Bush ha associato i fedelissimi "amici britannici", ha avvertito Chirac e Schröder, ma non il presidente in carica dell'Unione Europea, il Belga Verhofstadt. Peraltro, costui non ha esitato ad «accordare la sua completa solidarietà agli Stati Uniti e a tutti gli altri paesi impegnati.». Ma è stato chiaramente dimostrato che, ne' i piccoli paesi della NATO, ne' l'Unione Europea sono soci affidabili agli occhi di Washington, che tenta di creare fra loro divisioni. Dopo l'inizio della crisi, l'Unione Europea ha dato l'impressione di condurre una politica più "ragionevole" di quella dei falchi Americani. Da evidenziare la figura del ministro Belga degli Affari Esteri Louis Michel, che affermava poco tempo dopo gli attentati : «Noi non siamo in guerra!» Dunque, gli USA e l'U.E. sono a volte uniti e a volte divisi? Sì. I governi USA ed Europei restano uniti nella loro volontà di fare portare il peso della crisi ai popoli del terzo mondo: basso prezzo per le materie prime, distruzione dei prodotti locali e dei servizi per la popolazione in modo da favorire la penetrazione delle multinazionali, ricatto di un ingiusto debito gli USA e l'UE sono ugualmente uniti nel combattere le forze progressiste che contestano questa "libertà" delle multinazionali. Ma dietro questa facciata unitaria, la crisi degli sbocchi economici li obbliga a condurre una battaglia subdola per razziare i mercati migliori nell'interesse delle propie multinazionali. Ed è là che l'Europa intende giocare la carta della sua "moderazione" apparente Da qualche anno, la collera e la rivolta si focalizzano sui governanti Americani. L'occupazione israeliana ha costato la vita a decine di migliaia di Palestinesi. Tutti, nel mondo Arabo, sanno che senza i miliardi di dollari versati ogni anno a Israele, senza il siluramento da parte di Washington delle risoluzioni votate all'ONU in favore dei Palestinesi, il problema della Palestina sarebbe risolto da lungo tempo. L'Unione Europea vede in questa situazione una opportunità di presentarsi come una alternativa all'imperialismo americano. Pronuncia qualche parola in favore dell'applicazione degli accordi di Oslo, si presenta come difensore dei Palestinesi quando le multinazionali Europee si fanno premura per rastrellare le commesse al momento della ricostruzione dell'Iraq. Nel fornire un profilo all'Europa come forza che frena il falcone Americano, si spera di guadagnare la fiducia dei governi che si stanno allontanando da Washington. In fondo non si tratta altro che di marketing politico a vantaggio di Mercedes, Siemens ed altri come la TotalFina In attesa dell'Esercito Europeo Sul lungo tempo, questa nuova guerra annuncia dunque un aggravamento della rivalità tra gli USA e l'Europa. Da un certo punto di vista, gli strateghi Americani vi scorgono l'occasione di riprendere la direzione del mondo capitalistico. Secondo Zoellick, ministro del Commercio degli USA, «la pronta risposta deve fare avanzare il ruolo direttivo degli Stati Uniti sui fronti politico, militare ed economico». D'altra parte numerosi dirigenti Europei vi vedono l'opportunità di modificare a loro vantaggio il rapporto di forza. In breve, nel ménage, si vedranno aumentare i colpi mutuamente scambiati ed inferti. Il problema dell'Unione Europea è quello di non disporre ancora di mezzi militari per le sue ambizioni. Gli Stati Uniti fanno di tutto per impedirlo, e questo da lungo tempo. Nel 1992, Wolfowitz, che allora era solo un consigliere del Pentagono, aveva raccomandato a «fare di tutto per impedire l'emergenza di un sistema di sicurezza esclusivamente Europea.» . Essendosi lanciata l'Europa su questa direzione, allora il suo collega Scowcroft aveva scritto al cancelliere Tedesco Kohl per criticare la sua «ingratitudine, malgrado il sostegno USA alla riunificazione.». E il presidente Bush in persona aveva indirizzato una minaccia in termini sottili ma chiari: «Il nostro punto di partenza consiste nel fatto che il ruolo Americano nella difesa e negli affari dell'Europa non sia reso superfluo dall'Unione Europea. Se questo punto di partenza è sbagliato, se, miei cari amici, il vostro obiettivo ultimo è di assicurarvi da voi stessi la vostra difesa, allora oggi è arrivato il momento di dichiararlo.» Dopo dieci anni attraversati da tutte le guerre cosiddette "umanitarie", Washington continua a sabotare l'emergenza di una forza militare Europea autonoma, indipendente dalla NATO. Ma dopo ognuna di queste guerre, gli Europei hanno preso delle misure. Era previsto che nel 2003 l'Euro-Esercito avrebbe disposto di sessantamila uomini. Ma, dopo l'11 settembre, i ministri dell'UE hanno deciso si accelerare questa messa in campo, appellandosi ad uno sforzo finanziario in materia di bilanci militari. Pagherà il sociale! La missione di Javier Solana consiste nell'unificare gli eserciti Europei, così come l'industria degli armamenti (sotto la direzione della Tedesca Dasa e della Francese Matra), e nel rafforzare questa industria imponendo grosse commesse di materiale unificato. La Germania intende mettersi alla guida di questo Esercito Europeo. E, ad ogni conflitto, fa avanzare le sue pedine un po più avanti, per farsi accettare come potenza militare. Il cancelliere Schröder ha dichiarato: «Il tempo in cui la Germania poteva contribuire solo finanziariamente alle campagne militari internazionali è definitivamente tramontato. La costituzione della Germania le fa obbligo ad assumere anche rischi militari, oltre che ad essere una grande potenza economica. Una nazione non conta realmente sul piano internazionale, se non è preparata a sostenere un conflitto.» . Dunque l'UE non è una forza di pace, come essa ama presentarsi, ma vuole solamente diventare «Califfo al posto del Califfo.». Vale a dire superpotenza dominante. Lottare per la pace significa, dunque, opporsi alla partecipazione Europea alla guerra in Asia Centrale e in qualsiasi altro posto. E lottare contro l'aumento delle spese militari Europee, contro l'Esercito d'Europa, contro lo sciovinismo Europeo! Quale sarà l'avvenire ? Per il movimento della pace è più che mai giunta l'ora della mobilitazione. Anzitutto, perché la guerra in Afghanistan non è proprio terminata. È di certo più facile ad una potenza straniera entrare in questo paese che uscirne. E rimettere al potere delle bande armate, che erano state aiutate a rovesciare il precedente potere, tanto criminali quanto i Talebani, è tutto meno che una soluzione. Qualsiasi gruppo, che verrà posto al potere, apparirà come un traditore al soldo degli stranieri. Anche se, in modo differente, si spartiranno le tante vallate, i diversi bottini del saccheggio e i diversi traffici, questi "signori della guerra" non sapranno costituire una soluzione per l'avvenire. Ne' apportare benessere e pace al popolo Afghano. Principalmente, perché esistono solo per essere gli agenti, i collegamenti degli interessi delle potenze straniere, Stati Uniti in testa. Questi hanno aiutato i Talebani e le altre milizie integraliste a massacrare qualsiasi opposizione progressista, fra cui i guerriglieri maoisti, che si erano battuti contro l'URSS. In effetti, non lo si dirà mai abbastanza, gli Stati Uniti non sono la soluzione, ma costituiscono il problema! Sono loro che hanno gettato il popolo afghano nella disgrazia da più di vent'anni, e i loro interessi non sono mutati. Sono cambiate solamente le loro tattiche. La seconda ragione per una mobilitazione ancora più intensa sta nel fatto che l'attacco contro l'Afghanistan non è che la prima di una serie di guerre interessate contro numerosi paesi. Si è cominciato con i meno popolari, i Talebani, ma non ci si fermerà prorio là. Però il movimento contro la guerra ha anche dei motivi per sperare. In ogni dibattito al quale si partecipa, ci colpisce una constatazione: di volta in volta la gente prende sempre più consapevolezza che non si tratta di guerre umanitarie, ma solamente di guerre per interesse. Certamente lo si scorge più chiaramente a proposito degli Stati Uniti che dell'Europa, ma è un buon inizio. La volontà di fare qualche cosa è anche ben più grande rispetto al fatalismo che ha dominato per tanti anni. Ma ancora non si vede bene come entrare in azione. Da questo deriva la grande responsabilità del movimento per la pace! Organizzarsi su scala Europea e mondiale. Non perdere il proprio tempo a cercare di convincere ed illuminare quelli che hanno il potere di decidere, che tanto sanno molto bene quello che fanno, ma piuttosto indirizzarsi verso la base, alla massa delle persone. E toccarli con un linguaggio semplice e concreto, collegando la guerra alle loro preoccupazioni quotidiane. Trovare le forme di azione concrete che permetteranno di allargare la mobilitazione. Congiungere l'entusiasmo dei giovani alla trasmissione dell'esperienza delle precedenti generazioni. Utilizzare ancora meglio le possibilità di Internet e delle contro-informazione. Difendere il diritto dei popoli a disporre di se stessi, la loro sovranità di fronte alle ingerenze neocoloniali, anche se queste sono paludate, come sempre, da pretesti umanitari. Aiutare in pratica a sviluppare la cooperazione fra i popoli, per sfuggire a questo sistema soffocante dominato dalle multinazionali. Condurre con serietà il dibattito su una società alternativa. Sciogliere la NATO, l'armata della mondializzazione, senza però cercarne dei surrogati, come l'esercito Europeo. Al contrario, combattere la militarizzazione dell'economia e lottare perché questa sia al servizio della gente. Risolvere questi problemi diventa la responsabilità di ciascuno di noi! Questo testo fa parte di un libro collettivo: "L¹Empire en guerre Le monde après le 11 septembre", Coedizione Temps des Cerises EPO, Paris Bruxelles. Per informazioni: editions@epo.be Si possono anche consultare : - Michel Collon, "Monopoly - L¹Otan à la conquête du monde", 245 p., Ed. EPO, Bruxelles, 2000. - Michel Collon e Vanessa Stojilkovic, "Les Damnés du Kosovo", video 78 minuti. I commenti su questo testo, le critiche, le osservazioni o le proposte possono essere indirizzate attraverso l'editore, o a |
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