RIFLESSIONI DA EMIGRANTI

DI DONATO BOSCA

Dei circa 27 milioni di emigranti italiani che dal 1860 al 1970 sono andati a cercare lavoro e fortuna fuori dai confini del nostro Paese sappiamo molte cose. Si è trattato di un fenomeno che in determinati periodi ha assunto proporzioni di massa e che ovviamente ha inciso profondamente sulla vita sociale italiana. Tesi di laurea, raccolte epistolari, memoriali, saggi, romanzi, storie di vita e biografie raccontano questa odissea, l’hanno esplorata nei suoi significati più reconditi, fino a renderla patrimonio di conoscenza condiviso.

Molto meno si sa, invece, della presenza in Piemonte di cittadini argentini discendenti da famiglie italiane, costretti ad emigrare e a compiere in senso contrario il viaggio che aveva avuto come protagonisti i loro antenati, nonni, bisnonni o trisavoli. Il mito dell’Italia considerata una delle potenze mondiali, diffuso durante i mondiali di calcio del 1990, aggravato dal silenzio di chi avrebbe dovuto prestare grande attenzione sulla falsità di alcuni luoghi comuni divulgati in quegli anni, come la possibilità di un lavoro per tutti, la possibilità di una casa e di un tenore di vita elevato, hanno illuso molti argentini di poter risolvere ogni problema arrivando in Piemonte con i loro titoli di studio e il grande desiderio di trovare presto un’occupazione idonea, adeguata alle proprie aspirazioni. In realtà le difficoltà burocratiche incontrate, cominciando dalla pratica per l’ottenimento della doppia cittadinanza a quella per il passaporto italiano, e l’amara sorpresa del mancato riconoscimento del titolo di studio e della patente di guida hanno subito raffreddato gli entusiasmi, costringendo molte persone a rimettere in discussione la scelta compiuta, affrettando i tempi di rientro in Argentina. L’ultima recente crisi argentina ha spinto nuovamente centinaia di migliaia di persone di discendenza italiana a mettersi in fila davanti ai consolati per dare inizio ad una pratica burocratica lunga ed estenuante che porterà via a ciascuno di loro ore, giorni, settimane, mesi di vita, in attesa di un miracolo che nessuno è in grado di compiere. Ne vale la pena? Proviamo a dare la risposta raccontando una storia emblematica che ha come protagonisti due coniugi argentini fino a poche settimane fa residenti a Bariloche, i loro sette figli, due nuore, due generi e quattro nipoti.

  Alcuni componenti di questa famiglia, accompagnati da un amico di sola nazionalità argentina, aspirante calciatore, chiamato Nestor, lunedì 24 giugno sono arrivati all’aeroporto di Caselle per ricominciare una nuova vita. In tasca il numero di telefono di un esponente del volontariato che in Piemonte si interessa di movimenti migratori e nient’altro. Sono arrivati in avanscoperta, convinti che con pochi soldi e l’aiuto disinteressato di Enti o Associazioni in poco tempo sarebbero riusciti a risolvere ogni tipo di problema, prendere la residenza in un Comune piemontese disposto ad accoglierli, trovare lavoro. Si lasciavano alle spalle situazioni difficili e vicende complesse di “mala suerte”, fermamente convinti ad assumere il ruolo di testa di ponte e farsi raggiungere al più presto da altri familiari che non avevano potuto acquistare il biglietto per il passaggio aereo. L’arrivo di queste cinque persone, tra le quali una ragazza di vent’anni incinta di sette mesi, ha messo a dura prova persone e  Istituzioni  che si stanno facendo carico dei problemi di inserimento nella realtà piemontese. L’Associazione Arvangia ha provato a raccogliere anche questa sfida impossibile. Ha dato ospitalità al nucleo familiare arrivato dall’Argentina. Ha cercato un lavoro per la madre, subito ribattezzata “madre coraggio”, duramente provata dalla sofferenza e dalle responsabilità ma anche l’unica del gruppo a poter lavorare alla luce del sole e ha aiutato la signora ad affittare un alloggio per avviare la pratica di residenza presso il Comune di Neive. Si sta impegnando per trovare lavoro al capofamiglia , argentino di discendenza italiana con radici a Castelfranco Veneto, ai figli e relativi consorti  , tutti alle prese con problemi burocratici di residenza, cittadinanza, permesso di soggiorno. Proprio pensando “al duro calvario dell’emigrazione”,   l’Associazione Culturale Arvangia, ha promosso un’iniziativa di solidarietà  “per Emilio”, dal nome del componente più giovane della famiglia ,  studente quattordicenne al primo anno di  scuola professionale, avviata con lo scopo di “adottare” in concreto la famiglia argentina venuta a cercare “nuovi orizzonti” nella regione degli antenati emigranti.

 Scopo primario dell’adozione è quello di seguire Emilio nella sua carriera scolastica, aiutandolo a proseguire gli studi e ad ottenere un diploma che gli consenta di inserirsi nel mondo del lavoro. Scopo secondario, ma certo non meno importante, quello di aiutare i suoi genitori a riunire la loro famiglia nelle Langhe, trovando occasioni di lavoro e di sistemazione per tutti i figli.   Le due sorelle di Emilio, ad esempio, pur molto giovani, sono già alle prese con problemi di maternità. Una di loro ha già un figlio, Rodrigo, di 5 anni ed è in attesa di un secondo figlio. L’altra è incinta di sette mesi e non tarderà a dare alla luce la sua creatura. Un  fratello di Emilio, anche lui sposato, ha preso residenza nel Comune di Moretta, vicino a Saluzzo e lavora presso la Maina panettoni. Il sogno di Emilio, che spera che il proprio nucleo familiare possa ritrovarsi unito in Piemonte, terra dalla quale emigrarono i suoi antenati, potrà realizzarsi solo se Enti, Associazioni e privati cittadini accetteranno di collaborare alla realizzazione del progetto.

Nella realtà quotidiana, infatti, inserirsi in un processo produttivo e sociale come quello piemontese è tutt’altro che facile. Tre componenti della famiglia arrivata da Bariloche sono in possesso di cittadinanza e passaporto italiano. Per ottenere la residenza devono, però, procurarsi un regolare contratto di affitto e un regolare contratto di lavoro, cosa non facile quando non si hanno risorse finanziarie e non si può svolgere alcuna attività lavorativa per procurarsele. Quando si trova il lavoro grazie all’interessamento di molte persone ci si accorge subito che senza disporre di un’automobile e di una patente italiana è impossibile raggiungere la sede di lavoro e adattarsi agli orari e ai turni che il lavoro richiede. Molto peggio per chi non ha la cittadinanza italiana. La pratica di ricongiungimento al coniuge, indispensabile per ottenere un permesso di soggiorno che consenta il rilascio del libretto di lavoro presuppone la residenza e la trascrizione presso gli uffici comunali del certificato di matrimonio. Nel caso della famiglia di Bariloche alcune pratiche di cittadinanza non erano state concluse in Argentina presso il Consolato competente per le incredibili lungaggini che il disbrigo delle pratiche comporta. Arrivati in Piemonte con i documenti che certificano la relazione di parentela, convinti di poter regolarizzare la loro posizione, figli e parenti dei coniugi che hanno deciso di diventare emigranti di ritorno sono andati a sbattere contro difficoltà burocratiche analoghe, finendo di nuovo in un vicolo cieco. Le reazioni di cui si fa esperienza tutti i giorni quando si viene a contatto con le Istituzioni italiane ( Uffici Comunali, Questura, Ispettorati vari) sono spesso di fastidio, di chiusura. La famiglia argentina di origine europea che cerca di integrarsi in Piemonte viene messa sullo stesso piano di tanti altri extracomunitari, più o meno clandestini, assistiti da Caritas e Associazioni come la Migrantes, che cercano casa e lavoro. Rari sono i gesti di simpatia, di apertura o anche solo di interessamento. Si nega il passaggio in macchina per la sede di lavoro, si evitano le responsabilità, anche quando si tratta di dare fiducia e mettere  le persone in condizione di rendersi autonome. Davvero una sfida complessa, vissuta da molti nella più totale indifferenza. Il bilancio ad un mese e mezzo dal loro arrivo in Piemonte per i componenti della famiglia argentina di Bariloche è davvero deludente. Nestor, il giovane aspirante calciatore, senza radici italiane, ha dovuto rientrare in Argentina non potendo aspirare ad alcun lavoro lecito. Figli, nuore e generi di quella che abbiamo chiamato “madre coraggio” non possono svolgere attività lavorativa, non disponendo di libretto di lavoro e di permesso di soggiorno. L’unica ad avere ottenuto un lavoro regolare è proprio “madre coraggio”, costretta a salire su di un treno alle 5,30 del mattino per raggiungere la sede del servizio svolto. Per le spese di alloggio e di mantenimento fino ad oggi hanno sopperito varie persone coinvolte nella catena di solidarietà avviata dall’Associazione Arvangia. La pratica di residenza iniziata presso gli uffici del Comune di Neive, indispensabile per la trafila burocratica di regolarizzazione delle sette persone che sono riuscite ad arrivare in Piemonte entro la fine del mese di luglio, si annuncia lunga e complessa. Il giovane che ha preso residenza a Moretta ha impiegato più di otto mesi per diventare cittadino italiano in regola con leggi ed ordinamenti del nostro Stato.

Al momento l’Istituto Comprensivo “Beppe Fenoglio” di Neive ha iniziato una raccolta di fondi sul libretto di risparmio nominativo 0021961 intrattenuto presso l’Ufficio Postale di Neive Borgonuovo a firma Bruna Balbo ( docente della Scuola Media “Eugenio Montale” di Neive) e Don Paolo Doglio, parroco di Barbaresco e Trezzo Tinella. I primi accreditamenti sono stati effettuati dall’Associazione Culturale Arvangia, da Romano Levi, dalla scrittrice Carla Chiaffrino, premiata al concorso “Il libro che cammina” ideato dall’Arvangia e  dal gruppo femminile di Neive “Futuro”. Si spera che ne possano seguire altri e che arrivino segnali di disponibilità e di collaborazione. Per informazioni è possibile mettersi in contatto con la Segreteria dell’Istituto Beppe Fenoglio, telefonando al numero 0173-67207, o al cellulare 338-1761673. 

 

Le difficoltà di inserimento dei vari componenti la famiglia argentina originaria di Bariloche  ha spinto l’Associazione Arvangia a mettere in guardia tanti argentini, discendenti di emigrati piemontesi, che fanno la fila davanti ai consolati italiani d’Argentina con la speranza di ottenere il rilascio della cittadinanza ed espatriare per cercare in Italia o in Europa il lavoro e il benessere che sono venuti a mancare nella loro patria. Nei loro confronti è indispensabile divulgare messaggi che dicano “forte e chiaro” quali sono le difficoltà quasi insormontabili che si incontrano in molte località del  Piemonte.  

Queste difficoltà si possono riassumere in tre punti essenziali:

1-    E’ praticamente impossibile inserirsi nel territorio della Regione Piemonte per chi non è in possesso di cittadinanza italiana;

2-    E’ problematico prendere la residenza in un Comune del Piemonte se non si è in possesso di un contratto di lavoro e di un contratto di affitto;

3-    E’ molto difficile essere assunti e svolgere un’attività lavorativa se non si è in possesso di un’automobile e di una patente di guida rilasciata dalla motorizzazione italiana.

Da queste tre verità discende come conseguenza che è vivamente sconsigliato andare via dall’Argentina se non si è cittadini italiani e non si hanno soldi per affittare un alloggio o acquistare un’automobile , condizioni indispensabili per rendersi autonomi e affrontare una realtà sociale ed economica molto più complessa di quanto non si possa immaginare.

 

 

 

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