Derive e Approdi

Dopo la mitica caduta del Muro e dopo la violenta cesura dell’11 settembre , il torbido condominio imperiale offre lo spettacolo quotidiano della devastazione e della perversione . Difatti, al di là della balzana apologia neoliberista e della grottesca retorica patriottica , si evince che gli oppressori globali , operando continui trasferimenti di sovranità , stanno segregando , terrorizzando ed imponendo la dura lex mercatoria dell’ingiustizia infinita . Il presunto eden globale , ossia la notte senza aurora del capitalismo energumeno e amorale , si traduce , dunque, nella negazione planetaria dello stato di diritto . Sicché , si può sostenere che , se nel 1789 la ghigliottina decapitò le teste della conservazione , oggi , dopo l’89 , la ghigliottina imperiale sta deliberando e legittimando le esecuzioni capitali dei diritti socio-economici e civili . Intanto, mentre il capitale esaspera i suoi flussi e le pulsioni più dementi , determinando l’equivalenza dei luoghi , la sinistra ufficiale continua a balbettare , non disdegnando strumentali funambolismi e balletti-farsa . Ne consegue che mentre le destre neofasciste e populiste avanzano minacciose , la "sinistra " , che non è più socialista , pare la dimora del niente , popolata da ectoplasmi e fatta di asperità appianate , di singolarità cancellate . In questo scenario decisamente protervo , si annullano le singole culture , si ripetono slogan pseudoumanistici , si enfatizzano i principi di un facile e datato universalismo e , nel contempo , si riproducono , con strumentali giochi scenici , tecnicismi elettorali , e addirittura si propongono nuove sigle . A questo punto , stendendo un velo pietoso vuoi sul becero regime-azienda berlusconiano , ossia sull’agenzia di commercio mafiosa e fuorilegge , vuoi sulle beghe da cortile della miasmatica quercia , vuoi sulle pratiche politiche pseudorivoluzionarie di alcuni leader "carismatici" , è opportuno porre significativi quesiti . Le procedure rivoluzionarie risultano ormai obsolete ? Con il fallimento del socialismo reale si può decretare la fine del comunismo , inteso nell’accezione più autentica e più alta ? E inoltre , per delineare un nuovo corso è sufficiente negare i paradigmi del capitalismo ? Recentemente il politologo francese Pascal Perrinou ha proclamato : " I politici devono elaborare il lutto della politica rivoluzionaria , quella religione secolare che ha imperversato fino all’inizio degli anni 80 , quella che diceva ai cittadini : " Cambieremo la vostra vita " . Le affermazioni ridondanti ed assolute sono sovente opinabili , ma , nel caso specifico denotano un atteggiamento acritico e un pensiero debole . D’altro canto , sono proprio i metodi profani della critica storica e i piccoli brandelli di conoscenza empirica che rendono la verità figlia del tempo, ma " la stella fissa del materialismo "valica i confini spazio-temporali , perché intrinsecamente connessa all’eterno mondo della giustizia e della vita . Pertanto , gli striduli ambasciatori reazionari dovrebbero percepire il prurito sotto la pelle della storia , e ciò consentirebbe di prendere coscienza che la militanza del comune non si nutre mai di disperazione ma di passione . Ne consegue che ogni pretesa di elaborazione del lutto risulta paradossale e priva di senso . Vero è che l’eterno conatus non può prescindere da un approccio critico , sicché , constatando il coma profondo della sinistra , occorre prendere atto che , come voleva Pascal , "non si può dormire mentre il Cristo agonizza " . Da qui la necessità di delineare un orizzonte progettuale che , considerato l’attuale sistema-mondo , non può essere confuso con una linea politica . Queste osservazioni discendono dalla persuasione che i percorsi di resistenza , per via della sovranità imperiale del non-luogo , non possono prescindere dai trasferimenti di sovranità e dalla decadenza della forma-Stato . Per coloro che si ostinano ad adottare categorie obsolete giova ripercorrere i tratti salienti delle mutazioni . Da un sommario excursus storico si rileva che , dopo " i 30 anni gloriosi " del compromesso keynesiano , si delinea via via il neoliberismo , che , in nome della norma mercantile, ridisegna le coordinate spazio-temporali e impone una nuova configurazione complessiva . Semplificando il discorso e ponendo l’accento sul carattere multidimensionale dei processi , si può sostenere che gli elementi fondamentali delle metamorfosi vanno ricercati nella galoppante "inflazione dovuta ai salari e ai costi di produzione della società " , alle lotte operaie e dei movimenti , al fenomeno dirompente della guerra del Vietnam . Quest’ultima , infatti , rappresenta un momento particolarmente incisivo , perché un popolo colonizzato vince la guerra contro l’imperialismo . Inoltre , la crisi dei paesi socialisti e la caduta del Muro consentono al capitalismo imperiale di celebrare i suoi fasti , pervadendo il pianeta e rimodellando sistemi sociali e politici . Si passa così dalla sovranità degli Stati alla sovranità di entità superiori . Ciò è suffragato dal fatto che i trasferimenti avvengono non solo in sede militare e monetaria , ma anche sul piano della comunicazione . Da qui l’ibridazione culturale , il glocalismo , le derive globali , le forme anomiche di integrazione sociale , lo smantellamento dello stato sociale . In questo contesto , rilevando il carattere multidimensionale della globalizzazione , è bene evitare semplificazioni e chiavi di lettura monocausali . Difatti , come sostiene Antonio Negri , pur non negando che gli Stati Uniti siano a capo di questo meccanismo , sarebbe riduttivo affermare che " Waschinton è il posto dove si comandano gli eserciti , New York è il posto dove si comanda la moneta e Los Angeles è il posto da cui si comanda la comunicazione ". In realtà , l’impero nasce dai trasferimenti di sovranità , dal nomadismo del capitale , dalle leggi economiche che valicano lo stato-nazione . Stando così le cose , si può facilmente argomentare che , per via dei mostri extraterritoriali e degli oppressori globali , la sovranità imperiale si rivela come un non-luogo , attraversato da una marcata ibridazione , dalla mercificazione planetaria , da situazioni conflittuali , caotiche ed estremamente destabilizzanti . Intanto , gli spiriti animali del capitalismo imperiale , ormai privi di inibizioni , campeggiano e propagano , con giochi di prestigio ideologici , le politiche dell’esclusione , della reclusione , della segregazione . Il fatto inquietante è che la struttura politico-militare viene legittimata con acrobatici eufemismi , sicché la deregolamentazione planetaria si traduce in una deregolamentazione criminale . A questo punto , considerate le palesi interconnessioni tra economia , comunicazione , politica e cultura , occorre decodificare le problematiche inerenti la cittadinanza , i diritti , la giustizia sociale in un’ottica diversa . Rivisitando il modello fordista , si rileva che " il cittadino dello stato democratico era contemporaneamente padre , lavoratore e cittadino rappresentato attraverso i canali della democrazia parlamentare . Le stesse politiche del welfare , hanno assunto come presupposto la tenuta di un modello determinato , patriarcale , di famiglia " ( Sandro Mezzadra ) . Questo modello , peraltro non encomiabile , garantiva la cittadinanza relativa , che si esplicitava come legame tra lo stereotipo della famiglia e la cittadinanza sociale . E’ bene evidenziare che il movimento femminista ha avuto il grande merito di demistificare questi paradigmi , infatti, con un’attenta e doviziosa indagine e adottando pratiche politiche alternative , ha determinato la rottura di schemi concettuali consolidati . Pertanto , sulla scorta delle osservazioni fatte e rimuovendo immotivate nostalgie , conviene prendere atto che il modello di stato sociale edificato in Europa non ha riattivato un’autentica partecipazione politica . Pur rilevando il carattere riduttivo della democrazia formale , è opportuno constatare che , per via delle dinamiche globali , tutti i paletti che fungevano da deterrente alle leggi del profitto sono caduti , tant’è che l’unica legge imperante è quella dell’esclusione . Quest’ultima non penalizza solo i non-residenti , infatti , anche se in modo meno eclatante , la cittadinanza , i diritti, lo spazio della prassi sociale , vengono negati di fatto , sia ai citizens che ai denizens . Considerato l’argomento è doveroso un esplicito riferimento alle leggi xenofobe e razziste . E’ necessario , però, anche in questo caso , smascherare e demistificare i presunti buoni sentimenti della pseudosinistra accomodante. Preso atto che le leggi contro i profughi e i migranti sono intrinsecamente connesse alle politiche repressive globali , vale la pena rivolgere lo sguardo al nostro paese . A questo proposito , in un illuminante articolo pubblicato sul " Manifesto " , Luca Fazio , rilevando le palesi affinità tra la legge Turco- Napolitano e la legge Bossi-Fini , sostiene che la nuova legge si potrebbe chiamare con un unico nome : Turco-Napolitano- Bossi-Fini. Ma , superando le diatribe e i tormentoni del teatrino politico italiano, i dati emergenti sono che le norme dell’esclusione caratterizzano il nuovo ordine mondiale e rappresentano la verità del capitalismo imperiale , sicché ciò significa che i diritti umani sono declinati come pura ideologia . Da qui l’esigenza di vagliare criticamente tutte le istanze che ipotizzano interdipendenze tra nazioni sovrane e istituzioni globali democratiche. In realtà , le architetture giuridiche e l’eguaglianza formale dei diritti risultano formule vuote , perché si trascura un elemento fondamentale , ossia che la democrazia economica e la democrazia politica devono coincidere . Pertanto , sperare che la Convenzione europea possa operare una svolta risulta opinabile e fuorviante . Difatti, l’orizzonte imprenscindibile dell’Europa continua ad essere l’ultraliberismo . Basti pensare alle recenti conclusioni dei consigli europei , ossia quello di Barcellona e quello di Siviglia , indetti dalla presidenza spagnola . I risultati del dibattito sono illuminanti , infatti , i Quindici e i "convenzionali " si sono adeguati appieno al dogma liberista . Ciò si evince dai nuovi comandamenti , che sono : primato della concorrenza e della logica finanziaria , liberoscambismo , "liberalizzazioni ", privatizzazioni , riduzione dei servizi pubblici , flessibilità del lavoro . Ne consegue che il capitalismo imperiale sta affinando le sue armi , relegando la società civile ad un ruolo marginale e inconsistente . La verità è, dunque , che tra il Trattato di Maastricht e quelli di Amsterdam , Nizza , Barcellona e Siviglia , esiste una palese continuità . Prendendo atto che le leggi sovrane si esplicitano all’insegna dell’omologazione culturale e politica , giova menzionare le osservazioni del giurista Dieter Grimm , che afferma : " La verità è che i processi democratici sarebbero possibili solo sulla base di un legame pre-politico che costituirebbe quella fiducia , quel senso di appartenenza ad una medesima comunità ". Da qui la necessità di progettare un nuovo corso , non prescindendo dalle sostanziali metamorfosi che hanno determinato il nuovo ordine mondiale . Difatti , con la fine dei regimi coloniali e il crollo dell’Unione sovietica , non solo ci troviamo di fronte ad una irreversibile globalizzazione degli scambi economici e culturali , ma si registra anche una nuova forma di sovranità . Pur constatando che il quadro globale è decisamente tragico , senza tendere al catastrofismo né ad un ingiustificato ottimismo ,occorre scorgere vuoi le involuzioni , vuoi le potenzialità dell’attuale assetto. Vero è che penetrare nel guazzabuglio globale non è un’impresa facile , ma, facendo una cernita , si rileva che problemi prioritari sono quelli inerenti la cittadinanza e i diritti . Per perseguire questi obiettivi e per avviare un nuovo corso , non si può prescindere dalle caratteristiche della forza-lavoro postfordista e dalla presenza dei movimenti che prospettano nuove forme dell’agire politico . Ciò, ovviamente , non significa che la classe operaia si sia estinta , ma che si manifesta in modo variegato , per via della mobilità , della flessibilità, ma soprattutto per via delle radicali trasformazioni della forza-lavoro . Difatti, oggi la produzione incorpora la scienza , la comunicazione , il linguaggio , il lavoro immateriale .

E’ evidente , pertanto , che l’operaio-massa si è trasformato in proletario sociale organizzato nel lavoro immateriale e reso produttivo per mezzo della cooperazione . Inoltre , le profonde e sostanziali mutazioni hanno resa obsoleta la categoria –popolo e hanno generato , al tempo stesso , la moltitudine . Quest’ultima , giova precisare , non può , sic et simpliciter, essere considerata la panacea di tutti i mali , perché presenta aspetti positivi e aspetti negativi, possibilità di ulteriori derive e potenzialità di liberazione . Un dato significativo però emerge , ossia che la moltitudine , allontanandosi dal concetto di popolo , non può fondersi in una volontà generale . A questo proposito Marco Bascetta , analizzando magistralmente i concetti di popolo , massa e moltitudine , sottolinea che quest’ultima " si afferma come immanenza dei diritti e delle facoltà dei singoli che rifiutano di confluire verso l’uno ". Inoltre , M. Bascetta mette in luce le ambiguità del termine "massa" , che in alcuni casi , come per esempio nel maoismo , ha assunto il significato di un soggetto storico simile a quello di popolo . Ciò detto , è opportuno evidenziare che spesso il concetto di massa viene percepito nell’accezione di " gente " , sicché la massa diventa terreno di manovra e " bacino di conservazione " . Ciò è suffragato dal fatto che nella fase odierna il termine "gente " viene usato frequentemente , per giustificare tutte le forme di plebiscitarismo , di populismo ,e, nel contempo, le proposte di presidenzialismo , di semipresidenzialismo , di cancellierato .

Sulla scorta delle osservazioni fatte si evince che l’attuale soggettivazione politica non può essere dissociata dalla problematica del "collettivo ". Quest’ultimo va recepito in un’ottica critica , onde evitare che il " pratico inerte ", di sartriana memoria , generi pericolose involuzioni . Indubbiamente una lettura preziosa per comprendere l’alta valenza del collettivo è quella di Gilbert Simondon . Questo intellettuale è stato , fino a non molto tempo fa , un " autore di culto " di minoranze . Oggi , anche per via dei continui elogi di Gilles Deleuze , la sua opera sta riscuotendo grande successo . G. Simondon , con una doviziosa indagine ed esplorando più territori , sostiene che " vi è collettivo nella misura in cui un’emozione si struttura " . Semplificando il complesso discorso di Simondon , si può affermare che " l’individuazione collettiva si attua partendo da una realtà preindividuale , che non è indifferenziata ma piena di singolarità e di potenziali , perché la vita è " una continua individuazione " . Questo approccio ontologico del collettivo è estremamente importante , perché non consente la negazione di sé all’interno del gruppo , in virtù del fatto che viene eliminata ogni vocazione di trascendere o sublimare l’individuo . Per esplicitare questa problematica occorre , come vuole Simondon , partire " dall’apeiron " (indeterminato), ossia dal vitale comprensivo dell’uomo , che non privilegia nessun aspetto a discapito di altri , perché " nell’essere", inteso come relazione , vive " tutto l’uomo , che è sociale , psicosociale, psichico, somatico ". In questa prospettiva " ogni gruppo reale è tanto uno psicogruppo che un sociogruppo ". Questo impianto teorico risulta estremamente proficuo , vuoi perché promuove una comprensione esaustiva del concetto di moltitudine , vuoi perché offre le coordinate per una pratica politica inedita . In quest’ottica si muove Paolo Virno , che nella postfazione del libro di Simondon , " L’individuazione psichica e collettiva ", rivela la relazione tra moltitudine e individuazione . Virno , con una lucida analisi e con il suo alto spessore culturale , constatando la dissoluzione del concetto di popolo e la rinnovata pertinenza del concetto di moltitudine , sostiene : " Il popolo ha una indole centripeta , converge in una volontè gènèrale, è l’interfaccia e il riverbero dello Stato ; la moltitudine è plurale , rifugge dall’unità politica , non stipula patti né trasferisce diritti al sovrano , recalcitra all’obbedienza , inclina a forme di democrazia non rappresentativa" . Partendo da questi presupposti , Virno , mutuando Simondon , propone .una definizione autonoma di preindividuale , non contraddittoria , ma indipendente da quella di Simondon . In questa prospettiva , " preindividuale " è la percezione sensoriale , intesa come estranea alla vita personale . Inoltre , " preindividuale " è la comunicazione linguistica , che è intersoggettiva ben prima che si formino dei veri e propri soggetti . Preindividuale , infine , è il rapporto di produzione dominante . La realtà preindividuale, dunque , si esplicita come pensiero oggettivo non correlabile a questo o quell’"io" psicologico , sicché diviene " pensiero senza portatore " . Quest’ultimo viene associato al marxiano general intellect , infatti Virno afferma : " Il pensiero senza portatore , ossia il general intellect , imprime la sua forma al " processo vitale stesso della società " ( Marx ) , istituendo gerarchie e relazioni di potere . In breve : è una realtà preindividuale storicamente qualificata " . Successivamente , l’intellettuale citato , collegando Simondon , Vygotskij e Marx , fa riferimento ai Grundrisse marxiani , e precisamente al cosiddetto " Frammento delle macchine ". E’ proprio in questo contesto che " Marx indica con l’epiteto di " individuo sociale " il solo protagonista verosimile di qualsivoglia trasformazione radicale dello stato di cose presente " . A tutta prima , sostiene Virno , l’individuo sociale sembra un ossimoro civettuolo, una arruffata unità di contrari , occorre , invece , ravvisare " nell’aggettivo " sociale " le fattezze di quella realtà preindividuale , che , secondo Simondon , pertiene a ogni soggetto ".

Se ho insistito sulle osservazioni di Paolo Virno non è casuale , infatti , sono fermamente convinta che la possibilità di approdi , nella caotica fase odierna , non possa prescindere dall’assunzione di nuove e vitali categorie . Preso atto che l’approccio critico è indispensabile , è necessario esercitare contropotere , negando tutte le visioni talebane del potere , che a.priori escludono le differenze e , al tempo stesso , occorre rimuovere tutte le forme di "massimalismo " acritico e fuorviante . D’altra parte , l’istanza di una cittadinanza globale discende dalla consapevolezza che l’amministrazione imperiale , senza imporre un apparato , tende ad integrare i conflitti , controllando le differenze . Ne consegue che tutti i percorsi di resistenza devono necessariamente mettere in comune tutti i linguaggi , arginando tutte le forme di dogmatismo . D’altro canto , l’idea di una democrazia radicale , assoluta, non può che rimuovere le astratte virtù civiche , la teologia di alcuni economisti e tutte le ideologie che si manifestano come religioni . Da qui la necessità di una nuova ontologia della relazione , che non può considerare il gruppo un agglomerato di individui privo di tensioni e potenziali , perché è proprio la molteplicità delle relazioni che genera transizioni , trasferimenti , passaggi , con i quali si costituisce la comunità . Non senza ragione Marx , per evitare di impiegare il termine " tutto "o la totalità , si è valso della parola " ensemble " .

E’ evidente , dunque , che la ricerca incessante di senso e di speranza , dovrebbe partire da relazioni senza confini , da un amore critico e creativo , da un’effervescenza collettiva. Onde evitare fraintedimenti , è bene chiarire che questo impianto teorico non può essere inteso come uno strumentale processo di integrazione tout court , perché la contraddizione è inconciliabile , sicché ogni sintesi sarebbe fuorviante . In altri termini , considerando quello che Marx definiva , " il lato cattivo della storia " , si impone l’esigenza che la moltitudine eviti di cadere nelle trappole dei poteri costituiti . A questo proposito è opportuno fare un esplicito riferimento alle vergognose speculazioni degli Apparati per la morte di Carlo Giuliani . In realtà , " la festa della vita " organizzata dai movimenti per ricordare Carlo , è stata sì esaltante , ma , sotto alcuni aspetti rivoltante . Difatti erano presenti quelle forze politiche che , per via di una endemica vocazione compromissoria , un anno fa avevano mostrato la consueta ed aberrante ambiguità . D’altra parte , giova ricordare che la mattanza napoletana è stata anteriore a quella di Genova ed è stata gestita dal governo di centro-sinistra . Inoltre, i movimenti dovrebbero promuovere una seria riflessione sul fatto che alla manifestazione non erano presenti i no-global di altri paesi , eppure Carlo è stato il primo morto ammazzato del movimento dei movimenti . La verità è che , se si vogliono evitare devastanti derive , si dovrebbero tenere fermi principi imprescindibili . Pertanto , anche per quel che concerne le aperture alla Cgil per difendere l’Art 18 sono più che legittime , a condizione che non si dimentichi che un anno fa la Cgil a Genova non era presente , e a condizione che Cofferati non assuma il ruolo simbolico di leader del movimento . Queste osservazioni discendono dalla persuasione che al globalismo armato è necessario opporre le armi della critica , per prendere atto che , nella fase odierna , i luoghi sono sempre prodotti dalla globalità , sicché tutte le forme di snaturamento sono biopolitiche . Occore , dunque, resistere al neofascismo berlusconiano , non perdendo di vista , però, che le cartografie della liberazione devono delineare percorsi di resistenza globali contro l’impero . Da qui la necessità dell’esodo costituente , che dovrebbe demolire tutto un impianto di valori che si sono sedimentati nei secoli e che sono diventati una sorta di forme a.priori della realtà . D’altra parte , non è forse vero , come voleva il vecchio barbuto di Treviri , che la storia dell’umanità è sempre stata caratterizzata dalla presenza di oppressi ed oppressori ? E non è forse vero che i rivoltosi della storia , come Socrate, S. Francesco , Bruno , Pisacane , Che Guevara e tanti altri , hanno cercato di rompere l’infernale spirale di un’immemorabile servitù ? La verità è che occorre sradicare le radici della confusione , se si vuole sconfiggere lo spirito della padronanza . Ciò significa che la ribellione postmoderna deve desostanzializzare categorie , deve essere verticale , deve sperimentare nuove forme di lotta , tenendo sempre presente la teleologia materialistica del comune .

Contro le ambiguità della pseudosinistra , contro gli spettri devastanti dello stalinismo , e per rendere praticabile il globalismo dei diritti , sono necessarie nuove prospettive di liberazione. Beppe Caccia sostiene lucidamente che è opportuno avvalersi della coppia concettuale , "fare società " ed " esodo costituente " . Quest’ottica impone un pensiero multiplanare , multidimensionale , che esclude forme predeterminate e statiche e implica , invece , l’assunzione di una filosofia danzante , aperta alla dismisura del tempo . Si dovrebbe , pertanto, cooperare per la costruzione di uno spazio pubblico caratterizzato dall’universalità , andando oltre l’immaginario statalista e lavorista . Anche in questo caso, però , è bene vigilare sui surrogati e sulle forme surrettizie di universalismo , che inevitabilmente comporterebbero mistificazioni e derive . A questo proposito , tra i costituzionalisti si sta affermando , come sostiene Giuseppe Bronzini , una sorta di "terza via " , ossia la teoria del " Multilevel constituzionalism " ( fuga dalla sovranità ) .

Questa prospettiva , pur essendo antimonistica e pluralista , risulta riduttiva perché è ,di fatto, in sintonia con la tradizione giuslavoristica , infatti , " tende a risolvere i conflitti tra norme attraverso il trattamento più favorevole " . Giustamente G. Bronzini osserva che la teoria giuridica dovrebbe prendere in esame le ipotesi di municipalismo autogestionale , che cercano di allargare la sfera pubblica in ambiti non statali o comunque non gestiti dalle burocrazie . Se questa istanza è legittima , è altresì vero che non può essere considerata la panacea di tutti i mali . Difatti , al di là delle prospettive più o meno valide , si dovrebbe partire da un’idea di democrazia radicale e optare per quello che Marcos definisce " un esodo dal dominio " . Ciò significa che , per affermare il mondo della vita , occorre rompere drasticamente con tutti i meccanismi di potere . In quest’ottica si muove Marco Bascetta , che propone di risalire alla eresia antiassolutistica spinoziana , nella convinzione che solo la moltitudine può costituire la linfa delle libertà civili e della cittadinanza globale , fuori dai parametri della sovranità trascendente .

Pertanto , contro la devastante logica dell’impresa ; contro la globalizzazione dei rapporti proprietari ; contro il dilagare delle privatizzazioni ; contro lo stato di guerra permanente ; contro le politiche dell’esclusione ; contro la sottomissione servile alle gerarchie e agli apparati ; contro gli stregoni incappucciati della barbarie postmoderna, è necessario opporre la potenza costituente del comune , incrementando linguaggi vitali e creativi e inventando nuovi percorsi di resistenza . Da qui l’esigenza di espellere tutti gli atteggiamenti che implicano acquiescenza , compiacenza , subordinazione , delega . Inoltre , per poter intravedere i bagliori dell’avvenire , sarebbe opportuno rimuovere la localizzazione delle lotte , che risulta riduttiva e fuorviante , vuoi perché nel quadro globale il locale non può preservare l’eterogeneità e la differenza , vuoi perché i flussi globali sussumono ogni istanza che si presume innovativa .

Nel villaggio globale , infatti, l’appiattimento sui moduli è planetario , sicché anche il recupero delle culture locali si traduce in una bieca operazione commerciale . A questo proposito giova fare un esempio , che peraltro è suffragato da un’esperienza diretta , dal momento che vivo nel Salento . Per essere più esplicita mi riferisco alla "pizzica ", una danza popolare intrinsecamente pregna di significati , ma ormai colonizzata e ridotta ad elemento alienante . In realtà , la "pizzica " , lungi dal rappresentare la cultura popolare , è diventata sterile folklore , funzionale , però, ad un nauseante processo di mercificazione , che, ahimè , ha coinvolto anche intellettuali " prestigiosi ". Ciò conferma che i presunti momenti catartici si traducono in processi di sussunzione e alienazione . E’ evidente che occorre disfarsi di inopportune nostalgie e sovvertire i linguaggi egemoni che pervadono il pianeta nei modi più disparati .

Sperare , dunque, in una liberazione locale , significa vanificare i potenziali della liberazione globale . D’altra parte , è bene ricordare che " le differenze locali non sono né preesistenti , né naturali : sono effetti di un regime di produzione " ( M. Hardt – T. Negri).

Uno degli obiettivi prioritari della moltitudine , per valicare lo spazio frattale della globalizzazione , dovrebbe essere il reddito di cittadinanza , che consentirebbe di superare "la condizione di ricattabilità " e , al tempo stesso , permetterebbe il recupero di un luogo di libertà . Il reddito di cittadinanza , come sottolinea Marco Bascetta , non deve essere concepito come un ammortizzatore sociale o un sussidio assistenziale , ma come il riconoscimento del contributo del " non lavoro " , dell’intera esperienza individuale e collettiva , alla produzione della ricchezza . Ciò significa che il reddito universale consentirebbe di mettere in comune le ricchezze , fuori dal tempo comandato dal capitale . Il lavoro cooperativo , la potenza collettiva , la liberazione del lavoro vivo , dunque, comporterebbero l’affermazione del tempo della vita e l’eliminazione del tempo-misura.

Ma , considerando che " la corruzione è dappertutto e il il comando della moltitudine viene esercitato in questa coltre putrida " , come prospettare nuovi approdi ? Come affermare la potenza di una nuova costituzione civile ? Come estendere il conatus della moltitudine ? Innanzitutto , a mio avviso , sarebbe necessaria una rivoluzione epistemologica , nel senso che si dovrebbe optare per una natura operativa e anticipatoria dei procedimenti . In altri termini , sarebbe opportuno avvalersi di una disobbedienza dinamica , sempre aperta al divenire e a nuove forme di resistenza . Ne consegue che occorre rimuovere la " datità " , ossia qualcosa di dato e già predeterminato . L’antagonismo di una filosofia danzante , dunque, che , ovviamente , non va confuso con i balletti –farsa della pseudosinistra . Ambi D’avossa Lussurgiu , analizzando il valore dell’agire disobbediente , offre le coordinate per comprendere il nuovo lessico della moltitudine . La disobbedienza , sostiene A. D. Lussurgiu , ha a che fare permanentemente con una ribellione alla disciplina e al controllo , sicché , considerato il fatto che " l’ordine imperiale mantiene una natura processuale aperta , in questa lotta noi non possiamo immaginare né le resistenze e nemmeno la disobbedienza , come qualcosa di dato una volta per tutte " . In quest’ottica lucida ed esaustiva , " l’esodo dall’obbedienza , come nell’esodo biblico dalla schiavitù d’Egitto , trascorre oltre la capacità di repressione del Faraone per andarsene altrove ".

Dopo aver navigato nel mare tempestoso delle derive alla ricerca di nuovi approdi , si rileva che le procedure rivoluzionarie , lungi dall’essere obsolete , stanno prendendo corpo . Difatti, pur constatando che i processi sono aperti e che gli esiti non sono prevedibili , un dato emerge , ossia che la moltitudine , con percorsi non lineari , sta invocando la rivoluzione .

Quest’ultima , però, non può e non deve optare per una presa talebana del potere né per un impossibile assalto al cielo , vuoi perché la dimensione imperiale non lo consente , vuoi perché il surrogato del comunismo , ossia lo stalinismo , ha sortito effetti nefasti . Per espropriare gli espropriatori , invece, il tormento fecondo della moltitudine , dovrebbe negare la ripetizione dell’identico , la serialità del pratico inerte , le macchinose ed insidiose alternative istituzionalmente date ed operare in un campo di enucleazione autenticamente alternativo . D’altro canto , l’altro mondo possibile non è ancora delineato , è appunto solo una possibilità : è accrescimento e incontro con il nuovo , proprio perché via via la verità emerge titubante dall’errore . Bisogna , dunque, desacralizzare categorie , demistificare paradigmi consolidati , rimuovere la manipolazione spazio-temporale , perché l’altrove non può che vivere nella dismisura . D’altra parte , la democrazia sostanziale , la partecipazione politica non possono essere ridotte all’esercizio del voto , perché la democrazia non si costituisce una volta per tutte , ma deve essere continuamente riscoperta in un processo dinamico sempre in fieri . Preso atto che distruzione e creazione procedono insieme , è d’obbligo rilevare che , come hanno affermato , prima Marx e poi Polanyi , " il mercato mette continuamente in crisi le abitudini ed i valori tradizionali , trascina i giovani fuori dai villaggi per farne immigrati proletari , sconvolge la solidarietà della famiglia estesa , poi di quella nucleare e disgrega perfino la coppia " ( Karl Polanyi ). Ciò significa che l’anarchia capitalistica è cinica , indifferente a qualsiasi valore ,infatti , le leggi del mercato divorano la società civile e riducono la democrazia a puro formalismo giuridico . E’ evidente , dunque, che il presunto " senso " del capitalismo è , in realtà , un eclatante non-senso , che plasma l’assetto sistemico e che ,in modo latente o manifesto , genera l’impianto teorico e le categorie concettuali . Queste osservazioni risultano particolarmente veritiere nell’attuale sistema-mondo , infatti, pur rilevando che nel dna del capitalismo è stata sempre inscritta la tendenza ad allargare i mercati e a liberare da ogni vincolo i flussi finanziari , oggi , per via del capitalismo imperiale , ci troviamo immersi nella sussunzione reale della società al capitale .

Pertanto , contro i funzionari della dialettica , contro le leggi armate del casino-casinò globale , contro i demoni distruttivi del capitalismo imperiale , contro l’abissale ignoranza della terra e della vita , tenendo ferma la lezione materialista , occorre rivisitare l’infanzia delle parole e moltiplicare le pratiche disobbedienti , per liberare i repressi tumulti dionisiaci e per instaurare la potenza costituente di un nuovo comune .

Wanda Piccinonno

 

 

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