Le morti
bianche: una strage dimenticata di alessandro rizzo
Il Ministro del lavoro Damiano
assicura che la lotta contro una tragedia, le morti
bianche sui luoghi di lavoro, dai contorni sempre più
drammatici, diventerà l'impegno del governo, istituendo
una revisione della legge sulla sicurezza e le norme
sugli appalti, soprattutto nell'ambito delle imprese
edili infrastrutturali. Le parole del Ministro aprono un
margine di speranza e manifestano una volontà politica
fino a oggi non dimostrata dalle istituzioni. Sono della
scorsa legislatura, per esempio, la devastante
diminuzione, promossa dal governo Berlusconi, del
personale di vigilanza nell'ambito degli ispettorati per
la verifica della corretta applicazione della norma
contro gli infortuni e la conseguente depenalizzazione
delle inossservanze da parte dei datori di lavoro di
queste disposizioni. Le dichiarazioni di Damiano
delineano una timida volontà politica di un cambio
sostanziale di marcia, ancora insufficiente per
contrastare un fenomeno dalle dimensioni sempre più
inquietanti: si parla di una stima di quattro
morti al giorno.
E' una guerra civile che è in atto nel nostro
Paese: una guerra tra coloro che risparmiano per
massimizzare il profitto e coloro che sono sottoposti a
un continuo pericolo per l a propria incolumità fisica e
psichica. Possiamo definire tutto questo come il "ventre
molle" del mondo del lavoro,
che connota la presenza di un elemento di inciviltà e di
forte arretratezza nella cultura della preservazione e
della tutela della vita, soprattutto quella di coloro che
sono i più deboli, i più ricattabili, perchè precari,
o perchè assunti in nero, senza norme contrattuali di
garanzia, senza volto, senza diritti, in quanto, spesso
capita che le immigrate e gli immigrati clandestini non
sono denunciati nei pubblici registri in caso di un loro
decesso sui luoghi di lavoro. E' una guerra
senza voce, silenziosa, direi quasi
senza fine, che non produce clamore nei rotocalchi e
nella carta stampata di massa: i telegiornali, i
cosiddeti "talk show", sempre di più
"spazzatura mediatico-televisiva", dove regna
la propaganda del consumismo e della logica
irresponsabile e indecente dell'incantevole "moda
fashion", e i quotidiani non riservano spa zio a
un'adeguata informazione comprensiva di una necessaria
indagine su questo fenomeno intollerabile e
insostenibile.
Domenica il quotidiano Liberazione ha
pubblicato sulla prima pagina un elenco di nomi di
ragazze e di ragazzi, lavoratrici e lavoratori morti sui
luoghi di lavoro: è un atto che rompe questo assordante
silenzio. Una voce minima, come srive Sansonetti
nell'editoriale del numero del quotidiano, che cerca di
denunciare la mancanza di un'attenzione, unico elemento
che possa veramente tentare di cambiare la cultura di una
società, in cui l'interesse dell'impresa diventa
l'interesse generale, la dimensione del profitto diventa
la logica utilitaristica quotidiana, dove la ragione
dello sviluppo basato solo sulla ricchezza e l'incremento
del prodotto interno lordo diventa l'unico parametro di
valutazione del benessere di un Paese. Le morti bianche
sono considerate come semplici "infortuni"
sul lavoro: già il termine, come sottolineato da
Sansonetti, relativizza la dimensione tragica di questi
crimini di innocenti. Sembra quasi che si voglia
liquidare questa piaga come un semplice ed eccezionale
incidente nel perfetto ingranaggio della produzione
imprenditoriale: infortuni, ossia fastidiosi
accidenti che accadono e che devono
essere metabolizzati, accettati passivamente.
Qualcuno dovrà sacrificarsi, si ipotizza:
tanto sono solo tre persone in media di morti al giorno e
forse, si considera cinicamente, l'incidente è dovuto
all'imperizia dell'"infortunato". Come si suole
dire con un detto popolare: oltre al
danno anche le beffe. E si procede
su una strada che tende ad archiviare sempre di più la
tutela della lavoratricie e del lavoratore perchè
occorre risparmiare, aumentare i tempi di produzione,
quindi il plus valore, le entrate e i profitti. Questo è
intollerabile: è un vero ritorno al puro feudalesimo,
allo schiavismo, all'alienazione non più solo sociale ma
addirittura umana dell a persona. E' un ritorno a quel
periodo drammatico e buio del capitalismo industriale
fordista in cui fu istituito il cosidetto lavoro a
cottimo, dove l'operaio alla catena di montaggio doveva
solo produrre, aumentare la sua capacità di produzione,
senza alcuni filtri di protezione nell'utilizzo dei
macchinari: occorreva diminuire il tempo nel fatturato
dei prodotti, senza "perdere tempo" alcuno nel
predisporre misure di sicurezza. Ogni disposizione di
sicurezza per l'operaia e l'operaio era vista come fonte
di perdita di tempo, inutile costo e aggravio per le
casse dell'industria. Elio Petri
disegna con grande maestria neorealistica questo
inquietante scenario nel suo film "La
classe operaia va in Paradiso".
E' un problema di cultura non c'è dubbio alcuno: ma
l'informazione può giocare un ruolo importante di
denuncia, approntando dossier, definendo servizi, dando
spazio e visibilità a un'amara verità, affinchè chi
detiene il governo della cosa pu bblica possa esserne
scosso e provvedere a porre fine, una deadline, a questa
guerra civile senza territorio e senza eserciti: i mass
media devono provvedere a fare questo. Una guerra, è
questa, tutta interna alle contraddizioni di uno sviluppo
iniquo, che immola tutti i valori, in questo caso quello
della vita umana, in nome del totalizzante "dio
profitto": rimanere silenti come informazione, non
considerare questa tragedia, le sue implicazioni, le sue
cause, per rimuoverle, per porre un rimedio assoluto con
un'inversione politica totale, è un delitto di
altrettanta portata. John McMurtry,
sociologo antiliberista statunitense, parla di criterio
assoluto del profitto industriale, caratterizzante il
nuovo modello di sviluppo iperliberista dove l'"homo
aeconomicus" non è colui che,
come dovrebbe essere nel significato letterale del
termine, dimensiona il proprio istinto
"utilitaristico" al fine di risparmiare risorse
e inibire ogni aumento di conseguenze de rivanti dal
proprio arricchimento negative per la collettività , ma,
bensì, è colui il quale vuole aumentare la propria
ricchezza in modo indiscriminato e assoluto. Tutto
questo, come scrive McMurtry deve cessare e nuovi modelli
alternativi devono essere proposti per invertire una
tendenza del capitalismo a essere cancro
e male oscuro della società odierna.
L'informazione non può, se deve proporre gli interessi
collettivi e ricercare la verità, rimanere soggetta a
questa logica nefasta e ammorbante.
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