Nassiriya.
L'affaire Contini «Dove sono finiti i
soldi per la ricostruzione di Nassiriya?» E' la domanda
rivolta al presidente del consiglio Silvio Berlusconi con
una interrogazione parlamentare presentata ieri alla
camera dal presidente dei verdi Alfonso Pecoraro Scanio.
L'interrogativo nasce da un'intervista al governatore di
Nassiriya, Mohammed Sabri Hamid al Rumayad, trasmessa
martedì sera durante la trasmissione Ballarò e già
anticipata dal Corriere della sera il 13 dicembre scorso.
Il governatore di Nassiriya solleva gravi sospetti
sulla destinazione dei 15 milioni di dollari a
disposizione della ex governatrice Barbara Contini,
designata dalla Coalition provisional authority, per
ripristinare la rete fognaria e la rete di distribuzione
idrica. Il governatore sostiene che i 15 milioni di
dollari non sono stati spesi per i progetti civili cui
erano finalizzati. «Di fronte ad accuse così gravi -
sostiene Pecoraro Scanio - sarebbe indispensabile quanto
meno un'inchiesta amministrativa.
Se il governo non provvederà rapidamente a dare
una risposta soddisfacente, i Verdi presenteranno la
proposta di una commissione d'inchiesta parlamentare
sulla ricostruzione in Iraq». I sospetti espressi dal
governatore di Nassiriya sono sostanzialmente confermati
anche dalle testimonianze raccolte tra i rappresentanti
delle strutture provinciali di Dhi Qar da Marco Calamai,
già consigliere della Cpa a Nassiriya, prima che
arrivasse la Contini, e dimessosi polemicamente. Calamai,
in contatto con Nassiriya perché è ora impegnato in
progetti di cooperazione con l'università della
cittadina irachena, riferisce che gli «amministratori»
dei dipartimenti provinciali hanno contestato la visione
ottimistica data della Contini sia sulla quantità dei
soldi impegnati, in modo non trasparente, sia sulla
qualità dei progetti realizzati.
Gli italiani non hanno mantenuto le promesse, hanno fatto
ben poco, ci siamo sentiti ripetere spesso anche noi
dagli abitanti della cittadina dove sono installate
(bunkerizzate nella base di Tallil) le truppe italiane. E
non solo le truppe. Come si vedeva molto bene nel
servizio mandato in onda da Ballarò - la trasmissione di
Raitre - anche i civili della Cooperazione italiana sono
rinchiusi nella base militare, dove sono ammucchiati i
macchinari e le pompe che dovrebbero servire alla
distribuzione dell'acqua. I tecnici non escono per
problemi di sicurezza, ha detto uno di loro, nemmeno con
una scorta. Ed evidentemente non si fidano dei locali
visto che non distribuiscono questi macchinari, tranne
una pompa consegnata cerimoniosamente al governatore.
Conclusione: l'unica ricostruzione che gli italiani fanno
in Iraq è dentro la base militare di Tallil per poter
ospitare oltre ai soldati, cooperanti e giornalisti. E
«sarebbe gravissimo - sostiene il presidente dei Verdi -
se dopo la folle avventura militare in Iraq si scoprisse
che, nella peggiore tradizione degli anni bui della
nostra repubblica, anche in questo caso si stiano facendo
affari sulla cooperazione internazionale». E peraltro,
nel frattempo, la Contini si è già riciclata nel
Darfur.
ELETTRA DEIANA martedì 18 gennaio 2005 nella seduta n.570
DEIANA e PISA.
- Al Ministro degli affari esteri. -
Per sapere - premesso che:
nella trasmissione televisiva Ballarò del 21 dicembre
2004 è stata presentata un'intervista all'attuale
governatore di Nassirya, Mohammed
Sabri Hamid Al Rumayad in cui l'alto
funzionario, succeduto alla signora Barbara Contini,
designata dalla Coalition provisional authority
per la gestione della ricostruzione nella provincia di
Nassirya, ha sollevato gravi sospetti sulla reale
destinazione dei fondi, 15 milioni di dollari, a
disposizione della ex governatrice per ripristinare la
rete fognaria, la rete di distribuzione idrica e per la
ricostruzione degli edifici scolastici;
l'attuale governatore Mohammed Sabri sostiene infatti
nell'intervista, riportata anche da altre fonti
giornalistiche (il manifesto - 23
dicembre e il Corriere della sera -
13 dicembre), che niente di quanto previsto nel progetto
della ricostruzione in realtà è stato fatto. «Il
Governo della signora Contini non ci ha lasciato nulla. I
progetti erano confusi, senza alcun coordinamento con le
reali esigenze della zona... I cantieri affidati ad
appaltatori non attrezzati al compito»;
i sospetti espressi dal governatore di Nassirya sono
avvalorati anche da testimonianze raccolte tra i
rappresentanti delle strutture provinciali di Dhi Qar i
quali riferiscono come gli Amministratori dei
dipartimenti provinciali abbiano contestato anche in
precedenza la trasparenza dei progetti e la loro
realizzazione e dalla stessa la stessa popolazione, che
nel servizio di Ballarò, lamentava come le promesse di
ristrutturazione degli italiani non siano state affatto
mantenute;
l'unico progetto ben avviato e in piena esecuzione, come
evidenziava il servizio televisivo, risulta essere la
bunkerizzazione della base italiana di Tamil, che oltre
ai militari della missione «Nuova Babilonia» ospita
cooperanti e giornalisti italiani presenti nella zona e
impossibilitati ad allontanarsi dalla base per problemi
di sicurezza;
ilservizio metteva in evidenza come in alcuni degli
edifici della base vi fossero macchinari vari e le pompe
che avrebbero dovuto servire per la distribuzione
dell'acqua alla popolazione di Nassirya, ammucchiati e
abbandonati alla più completa incuria -:
quale fosse la cifra impegnata dall'Italia nella
ricostruzione e nei progetti su Nassirya, cosa è stato
effettivamente realizzato in tal senso e cosa abbia da
dire il Ministro in merito a come la ex governatrice
signora Contini, abbia impiegato i 15 milioni di dollari
stanziati. (3-04071)
NESSUNA RISPOSTA
E STATA FORMULATA.
MA CHI ERA BARBARA CONTINI
GOVERNATORE PRECEDENTE PER LITALIA A NASSIRIYA ?
10 Giugno
2004
E vero che Barbara
Contini fu nominata dagli americani allinsaputa
dellItalia? In 192 righe il governo non vuole
rispondere di Giorgio Frasca Polara
Immagino
sappiate tutti chi è Barbara Contini, la disinvolta
funzionaria milanese che un giorno - chissà come,
chissà perché - si è ritrovata governatrice della
provincia di Dhi Qar, in Irak, dove si è fatta una fama
poco lusinghiera e comunque di assoluto sgradimento da
parte degli irakeni e non solo. Un giorno (venerdì 27
febbraio di questanno) lUnità rivela che la
impegnativa nomina della Contini è stata fatta dagli
occupanti Usa senza nemmeno interpellare il governo
italiano che ha saputo della decisione americana a cose
fatte. E vero che è andata così? "Per sapere
se risponda a verità la notizia pubblicata
dallUnità
": è così che comincia una
secca interrogazione rivolta a Martino,
limpalpabile e americanissimo nostro ministro degli
Esteri, dal deputato indipendente di sinistra Nerio Nesi.
Ho detto secca: sette righe a stampa su mezza colonna nei
resoconti Camera di cento giorni addietro.
E dopo qualche mese (un primato di rapidità, in genere
passano semestri, e anche un annetto) è arrivata - ed è
stata pubblicata sugli atti della Camera a generale
edificazione - la risposta non del ministro ma del suo
sottosegretario Alfredo Luigi Mantica, An. Non
altrettanto secca: alle sette righe della domanda hanno
fatto fronte 192 (centonovantadue) righe a stampa su
mezza colonna, sugli stessi resoconti Camera.
Ma questo - la lunghezza spropositata: sarebbe bastato un
sì o un no - questo è niente. Il punto stupefacente, ma
anche francamente inammissibile, è il contenuto della
risposta. Vediamo. Anzitutto una sottolineatura che tanto
il consiglio di governo provvisorio quanto il gabinetto
interinale - i due organi irakeni che insieme
allautorità della coalizione degli invasori (CPA)
hanno in carico lamministrazione provvisoria del
paese - "annoverano tra i propri membri una
donna". Embè? Poi che "esiste una crescente
consapevolezza in seno ad alcune forze politiche irakene
che la tutela dei diritti delle donne rappresenta un
elemento fondamentale per la costruzione di un Iraq
sovrano, democratico e prospero". Hai capito, tu!
Quindi lannuncio che è stato aperto a Baghdad un
centro-donne, "il primo di nove centri che verranno
aperti in tutto lIraq per migliorare le condizioni
di vita e di lavoro delle irakene". Straordinario.
Ma la Contini da chi è stata nominata? E il governo
italiano ne ha saputo nulla? Un momento, non siamo
neppure a metà della risposta del governo. Che passa poi
a illustrare "la intensa attività dellItalia
a favore dei diritti delle donne e delluguaglianza
di genere". Che illustra le benemerite iniziative -
discorsi, appelli, congratulazioni e altre amenità
inutili come un raffreddore - della nostra ministra per
le Pari opportunità contro Ogni Forma di Discriminazione
contro le Donne (iniziali maiuscole, di rigore) della
Comunità internazionale.
E la Barbara Contini? 192 righe senza che il
sottosegretario Mantica ne citi il nome, o la qualifica,
e comunque dica se a nominarla sono stati gli americani e
se noi ne abbiamo saputo qualcosa se non a cose fatte.
Dove vai? Piglio pesci! Ma in questo caso, con tutto il
rispetto per il deputato interrogante, ad esser preso a
pesci in faccia (quei pesci, appunto) è stato Nerio
Nesi. Piena solidarietà a Nesi.
E
DALLA BARBARA CONTINI ARRIVIAMO ALLE TORTURE AMERICANE
DIRA VITTORIO AGNOLETTO :
Non è che io voglia abbattere
tutti i santini. Però finiamola con questa retorica, la
nostra eroe nazionale la Barbara Contini. La Barbara
Contini non lha nominata nessun italiano: è stata
nominata dallamministrazione americana. Perché ha
le caratteristiche, sperando - diciamo così se no mi
becco la denuncia - che avesse le caratteristiche delle
famose scimiette: Non vedo, non sento, non parlo.
Tantè vero che di fronte alla vicenda delle
torture dovè chiarissimo che i militari italiani
consegnavano i prigionieri o a Nassiriya dove
cerano iracheni a gestire la prigione o agli
inglesi a Bassora, nonostante si sapesse quello che
avveniva, nonostante le delegazioni, nonostante le
testimonianze, anche di carabinieri (Non so se avete
sentito su Popolare Network la testimonianza, tremenda,
di un carabiniere su quello che sapevano) lei non ha
ritenuto né di denunciare né di fare nulla per fermare.
A mio parere, chi sa e non interviene è complice sul
piano morale e politico di quello che è avvenuto. E
adesso è già chiaro che non ha intenzione di rientrare
il 30 giugno, che sta a vedere se riesce a rimanere come
manager nominato dallautorità americana.
CE
ANCHE UNALTRA INCHIESTA DI Irene Panozzo e
Stefano Liberti
Mercoledi' 1 Novembre 2006
Un ospedale che funziona a singhiozzo, un acquedotto
senz'acqua, un parco giochi circondato da filo spinato.
Questa è in sintesi l'eredità che Barbara Contini ha
lasciato in Darfur, la regione occidentale del Sudan,
prima come coordinatrice degli interventi umanitari della
cooperazione italiana, poi come responsabile
dell'International management group (Img), un organismo
internazionale finanziato anche dalla Farnesina. Quasi
due anni di lavoro durante i quali la raissa, sbarcata
tra le sabbie sudanesi dal precedente incarico di
governatore della provincia irachena di Dhi Qar, ha
gestito fondi, personale e progetti in modo del tutto
personalistico, bypassando le normali (e stabilite per
legge) procedure della Direzione generale per la
cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del Ministero degli
esteri italiano.
Oggi, cambiati il governo e i vertici della cooperazione,
si cerca di mettere un po' d'ordine in una situazione che
appare ancora assai intricata e densa di ombre. Una
missione esplorativa di tecnici è stata inviata dalla
Dgcs in Sudan, a fotografare la situazione e cercare di
mettere mano alle carte che mancano per capire come e
dove alcuni fondi sono stati spesi. In questo caso, si
tratta di una novità assoluta: la missione è diventata
possibile solo negli ultimi tempi, visto che fino a
qualche mese fa ogni tentativo di verifica veniva
sistematicamente bloccato dall'alto. Il rapporto finale
non è ancora concluso, ma indiscrezioni raccontano di
scarsi risultati a lungo termine, soprattutto se
paragonati ai soldi erogati (10 milioni di euro su due
anni), di una gestione dei progetti mirata più alla
visibilità di Contini che alla sostenibilità. E di una
interpretazione quanto mai allegra del proprio ruolo di
responsabile della cooperazione.
Una
decisione presa in sette minuti
Siamo nell'autunno del
2004. La leggenda, tramandata dalla diretta interessata,
narra che il suo incarico viene inventato in sette minuti
da Gianni Letta, Umberto Vattani e Giuseppe Deodato,
all'epoca rispettivamente sottosegretario alla Presidenza
del consiglio, segretario generale del Ministero degli
esteri e direttore generale della cooperazione allo
sviluppo. I tre, con il placet di Silvio Berlusconi,
avrebbero deciso di inviare l'ex governatrice di
Nassiriya nella regione sudanese «perché non volevano
perdermi», secondo quanto ha più volte raccontato
l'inossidabile Contini. Ma già sul mandato la chiarezza
è poca. Inviato straordinario del governo, come lei
stessa ama definirsi? Semplice esperto esterno di
cooperazione, come risulta dalla sua scheda alla
Farnesina? Fatto sta che Contini si accredita sul campo
come mediatrice; incontra e stringe rapporti con i
ribelli del Sudan's liberation movement/army (Slm/a).
Va addirittura ad Abuja, in
Nigeria, sede dei negoziati tra guerriglieri e governo
mediati dall'Unione Africana, salvo essere richiamata
frettolosamente da una Farnesina sempre più irritata e
imbarazzata dalle sue «private iniziative». Nel
frattempo, nel febbraio 2005, la «lady di ferro» sbarca
a Sanremo e lancia la campagna per raccogliere fondi per
un ospedale da costruirsi alla periferia di Nyala. Si
chiamerà - annuncia Paolo Bonolis dal palco dell'Ariston
- Avamposto 55, in onore del 55esimo Festival della
musica italiana.
Oggi Avamposto 55 spicca maestoso tra le sabbie. Ma è
chiuso. O meglio, funziona a sprazzi. Nei cinque giorni
in cui sono rimasti a Nyala, i tecnici della missione non
sono riusciti a vederlo aperto, nonostante i ripetuti
tentativi. È la fine del ramadan: tutto scorre più
lentamente e anche l'ospedale si adegua ai ritmi imposti
dalla festa. Ma anche in tempi normali pare che la
struttura sia in attività a regime ridotto solo per le
poche ore della mattina. «Quando sono arrivata mi era
stato detto che avremmo dovuto aprire un ospedale
generale», racconta la dottoressa Pina Garau, esperto
della cooperazione italiana in Darfur dal febbraio al 29
aprile 2006, quando è stata costretta da Contini ad
andarsene, finendo il suo mandato a Kassala,
nellest del paese. «In realtà, per il budget di
cui io era conoscenza - continua Garau - si poteva
predisporre un day hospital materno infantile e un centro
nutrizionale, apportando le opportune modifiche alla
struttura». Ma non è stato fatto neanche questo. E,
alla fine, la struttura è diventata operativa solo come
ambulatorio.
La
colletta al festival di Sanremo
Dopo un inizio positivo,
i rapporti tra Contini e Garau si rovinano velocemente.
«Uno dei motivi di scontro - racconta la dottoressa - è
stato l'accordo tecnico che dovevamo concordare con il
ministero della sanità sudanese per poter aprire
l'ospedale. Contini ha continuato a rimandare la cosa».
Motivo: una difficoltà nello scegliere sotto quale
etichetta far rientrare il progetto. Una domanda rimane
in effetti ancora senza risposta. Per chi lavora Barbara
Contini in questo momento? La sua missione con la
cooperazione allo sviluppo è finita formalmente il 31
dicembre 2005, nonostante lei continui ad accreditarsi
come inviato speciale del governo. Dal sito dell'Img,
risulta invece responsabile per il Sudan
dell'organizzazione, che però non è registrata nel
paese africano e non compare da nessuna parte. La
confusione è grande. Anche perché in realtà Img un
ruolo ce l'ha ed è legato a un'altra situazione poco
chiara, quella che riguarda i finanziamenti con cui
Avamposto 55 è stato costruito.
Anche in questo caso, come già per la questione del
mandato, le versioni sono discordanti. Quanto Contini
ripete a ogni occasione fa a pugni con quanto emerge
dalle carte e dai corridoi della Dgcs. La raissa
ribadisce ormai da quasi un anno di aver costruito
Avamposto 55 solo con fondi privati, per metà raccolti a
Sanremo, attraverso l'autotassazione di Bonolis, degli
artisti e della Rai, e per l'altra metà giunti «da
altre persone che mi sono state vicine». Ma le cose
stanno diversamente. Accanto ai 250mila euro del
Festival, i soldi utilizzati per costruire l'ospedale
sono stati messi a disposizione dall'Img che li aveva
ricevuti, sotto forma di contributi volontari, dalla
stessa cooperazione italiana.
La questione si è complicata ulteriormente negli ultimi
mesi. Perché in vista della fine del suo contratto con
Img, Contini ha pensato bene di creare una fondazione
italo-sudanese senza scopi di lucro a cui affidare la
gestione dell'ospedale. Il tutto senza interpellare il
ministero degli esteri o la cooperazione italiani, le cui
insegne capeggiavano su Avamposto 55 fino a non molto
tempo fa. Ora sono sparite, sostituite in tutta fretta da
targhe che portano il nome della fondazione, di cui fanno
parte, oltre ad alcuni cittadini italiani, anche il
governatore e il ministro della sanità del Sud Darfur e
lo sheikh della principale confraternita islamica della
regione, a cui appartiene il terreno su cui Avamposto 55
è stato costruito. Personalità pubbliche, dunque, che
però intervengono nell'impresa a titolo meramente
privato. Con il rischio, secondo fonti interne alla
Farnesina, che tra un anno o due i notabili sudanesi
coinvolti nell'operazione decidano di trasformare un
ospedale costruito anche con fondi pubblici italiani in
una clinica privata.
Tra gestione poco chiara dei fondi, commistione tra
pubblico e privato e assenza degli standard minimi di un
ambiente sanitario è ormai chiaro come Avamposto 55 sia
nato sotto i peggiori auspici. Ma la cosa non riguarda
solo questo progetto, sicuramente il più controverso.
Anche negli altri, quelli in cui la gestione da parte
della cooperazione italiana è stata diretta, le zone
d'ombra e le inefficienze rimangono. Un esempio è
l'acquedotto di Kass, altra opera che sulla carta
potrebbe contribuire a migliorare gli standard di vita
della popolazione ma che non è mai stato messo in
funzione. Anzi no, per la verità un giorno ha
funzionato. Era metà dicembre 2005 e l'allora direttore
generale della Dgcs Giuseppe Deodato era in visita in
Darfur, per l'inaugurazione di tutti i progetti targati
cooperazione italiana. Quel giorno l'acqua è arrivata,
grazie a un raccordo con l'acquedotto preesistente creato
per l'occasione e poi prontamente eliminato. Dopo
quell'effimero exploit l'acquedotto di Kass, anche se
formalmente concluso e operante, è asciutto come e più
del deserto circostante. E i venticinque punti di
distribuzione, mai utilizzati, iniziano già a mostrare i
segni del tempo. C'è poi il «playground» di Garba
Intifada, poco fuori Nyala. Uno scivolo e due altalene
colorate troneggiano tristi dietro un muro di filo
spinato. I bimbi del luogo, distratti probabilmente da
altre priorità, non sembrano aver mai avuto accesso a
questo parco giochi. Forse anche perché la vicina
scuola, sempre costruita dalla cooperazione targata
Contini, fino a qualche mese fa non era ancora in
funzione.
I
tank rubati allUnicef
Ma la smania di mostrare
i risultati del proprio operato ha raggiunto l'apice con
un'altra opera idrica. Cinque tank per la raccolta
dell'acqua, che da dicembre scorso portano sul fianco, in
bella mostra, il logo della cooperazione italiana. Ma che
in realtà sono stati donati anni fa dalla cooperazione
giordana e poi recentemente riabilitati dall'Unicef. La
mossa, fatta sempre in vista dell'arrivo di Deodato, non
ha certo contribuito a riabilitare il nome dell'Italia in
Darfur, già messo in ombra della gestione personalista
di Contini e dalle ricorrenti voci che circolano negli
ambienti internazionali di Nyala e che parlano di
presunte strette collaborazioni con lo Slm/a - tanto che
uno dei leader ribelli sarebbe stato visto aggirarsi per
le strade della città su una macchina della cooperazione
italiana - e di non meglio specificate «attività
misteriose».
Contini continua instancabile a raccogliere fondi per il
«suo» ospedale: solo l'altro ieri, al teatro Argentina
di Roma, ha partecipato a una serata di beneficenza
organizzata dall'ong «Donne e non solo» in favore di
Avamposto 55. Tra abiti da sera e immagini strazianti di
bambini sudanesi, la «lady di ferro» ha magnificato le
sorti del suo operato, dichiarando tra l'altro di «non
essere abituata a lasciare le cose a metà». Ma lo
sapranno le donne di «Donne e non solo» che l'ospedale
pediatrico che si sono impegnate a sostenere «per
aiutare i bambini a nascere e a crescere» non è altro
che una cattedrale nel deserto?
E DAL
QUOTIDIANO - IL MANIFESTO - UNA INTERESSANTE INTERVISTA :
CASO DARFUR-CONTINI, INTERVISTA
A PATRIZIA
SENTINELLI 1/11/06
Patrizia Sentinelli viceministro degli affari
esteri con delega per la cooperazione internazionale e
l'Africa sub-sahariana, risponde alle domande sulla
missione della Dgcs in Darfur
Irene Panozzo e Stefano Liberti
Mercoledi' 1 Novembre 2006
Viceministra degli affari esteri, Patrizia
Sentinelli ha la delega per la cooperazione
internazionale e lAfrica sub-sahariana. Le abbiamo
rivolto qualche domanda sulla missione della Direzione
generale della cooperazione allo sviluppo in Darfur e
sugli orientamenti futuri del suo ufficio.
Viceministra, come
è maturata lidea di mandare una missione di
tecnici in Darfur? È forse sotto processo
loperato di Barbara Contini?
Nel momento in cui abbiamo preso funzione,
abbiamo esaminato i progetti portati avanti dalla
cooperazione italiana in tutto il mondo. Ebbene, quando
ci siamo imbattuti nel Sudan, abbiamo riscontrato alcune
cose che ci risultavano poco chiare. E per questo
che abbiamo disposto una missione esplorativa di tecnici.
Vogliamo capire qual è la situazione sul terreno, che
cosa si è fatto con i soldi dei contribuenti italiani.
Adesso, siamo in attesa dei risultati. Se necessario, si
farà anche unaltra missione.
Che giudizio
dà della commistione fra fondi pubblici e privati che si
è venuta a creare in Darfur, in particolare
sullospedale Avamposto 55 a Nyala?
Non posso dare un giudizio preciso, perché
non ho ancora visto le carte. Non so qual è la
percentuale di fondi pubblici e quale quella di fondi
privati che sono state utilizzate nella struttura. La
direzione generale della cooperazione sta indagando.
Darà un giudizio tecnico. A questo seguirà il nostro
giudizio politico.
Parte dei
fondi della cooperazione italiana in Darfur sono stati
erogati allInternational management group (Img), di
cui Barbara Contini risulta essere il responsabile paese
per il Sudan. Quali sono i rapporti tra la Farnesina e
lImg?
LImg è un organismo che aveva
stretti rapporti con i precedenti vertici della direzione
generale. Questa collaborazione è cosa del passato.
Barbara Contini
continua a dire pubblicamente che è stata inviata del
governo italiano fino alla metà di ottobre 2006. Le
risulta?
Il mandato della dottoressa Contini è
venuto a scadenza al 31 dicembre 2005. Da allora, non ha
alcun coinvolgimento diretto con il Ministero degli
affari esteri.
Dopo
lesperienza Contini, la cooperazione italiana
continuerà a operare in Darfur?
Assolutamente si. Il nostro obiettivo è
avere una mappatura chiara dello stato dei progetti di
cooperazione già attivati in modo da valutare i migliori
interventi possibili nella regione e in tutto il Sudan.
Lattenzione politica è testimoniata anche dal
fatto che nel mio ultimo viaggio in Sudan ho potuto
annunciare lo stanziamento di 7,5 milioni di euro in
favore del Darfur che è stato deliberato ufficialmente
nel corso dellultimo comitato direzionale svoltosi
in Farnesina il 9 ottobre scorso.
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