Nassiriya. L'affaire Contini

«Dove sono finiti i soldi per la ricostruzione di Nassiriya?» E' la domanda rivolta al presidente del consiglio Silvio Berlusconi con una interrogazione parlamentare presentata ieri alla camera dal presidente dei verdi Alfonso Pecoraro Scanio. L'interrogativo nasce da un'intervista al governatore di Nassiriya, Mohammed Sabri Hamid al Rumayad, trasmessa martedì sera durante la trasmissione Ballarò e già anticipata dal Corriere della sera il 13 dicembre scorso.

Il governatore di Nassiriya solleva gravi sospetti sulla destinazione dei 15 milioni di dollari a disposizione della ex governatrice Barbara Contini, designata dalla Coalition provisional authority, per ripristinare la rete fognaria e la rete di distribuzione idrica. Il governatore sostiene che i 15 milioni di dollari non sono stati spesi per i progetti civili cui erano finalizzati. «Di fronte ad accuse così gravi - sostiene Pecoraro Scanio - sarebbe indispensabile quanto meno un'inchiesta amministrativa.

Se il governo non provvederà rapidamente a dare una risposta soddisfacente, i Verdi presenteranno la proposta di una commissione d'inchiesta parlamentare sulla ricostruzione in Iraq». I sospetti espressi dal governatore di Nassiriya sono sostanzialmente confermati anche dalle testimonianze raccolte tra i rappresentanti delle strutture provinciali di Dhi Qar da Marco Calamai, già consigliere della Cpa a Nassiriya, prima che arrivasse la Contini, e dimessosi polemicamente. Calamai, in contatto con Nassiriya perché è ora impegnato in progetti di cooperazione con l'università della cittadina irachena, riferisce che gli «amministratori» dei dipartimenti provinciali hanno contestato la visione ottimistica data della Contini sia sulla quantità dei soldi impegnati, in modo non trasparente, sia sulla qualità dei progetti realizzati.

Gli italiani non hanno mantenuto le promesse, hanno fatto ben poco, ci siamo sentiti ripetere spesso anche noi dagli abitanti della cittadina dove sono installate (bunkerizzate nella base di Tallil) le truppe italiane. E non solo le truppe. Come si vedeva molto bene nel servizio mandato in onda da Ballarò - la trasmissione di Raitre - anche i civili della Cooperazione italiana sono rinchiusi nella base militare, dove sono ammucchiati i macchinari e le pompe che dovrebbero servire alla distribuzione dell'acqua. I tecnici non escono per problemi di sicurezza, ha detto uno di loro, nemmeno con una scorta. Ed evidentemente non si fidano dei locali visto che non distribuiscono questi macchinari, tranne una pompa consegnata cerimoniosamente al governatore.

Conclusione: l'unica ricostruzione che gli italiani fanno in Iraq è dentro la base militare di Tallil per poter ospitare oltre ai soldati, cooperanti e giornalisti. E «sarebbe gravissimo - sostiene il presidente dei Verdi - se dopo la folle avventura militare in Iraq si scoprisse che, nella peggiore tradizione degli anni bui della nostra repubblica, anche in questo caso si stiano facendo affari sulla cooperazione internazionale». E peraltro, nel frattempo, la Contini si è già riciclata nel Darfur.

ELETTRA DEIANA martedì 18 gennaio 2005 nella seduta n.570

DEIANA e PISA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:



nella trasmissione televisiva Ballarò del 21 dicembre 2004 è stata presentata un'intervista all'attuale governatore di Nassirya,
Mohammed Sabri Hamid Al Rumayad in cui l'alto funzionario, succeduto alla signora Barbara Contini, designata dalla Coalition provisional authority per la gestione della ricostruzione nella provincia di Nassirya, ha sollevato gravi sospetti sulla reale destinazione dei fondi, 15 milioni di dollari, a disposizione della ex governatrice per ripristinare la rete fognaria, la rete di distribuzione idrica e per la ricostruzione degli edifici scolastici;



l'attuale governatore Mohammed Sabri sostiene infatti nell'intervista, riportata anche da altre fonti giornalistiche (
il manifesto - 23 dicembre e il Corriere della sera - 13 dicembre), che niente di quanto previsto nel progetto della ricostruzione in realtà è stato fatto. «Il Governo della signora Contini non ci ha lasciato nulla. I progetti erano confusi, senza alcun coordinamento con le reali esigenze della zona... I cantieri affidati ad appaltatori non attrezzati al compito»;



i sospetti espressi dal governatore di Nassirya sono avvalorati anche da testimonianze raccolte tra i rappresentanti delle strutture provinciali di Dhi Qar i quali riferiscono come gli Amministratori dei dipartimenti provinciali abbiano contestato anche in precedenza la trasparenza dei progetti e la loro realizzazione e dalla stessa la stessa popolazione, che nel servizio di Ballarò, lamentava come le promesse di ristrutturazione degli italiani non siano state affatto mantenute;



l'unico progetto ben avviato e in piena esecuzione, come evidenziava il servizio televisivo, risulta essere la bunkerizzazione della base italiana di Tamil, che oltre ai militari della missione «Nuova Babilonia» ospita cooperanti e giornalisti italiani presenti nella zona e impossibilitati ad allontanarsi dalla base per problemi di sicurezza;

ilservizio metteva in evidenza come in alcuni degli edifici della base vi fossero macchinari vari e le pompe che avrebbero dovuto servire per la distribuzione dell'acqua alla popolazione di Nassirya, ammucchiati e abbandonati alla più completa incuria -:



quale fosse la cifra impegnata dall'Italia nella ricostruzione e nei progetti su Nassirya, cosa è stato effettivamente realizzato in tal senso e cosa abbia da dire il Ministro in merito a come la ex governatrice signora Contini, abbia impiegato i 15 milioni di dollari stanziati. (3-04071)

NESSUNA RISPOSTA E’ STATA FORMULATA.

MA CHI ERA BARBARA CONTINI GOVERNATORE PRECEDENTE PER L’ITALIA A NASSIRIYA ?

10 Giugno 2004



E’ vero che Barbara Contini fu nominata dagli americani all’insaputa dell’Italia? In 192 righe il governo non vuole rispondere di Giorgio Frasca Polara

Immagino sappiate tutti chi è Barbara Contini, la disinvolta funzionaria milanese che un giorno - chissà come, chissà perché - si è ritrovata governatrice della provincia di Dhi Qar, in Irak, dove si è fatta una fama poco lusinghiera e comunque di assoluto sgradimento da parte degli irakeni e non solo. Un giorno (venerdì 27 febbraio di quest’anno) l’Unità rivela che la impegnativa nomina della Contini è stata fatta dagli occupanti Usa senza nemmeno interpellare il governo italiano che ha saputo della decisione americana a cose fatte. E’ vero che è andata così? "Per sapere se risponda a verità la notizia pubblicata dall’Unità…": è così che comincia una secca interrogazione rivolta a Martino, l’impalpabile e americanissimo nostro ministro degli Esteri, dal deputato indipendente di sinistra Nerio Nesi. Ho detto secca: sette righe a stampa su mezza colonna nei resoconti Camera di cento giorni addietro.

E dopo qualche mese (un primato di rapidità, in genere passano semestri, e anche un annetto) è arrivata - ed è stata pubblicata sugli atti della Camera a generale edificazione - la risposta non del ministro ma del suo sottosegretario
Alfredo Luigi Mantica, An. Non altrettanto secca: alle sette righe della domanda hanno fatto fronte 192 (centonovantadue) righe a stampa su mezza colonna, sugli stessi resoconti Camera.

Ma questo - la lunghezza spropositata: sarebbe bastato un sì o un no - questo è niente. Il punto stupefacente, ma anche francamente inammissibile, è il contenuto della risposta. Vediamo. Anzitutto una sottolineatura che tanto il consiglio di governo provvisorio quanto il gabinetto interinale - i due organi irakeni che insieme all’autorità della coalizione degli invasori (CPA) hanno in carico l’amministrazione provvisoria del paese - "annoverano tra i propri membri una donna". Embè? Poi che "esiste una crescente consapevolezza in seno ad alcune forze politiche irakene che la tutela dei diritti delle donne rappresenta un elemento fondamentale per la costruzione di un Iraq sovrano, democratico e prospero". Hai capito, tu! Quindi l’annuncio che è stato aperto a Baghdad un centro-donne, "il primo di nove centri che verranno aperti in tutto l’Iraq per migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle irakene". Straordinario.



Ma la Contini da chi è stata nominata? E il governo italiano ne ha saputo nulla? Un momento, non siamo neppure a metà della risposta del governo. Che passa poi a illustrare "la intensa attività dell’Italia a favore dei diritti delle donne e dell’uguaglianza di genere". Che illustra le benemerite iniziative - discorsi, appelli, congratulazioni e altre amenità inutili come un raffreddore - della nostra ministra per le Pari opportunità contro Ogni Forma di Discriminazione contro le Donne (iniziali maiuscole, di rigore) della Comunità internazionale.



E la Barbara Contini? 192 righe senza che il sottosegretario Mantica ne citi il nome, o la qualifica, e comunque dica se a nominarla sono stati gli americani e se noi ne abbiamo saputo qualcosa se non a cose fatte. Dove vai? Piglio pesci! Ma in questo caso, con tutto il rispetto per il deputato interrogante, ad esser preso a pesci in faccia (quei pesci, appunto) è stato Nerio Nesi. Piena solidarietà a Nesi.

E DALLA BARBARA CONTINI ARRIVIAMO ALLE TORTURE AMERICANE DIRA’ VITTORIO AGNOLETTO :

Non è che io voglia abbattere tutti i santini. Però finiamola con questa retorica, la nostra eroe nazionale la Barbara Contini. La Barbara Contini non l’ha nominata nessun italiano: è stata nominata dall’amministrazione americana. Perché ha le caratteristiche, sperando - diciamo così se no mi becco la denuncia - che avesse le caratteristiche delle famose scimiette: Non vedo, non sento, non parlo. Tant’è vero che di fronte alla vicenda delle torture dov’è chiarissimo che i militari italiani consegnavano i prigionieri o a Nassiriya dove c’erano iracheni a gestire la prigione o agli inglesi a Bassora, nonostante si sapesse quello che avveniva, nonostante le delegazioni, nonostante le testimonianze, anche di carabinieri (Non so se avete sentito su Popolare Network la testimonianza, tremenda, di un carabiniere su quello che sapevano) lei non ha ritenuto né di denunciare né di fare nulla per fermare. A mio parere, chi sa e non interviene è complice sul piano morale e politico di quello che è avvenuto. E adesso è già chiaro che non ha intenzione di rientrare il 30 giugno, che sta a vedere se riesce a rimanere come manager nominato dall’autorità americana.

C’E’ ANCHE UN’ALTRA INCHIESTA DI Irene Panozzo e Stefano Liberti

Mercoledi' 1 Novembre 2006



Un ospedale che funziona a singhiozzo, un acquedotto senz'acqua, un parco giochi circondato da filo spinato. Questa è in sintesi l'eredità che Barbara Contini ha lasciato in Darfur, la regione occidentale del Sudan, prima come coordinatrice degli interventi umanitari della cooperazione italiana, poi come responsabile dell'International management group (Img), un organismo internazionale finanziato anche dalla Farnesina. Quasi due anni di lavoro durante i quali la raissa, sbarcata tra le sabbie sudanesi dal precedente incarico di governatore della provincia irachena di Dhi Qar, ha gestito fondi, personale e progetti in modo del tutto personalistico, bypassando le normali (e stabilite per legge) procedure della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (Dgcs) del Ministero degli esteri italiano.


Oggi, cambiati il governo e i vertici della cooperazione, si cerca di mettere un po' d'ordine in una situazione che appare ancora assai intricata e densa di ombre. Una missione esplorativa di tecnici è stata inviata dalla Dgcs in Sudan, a fotografare la situazione e cercare di mettere mano alle carte che mancano per capire come e dove alcuni fondi sono stati spesi. In questo caso, si tratta di una novità assoluta: la missione è diventata possibile solo negli ultimi tempi, visto che fino a qualche mese fa ogni tentativo di verifica veniva sistematicamente bloccato dall'alto. Il rapporto finale non è ancora concluso, ma indiscrezioni raccontano di scarsi risultati a lungo termine, soprattutto se paragonati ai soldi erogati (10 milioni di euro su due anni), di una gestione dei progetti mirata più alla visibilità di Contini che alla sostenibilità. E di una interpretazione quanto mai allegra del proprio ruolo di responsabile della cooperazione.



Una decisione presa in sette minuti


Siamo nell'autunno del 2004. La leggenda, tramandata dalla diretta interessata, narra che il suo incarico viene inventato in sette minuti da Gianni Letta, Umberto Vattani e Giuseppe Deodato, all'epoca rispettivamente sottosegretario alla Presidenza del consiglio, segretario generale del Ministero degli esteri e direttore generale della cooperazione allo sviluppo. I tre, con il placet di Silvio Berlusconi, avrebbero deciso di inviare l'ex governatrice di Nassiriya nella regione sudanese «perché non volevano perdermi», secondo quanto ha più volte raccontato l'inossidabile Contini. Ma già sul mandato la chiarezza è poca. Inviato straordinario del governo, come lei stessa ama definirsi? Semplice esperto esterno di cooperazione, come risulta dalla sua scheda alla Farnesina? Fatto sta che Contini si accredita sul campo come mediatrice; incontra e stringe rapporti con i ribelli del Sudan's liberation movement/army (Slm/a).

Va addirittura ad Abuja, in Nigeria, sede dei negoziati tra guerriglieri e governo mediati dall'Unione Africana, salvo essere richiamata frettolosamente da una Farnesina sempre più irritata e imbarazzata dalle sue «private iniziative». Nel frattempo, nel febbraio 2005, la «lady di ferro» sbarca a Sanremo e lancia la campagna per raccogliere fondi per un ospedale da costruirsi alla periferia di Nyala. Si chiamerà - annuncia Paolo Bonolis dal palco dell'Ariston - Avamposto 55, in onore del 55esimo Festival della musica italiana.


Oggi Avamposto 55 spicca maestoso tra le sabbie. Ma è chiuso. O meglio, funziona a sprazzi. Nei cinque giorni in cui sono rimasti a Nyala, i tecnici della missione non sono riusciti a vederlo aperto, nonostante i ripetuti tentativi. È la fine del ramadan: tutto scorre più lentamente e anche l'ospedale si adegua ai ritmi imposti dalla festa. Ma anche in tempi normali pare che la struttura sia in attività a regime ridotto solo per le poche ore della mattina. «Quando sono arrivata mi era stato detto che avremmo dovuto aprire un ospedale generale», racconta la dottoressa Pina Garau, esperto della cooperazione italiana in Darfur dal febbraio al 29 aprile 2006, quando è stata costretta da Contini ad andarsene, finendo il suo mandato a Kassala, nell’est del paese. «In realtà, per il budget di cui io era conoscenza - continua Garau - si poteva predisporre un day hospital materno infantile e un centro nutrizionale, apportando le opportune modifiche alla struttura». Ma non è stato fatto neanche questo. E, alla fine, la struttura è diventata operativa solo come ambulatorio.

La colletta al festival di Sanremo


Dopo un inizio positivo, i rapporti tra Contini e Garau si rovinano velocemente. «Uno dei motivi di scontro - racconta la dottoressa - è stato l'accordo tecnico che dovevamo concordare con il ministero della sanità sudanese per poter aprire l'ospedale. Contini ha continuato a rimandare la cosa». Motivo: una difficoltà nello scegliere sotto quale etichetta far rientrare il progetto. Una domanda rimane in effetti ancora senza risposta. Per chi lavora Barbara Contini in questo momento? La sua missione con la cooperazione allo sviluppo è finita formalmente il 31 dicembre 2005, nonostante lei continui ad accreditarsi come inviato speciale del governo. Dal sito dell'Img, risulta invece responsabile per il Sudan dell'organizzazione, che però non è registrata nel paese africano e non compare da nessuna parte. La confusione è grande. Anche perché in realtà Img un ruolo ce l'ha ed è legato a un'altra situazione poco chiara, quella che riguarda i finanziamenti con cui Avamposto 55 è stato costruito.


Anche in questo caso, come già per la questione del mandato, le versioni sono discordanti. Quanto Contini ripete a ogni occasione fa a pugni con quanto emerge dalle carte e dai corridoi della Dgcs. La raissa ribadisce ormai da quasi un anno di aver costruito Avamposto 55 solo con fondi privati, per metà raccolti a Sanremo, attraverso l'autotassazione di Bonolis, degli artisti e della Rai, e per l'altra metà giunti «da altre persone che mi sono state vicine». Ma le cose stanno diversamente. Accanto ai 250mila euro del Festival, i soldi utilizzati per costruire l'ospedale sono stati messi a disposizione dall'Img che li aveva ricevuti, sotto forma di contributi volontari, dalla stessa cooperazione italiana.


La questione si è complicata ulteriormente negli ultimi mesi. Perché in vista della fine del suo contratto con Img, Contini ha pensato bene di creare una fondazione italo-sudanese senza scopi di lucro a cui affidare la gestione dell'ospedale. Il tutto senza interpellare il ministero degli esteri o la cooperazione italiani, le cui insegne capeggiavano su Avamposto 55 fino a non molto tempo fa. Ora sono sparite, sostituite in tutta fretta da targhe che portano il nome della fondazione, di cui fanno parte, oltre ad alcuni cittadini italiani, anche il governatore e il ministro della sanità del Sud Darfur e lo sheikh della principale confraternita islamica della regione, a cui appartiene il terreno su cui Avamposto 55 è stato costruito. Personalità pubbliche, dunque, che però intervengono nell'impresa a titolo meramente privato. Con il rischio, secondo fonti interne alla Farnesina, che tra un anno o due i notabili sudanesi coinvolti nell'operazione decidano di trasformare un ospedale costruito anche con fondi pubblici italiani in una clinica privata.


Tra gestione poco chiara dei fondi, commistione tra pubblico e privato e assenza degli standard minimi di un ambiente sanitario è ormai chiaro come Avamposto 55 sia nato sotto i peggiori auspici. Ma la cosa non riguarda solo questo progetto, sicuramente il più controverso. Anche negli altri, quelli in cui la gestione da parte della cooperazione italiana è stata diretta, le zone d'ombra e le inefficienze rimangono. Un esempio è l'acquedotto di Kass, altra opera che sulla carta potrebbe contribuire a migliorare gli standard di vita della popolazione ma che non è mai stato messo in funzione. Anzi no, per la verità un giorno ha funzionato. Era metà dicembre 2005 e l'allora direttore generale della Dgcs Giuseppe Deodato era in visita in Darfur, per l'inaugurazione di tutti i progetti targati cooperazione italiana. Quel giorno l'acqua è arrivata, grazie a un raccordo con l'acquedotto preesistente creato per l'occasione e poi prontamente eliminato. Dopo quell'effimero exploit l'acquedotto di Kass, anche se formalmente concluso e operante, è asciutto come e più del deserto circostante. E i venticinque punti di distribuzione, mai utilizzati, iniziano già a mostrare i segni del tempo. C'è poi il «playground» di Garba Intifada, poco fuori Nyala. Uno scivolo e due altalene colorate troneggiano tristi dietro un muro di filo spinato. I bimbi del luogo, distratti probabilmente da altre priorità, non sembrano aver mai avuto accesso a questo parco giochi. Forse anche perché la vicina scuola, sempre costruita dalla cooperazione targata Contini, fino a qualche mese fa non era ancora in funzione.



I tank rubati all’Unicef


Ma la smania di mostrare i risultati del proprio operato ha raggiunto l'apice con un'altra opera idrica. Cinque tank per la raccolta dell'acqua, che da dicembre scorso portano sul fianco, in bella mostra, il logo della cooperazione italiana. Ma che in realtà sono stati donati anni fa dalla cooperazione giordana e poi recentemente riabilitati dall'Unicef. La mossa, fatta sempre in vista dell'arrivo di Deodato, non ha certo contribuito a riabilitare il nome dell'Italia in Darfur, già messo in ombra della gestione personalista di Contini e dalle ricorrenti voci che circolano negli ambienti internazionali di Nyala e che parlano di presunte strette collaborazioni con lo Slm/a - tanto che uno dei leader ribelli sarebbe stato visto aggirarsi per le strade della città su una macchina della cooperazione italiana - e di non meglio specificate «attività misteriose».


Contini continua instancabile a raccogliere fondi per il «suo» ospedale: solo l'altro ieri, al teatro Argentina di Roma, ha partecipato a una serata di beneficenza organizzata dall'ong «Donne e non solo» in favore di Avamposto 55. Tra abiti da sera e immagini strazianti di bambini sudanesi, la «lady di ferro» ha magnificato le sorti del suo operato, dichiarando tra l'altro di «non essere abituata a lasciare le cose a metà». Ma lo sapranno le donne di «Donne e non solo» che l'ospedale pediatrico che si sono impegnate a sostenere «per aiutare i bambini a nascere e a crescere» non è altro che una cattedrale nel deserto?

E DAL QUOTIDIANO - IL MANIFESTO - UNA INTERESSANTE INTERVISTA :

CASO DARFUR-CONTINI, INTERVISTA A PATRIZIA SENTINELLI 1/11/06

Patrizia Sentinelli viceministro degli affari esteri con delega per la cooperazione internazionale e l'Africa sub-sahariana, risponde alle domande sulla missione della Dgcs in Darfur

Irene Panozzo e Stefano Liberti

Mercoledi' 1 Novembre 2006


Viceministra degli affari esteri, Patrizia Sentinelli ha la delega per la cooperazione internazionale e l’Africa sub-sahariana. Le abbiamo rivolto qualche domanda sulla missione della Direzione generale della cooperazione allo sviluppo in Darfur e sugli orientamenti futuri del suo ufficio.

Viceministra, come è maturata l’idea di mandare una missione di tecnici in Darfur? È forse sotto processo l’operato di Barbara Contini?


Nel momento in cui abbiamo preso funzione, abbiamo esaminato i progetti portati avanti dalla cooperazione italiana in tutto il mondo. Ebbene, quando ci siamo imbattuti nel Sudan, abbiamo riscontrato alcune cose che ci risultavano poco chiare. E’ per questo che abbiamo disposto una missione esplorativa di tecnici. Vogliamo capire qual è la situazione sul terreno, che cosa si è fatto con i soldi dei contribuenti italiani. Adesso, siamo in attesa dei risultati. Se necessario, si farà anche un’altra missione.



Che giudizio dà della commistione fra fondi pubblici e privati che si è venuta a creare in Darfur, in particolare sull’ospedale Avamposto 55 a Nyala?


Non posso dare un giudizio preciso, perché non ho ancora visto le carte. Non so qual è la percentuale di fondi pubblici e quale quella di fondi privati che sono state utilizzate nella struttura. La direzione generale della cooperazione sta indagando. Darà un giudizio tecnico. A questo seguirà il nostro giudizio politico.



Parte dei fondi della cooperazione italiana in Darfur sono stati erogati all’International management group (Img), di cui Barbara Contini risulta essere il responsabile paese per il Sudan. Quali sono i rapporti tra la Farnesina e l’Img?


L’Img è un organismo che aveva stretti rapporti con i precedenti vertici della direzione generale. Questa collaborazione è cosa del passato.

Barbara Contini continua a dire pubblicamente che è stata inviata del governo italiano fino alla metà di ottobre 2006. Le risulta?


Il mandato della dottoressa Contini è venuto a scadenza al 31 dicembre 2005. Da allora, non ha alcun coinvolgimento diretto con il Ministero degli affari esteri.



Dopo l’esperienza Contini, la cooperazione italiana continuerà a operare in Darfur?


Assolutamente si. Il nostro obiettivo è avere una mappatura chiara dello stato dei progetti di cooperazione già attivati in modo da valutare i migliori interventi possibili nella regione e in tutto il Sudan. L’attenzione politica è testimoniata anche dal fatto che nel mio ultimo viaggio in Sudan ho potuto annunciare lo stanziamento di 7,5 milioni di euro in favore del Darfur che è stato deliberato ufficialmente nel corso dell’ultimo comitato direzionale svoltosi in Farnesina il 9 ottobre scorso.