E SE POI VOGLIAMO
PARLARE ANCHE DEL FINTO SERVIZIO FOTOGRAFICO SEMPRE DA
NOI DENUNCIATO... PUBBLICATO IN ANTEPRIMA SUL QUOTIDIANO
- IL CORRIERE DELLA SERA - QUANDO LIBERARONO I TRE
ITALIANI ... E CI ACCUSAVANO DI ESSERE MATTI... «Quella casa al numero 17 di Zaitun Street era disabitata da almeno due mesi. Fino a lunedì sera tardi (7 giugno, ndr) quando, intorno alle 23, si è sentito un gran trambusto. Io, che abito al 13, ho visto arrivare alcune auto e fermarsi davanti a quella casa. Sono entrate un po' di persone. Era buio, non abbiamo visto bene. Poco dopo se ne sono andati via ed è tornata la calma».
E DA DARFUR AL LIBANO ECCO DOVE SI VOLEVA ARRIVARE... Darfur. Lindustria della guerra umanitaria torna al lavoro Contropiano Emergenza umanitaria? Stesse le fonti, stessi i protagonisti, stessi gli obiettivi di sempre: intervento militare con lobiettivo di disgregare un paese - il Sudan - e mettere le mani sulle sue risorse ( acque del Nilo e petrolio). Una guida ed una lettura ragionata ai documenti che stanno preparando la nuova guerra umanitaria". Gli uomini di Soros. LInternational Crisis Group L'ultimo rapporto dell'International Crisis Group accusa la Comunità internazionale di fare troppo poco per proteggere le popolazioni civili colpite dal conflitto. "Darfur: the Failure to Protect". Questo il titolo dell'ultimo rapporto pubblicato oggi dall'organismo internazionale per la difesa dei diritti umani International Crisis Group (Icg). In apertura, Icg invita "il Consiglio di sicurezza a porre un termine alle sue divisioni e agire immediatamente per fermare le atrocità" perpetrate in Darfur. Nel rapporto, Icg denuncia "un peggioramento
delle situazioni umanitaria e politica, e della sicurezza
in una regione dove i massacri proseguono in un clima di
totale impunità, la gente continua a morire in massa per
malattie e malnutrizione, temendo la carestia".
Rapporto marzo 2005 Anche la solita Human Rights Watch comincia a martellare con i suoi rapporti. Le parole strategiche "mobilitanti" sono le stesse di sempre e ci sono tutte: Darfur: pulizia etnica nel Sudan Occidentale Human Rights Watch ha di recente pubblicato un rapporto esteso sulla sistematica pulizia etnica condotta dal governo e da milizie arabe da lui sostenute contro le popolazioni africane Fur, Masalit e Zaghawa nel Darfur sudanese. Pubblichiamo il sommario del rapporto. Il governo sudanese è responsabile di atti di pulizia etnica e crimini contro l'umanità nel Darfur, una delle regioni più povere e inaccessibli del mondo, ai confini occidentali del Sudan, verso il Ciad. Il governo del Sudan e le milizie arabe "Janjaweed" che il governo arma e sostiene hanno perpetrato numerosi attacchi contro le popolazioni civili dei gruppi etnici Fur, Masalit e Zaghawa.
Le forze governative hanno supervisionato e direttamente partecipato ai massacri, con esecuzioni sommarie di civili - comprese donne e bambini - incendio di villaggi e spopolamento violento di larghe fasce di terra a lungo abitate da Fur, Masalit e Zaghawa. Le milizie Janjaweed, musulmane come i gruppi Africani che colpiscono, hanno distrutto moschee, ucciso leader musulmani e sconsacrato i Corani appartenuti ai loro nemici. Il governo e i suoi alleati Janjaweed hanno ucciso migliaia di Fur, Masalit e Zaghawa - spesso a sangue freddo - violentato donne e distrutto villaggi, scorte di cibo e altri beni essenziali per le popolazioni civili. Hanno spinto più di un milione di persone, per lo più contadini, in accampamenti e insediamenti nel Darfur, dove vivono in condizioni prossime alla mera sopravvivenza, esposte agli abusi dei Janjaweed.
Il governo ha risposto a questa minaccia politica e militare colpendo le popolazioni civili da cui provenivano i ribelli.
L'alleanza tra governo e Janjaweed è caratterizzata da attacchi congiunti, rivolti più spesso contro le popolazioni civili che contro le forze ribelli: spedizioni composte da membri dell'esercito sudanese e da Janjaweed che indossano uniformi praticamente indistinguibili da quelle dell'esercito regolare. Sebbene i Janjaweed siano sempre in numero superiore a quello dei soldati regolari, durante gli attacchi le forze governative arrivano per prime e si ritirano per ultime. Come ha raccontato uno sfollato, "I soldati vedono tutto" quello che fanno i Janjaweed. "Arrivano con loro, combattono con loro e se ne vanno con loro". Gli attacchi congiunti esercito-Janjaweed sono spesso sostenuti dalle forze aeree sudanesi. Molti assalti hanno decimato le piccole comunità contadine, uccidendo in qualche caso anche un centinaio di persone per attacco. Ma la maggior parte delle vittime non compare in alcun tipo di registro. Human Rights Watch è rimasta 25 giorni all'interno e sui confini del Darfur Occidentale, documentando gli abusi nelle aree rurali precedentemente popolate dai contadini Fur e Masalit.
La presenza incontrollata di Janjaweed nella regione incendiata e nei villaggi bruciati e abbandonati, ha spinto i civili in accmpamenti e insediamenti ai margini delle città più grandi, dove i Janjaweed uccidono, stuprano e saccheggiano, rubando anche i beni di soccorso ed emergenza, impunemente. Di fronte agli appelli internazionali che chiedevano la verifica dei rapporti sulle violazioni di massa dei diritti umani, il governo ha risposto negando ogni addebito e tentando contemporaneamente di manipolare e contenere le fughe di notizie. Ha impedito la pubblicazione di rapporti sul Darfur sulla stampa nazionale, ristretto l'accesso dei media internazionali e tentato di ostacolare il flusso di coloro che intendevano rifugiarsi nel Ciad.
Con l'avvio della stagione delle piogge, dalla fine di maggio, e le conseguenti diffcoltà logistiche, accresciute dalla scarsità di strade ed infrastrutture nel Darfur, il monitoraggio dell'incerto cessate il fuoco di aprile e delle violazioni dei diritti umani, nonché l'accesso dell'assistenza umanitaria, diventa ancora più difficile.
La comunità internazionale, che è già stata
troppo lenta nell'esercitare tutte le pressioni
necessarie sul governo sudanese perchè metta fine alla
pulizia etnica e ai crimini contro l'umanità ad essa
associati, deve agire ora.
28 giugno 2004. Ancora Human Rights Watch. Si passa dalla denuncia alle "conferme" (di chi non lo sapremo mai) . Lo schema è quello consueto, quello già visto in Kosovo, a Cuba, in Iraq. Obiettivo? Dimostrare strumentalmente il legame tra il banditismo dei gruppi nomadi Janwawid e il governo del Sudan per colpire il governo del Sudan (ovviamente). Confermati i legami tra governo sudanese e milizie nel Darfur Human Rights Watch ha comunicato oggi - 20 luglio 2004 - che documenti del governo Sudanese dimostrano chiaramente che funzionari governativi hanno diretto il reclutamento, l'armamento ed altre modalità di supporto delle milizie etniche conosciute come Janjaweed. Il governo sudanese ha sempre negato di essere coinvolto nell'arruolamento e nell'armamento delle milizie Janjaweed, anche durante le recenti visite del Segretario di Stato americano Colin Powell e del Segretario Generale dell'ONU Kofi Annan. Human Rights Watch ha affermato di avere ottenuto dall'amministrazione civile nel Darfur documenti confidenziali che implicano funzionari di alto grado del governo sudanese in una politica di sostegno della milizia. "È assurdo distinguere tra le forze del governo Sudanese e le milizie, sono un'unica cosa," ha detto Peter Takirambudde, direttore della sezione Africana di Human Rights Watch. "Questi documenti mostrano che le attività delle milizie non sono state solo tollerate, ma specificamente sostenute da funzionari del governo sudanese." Human Rights Watch ha ricordato che le forze governative sudanesi e le milizie sostenute dal governo sono responsabili di crimini contro l'umanità, crimini di guerra e 'pulizia etnica' attraverso attacchi aerei e terrestri contro civili appartenenti alle stesse etnie dei due gruppi ribelli del Darfur. Migliaia di civili sono stati uccisi, centinaia di donne e ragazze sono state violentate e più di un milione di persone sono state trasferite forzatamente dalle loro case e campi nel Darfur. In una serie di documenti ufficiali in arabo emessi dalle autorità governative nel nord e nel sud del Darfur, datati da febbraio a marzo 2004, i funzionari parlano di reclutamento e sostegno militare, compreso di "provviste e munizioni" da consegnare a noti capi delle milizie Janjaweed, campi e "tribù lealiste". Una particolare direttiva censurata di febbraio ordina a "tutte le unità di sicurezza" nell'area di tollerare le attività del famoso capo Janjaweed Musa Hilal nel Nord Darfur. Il documento sottolinea l'importanza rivestita dalla non interferenza per "non mettere in forse la sua autorità" e autorizza le unità di sicurezza della provincia del Nord Darfur a "sorvolare su reati minori condotti dai combattenti sui civili sospetti membri della ribellione". Un altro documento fa riferimento a un piano di "operazioni di ricollocazione dei nomadi nei luoghi da cui i fuorilegge [i ribelli] si sono ritirati". Questo, come la recente dichiarazione del governo secondo la quale gli sfollati verranno mandati in 18 accampamenti invece che nei loro villaggi, aumenta il sospetto che si voglia consolidare la pulizia etnica iniziata impedendo a questa gente il ritorno alle proprie terre e villaggi. Human Rights Watch ha fatto un appello perché i funzionari governativi coinvolti nella politica di sostegno alla milizia vengano aggiunti nella lista delle sanzioni inclusa nella risoluzione pendente presso l'ONU. Inoltre, ha chiesto che venga avviata una attività di monitoraggio internazionale del disarmo delle milizie e l'insediamento di una commissione internazionale di inchiesta sugli abusi commessi nel Darfur da tutte le parti in conflitto. "Il Sudan ha lanciato una grande campagna di pubbliche relazioni, apparentemente diretta a guadagnare tempo per le iniziative diplomatiche in corso," ha detto Takirambudde, "ma a questo punto e con queste ulteriori prove, Khartoum non ha più nessuna credibilità. Il governo sudanese ha sfruttato il tempo guadagnato solo per consolidare la pulizia etnica nel Darfur". Mentre il governo si è dato il compito di disarmare i gruppi "fuorilegge", compresi gli insorti, non è chiaro se le milizie Janjaweed che ha sostenuto siano considerate dal governo come uno dei gruppi da disarmare. Rapporti sempre più numerosi riferiscono che i membri delle milizie Janjaweed vengono assorbiti nelle nuove forze di polizia schierate dal governo a "difesa" dei civili nel Darfur. Human Rights Watch ha affermato che in nessuna circostanza membri dei Janjaweed che abbiano partecipato ad attacchi, omicidi e stupri dei civili possono essere inclusi tra le forze militari e di polizia che il governo sta usando per proteggere la popolazione. Inoltre, Human Rights Watch ha fatto appello per una immediata e netta risoluzione delle Nazioni Unite che sanzioni Khartoum e i funzionari del governo responsabili di crimini contro l'umanità. "L'ambiguità delle dichiarazioni del governo dimostra che il monitoraggio indipendente del processo di disarmo è cruciale", ha detto Takirambudde. "L'Unione Africana e gli altri organismi di controllo internazionale devono osservare con estrema attenzione i piani di ricollocazione degli sfollati ed assicurarsi che le milizie non siano solo disarmate, ma allontanate definitivamente dalle aree civili che hanno lasciato." I documenti che dimostrano i legami tra governo e Janjaweed sono discussi nel dettaglio sul sito di Human Rights Watch - www.Socialpress.it <http://www.anti-imperialism.net/lai/www.Socialpress.it> 21 luglio 2004. Anche i professionisti italiani dellindustria della guerra umanitaria si aggregano. Sono gli stessi dellAfganistan, gli stessi dellIraq. Sono soprattutto CESVI e INTERSOS. Gli stessi a cui appartiene Barbara Contini - ieri governatrice di Nassirya per conto della coalizione ed oggi nominata responsabile delloperazione Darfur. Sono anche le stesse ONG a cui appartenevano i volontari diventati "contractors" in Iraq al servizio delle truppe di occupazione USA. Nella primavera del 2004 parte "Loperazione Darfur" ed a luglio il CESVI apre il suo ufficio nella capitale sudanese Kartoum. Le organizzazioni umanitarie si coordinano. Aiuti, ecco il comitato. Paul Ricard - 01/03/2005 È una onlus che farà sensibilizzazione e raccolta fondi. Una scelta di collaborazione per essere più incisivi. Di fronte ai massacri in Darfur c'è un pezzo
d'Italia che non si rassegna, e da tempo opera per
rispondere ai bisogni di una popolazione in balìa di una
grave emergenza umanitaria. Sono i cooperanti di quattro
ong italiane che da tempo sono impegnati in un'azione
coordinata con la Cooperazione italiana allo sviluppo su
progetti straordinari di "impatto immediato".
Intervista dell'Eco di Bergamo agli operatori del Cesvi nel Darfur Nel Darfur, un'area grande quasi due volte l'Italia e situata nella parte occidentale del Sudan, è in corso un violentissimo conflitto interno fra gruppi armati locali e milizie filo-governative.
La protezione e la sicurezza delle persone sfollate, insieme all'emergenza nutrizionale e sanitaria, rappresentano le preoccupazioni principali in questa fase di grande emergenza. Non poteva mancare Medici Senza Frontiere. Tra loro cè tanta brava gente ma il suo ex capo, Bernard Kouchner, è stato la testa dariete della guerra umanitaria in Jugoslavia. E' stato il teorico della "ingerenza" e della guerra umanitaria nei Balcani. E diventato poi il governatore del Kosovo occupato dalla NATO e adesso è deputato del Partito Socialista Francese. Non è una brava persona. Le sue responsabilità sulla Jugoslavia sono enormi. Rapporto di MSF a 18 mesi dall'inizio delle operazioni di soccorso umanitario in Darfur Persecuzioni, intimidazioni e fallimento degli aiuti umanitari in Darfur MSF: "Tante parole, molta attenzione, ma pochi cambiamenti sul terreno" (01/11/2004) Nonostante i numerosi impegni, sia la comunità internazionale sia il Governo Sudanese non hanno fornito assistenza e sicurezza alle persone del Darfur, afferma Medici Senza Frontiere nel suo ultimo rapporto sulla situazione in Darfur. A più di un anno dalla fuga dai loro villaggi e dopo tante promesse, la vita degli sfollati è quotidianamente in pericolo. "Tante parole, molta attenzione, ma pochi cambiamenti sul terreno per garantire la sicurezza dei civili. La comunità internazionale deve ricordarsi che le violenze e le sofferenze in Darfur non sono ancora finite." Dichiara Ton Koene, Coordinatore di MSF per l'emergenza Darfur. Per oltre un anno, le persone del Darfur hanno sopportato una terribile campagna di violenze e terrore che ha causato un enorme numero di morti e la fuga di più di un milione di persone dai loro villaggi distrutti. Gli sfollati raccontano a MSF di vivere sotto il controllo di quelle persone che hanno bruciato le loro case e ucciso le loro famiglie. Hanno troppa paura di tornare alle loro case e sono spaventati di rimanere dove sono. Ancora oggi, in Darfur, la sicurezza è un'illusione. Su quest'aspetto, la comunità internazionale e il Governo sudanese hanno totalmente fallito. Il Darfur rappresenta oggi il maggior intervento di MSF. Più di 250 operatori internazionali e 2.500 operatori locali forniscono assistenza a circa 700.000 sfollati in Darfur e 85.000 profughi sudanesi in Ciad. Dall'inizio della crisi, MSF è stata testimone dell'estensione e della natura delle violenze contro i civili in Darfur e dell'impatto che questa situazione ha sulle condizioni sanitarie e nutrizionali della popolazione. Il rapporto cerca di comunicare cos'è successo alla salute delle persone in Darfur sulla base di dati forniti dalle nostre cliniche e da indagini epidemiologiche. Accampamenti di massa, condizioni di vita precarie e la carenza di cibo hanno un notevole impatto sullo stato di salute della popolazione. Le principali cause di morte sono infezioni respiratorie, diarrea e malaria. L'alta incidenza di queste tre malattie può essere facilmente spiegata dalla mancanza di ripari adeguati, dalle sapventose condizioni igieniche e di approvvigionamento idrico. MSF sta lavorando al limite delle sue capacità. Per migliorare la situazione, gli sfollati del Darfur devono avere: . Un aumento dell'assistenza umanitaria in termini
di qualità e quantità. Infine arriva anche l'ONU che si conferma come organismo ben adeguato a giocare un ruolo estremamente ambiguo. Il rapporto dell'ONU sul Darfur denuncia che ci sono vittime ma deve ammettere di non essere presente (e dunque di poter verificare) lì dove avverrebbero i massacri. Resta "l'ufficialità" della denuncia sulla quale nessuno però si perita di indagarne la veridicità. Tanto basta a preparare la spedizione militare internazionale in Sudan. Darfur: Onu, bilancio vittime superiore alle stime A dirlo è il coordinatore per gli Aiuti umanitari dell'Onu, Jan Egeland, di ritorno da una visita in Sudan Paul Ricard - 10/03/2005 Il bilancio delle vittime nel Darfur è decisamente superiore a quanto finora stimato, circa 70mila morti, e risulta impossibile averne uno più completo perchè ''è dove non ci siamo che avvengono gli attacchi''. A dirlo è il coordinatore per gli Aiuti umanitari dell'Onu, Jan Egeland, di ritorno da una visita in Sudan, sottolineando come quella stima, che si riferisce al periodo compreso tra marzo e l'estate dello scorso anno, non è di nessun aiuto. ''E' tre volte tanto?, cinque volte? Non lo so, ma è svariate volte il bilancio di 70mila morti''. ''Se ci si sposta oltre i campi, le donne vengono regolarmente stuprate - ha aggiunto Egeland nel corso di una conferenza stampa al Palazzo di Vetro - Ho detto agli alti esponenti del governo che la situazione è assolutamente fuori controllo e che non viene in nessun mdo arginata''. L'unica forza che si oppone a queste atrocità è il contingente di peacekeeping dell'Unione africana, definito ''coraggioso'' da Egeland, che si è però chiesto come abbiano fatto ad impiegarci dieci mesi per inviare una forza di appena 2mila soldati in un'area dove sono operativi 10mila operatori umanitari. ''Ci sono molti paesi in Africa che potrebbero inviare più forze e più rapidamente - ha spiegato - Ciò di cui abbiamo bisogno sono altre forze sul campo''. Egeland si è infine detto a favore dell'imposizione di sanzioni contro il governo sudanese, come previsto dalla bozza di risoluzione presentata da Washington e al vaglio del Consiglio di sicurezza. Il testo autorizza l'invio nel sud del paese di una missione di peacekeeping dell'Onu, composta da 10mila soldati, l'embargo delle armi e misure restrittive contro chi è sospettato di atrocità e di violazioni dei diritti umani. Sudan: approvato da Onu invio forza di pace di 10mila unità Paolo Manzo - 25/03/2005 Il Consiglio di Sicurezza però non ha preso alcuna decisione sul conflitto nella regione occidentale del Darfur Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato una risoluzione che prevede l'invio di una forza di pace di 10.000 uomini in Sudan per contribuire all'applicazione dell'accordo di pace firmato in gennaio tra il governo e le forze dell'opposizione armata del sud del Paese. La risoluzione, avanzata dagli Stati Uniti, è stata approvata all'unanimità. Ci vorranno alcuni mesi per mettere insieme la forza di pace, che dovrà comprendere 10.000 militari e un massimo di 715 agenti di polizia. Il Consiglio di Sicurezza però non ha preso alcuna decisione sull'altra grave emergenza che riguarda il Sudan: il conflitto nella regione occidentale del Darfur. Una risoluzione presentata dalla Francia, che prevede l'imposizione di sanzioni a Khartum ma il punto controverso è come e dove processare i responsabili delle atrocità che si stanno commettendo in quella regione. La Francia ha proposto di deferire i sospetti criminali di guerra alla Corte Penale Internazionale, organismo cui Washington non aderisce, e cui è contraria. Ma un veto degli Usa potrebbe rappresentare un segnale di impunità per chi si è macchiato di atroci delitti contro la popolazione civile. Infine non potevano mancare i registi di sempre. LUSAID statunitense, agenzia "umanitaria" creata e finanziata dalla CIA, attiva in tutti i teatri in cui cè stato lintervento militare americano: dallAmerica Latina al Vietnam. Sono anni che intervengono in Sudan e partecipano alle triangolazioni politiche e militari tra i gruppi "ribelli", i paesi africani confinanti filo USA (Uganda, Eritrea,Ciad) il Dipartimento di Stato USA e Israele. Darfur: attacco a convoglio umanitario (USAID) Joshua Massarenti - 23/03/2005 Un'ong americana cade in un'imboscata nel Darfur meridionale. Un'operatrice umanitaria ferita. Un convoglio umanitario di una organizzazione non governativa statunitense è caduto in un'imboscata tesa da uomini armati non ancora identificati nel Darfur meridionale, uno dei tre Stati che compongono l'omonima regione occidentale sudanese teatro da oltre due anni di scontri e violenze che hanno causato una grave crisi umanitaria. Lo riferiscono alla MISNA fonti umanitarie in Darfur, precisando che nell'agguato - avvenuto tra le città di Kass e Nyala - è rimasta ferita una cooperante americana dell'organizzazione governativa 'Usaid' raggiunta al volto da una pallottola. La notizia, confermata sia dalle Nazioni Unite che dal dipartimento di Stato Usa, riporta l'attenzione sul problema della grave insicurezza in cui versano alcune zone del Darfur. Un aspetto che crea problemi soprattutto alle molte organizzazioni umanitarie che operano nella regione per cercare di portare aiuti alla popolazione, provata da più di due anni di conflitto e di tensioni. Dopo aver condannato l'episodio, l'inviato delle Nazioni Unite, Jan Pronk, ha detto che attacchi come questo continueranno finchè la comunità internazionale non sarà in grado di dispiegare una forza di pace di almeno 8.000 uomini col compito di proteggere la popolazione civile e gli operatori umanitari. In un comunicato diffuso oggi, anche il ministero degli Esteri sudanese ha «condannato l'attacco», promettendo un'indagine sull'incidente. Dal dicembre scorso, almeno sei operatori umanitari stranieri e sudanesi sono stati uccisi durante attacchi o agguati ai convogli umanitari. Soltanto la scorsa settimana, l'avanguardia della Missione delle Nazioni Unite in Sudan (Unamis) aveva diffuso un rapporto in cui esprimeva le proprie preoccupazione per l'aumento degli attacchi (spesso a scopo di rapina o per sottrarre il contenuto del carico) contro i mezzi delle organizzazioni umanitarie. NOTA . LUSAID è da tempo che è presente in Sudan.. Nel 1992 alcuni "operatori" della USAID furono uccisi nella regione meridionale dello Juba dove imperversava il conflitto tra il governo e il SPLA di John Garang. Dallautunno del 1992 gli USA hanno cominciato ad attaccare il governo sudanese allora in mano a militari ed islamici (al Bashir). Il SPLA riceveva aiuti militari dallUganda che era entrato nella sfera statunitense. LUganda fungeva da retrovia. Ma i paesi africani capiscono il trucco e gli obiettivi del pressing umanitario e si oppongono alloperazione interventista in Darfur. Darfur , per gli Usa è genocidio. Unione Africana: "No alle ingerenze" Carla Amato (Osservatorio della Legalità) Il Sudan ha rifiutato ieri di accettare una dichiarazione degli Stati Uniti che definiva "genocidio" gli accadimenti violenti nel Darfur, ma subito dopo il presidente USA George W. Bush ha girato il coltello nella piaga dicendo di essere inorridito dalle violenze nella regione. "Si tratta di un'altra specie di pressione portata contro il governo del Sudan dagli Stati Uniti e dai governi occidentali, il genere di pressione politica generale che mostra come gli Stati Uniti non siano amici del Sudan," aveva detto Ahmad Hassan Al-Zubair, il ministro delle finanze del Sudan; "dimostreremo che è vero che il conflitto nel Sudan è un problema tribale interno e sarà opportuno che sia il governo nazionale a risolvere questo problema." In precedenza il governo del Sudan aveva protestato sia con gli Stati Africani, sia con la Lega Araba che gli USA cercavano una scusa per inviare truppe di invasione e rovesciare il governo di Khartoum. Tuttavia, un portavoce per il movimento dei ribelli per la liberazione del Sudan (SLM), Abd Al-Hafiz Mustafa Musa, ha commentato l'ultima azione degli Stati Uniti come "sviluppo benvenuto." Il segretario di Stato USA Colin Powell aveva detto, in un'udienza in Senato, che le indagini fatte dagli Stati Uniti e da altre fonti "hanno concluso che è stato commesso genocidio in Darfur e che il governo del Sudan e le brigate Janjaweed ne hanno la responsabilità," ma capi dell'Unione Africana fanno notare che, durante la visita di Powell in Sudan, egli aveva sottolineato che non si trattava di genocidio: "se oggi sta affermando che era genocidio, vorremmo essere messi a parte di tali informazioni." I presidenti del Sudan e del vicino Chad, che ha ricevuto 200.000 rifugiati fuggiti dal Darfur, i quali hanno partecipato ad un incontro fra Stati sul problema della disoccupazione, a margine all'incontro hanno espresso una convergenza su una soluzione pacifica e diplomatica della situazione, sottolineando che "una soluzione militare non risolverà i problemi in Darfur e sarebbe una catastrofe assoluta", aggiungendo che il governo del Sudan ha accettato il rinforzo dell'attuale missione militare dell'Unione Africana in Darfur. L'Unione Africana è stata quindi molto chiara sul fatto di considerare come ingerenza un eventuale intervento di una forza non Africana in Sudan, mentre gli Stati Uniti stanno preparando una nuova risoluzione delle Nazioni Unite riguardante la crisi nella travagliata regione del Darfur, per ottenere sanzioni internazionali contro il governo di Khartoum, e lo stesso Bush è intervenuto invocando l'intervento dell'ONU. I morti nella regione sono forse 50.000, mentre 200.000 sono i rifugiati in Ciad e 1.200.000 persone sono a rischio di vita per la persecuzione, le malattie e la fame. Anche la FAO ha lamentato di recente le condizioni proibitive in cui sono costrette ad operare le varie missioni umanitarie a causa di violenze che continuano a verificarsi nonostante il cessate il fuoco dichiarato. Anche allONU qualcuno comincia ad avere dubbi sulla trasparenza e i veri obiettivi dellOperazione Darfur. Russia, Cina e Algeria si astengono sulla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dellONU Mosca contraria alle sanzioni Onu sul Darfur Joshua Massarenti - 30/03/2005 Il governo russo giudica "contro producenti" le sanzioni votate ieri dal Consiglio di sicurezza contro i responsabili delle atrocità in Darfur Mosca ha definito oggi "controproducenti"
le sanzioni votate ieri dal Consiglio di sicurezza
dell'Onu contro i gruppi ritenuti responsabili delle
atrocità pepetrate in Darfur. Lo riferisce l'Afp. L'Onu
ha inoltre imposto un embargo sulla vendita di armi al
governo sudanese. "Giudichiamo controproducente la
decisione di imporre al governo sudanese delle
restrizioni severe che riducono obbiettivamente la sua
capacità di garantire la sicurezza ai civili del Darfur,
e di mantenere l'ordine nella zona di conflitto". Lo
ha sottolineato il ministro russo degli Affari esteri in
un comunicato in cui esprime seri "dubbi riguardo un
monitoring efficace sull'applicazione delle misure
previste dalle sanzioni contro i gruppi non governativi
in Darfur". La Cina ha accettato di inviare un contigente a sostegno della missione di peacekeeping delle Nazioni Unite in Sudan. Lo ha reso noto l'agenzia China New citata dall'Afp. Secondo l'agenzia di stampa cinese, su richeista dell'Onu, Pechino dispiegherà del personale medico, ingegneri, osservatori militari e poliziotti. Senza rivelare cifre, China New si limita a citare il ministro cinese degli Affari esteri secondo il quale la Cina ha da sempre sostenuto le missioni di pace dell'Onu. Prova ne é, secondo il ministro, la decisione di consolidare gli sforzi della Comunità internazionale per il ritorno alla pace in Sudan. In realtà, per via degli interessi geostrategici (petrolio su tutto) che nutre in Sudan, la Cina si è da sempre opposta alle sanzioni dell'Onu contro il regime sudanese del presidente Omar el Beshir. Il 24 marzo scorso, il Consiglio di sicurezza dell'Onu aveva deciso l'invio di una missione composta da oltre 10mila soldati per sostenere l'applicazione dell'accordo di pace siglato il 9 gennaio 2005 tra il regime centrale di Khartum e i ribelli sud sudanesi dello Splm/a (Esercito/Movimento di liberazione del Sudan). La forza di pace, battezzata Unmis (Missione delle Nazioni Unite in Sudan), ha un mandato inziale di sei mesi. Qua e là lo tsunami mediatico sul Darfur comincia a perdere colpi. Qualcuno comincia a mettere in campo la controinformazione e a segnalare la vera posta in gioco. Il petrolio ma anche - e forse soprattutto - lacqua del Nilo. In Sudan potrebbe essere sperimentata e combattuta la prima "guerra dellacqua" Darfur: le potenze occidentali orchestrano la disintegrazione del Sudan Uwe Friesecke Alla fine di luglio la crisi sudanese è entrata in
una fase acuta con l'approvazione da parte del Consiglio
di Sicurezza dell'ONU della risoluzione stilata dagli
Stati Uniti. La crisi nel Darfur La crisi in questa regione sudanese che copre un territorio vasto quanto quello della Francia trae origine, in primo luogo, dal deterioramento decennale della situazione economica di una popolazione sempre più numerosa. Una serie di siccità che colpirono la regione negli anni Ottanta costrinsero i nomadi del Nord a trasferisi più a Sud in cerca di pascoli per il bestiame. Così, le tensioni tradizionali tra le popolazioni nomadi e quelle stanziali, o tra pastori e contadini, si acuirono in maniera pericolosa. L'autorità centrale dello stato stenta a far sentire la propria autorità in questa regione dove usanze e consuetudini hanno un peso decisamente maggiore delle leggi decretate dal governo.
Ciò che viene comunemente asserito -- che questo conflitto nel Darfur vede gli arabi del Nord (nomadi e miliziani Janjawid) schierati contro gli africani più meridionali (contadini e ribelli anti-governativi) -- non ha alcun senso appena si considera che i principali leader dei due gruppi ribelli, il Movimento/Esercito di liberazione sudanese (SLA) ed il Movimento per la giustizia e l'uguaglianza (JEM) sono seguaci di Hassan al-Turabi. Il fondatore e presidente del JEM, Khalil Ibrahim, è un ex ministro che si schierò con al Turabi quando questi giunse alla rottura con il presidente sudanese Al-Bashir nel 2002.
Secondo un rapporto dell'International Crisis Group (ICG) di Bruxelles, nel marzo 2002 lo SPLA ha addestrato 1500 darfuriani nei pressi di Raja nell'occidente del Bahr el-Ghazal, nel Sudovest del paese. Queste forze costituirono il nucleo principale dei giovani militari che assalirono le istallazioni del governo nel febbraio 2003. La prima dichiarazione politica dello SLA, rilasciata il 13 marzo 2003, fu redatta da attivisti nel Darfur esiliati e da leader dello SPLA. Il presidente dello SLA, Abdel Wahid, ha ufficialmente incontrato John Garang ad Asmara, in Eritrea, nell'aprile 2004.
La tenaglia geopolitica contro Khartoum Né John Garang e il suo SPLA, né l'Eritrea, né l'Uganda disponevano della capacità di fomentare la ribellione del Darfur contro Khartoum senza l'attivo sostegno delle potenze anglo-americane. Dal 2001 l'amministrazione Bush cerca di dettare al Sudan i termini della pace per il conflitto decennale che ribolle nel sud del paese. La diplomazia americana e britannica ha attirato il governo sudanese del presidente al-Bashir nei negoziati di pace in Kenya, tenuti sotto gli auspici dell'Agenzia intergovernativa per lo sviluppo (IGAD). Ai rappresentanti di Bashir ai negoziati è stata estratta una concessione dopo l'altra. Il bastone era rappresentato dalla possibilità che Garang lanciasse una nuova offensiva militare nel Sud, con il pieno sostegno degli Stati Uniti, dell'Inghilterra e dell'Uganda di Museveni e forte dei rifornimenti da essi ottenuti.
[Executive Intelligence Review, N. 31, 6 agosto 2004] |