Gli affari dei trafficanti di armi israeliani (anche in Sudan)

[Il mensile dei missionari comboniani ‘Nigrizia’ affronta questo mese un problema di cui si parla molto poco. Ecco il testo integrale dell’articolo di Luca Airoldi]

Amos Golan è un "falco" israeliano. È stato vice-comandante della Duvdevan ("ciliegia"), un’unità speciale antiterrorismo dell’esercito di Tel Aviv, i cui membri agiscono, in incognito, per arrestare o uccidere gli appartenenti alle organizzazioni terroristiche palestinesi. Oggi è conosciuto per aver fondato e presieduto una ditta israelo-statunitense, la Corner Shot Technology, che progetta e costruisce armi.

Nel dicembre 2004, Golan è salito alla ribalta delle cronache per una vicenda legata a un presunto traffico di armi. Tutto ha inizio quando le autorità giordane arrestano due (secondo alcune fonti, tre) cittadini israeliani, con l’accusa di avere venduto armi e munizioni a gruppi ribelli del Darfur. Fonti giordane affermano che a capo del gruppo, cui appartengono gli arrestati, vi sarebbero Golan e un altro trafficante israeliano, Shimon Naor, ma non viene spiccato alcun mandato di cattura nei confronti dei due. Le persone detenute in Giordania, comunque, confessano di essere in contatto con importanti personalità israeliane, tra cui il figlio di Danny Yatom, ex capo del Mossad. Avrebbero aggiunto, poi, che un gruppo di ribelli del Darfur si sarebbe addestrato in Israele. La faccenda viene presto dimenticata dai media, anche perché le autorità israeliane e giordane si rifiutano perfino di confermare i pochi dettagli emersi. Del resto, i servizi di intelligence di Tel Aviv e Amman hanno avviato da anni uno stretto rapporto, e i panni sporchi preferiscono lavarseli in casa. C’è, però, un aspetto singolare nell’intera vicenda: la notizia sul presunto traffico di armi da Israele verso il Darfur è apparsa proprio quando nella regione sudanese stavano giungendo aiuti umanitari israeliani per i profughi. Qualcuno ha così ipotizzato che quelle "voci" sarebbero state fatte circolare per inquinare e disinformare, gettando una luce sinistra sull’azione umanitaria.

L’episodio accaduto in Giordania, comunque, ha tolto il velo di mistero che copre, normalmente, le attività di alcuni trafficanti di armi in Africa. Golan, per esempio, oltre alla Corner Shot Technology, presiede la Silver Shadow Advanced Security System, una compagnia che offre addestramento alle forze di sicurezza di tutto il mondo, ed è descritto, dal quotidiano Ha’aretz, come "molto attivo nel vendere armi in Africa", specie in Uganda. In questo paese, Golan e la Silver Shadow - che è legata al fratello del presidente Museveni, Salim Saleh - hanno importato armi provenienti dall’Europa orientale: dai carri armati T55 ai caccia Mig21. Una parte di questi armamenti era, però, in cattive condizioni e, dunque, inutilizzabile.

Ma i Mig21 sono stati rimessi in sesto e aggiornati in Israele. Un’ironia della storia, se si pensa che gli israeliani avevano distrutto al suolo proprio i Mig di Idi Amin nel raid di Entebbe del luglio 1976. Alcune fonti di intelligence hanno confermato a Nigrizia che una quindicina di esperti di sicurezza israeliani stanno attualmente operando in Uganda. Fanno da supervisori a un corso di sei mesi frequentato da un centinaio di agenti dei servizi segreti ugandesi. L’addestramento è cominciato il 13 febbraio al campo militare di Kaweweta, nel centro del paese. Questi esperti sono stati assunti da Golan, attraverso la Silver Shadow.Non è la prima volta che l’Uganda si serve dei servizi del "falco" israeliano. Già lo scorso anno, elementi della Silver Shadow addestrarono, per tre mesi, agenti delle squadre speciali di polizia e dei servizi interni di sicurezza. Golan continua a vantare ottimi collegamenti con l’establishment di Tel Aviv, al punto che l’attuale capo del Mossad, Meir Dagan, ha lavorato per la sua società. Shimon Naor, l’altro "uomo d’affari" coinvolto nel traffico d’armi verso il Darfur, è un ex ufficiale, di origine rumena, della marina israeliana, diventato mediatore internazionale di armi, con tanto di autorizzazione del ministero della difesa israeliano. Nel 1999, le autorità rumene lo arrestarono: l’accusa era di aver venduto armi non autorizzate a Nigeria, Eritrea e all’Unita angolana, violando l’embargo delle Nazioni Unite. Naor ottenne la libertà su cauzione, riuscendo, poi, a riparare in Israele. In Romania fu condannato a 7 anni di carcere. Tecnicamente, quindi, è un ricercato internazionale, anche se continua, come niente fosse, i suoi commerci di armi, destando lo stupore della stessa stampa israeliana. Questa vicenda è interessante per vari motivi. Primo: il ministero della difesa israeliano si è rifiutato di collaborare con l’Onu nel fornire documentazione sulle società controllate da Naor. Secondo: per i suoi traffici, Naor si serviva di falsi end-user certificates rilasciati dal Togo. Terzo: il vecchio presidente togolese, Gnassingbé Eyadéma, buon amico del capo dell’Unita, Jonas Savimbi, è morto sull’aereo che lo stava portando non a Parigi, come si è detto in un primo momento, ma in Israele, nel tentativo di curare la sua grave malattia. Fonti di Nigrizia confermano che trafficanti israeliani sono presenti in Togo e che Eyadéma preferiva curarsi nella terra di David.

Da quanto detto s’intuisce come gli affari dei trafficanti di armi siano, almeno in parte, inseriti in un disegno strategico, volto a fare dell’Africa un retrovia del conflitto mediorientale. Il rapporto tra Uganda e Israele, ad esempio, risale agli anni ’60. Gli attuali piloti ugandesi di aerei ed elicotteri da combattimento sono stati addestrati in Israele, mentre, alla fine degli anni ’90, 120 istruttori israeliani hanno addestrato l’unità di protezione presidenziale di Museveni nell’uso dell’artiglieria e dei mezzi corazzati. In effetti, Etiopia, Eritrea, Uganda e Kenya sono i principali paesi oggetto dell’attenzione di Israele in Africa orientale. A questa lista, di recente, si sono aggiunti Gibuti e, probabilmente, Somaliland. Se si pensa che questi paesi, tra l’altro, controllano direttamente o indirettamente le sorgenti del Nilo e la riva africana del Mar Rosso, si capisce il loro valore strategico agli occhi di Israele. Infine, non è un mistero che, in un passato anche recente, i servizi israeliani hanno appoggiato i ribelli sudanesi dell’Esercito di liberazione del popolo sudanese (Spla).

L’invio di un contingente militare italiano in Sudan è una scelta gravissima di complicità nell’industria della guerra umanitaria. Tra l’altro sono poco chiare le regole d’ingaggio. Il contingente dell’ONU viene infatti inviato nel sud del paese per "assicurare il rispetto degli accordi di Nairobi" tra il governo sudanese e le forze ribelli di Jhon Garang. Ma stando già sul terreno, se decidesse di intervenire militarmente nel Darfur, chi si opporrebbe al cambiamento di obiettivi? A giudicare dalle dichiarazioni di Rutelli nessuno. Ma anche il silenzio o la disattenzione del movimento per la pace è preoccupante. E’ urgente rompere il silenzio e inceppare l’escalation dell’industria della guerra umanitaria.

COME SI VEDE IL QUADRO DI NASSIRIYA ASSUME UNA CORNICE CATASTROFICA E SEMBRA CHE NEL TUTTO CI STAVANO BENE GLI ITALIANI - L’AMICO DI BUSH... BERLUSCONI NON AVREBBE MAI DETTO NULLA CONTRO O MEGLIO NON ABBIAMO MAI SENTITO NULLA. E C’E’ DA PIANGERE QUANDO DOPO TUTTO QUESTO SI VIENE A SAPERE CHE ANCORA META’ DEGLI ITALIANI SONO PRONTI A RIVOTARLO.

SEMPRE AL GIORNALISTA DELLA RAI DUILIO GIAN MARIA E QUESTA VOLTA NELLA BASE ITALIANA - GLI DIRA’ UN MILITARE :

noi adesso controlliamo quelli che sono essenzialmente gli oleodotti. Sappiamo che questa e’ un’aerea ricca di petrolio poco sfruttata in questo momento. Poi c’e’ nel caso specifico della nostra task force, la raffineria, non so se lei entrando nella base l’ha vista.

POI C’E’ ANCHE UN FILMATO GIRATO NEL GIUGNO DEL 2004 DOVE UN NOSTRO SOLDATO ALL’INTERNO DELLA RAFFINERIA GUIDA LA VISITA... COME NEI MIGLIORI MUSEI ITALIANI.