RACCONTA Said che il
12 novembre 2003, a Nassiriya, quando la polvere si posò
sullo scempio della base Maestrale e l'Italia contò i
suoi morti (diciannove: dodici carabinieri, cinque
militari, due civili), chi aveva voluto lo strage
liberò, con una risata, una considerazione: "Thamer
Haji, uno dei colonnelli di Abu Musab Al Zarqawi, mi
disse scherzando: 'In fondo, questi italiani ci sono
costati solo 300 dollari'".
Said Mahmoud
Abdelaziz Haraz è un iracheno di 36 anni. Ha ucciso
molte volte e dei suoi morti ha perso il conto. Ha ucciso
anche a Nassiriya e ne conserva nitido il ricordo.
L'attentato suicida, pianificato inizialmente per la
metà di ottobre, era saltato. Lo aveva mandato a monte
la polizia irachena di Kut. Ad un posto di blocco nella
provincia del Wasit era stata sequestrata l'autocisterna
carica di 3.500 chili di esplosivo che doveva seminare la
morte sulle rive dell'Eufrate. Per restituirla ad Al
Zarqawi la polizia irachena aveva chiesto 10mila dollari.
Troppi. Ma un solo mese aveva ammorbidito gli appetiti di
quegli sbirri straccioni. All'alba del 12 novembre, si
chiuse a 300 dollari. Un poliziotto di Kut guidò
l'autocisterna fino al confine della provincia e la
consegnò agli shahid, i martiri. Gli italiani potevano
morire.
La storia di
Said è la storia della strage di Nassiriya. Di Abu Musab
Al Zarqawi, della sua organizzazione "Qaidat al
Jihad fil bilad Al Rafaidain", "La base del
Jihad nella terra tra il Tigri e l'Eufrate". Dei
martiri di Falluja, dell'attentato suicida alla sede
delle Nazioni Unite a Bagdad. È una storia che viene
scritta tra le 8 e le 11.40 del mattino del 13 marzo di
quest'anno, in un locale dell'ambasciata italiana di
Bagdad.
Said è sceso
da un elicottero americano che si è alzato in volo da
Camp Cropper, la galera in cui è stato trasferito da Abu
Ghraib il giorno in cui ha deciso di parlare, rompendo il
giuramento di fedeltà ad Al Zarqawi. Lo accompagna un
militare americano, J. C., sergente del Joint
Interrogation and debriefing center. Seduti a un tavolo,
lo aspettano quattro ufficiali del Ros dei carabinieri.
Sono lì perché i magistrati della Procura di Roma
Franco Ionta, Pietro Saviotti ed Erminio Amelio li hanno
delegati a raccogliere quel che Said dice di sapere e ha
già detto agli americani.
Said parla in
arabo e le sue parole sono tradotte dall'interprete Alì.
La sua confessione riempie undici pagine di verbale. Che
si apre con una premessa: "Si dà atto che il
detenuto partecipa al compimento dell'atto
spontaneamente. Che non sono stati utilizzati metodi
coercitivi o tecniche idonee a influire sulla sua
libertà di autodeterminazione e/o ad alterare le sue
capacità di ricordare i fatti".
COMINCIAMO
DALLA STRAGE.
"Il mio
nome è Said Mahmoud Abdelaziz Haraz. Sono nato in Iraq a
Kaneqin, nella provincia di Diyala, il 12 agosto 1969.
Sono figlio di Kwassran Said Mahmoud Abdelaziz e di
Shamza Hamed Said. Sono conosciuto anche con i nomi di
Abu Omar al Kurdi, Abu Yussef e Sami Mohamed Alì, che è
come mi facevo chiamare ai tempi di Saddam. Sono un
membro della rete di Abu Musab Al Zarqawi dal gennaio del
2003. Il mio ruolo era approntare le autobomba,
realizzare e collocare le cariche esplosive. Curavo
l'istruzione dell'attentatore suicida, portavo gli
automezzi nelle adiacenze dell'obiettivo e qui li
consegnavo agli shahid. In questo ruolo, ho preparato 36
attacchi suicidi. Sono dunque perfettamente a conoscenza
di quanto avvenne a Nassiriya nel novembre del 2003,
perché sono stato direttamente coinvolto nella
preparazione ed esecuzione dell'attentato. Con me,
l'altro responsabile dell'operazione era Thamer
Haji".
Said ha una
storia esemplare, simile a molte altre biografie di
sangue in Iraq. Nel 1991 è in Kurdistan per partecipare
all'insurrezione di popolo che Saddam asfissia nel gas.
Il mukhabarat, la polizia politica, lo arresta. Viene
condannato a morte e rinchiuso ad Abu Ghraib, dove la
sentenza capitale è prima commutata in ergastolo e
quindi, nel settembre del '95, amnistiata. Se ne va a
vivere a Falluja, dove i funzionari del regime lo spiano
notte e giorno.
Cambia aria e
si improvvisa tassista a Ramadi, dove conosce Thamer
Haji. Ha due anni meno di lui (è nato nel 1971) ed è un
altro profugo della prima Guerra del Golfo. È un
piccoletto (1 metro e 55) dagli occhi scuri, il naso
piccolo, i baffi sottili incorniciati da una barba rada.
Haji è stato ufficiale dell'esercito regolare e, nel
1991, ha disertato allo scoppio delle ostilità. Superate
le linee, si è consegnato ai marines in territorio
saudita.
Nel '95, Said
Haraz e Thamer Haji, il pregiudicato politico e il
disertore, hanno in comune solo la miseria, un passato da
nascondere, un nemico: Saddam Hussein. Otto anni dopo,
gennaio del 2003, sono la stessa cosa. Hanno mescolato il
loro sangue (Thamer ha sposato la sorella di Said) e si
sono uniti nel giuramento di fedeltà ad Al Zarqawi. Non
per difendere un dittatore che hanno odiato e non c'è
più. "Ma per combattere gli invasori
stranieri". Il giuramento si romperà solo nel
maggio del 2004. A Falluja, durante i combattimenti con
la fanteria americana che assedia la città. Thamer
muore. Said viene catturato.
Tra il
settembre e l'ottobre del 2003 Thamer e Said lavorano
allo stesso progetto di sangue: gli italiani di
Nassiriya. L'idea la ha avuta il primo. "Thamer si
era trovato a passare per Nassiriya mentre andava a
Bassora e notò la bandiera italiana che sventolava su un
edificio". Aggredire una preda che non immagina
agguati è un'idea che accende l'ex ufficiale disertore.
"Nassiriya è in zona sciita, Al Zarqawi non ha
uomini in quel quadrante". Nessuno pensa possa
arrivare sin lì. "Il progetto venne comunicato ad
Al Zarqawi, che, a sua volta, lo illustrò e lo fece
approvare dalla Shura, l'organo decisionale supremo
dell'organizzazione.
L'obiettivo
era quello di colpire il governo Berlusconi, mandando
così un messaggio chiaro all'Italia e agli altri Stati
della Coalizione. In definitiva, l'operazione si
proponeva maggiori finalità politiche che non
militari".
Ai primi di
ottobre, Said e Thamer sono a Nassiriya per il
sopralluogo. Arrivano via Bagdad, su un autobus di linea,
su cui sono saliti a Ramadi.
"L'osservazione
durò circa due ore. Facemmo una serie di passaggi
davanti agli obiettivi e individuammo nei pressi di una
delle basi italiane un ospedale, dove poter parcheggiare
uno dei due mezzi con cui intendevamo condurre l'attacco:
un'ambulanza di cui eravamo già in possesso". Più
i due guardano, più non stanno nella pelle: "Non
riuscivamo a capacitarci della inverosimile situazione
logistica degli italiani. La loro base, ubicata al centro
della città, era divisa in due parti. Le misure di
sicurezza erano scarse. Chiunque avrebbe potuto
attaccare, visto che la strada di accesso era molto
facile. Fummo molto precisi e riuscimmo a compiere lo
studio degli obiettivi per il loro intero perimetro,
scoprendo il punto più debole".
La sera, Said
e Thamer sono di nuovo a Ramadi. Il piano è pronto.
"Colpire contemporaneamente due obiettivi. La base
italiana nei pressi dell'ospedale (la Maestrale, ndr.) e
un ex palazzo ministeriale su cui sventolava il
tricolore. Avevamo deciso di usare un'ambulanza per la
base e un'autocisterna per il palazzo". La notte
stessa, Said prepara i mezzi.
L'ambulanza
viene imbottita di esplosivo. Altrettanto l'autocisterna.
È un vecchio
mezzo di fabbricazione russa, un residuato bellico
dell'esercito iracheno. "La cabina era verde, la
cisterna bianca. All'interno collocai 3 tonnellate e
mezzo di esplosivo: 2 tonnellate di Tnt e Cnc, 50 razzi
di calibro 135 e 155. Perché l'intenzione era di radere
al suolo l'edificio". L'alba del giorno seguente,
"dopo la preghiera", l'autocisterna e
l'ambulanza lasciano Ramadi. Sul camion, il solo Thamer.
Al volante dell'ambulanza, Said e, sul sedile accanto a
lui, i due shahid, i martiri che si immoleranno. Si
chiamano Abu Zubeir Al Saudi e Abu Abdallah Orduni.
Abu Zubeir Al
Saudi e Abu Abdallah Orduni arrivano dalla fabbrica dei
martiri di Falluja. Racconta Said: "Erano due dei
tanti giovani stranieri che, all'inizio della guerra,
erano arrivati in Iraq per combattere con Al Zarqawi e
immolarsi contro gli invasori stranieri. Arrivavano in
molti: sauditi, yemeniti, mujaheddin dall'Europa e
dall'Africa. Vivevano a Falluja, in una casa messa a
disposizione da Al Zarqawi". E qui si mettevano in
fila per la morte.
"In
quella casa, c'era una stanza, la "stanza dei
martiri". E in quella stanza c'era una parete con
affissa una lista, su cui gli aspiranti shahid scrivevano
il proprio nome e il giorno di arrivo. Si formava così
una graduatoria e la scelta dei singoli ricadeva sul
primo dell'elenco in ordine temporale". Prima
arrivavi, prima morivi.
Abu Zubeir,
ricorda Said, era "un ragazzo di 22, 23 anni. Alto 1
metro e 75. Aveva capelli castani, grandi occhi scuri, un
naso pronunciato, baffi poco folti". Si faceva
chiamare "Al Saudi", il saudita. Forse per il
suo accento, forse perché effettivamente nato nel regno
dei Saud. "Nessuno può dirlo, perché la regola era
ed è che agli shahid non vanno fatte domande sulle loro
origini, sui loro trascorsi".
Quella
mattina, sull'ambulanza che da Ramadi lo porta a
Nassiriya, Abu Zubeir è un uomo cui sono rimaste poche
ore di vita. Come ad Abu Abdullah Orduni, il ragazzo
giordano ("Orduni") che gli siede accanto. Uno
si farà saltare sull'ambulanza, l'altro sulla cisterna.
Ma il caso ha
deciso diversamente.
L'ambulanza
con a bordo Said e i due martiri arriva a Nassirya
"intorno alle 13.00" e dell'autocisterna
guidata da Thamer non c'è traccia. "Lo aspettammo
fino a sera. Ma non arrivò". Lo ha fermato la
polizia di Kut, 170 chilometri a sud-est di Bagdad, sulle
rive del Tigri, in mezzo alle piantagioni di datteri che
rompono le paludi. Lo hanno arrestato e l'autocisterna è
finita insieme a lui in una lurida caserma dove la
"nuova polizia irachena" è sotto il controllo
del contingente ucraino. "È difficile che la
polizia non si sia accorta del "particolare"
tipo di carico", dice Said.
E infatti il
prezzo che fissa per la sua restituzione è 10 mila
dollari. Thamer viene rilasciato, il camion trattenuto.
Il piano salta. Per il momento.
In ottobre
Thamer viene lasciato da solo a sbrogliare il pasticcio
che ha combinato. "Cominciò ad andare tutti i
giorni a Kut per trattare la restituzione della
cisterna". Mentre l'ambulanza, già pronta, viene
impiegata in un altro mattatoio: "la strage alla
Croce rossa di Baghdad" del 27 ottobre ("Non so
chi sia stato lo shahid perché non fui io il
responsabile dell'operazione", dice Said).
Poi, all'alba
del 12 novembre la trattativa si chiude. Tre bigliettoni
da cento dollari e Al Zarqawi può riavere il suo
strumento di morte. "Alle 9 del mattino del 12
novembre, un poliziotto di Kut ci consegnò di persona
l'autocisterna al confine della provincia di Wasit. Io,
Thamer e lo shahid Abu Zubeir proseguimmo verso
Nassiriya".
Alle 10.40, la
base Maestrale non esiste più. In un mese, gli italiani
hanno alzato qualche protezione che il sopralluogo di un
mese prima non aveva visto. Ma l'autocisterna fa comunque
il suo terribile lavoro. Un solo mezzo e un solo martire
seduto su 3.500 chili di esplosivo per una carneficina.
"Thamer
rimase sul posto per testimoniare l'esito
dell'esplosione. Quindi, prese un pullman di linea per
rientrare a Bagdad". A sera avrebbe riso: "In
fondo, questi italiani ci sono costati solo 300
dollari".
NON
DIMENTICHIAMO CHE Al Zarqawi e stato un - SERVO -
degli americani, ucciso ( forse ) quando non riusciva a
controllare e coordinare cosa e come gli USA VOLEVANO
sedata la rivolta.
E
allora a questo punto ci chiediamo anche per quale motivo
e avvenuta una strage del genere, daltronde
su CALIPARI ancora non sappiamo nulla di ufficiale
rispetto alle prove raccolte, ma da allora i buoni
rapporti con gli USA si inasprirono questo e certo.
Cosi
come e CERTO che il CALIPARI, uomo dei servizi
segreti italiano e persona che ben conosceva i paesi
arabi, non era piu di simpatia agli USA che lo
ritenevamo responsabile di aver liberato attraverso somme
economiche il riscatto di troppi dei nostri uomini e
donne rapite in quel conflitto. Cio secondo gli USA
serviva soltanto a SILVIO BERLUSCONI e al suo governo,
mentre per quanto riguarda la guerra, pagare un riscatto
era un atto negativo, visto che con quel danaro la
RESISTENZA IRACHENA poteva comprare armi dalla GERMANIA e
dalla RUSSIA e continuare ad opporsi efficacemente.
Sparano
quindi su CALIPARI uccidendolo ... la SGRENA giornalista
de IL MANIFESTO non era stata assolutamente calcolata,
rientrava semmai nelle varie perdite da mettere in conto,
cosi come dimostra di essere la mentalita
assassina degli americani che svolgono queste operazioni,
anche se ad ucciderlo e stato un italo-usa.
Quando
viene riportata questa agenzia era troppo tardi, ma
almeno qualcosa cominciava a prendere forma sotto la
luce.
(ANSA) - ROMA,
4 MAR - L'Italia e' a Nassiryia perche' vuole incassare
l'intesa tra Eni e Iraq, messa a punto tra il '95 e il
2000 e che prevede per la compagnia italiana la
possibilita' di sfruttare un giacimento che potrebbe
fornire 3 miliardi di barili, ''uno dei piu' grandi del
mondo''?
Questa la tesi
di fondo di una conferenza stampa convocata dalla lista
Di Pietro-Occhetto per illustrare una interrogazione
urgente rivolta al premier, al ministro degli Affari
Esteri e a quello della Difesa, per chiedere conferme e
notizie su questa intesa petrolifera.
Presenti alla
conferenza stampa oltre ad Achille Occhetto e Antonio Di
Pietro anche Elio Veltri e Paolo Sylos Labini
(Opposizione civile), che hanno sollevato il caso con un
recente articolo sull' ''L'Unita'''.
ZARQAWI
RIVENDICA NASSIRIYA E ALTRI ATTENTATI
DUBAI - Abu Mussab Zarqawi,
uno dei principali sospettati per i recenti attentati in
Iraq, ha rivendicato tra l'altro la strage di Nassiriya,
dove il 12 novembre scorso furono uccisi con un
veicolo-bomba 19 italiani (12 carabinieri, cinque soldati
dell'esercito e due civili), nel messaggio audio diffuso
da un sito Internet di estremisti islamici.
Nel lungo messaggio,
rivolto ''alla nazione dell'Islam'' e inviato dall'Iraq,
Zarqawi afferma che ''gli eroici mujaheddin (combattenti)
hanno ucciso oltre 200 soldati delle forze della
coalizione crociata'' e rivendica diverse ''operazioni''.
''Abbiamo dilaniato i
loro corpi in diversi luoghi: l'Onu a Baghdad, le forze
della coalizione a Karbala, gli italiani a Nassiriya, le
forze americane sul ponte di Al Khalidiya, i servizi di
informazione americani all'hotel Shahin e al palazzo
presidenziale a Baghdad, la Cia all'hotel Rashid, le
forze polacche a Hilla'', aggiunge Zarqawi, accusando la
coalizione di ''osservare un mutismo mediatico senza
precedenti'' sulle sue perdite.
Nel messaggio, la cui
autenticità non è ancora confermata, Zarqawi attacca
con forza gli sciiti iracheni, definiti "il cavallo
di troia utilizzato dai nemici della nazione per
impadronirsi dell'Iraq".
LA
STRAGE DI NASSIRIYA - LA SFIDA AGLI STATI UNITI
I terroristi vogliono colpire
anche l'Eni
Lo sostengono fonti dei
servizi Mincato: rinviamo i colloqui
Claudio Gatti
NEW YORK *Hanno colpito i
carabinieri e l'Italia. Ma il messaggio non è diretto
solo al governo di Roma. E l'obbiettivo non è soltanto
di gettare nel caos Nassiriya.
Nelle intenzioni dei suoi autori, le ripercussioni
dell'attentato di ieri mattina devono farsi sentire su
più fronti. Primo tra tutti quello politico, diretto a
Roma, a Washington e a tutte le capitali che stanno dando
un sostegno diretto agli americani. Ma è stato anche un
avvertimento a chi è pronto a impegnarsi nella
ricostruzione economica dell'Irak. Colpendo i carabinieri
si è per esempio mandato, indirettamente, un messaggio
anche all'Eni.
Da tempo l'azienda petrolifera italiana ha gli occhi sui
campi petroliferi di Nassiriya. All'Eni quel giacimento
da 300mila barili al giorno e con riserve tra i 2 e i 2,6
miliardi di barili interessa dai tempi del regime di
Saddam, ma dopo la guerra l'azienda italiana ha riaperto
il negoziato con gli americani di Paul Bremer e con il
ministero del Petrolio iracheno. A giugno una delegazione
dell'Eni si è recata a Baghdad a bordo di un aereo
militare italiano per discuterne nei dettagli.
La trattativa per l'affidamento di quei pozzi all'Eni non
è stata conclusa, ma senza dubbio gli italiani sono in
pole position, dice al Sole 24 Ore una fonte americana.
Ma quello di Nassiriya è un investimento
"pesante", sia sul fronte finanziario - si
parla di quasi 2 miliardi di
dollari - che su quello delle risorse umane. Ed è chiaro
che, qualora fosse affidato all'Eni, l'azienda italiana
non potrebbe non tener conto della questione sicurezza.
Ecco quindi l'interesse degli attentatori a trasformare
Nassiriya in un inferno in cui sarebbe troppo rischioso
avventurarsi. Cosa che oggi l'Eni si è trovata costretta
a riconoscere. Noi avevamo un interesse per quella zona e
lo confermiamo - ha dichiarato l'amministratore delegato
Vittorio Mincato - Contavamo di chiudere i colloqui in
corso entro l'anno ma i fatti di oggi confermano quanto
temevamo: se ne parlerà l'anno prossimo.
Per i nemici della pacificazione dell'Irak, riuscire a
tener fuori dal paese tecnici e aziende straniere è
addirittura più importante che cacciare le truppe
occupanti, spiega al Sole 24 Ore un ex funzionario della
Cia che da anni segue le vicende irachene. Le truppe
offrono un bersaglio e un nemico utile da avere, mentre i
tecnici stranieri potrebbero contribuire a rimettere in
moto l'economia del Paese e quindi stabilizzarlo. Che è
esattamente il contrario di ciò che gli attentatori
vogliono.
Sulla matrice dell'attentato, fonti americane e irachene
dicono al Sole 24 Ore che con tutta probabilità è
riconducibile ad al-Qaida o altre organizzazioni
terroristiche sunnite. Gli attacchi a colpi di mortaio o
missili terra-aria vengono da elementi baathisti, ma un
attentato-suicida ha un'impronta chiaramente diversa:
c'è una connotazione terroristico-confessionale tipica
di al-Qaida o dei suoi satelliti, spiega un funzionario
europeo dei servizi di sicurezza.
Saddam non ha kamikaze, al-Qaida sì, conferma una fonte
irachena. <Ma deve esserci per forza stato un supporto
logistico di elementi locali. Ed è probabile che la
logistica sia stata offerta da elementi della minoranza
sunnita locale, piuttosto che estremisti sciiti>.
Anche se i fondamentalisti sciiti non fossero coinvolti,
la possibilità che si arrivi a una saldatura tra
elementi anti-occidentali sunniti legati ad al-Qaida e
gruppi estremisti sciiti non può essere però ignorata.
Anzi, è la preoccupazione maggiore della Cia. Nel suo
più recente rapporto, circolato in Congresso lunedi, il
chief of station a Baghdad ha presentato un quadro
pessimistico, sottolineando il rischio che la resistenza
baathista si agganci, seppur solo tatticamente, ad
al-Qaida e ad altri fondamentalisti sunniti ma anche a
gruppi sciiti.
Come ai tempi del Vietnam, la paura più grande è
l'effetto domino. La stessa strategia di allontanare gli
stranieri e spingere il Paese verso il caos è stata
infatti adottata anche per l'Arabia Saudita.
Roma, 30 mag. - (Adnkronos) -
L'Eni e' ''molto interessata'' alla possibilita' di
entrare in Iraq, secondo paese al mondo per importanza di
riserve petrolifere. Al momento, pero', il quadro
complessivo non e' ancora sufficientemente chiaro e il
gruppo, per ora, preferisce ''seguire giorno per giorno
il divenire, pronto a cogliere quelle occasioni che ci
consentano poi di lavorare con gli irakeni''. Lo ha detto
il numero uno del gruppo, Vittorio Mincato, all'assemblea
annuale, rispondendo alla domanda degli azionisti
sull'interesse della societa' per il petrolio iracheno.
(Notiziario speciale
per la Presidenza del Consiglio)
Eni - Litaliana Eni,
sesta compagnia mondiale dellenergia per
capitalizzazione di Borsa, e una multinazionale
integrata attiva nel settore del petrolio, del gas
naturale, della produzione di energia elettrica e nella
petrolchimica.
" LItalia (forse la
sua alleanza politica con gli Usa le salverà la sua
fetta di barili) è presente con lAgip assieme alla
British Petroleum inglese nel giacimento di Halfaya (2
miliardi di barili) e come Eni con la Repsol spagnola a
Nasirya (1,9 miliardi di barili). Il valore stimato del
prodotto dei due giacimenti è di 78 miliardi di
dollari."
Riserve di petrolio certe e
probabili per 130 miliardi di barili, che mettono l'Iraq
al terzo posto per importanza dopo quelle di Arabia
Saudita e Russia. Una ricchezza dalla quale sono, per
ora, escluse le grandi compagnie anglo-americane e che
vede, invece, tra quelle meglio piazzate, la franco-belga
Totalfinaelf. Ma, ovviamente, la guerra potrebbe cambiare
questa situazione. L'Eni e' in tratattive, insieme alla
spagnola Repsol, per il giacimento di Nassiriya.
Nello stesso quadro rientra il
petrolio iracheno, divenuto "una delle principali
monete nella contrattazione dell'amministrazione USA per
ottenere dai membri del Consiglio di sicurezza e dagli
alleati occidentali l'adesione all'appello del presidente
Bush per una dura azione internazionale contro
Hussein".
I termini sono quelli
di un ricatto: i paesi che acconsentiranno ad una guerra
contro l'Iraq (anche se Baghdad ha accettato gli
ispettori) potranno avere dal governo filoamericano, in
misura minore rispetto agli USA, contratti per lo
sfruttamento del petrolio iracheno; quelli che si
apporranno saranno esclusi.
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