Rifiuti in
Sicilia. Le prospettive di un affare da cinque miliardi di euro. di Carlo Ruta Con lavvio delle nuove gare per gli inceneritori, viene rilanciato un affare di proporzioni enormi, destinato a influire notevolmente sugli assetti del potere siciliano nei prossimi decenni. Le concertazioni fra Palermo e Roma. Il quadro degli interessi in causa. Laccelerazione impressa dalle sedi regionali nella partita dei rifiuti è sintomatica. È arrivata per certi versi imprevista, dopo anni di gioco apparentemente fermo, a seguito della decisione assunta nel 2006 dalla Corte di Giustizia dellUnione Europea di annullare le aggiudicazioni dei quattro mega inceneritori, avvenute nel 2003. Si è cercato di prendere tempo, per rimettere ordine nellaffare, che ha visto in campo cordate economiche di spessore, eterogenee ma bene amalgamate. Si è interloquito con le società interessate per concordare il rimborso dei danni, stabiliti in ultimo nella cifra, iperbolica, di 200 milioni di euro. Adesso è arrivato lannuncio delle nuove gare, mosse paradossalmente dagli alti burocrati che hanno organizzato le precedenti: dai medesimi quindi che sono stati censurati dalla UE per le irregolarità rilevate nella vicenda. Come è nelle consuetudini, esistono ipoteche, parole date, assetti da cui non è agevole prescindere. Si registra comunque un aggiornamento, non da poco: gli inceneritori da realizzare saranno tre, a Bellolampo, Augusta e Campofranco. Si è deciso quindi di rinunciare al quarto, che sarebbe dovuto sorgere a Paternò, in area etnea. Le responsabilità sono state fatte ricadere sulla compagine aggiudicataria Sicil Power, che secondo lavvocato Felice Crosta, presidente dellArra, avrebbe indugiato troppo dinanzi alle richieste della parte pubblica. In realtà tutto lascia ritenere che si sia trattato di un primo rendiconto, nellintimo della maggioranza e delle aree economiche di riferimento, mentre si opera per disincentivare la protesta che ha percorso lisola dagli inizi del decennio. Si è fatto il possibile, evidentemente,
per rispettare i termini imposti dalla Ue, perché non si
perdessero i contributi, per diverse centinaia di milioni
di euro, che la medesima ha destinato al piano rifiuti
dellisola. In quanto sta avvenendo si scorge
nondimeno un ulteriore tempismo, che richiede una
definizione. Tutto riparte dopo lanno
zero dellemergenza di Napoli,
a margine quindi di una rivolta sedata, ma probabilmente
solo differita, che ha permesso di saggiare comunque un
preciso modello di democrazia autoritaria, sostenuto da
leggi ad hoc e da un particolare piglio sul terreno,
tipicamente militare. Tutto riparte altresì quando
lallarme rifiuti è già al rosso non solo in
Sicilia ma in numerose aree della penisola: quando
simpone quindi una risposta conclusiva, a livello
generale, che, come nel caso di Napoli, si possa spendere
dalla prospettiva del consenso. In tali sequenze si
possono ravvisare allora delle logiche, che comunque
vanno poste in relazione con alcuni dati di fatto, ma
soprattutto con una serie di numeri. In Italia funzionano 52 inceneritori,
che trattano ogni anno circa 4 milioni di tonnellate di
rifiuti: il 15 per cento di quelli complessivi. In
Sicilia ne sorgeranno appunto tre, che, come previsto nei
bandi di gara del 2003 e in quelli odierni, fatto salvo
ovviamente limpianto di Paternò, cui si è
rinunciato, saranno capaci di trattare 1,86 milioni di
tonnellate di rifiuti, pari quindi a quasi la metà di
quelli che vengono inceneriti lungo tutta la penisola. In
particolare: limpianto di Bellolampo avrà una
capacità di lavorazione di 780 mila tonnellate di
rifiuti annui; quello di Campofranco, di 680 mila; quello
di Augusta, di 400 mila. Si tratta di numeri
significativi. I tre inceneritori siciliani risulteranno
infatti fra i più grandi dellintera Europa,
insieme con quello di Brescia, che tratta 750 mila
tonnellate di rifiuti, e con quello di Rotterdam, che ne
lavora 700 mila. I conti tuttavia non tornano, tanto più
se si considera che i rifiuti siciliani da
termovalorizzare, al netto cioè di quelli da riciclare
attraverso la raccolta differenziata e altro, non
dovrebbero superare, secondo le stime ottimali, le 600
mila tonnellate. È beninteso nellinteresse delle
società aggiudicatarie far lavorare gli impianti il più
possibile. Ma a redigere i bandi di gara è stato e
rimane un soggetto pubblico, tenuto al rispetto
dellinteresse generale, delle leggi italiane, delle
direttive europee, e che, comunque, non può prescindere,
oggi, da taluni orientamenti del governo nazionale. In sostanza, i numeri bastano a dire che
già nel 2003, quando il governo Berlusconi poteva godere
dellosservanza stretta di Salvatore Cuffaro,
presidente della giunta regionale, si aveva unidea
composita dei mega impianti che erano stati studiati per
la Sicilia. E se non fosse intervenuta la Ue, quando
Romano Prodi aveva riguadagnato il governo,
loperazione rifiuti, nei modi in cui era stata
congegnata, sarebbe oggi alla svolta conclusiva, a
dispetto delle problematiche ambientali e
dellinteresse delle popolazioni. Con lavvento
dellautonomista Raffaele Lombardo il gioco si è
fatto più mosso. Le cronache vanno registrando sussulti
di un qualche rilievo nel seno stesso della maggioranza.
Ben si comprende tuttavia che se ieri laffare
accendeva motivazioni forti, oggi diventa
imprescindibile, sullo sfondo di un potere politico che,
dopo Napoli appunto, sempre più va lanciandosi in
politiche che per decenni la comune sensibilità aveva
reso impraticabili. Il proposito delle centrali nucleari
costituisce del resto lemblema di un modo
dessere. Esistono in realtà le premesse perché
la linea dei termovalorizzatori, a partire dalla
Campania, dove sono in costruzione quattro impianti,
passi con ampiezza, a dispetto delle restrizioni sancite
in sede comunitaria. In particolare, tutto è stato
fatto, in un anno di governo, perché laffare
risulti allettante. Se il ministro dellAmbiente del
governo Prodi, a seguito di una procedura
dinfrazione dellUnione Europea, aveva
annullato infatti il Cip6, nel quadro dei
contributi concessi alla produzione di energie
rinnovabili, il ripristino e la maggiorazione del
medesimo, nei mesi scorsi, offre alle imprese del campo
ulteriori sicurezze. In aggiunta, con la finanziaria
2009, tale contributo viene esteso a tutti gli impianti
autorizzati, inclusi quelli che indugiano ancora sulla
carta. In tale quadro, laffare siciliano
insiste a recare comunque caratteri distinti. Alcuni dati
recenti della Campania, epicentro dellemergenza
italiana, lo comprovano. Glinceneritori che stanno
sorgendo ad Acerra, Napoli, Salerno e Santa Maria La
Fossa, potranno trattare, insieme, rifiuti per un massimo
annuo di un milione e 200 mila tonnellate. I tre
siciliani, come si diceva, potranno lavorarne poco meno
di due milioni. Questo significa allora che lisola
è destinata a far fronte alle emergenze che sempre più
si paventano in altre aree del paese? Alla luce di tutto,
propositi del genere sono più che supponibili. Se tutto
andrà in porto, non potranno mancare, in ogni caso, le
occasioni e le ragioni per far lavorare gli inceneritori
a pieno regime. Sulla base di logiche che non hanno alcun
riscontro in altri paesi del mondo, si prevede infatti
che possano essere trattati nellisola fino
all85 per cento dei rifiuti siciliani, con esiti
ovvi. A fronte dei progressi tecnologici, di cui pure si
prende atto, la nocività dei termovalorizzatori viene
riconosciuta a tutti i livelli, a partire dalla Ue, che
suggerisce impianti di dimensioni piccole e medie, tanto
più in prossimità degli abitati. Viene ritenuto
esemplare in tal senso quello di Vienna, allocato nel
quartiere periferico di Spittelau, che può trattare fino
a 250 mila tonnellate di rifiuti. Sono ipotizzabili
allora i danni che potranno derivare dagli inceneritori
siciliani: da quello di Campofranco che, tre volte più
grande di quello viennese, dovrebbe sorgere ad appena un
chilometro dallabitato, a quello di Augusta che,
uguale per dimensioni allimpianto di Parigi, non
potrà che aggravare, come denunciano da anni le
popolazioni, lo stato di unarea già fortemente
colpita dalle scorie petrolchimiche. Ma tutto questo
rimane ininfluente. Il secondo tempo della partita siciliana
significa ovviamente tante cose. Dalla prospettiva
propriamente politica, è in gioco il potere. Sul terreno
dei rifiuti, oltre che delle risorse idriche e delle
energie, andranno facendosi infatti gli assetti regionali
dei prossimi decenni. Laffare è destinato altresì
a pesare sul contratto che va ridefinendosi fra Palermo e
Roma, fra linteresse autonomistico in versione
Lombardo e quello di un potere centrale che intende
mettere mano alla Costituzione come mai in passato. La
presenza insistente del presidente regionale presso le
sedi governative, danno peraltro conto di affinità
sostanziali, di una interlocuzione produttiva. È
comunque sul piano degli interessi materiali che si
condensa maggiormente il senso dellaffare. La posta
in palio rimane senza precedenti: circa 5 miliardi di
euro in un ventennio, fra fondi governativi e comunitari.
In via ufficiale, ovviamente, ogni decisione è aperta.
Ma nei fatti, è realmente così? È possibile che si
prescinda del tutto dai solchi tracciati dalle gare del
2003? Sin dagli esordi, la storia ha
presentato un profilo mosso. Come era prevedibile, è
sceso in campo il top dellindustria italiana
dellenergia. Senza difficoltà gli appalti degli
inceneritori di Bellolampo, Campofranco e Augusta sono
andati infatti a tre gruppi dimprese,
rispettivamente Pea, Platani e Tifeo, guidati da società
del gruppo Falck. Nel secondo si è inserita altresì,
con una quota di riguardo, Enel Produzione. E la cosa
darebbe poco da riflettere se non fosse per il piglio
particolare con cui tale società veniva amministrata,
allora, da Antonino Craparotta, destinato a finire in
disgrazia per lemergere di una storia di capitali
extracontabili, alla volta di paesi arabi. Ancora senza
alcun ostacolo, come da consuetudine, la quarta
aggiudicazione, per limpianto di Paternò, è
andata a Sicil Power, un raggruppamento di diversa
caratura, guidato da Waste Italia: quello che adesso,
significativamente, con la rinuncia allinceneritore
etneo, sembra essere finito fuori gioco. Sono comunque
altre presenze, discrete e nondimeno importanti, a
rivelare i toni della vicenda. Il posizionamento rapido della famiglia
Pisante, presente nelle cronache giudiziarie sin dai
tempi di Mani pulite, e del gruppo Gulino di
Enna nelle quattro compagini aggiudicatarie, attraverso
la Emit e lAltecoen, è al riguardo paradigmatico.
Come tale è stato percepito del resto, sin dai primi
tempi, da alcune procure, che hanno lanciato
lallarme inceneritori, e dalla stessa Corte dei
Conti siciliana, intervenuta sul caso con perentorietà.
A gare concluse, sono emersi, come è noto, degli
inconvenienti, che hanno costretto limprenditore
ennese, reduce con i Pisante della vicenda di
MessinAmbiente, finita in scandalo, a farsi da parte, con
la cessione di quote che gli hanno fruttato diversi
milioni di euro. I termini della questione rimangono
però intatti. Si è aperta una contrattazione. Interessi
di varia portata sono diventati compatibili. È stato
tenuto debitamente conto delle tradizioni. Il gruppo
pugliese infine, senza alcun pregiudizio, è rimasto in
gioco. Tutto questo costituisce però solo un aspetto
della storia. Si sono avuti infatti ingressi ancor più
discreti, per certi versi invisibili, al confine comunque
fra leconomia e la politica. È il caso della
Pianimpianti: nota società di Milano amministrata dal
calabrese Roberto Mercuri. Attiva in numerose aree della penisola e
allestero nellimpiantistica per
lambiente, tale impresa ha potuto godere di un
inserimento strategico nel sistema degli appalti
calabresi: in quelli dei depuratori in particolare, che
hanno mosso circa 800 milioni di euro. Ha manifestato
altresì dei punti di contatto oggettivi con lUdc,
essendone stato vice presidente lex parlamentare
parmigiano Franco Bonferroni, amico di Pier Ferdinando
Casini, ma soprattutto legatissimo a Lorenzo Cesa,
attuale segretario nazionale del partito. Per tali
ragioni, ritenuta cardinale negli intrecci fra politica e
affari in Italia, è finita al centro di indagini
giudiziarie complesse, condotte dal sostituto procuratore
di Potenza Henry John Woodcock e, soprattutto, da Luigi
De Magistris. Nellatto di accusa del sostituto di
Catanzaro vengono passati in rassegna fatti specifici,
alcuni di non poco conto: dal sequestro di 3,8 milioni di
euro al fratello e al padre di Roberto Mercuri su un
treno diretto in Lussemburgo, al versamento di 370 mila
euro che la Pianimpianti avrebbe fatto alla Global Media,
ritenuta, attraverso Cesa, il polmone finanziario
dellUdc. Un teste, riferendosi agli appalti dei
depuratori in senso lato, ha detto inoltre del sistema in
uso delle tangenti, stabilite nella misura dal 3 al 7 per
cento, equamente divise fra la Calabria e Roma. In
conclusione, laccusa ha presentato la società di
Mercuri come la cassaforte di una
associazione finalizzata allillecito, ma
linchiesta, che come è noto è passata di mano, è
stata largamente archiviata. Cosa centra però tutto questo con gli inceneritori in Sicilia? In apparenza nulla. Pianimpianti, nei raggruppamenti guidati dal gruppo Falk, reca una presenza del tutto simbolica, con quote dello 0,1 per cento. Nellaffare ha guadagnato in realtà un rilievo sostanziale per quanto è avvenuto, in via assolutamente privata, dopo le aggiudicazioni del 2003. Le società Pea, Platani e Tifeo, l1 luglio 2005 hanno commissionato infatti proprio allimpresa di Mercuri, in associazione con la Lurgi di Francoforte, la fornitura, chiavi in mano, dei tre inceneritori, per un importo complessivo di mezzo miliardo di euro, che costituisce, a conti fatti, la fetta più grossa, più immediata, quindi più tangibile, dellintera posta in palio. È il caso di sottolineare in ultimo che pure il sodalizio Pianimpianti-Lurgi è connotato da un iter mosso, antecedente e successivo alla firma dei contratti con Actelios-Elettroambiente. Le due società sono finite sotto inchiesta nel 2005 per un giro di tangenti connesse alla costruzione dei due termovalorizzatori di Colleferro. Compaiono altresì nellinchiesta Cash cow, ancora in corso, che nella medesima area laziale ha coinvolto, fra gli altri, decine di politici. A questo punto, dal momento che sono state disposte nuove gare, si tratta di capire cosa potrà avvenire delle intese sottoscritte a partire dal 2003. Di certo, le società aggiudicatarie hanno guadagnato una posizione favorevole. Da titolari dei cantieri, hanno ripreso a beneficiare infatti del Cip6, malgrado il blocco di ogni attività dal 2007. Otterranno infine il mega risarcimento che reclamavano, di 200 milioni di euro appunto, pur avendo effettuato nei tre siti lavori esigui, solo di recinzione e movimento terra. Dopo la firma dellaccordo, regna quindi un curioso ottimismo. Prova ne è che i titoli Falck hanno avuto in Borsa rialzi del tutto anomali, lontanissimi dai trend dellattuale recessione. Ma quali giochi vanno facendosi? La cifra della penale, che evoca un calcolo complesso, di certo costituirà un forte deterrente alla partecipazione di nuove compagini. Nel caso in cui la gara dovesse andare a vuoto, laffidamento diretto agli attuali concessionari, a trattativa privata, potrebbe essere quindi un esito inevitabile. Ed è la stessa Falck a dare conto di intese in tal senso con lAgenzia regionale, nella relazione semestrale del giugno 2008. Per motivi di opportunità potrebbe prevalere tuttavia una seconda soluzione: il ritorno in gara, direttamente o in forma mimetica, delle imprese già aggiudicatarie, che finirebbero per pagare a sé stesse la penale, per il ripristino dei patti. In ambedue i casi, come è evidente, risulterebbe eluso il pronunciamento della Corte di Giustizia Ue. |