Intervento inviato dal Prof. Antonio Fazio

              Governatore della Banca d'Italia                    

Gentile dottoressa Falcone,desidero anzitutto ringraziare la Fondazione da Lei presieduta per l’invito rivoltomi che  come ho avuto, modo di rappresentare, non ho potuto purtroppo accogliere per un improrogabile impegno a Francoforte, presso la Banca centrale europea. Il dibattito da Voi promosso, per la presenza di due maestri del pensiero economico e filosofico, Amartya Sen e Lawrence Klein, dell’illustre economista ed amico Salvatore e di tanti altri autorevoli personaggi, è un’occasione alta, per il mondo della cultura e delle istituzioni, per onorare Giovanni Falcone, verso il quale l’Italia tutta ha un inestinguibile debito di riconoscenza.
 
Giovanni Falcone non è stato semplicemente un “servitore dello Stato”, come Egli stesso, schivo per natura, amava definirsi: una definizione scarna, ma per noi, oggi, casi vibrante di eticità, di passione civile, di spirito di dedizione. Era anzitutto un uomo di buona volontà, di quelli che per i credenti e anche per i non credenti costituiscono il sale della vita, la speranza della salvezza; un uomo che ha posto le sue eccezionali doti di intelligenza, di sensibilità, di rigore a difesa dei valori di libertà e di giustizia che aveva eletto a cardini della propria missione. I disegni della criminalità mafiosa hanno trovato in Falcone un baluardo della democrazia e della legalità.
L’agire della persona non può non essere guidato da principi etici; dà vale anche in campo economico.
Il  rispetto dei valori etici, elemento essenziale per la convivenza civile, costituisce un fattore indispensabile per l’economia e per il suo sviluppo. La mancata considerazione di questi valori crea distorsioni nei mercati, falsa la concorrenza. Il benessere complessivo può essere raggiunto solo laddove i beni e i servizi prodotti si impongano per qualità e costo, in un contesto di effettiva competitività.
Il mercato è un
locus artificialis; non vive senza regole; è pur sempre uno strumento per l’uomo e per la comunità. E’ cruciale il ruolo che le leggi e l’amministrazione, rinnovate nelle funzioni e nell’operatività, possono svolgere per garantire l’efficienza del sistema economico.
Il mercato, seppur regolato da un principio di giustizia commutativa, può produrre disuguaglianze. In esso, come ricordava Einaudi, si soddisfano domande, non bisogni. Una società di uomini liberi, dunque, proprio per rispondere a esigenze fondamentali, ha necessità anche di un’altra forma dl giustizia, quella distributiva, che deve essere garantita dallo Stato, dalle istituzioni, dalla cultura.
Ricordo quel che disse Amartya Sen in occasione della prima Lezione Baffi: la valutazione del ruolo che il profitto assolve come incentivo e fonte di efficienza economica va i
ntegrata con il  riconoscimento altrettanto fermo delle perdita del benessere sociale e delle disuguaglianze, che potrebbero in tante circostanze ritardare accresciute da comportamenti volti a perseguire quell’obiettivo.
Per governare il mercato, anche nella direzione di una maggiore giustizia distributiva, occorrono strumenti sempre più rigorosi di analisi economica. Lawrence Klein ha dedicato numerosi studi alla costruzione di modelli econometrici, nel convincimento dell’importanza fondamentale, ai fini degli interventi di politica economica, di
accertare a che punto sia l‘economia in un dato momento o dove stia andando nel prossimo futuro.
In un sistema basato sullo scambio, i principi cardine che gli operatori devono seguire sono la correttezza e la buona fede.

Alan Greenspan ha sottolineato che senza la fiducia reciproca, e il rispetto delle regole da parte degli operatori del mercato, nessuna economia può prosperare. Il sistema si basa fondamentalmente sulla correttezza comportamentale degli individui. Basta dare uno sguardo al mondo di oggi per capire quanto tutto ciò sia raro e prezioso.
Accanto ai comportamenti meramente scorretti che, incidendo sulla credibilità e affidabilità degli operatori, rendono più difficile la conclusione di nuovi affari, vi sono condotte che ricadono nella sfera della illegalità. Tra queste ha un particolare rilievo il fenomeno della corruzione, che rappresenta la negazione stessa della logica sottesa al libero mercato.
La corruzione premia coloro che ad essa ricorrono per ricavarne un beneficio personale con danno per gli altri concorrenti, prescindendo dalle caratteristiche di qualità e costo del prodotto offerto. Ciò costituisce una diseconomia per il sistema se il fenomeno pervade la società, vengono meno gli stessi benefici effetti del mercato, che perde la sua funzione di stimolo e progresso.
Oltre alla corruzione, vi sono fenomeni più strettamente legati all’attività dalla criminalità organizzata quali l’estorsione, il contrabbando, il riciclaggio, l’usura, che hanno riflessi sul sistema economico.
L’estorsione incide sull’offerta di beni e servizi aggravando i costi di produzione e di distribuzione. Il contrabbando crea un mercato parallelo a quello legale che a esso fa concorrenza poiché offre prodotti a prezzi inferiori
Anche nel settore dei finanziamenti si possono creare “mercati paralleli”, non istituzionali, nei quali fiorisce il fenomeno dell’usura. L’usura può assumere molteplici forme, ma contiene in sé sempre un elemento di violenza, legato al radicale squilibrio tra la posizione di chi la pratica e quella di chi, costretto dal bisogno, la subisce.
L’estorsione, il contrabbando, l’usura sono strumenti attraverso i quali spesso la criminalità raccoglie denaro per finanziare le proprie attività illecite. Le associazioni a delinquere gestiscono, oggi, ingenti quantitativi di capitale; acquista, allora, importanza fondamentale la lotta al riciclaggio.
L’usura deve essere combattuta a diversi livelli. L’azione repressiva condotta dalle Forze dell’ordine e dall’Autorità giudiziaria deve essere affiancata da una rigorosa politica di prevenzione del fenomeno usurario. Un ruolo primario può essere svolto dal sistema bancario e, in particolare, dalle banche di credito cooperativo che, con il loro forte radicamento sul territorio rappresentano oggi, specie nel Mezzogiorno, un importante canale di finanziamento delle famiglie e delle piccole imprese.
Vanno ulteriormente compiuti sforzi per estendere la collaborazione, nell’azione di prevenzione e di contrasto, a livello internazionale.
Più in generale, di fronte alle grandi trasformazioni e alle gravi indeterminatezze che, nel nuovo secolo, toccano le nostre società, si avverte il bisogno di saldi punti di riferimento, di una grande riforma morale e intellettuale che porti a riflettere di più sul futuro, sulle prospettive delle giovani generazioni sui valori metaeconomici. Le stesse risposte alle esigenze dell’economia, richiedono l’affermarsi ovunque di una. piena ed efficace legalità, come cruciale precondizione,
Nella sua azione, nella quale impegnò tutte le energie, Giovanni Falcone, ebbe sempre la collaborazione, per la parte di sua competenza, della Banca d’Italia.
La società è stata oggetto, negli ultimi anni, di trasformazioni profonde. I segni dei tempi — globalizzazione, immigrazione, nuove povertà — ci interpellano incessantemente. Giovanni Paolo II ha sottolineato come uno di questi segni, forse quello che, più di ogni altro, ha carattere epocale; la globalizzazione, richiede una grande capacità di governo e di solidarietà. Il Santo Padre ha ammonito che bisogni umani imprescindibili non possono essere lasciati in balia del mercato con il rischio di essere fagocitati
In questo quadro, creare lavoro deve essere la misura di tutte le azioni dalla politica e della società.
Giovanni Falcone ripeteva che le
idee restano. I valori di fiducia, solidarietà, libertà, giustizia, che sono alla base della convivenza fra gli uomini e i popoli, sono eterni e universali. La loro forza sta proprio nella capacità di resistere a qualsiasi rivoluzione sociale ed economica.
Egli ha voluto parlare a tutti. Con l’agire, ha detto, nella forma più drammatica ma al tempo stesso imperitura, che alcuni fondamentali valori vanno difesi anche a costo della propria vita.
  Dobbiamo, tutti, istituzioni, società civile, uomini di buona volontà adoperarci per costruire una società più giusta e solidale, libera da violenze e sopraffazioni, in cui ciascuno possa vivere con piena dignità. Deve essere un impegno concreto per ognuno di noi.
Saluto la Vostra assemblea, augurando un proficuo svolgimento dei lavori, che certamente faranno tesoro dei contributi di tante autorevoli personalità che costì interverranno.

Il primato del lavoro in economia


L'
homo oeconomicus è solo una parte dell'uomo, è una sorta di ente di ragione, sviluppato dall'analisi economica per comprenderne il comportamento nel consumo, nel risparmio, nella produzione.
L'uomo economico è una categoria che non contrasta con il perseguimento delle finalità etiche di correttezza, senza la quale verrebbe meno la capacità del mercato di operare a vantaggio del singolo e, allo stesso tempo, della collettività.
Lo svolgimento dell' attività economica esige, infatti, 1'osservanza di regole di trasparenza nei comportamenti, nelle informazioni, nello scambio, nei rapporti di lavoro, nelle relazioni finanziarie; si tratta, in sostanza, di principi etici. Questa condotta è necessaria perché dalla massimizzazione della utilità del singolo derivi anche un vantaggio per la generalità dei soggetti che partecipano all'attività economica.

Per impiegare un concetto alto, deve essere presente nelle relazioni economiche una giustizia commutativa, mancando la quale si può agevolmente dimostrare che l'opera delle forze di mercato non produce benessere, anzi può ingenerare regresso e involuzione. Si pensi all'abuso di informazioni riservate e alla concorrenza sleale, ai monopoli, alla corruzione, all'usura, allo sfruttamento del lavoro. Negli anni recenti la necessità di un'etica nei rapporti economici è stata riscoperta dagli economisti prima che dai moralisti; senza quella correttezza l'economia alla lunga imploderebbe.
Il mercato, dunque, vive di regole; 1'osservanza di queste è fondamentale; esige fermezza, tempestività, oggettività da parte di chi, in funzione degli interessi dei singoli e collettivi, è chiamato a farle applicare; costituisce per chi è preposto a questa funzione un dovere; esso è, di fatto, 1'antitesi dell'interventismo, rivolto ai fini e non alle regole.

Un altro aspetto, ricorrente nelle riflessioni di Pavan, si riconnette all'importanza del lavoro come fattore originario e fondamentale della produzione. É un concetto che risale agli economisti classici, Smith, e Ricardo; passa attraverso Marx, è ripreso in quell'opera di eccezionale concisione e lucidità che è Produzione di merci a mezzo di merci di Sraffa; è presente altresì negli economisti keynesiani e in quelli neoclassici; si ritrova in Leontief e Samuelson.
Oggi è più che mai riconosciuto, proprio come sostenevano i classici, che il principale fattore di produzione è costituito dal capitale umano. Di qui la crucialità delle politiche della scuola, dell'educazione, della formazione. La competizione del nuovo secolo, che sarà caratterizzato dall'informatizzazione di massa, sarà principalmente nelle abilità, nei saperi, nella progettualità, ma anche nelle grandi visioni che solo la cultura umanistica può dare.
Adam Smith insegnava che la fondamentale ricchezza di una nazione è costituita dalle capacità e dalle abilità degli uomini nel produrre; con riferimento ovviamente a qualsiasi genere di lavoro, non soltanto al lavoro manuale. Questa configurazione dell'uomo dal punto di vista degli economisti può ben accordarsi con il riconoscimento ontologico della sua dignità in quanto persona, dotata di capacità fisiche, intellettuali, spirituali.
È allora naturale che nei rapporti di produzione, chi lavora, chi presta la propria opera alle dipendenze di altri possa e debba essere più di un mero esecutore; di fatto partecipa alla progettazione del proprio lavoro, ne condivide i frutti, può arrivare a compartecipare all'attività dell'impresa.
Questa visione, come dirò tra poco, è coerente con un' idea più generale della remunerazione del lavoro che si trova espressa con chiarezza e fermezza nella
Mater et Magistra.
La remunerazione del lavoro, come è scritto in quel fondamentale documento deve essere almeno concettualmente composta di due parti e rispondere a due finalità. Da un lato, deve garantire la dignità delle condizioni di vita del lavoratore e della sua famiglia: Toniolo diceva già nel secolo scorso che il lavoratore ricerca nel salario prima di tutto la dignità; dall'altro deve remunerare l'impegno e la capacità del prestatore d'opera. Questo secondo aspetto è coerente con una visione, da un lato di giustizia nella distribuzione del reddito, dall'altro, di efficienza nell'economia.
Va ricordato che una società giusta è quella che offre a tutti i suoi membri condizioni di vita dignitose, ma nel contempo, remunera la capacità e l'impegno di ciascuno. Una società «egualitaria», nella quale tutti hanno lo stesso reddito, sarebbe alla fine ingiusta, ma sarebbe anche inefficiente: ingiusta, in quanto non si remunera adeguatamente chi più si impegna; inefficiente, perché non c'è correlazione tra qualità e quantità del lavoro e la sua remunerazione. Cosicché si rischia di premiare le incapacità e la pigrizia e di non fare emergere chi offre di più alla società con il suo lavoro.

In una società industriale evoluta la quantità di reddito prodotto è idonea a remunerare adeguatamente il lavoro e a sostenere un sufficiente livello di consumi; nel contempo, consente la formazione di risparmio da destinare all'investimento e quindi allo sviluppo. L'analisi economica, sia essa neoclassica sia essa di tipo marxiano come quella di Sraffa, è sostanzialmente coerente con questa visione. All'interno della quantità di reddito destinata al lavoro, una parte, oltre quella rivolta a garantire condizioni di vita dignitose, deve essere distribuita con criteri di proporzionalità ai risultati; cioè deve essere erogata secondo criteri di flessibilità, la correlazione della massa salariale alla produttività garantisce stabilità al sistema e, nel contempo, genera le condizioni per una compartecipazione del lavoratore alle sorti dell'impresa, che può essere spinta fino alla partecipazione al capitale dell'impresa stessa.
Pavan giungeva a configurare il superamento dello status di salariato nello sviluppo del processo di collaborazione, nella solidarietà di fondo tra le parti sociali.
È una linea che dovrebbe concorrere a ispirare una rinnovata politica dei redditi. Essa è necessaria anzitutto per affrontare i problemi dell' occupazione e della crescita, nel nuovo contesto della globalizzazione.

Beni, solidarietà e sussidiarietà
Ma vorrei ora rivolgermi a un altro aspetto ben presente nella dottrina sociale e nelle riflessioni di Pavan: la sussidiarietà.
È un concetto che si trova già nella scolastica medievale e che attiene al rapporto tra sfera pubblica e attività privata.
I poteri pubblici, lo Stato non devono esercitare attività che possono essere di fatto meglio svolte dai privati, cioè l'attività di impresa e di produzione in una moderna e ben funzionante economia. Lo Stato e i poteri pubblici devono darsi carico di offrire al sistema economico i cosiddetti beni pubblici, quelli cioè che il mercato non è in grado di produrre sulla base delle sue proprie forze e delle sue leggi.
Il carattere pubblico di un bene attiene alla sua natura e alla sua destinazione; non implica che sia necessariamente lo Stato a fornirlo.
La quantità di beni pubblici tende a crescere con la complessità dell'economia; tuttavia, troppo spesso si vorrebbero pubblici beni che meglio possono essere prodotti dall'iniziativa privata. Secondo la
Mater et Magistra, lo Stato e altri enti di diritto pubblico non devono estendere la loro proprietà se non quando lo esigono motivi di evidente e vera necessità.

Un particolare settore è quello della previdenza e, più in generale, dello Stato sociale. La previdenza pubblica risponde al principio di solidarietà fra generazioni; più fondamentalmente, a un criterio di giustizia distributiva tra le generazioni in attività e quelle in quiescenza.
Coloro che ora lavorano e producono lo fanno anche sulla base di un capitale di conoscenze e di beni materiali accumulati da coloro che hanno lavorato in passato.
Ho ricordato come la conoscenza e le capacità tecniche siano un fattore di produzione di primaria importanza.
Ogni generazione eredita in questo campo ciò che è stato predisposto, creato da una generazione che, appunto, lo trasmette alla successiva. È giusto che coloro che hanno lavorato in passato continuino a godere di una parte dei frutti delle conoscenze da loro accumulate. Ma la previdenza pubblica non può estendersi per vincoli di bilancio oltre certi limiti; aldilà di questi limiti può e deve subentrare l'iniziativa privata.
Qui ben può trovare applicazione la categoria della sussidiarietà. Accanto a una previdenza pubblica, che garantisce a tutti i lavoratori in quiescenza un certo ammontare di reddito per condizioni di vita dignitose e correlato con la quantità di reddito prodotto e accantonato, può esistere una previdenza integrativa complementare, che ogni individuo può costituire per sé e per la propria famiglia attraverso il ricorso a forme assicurative.
É necessario a tal fine destinare una parte del reddito guadagnato durante l'attività lavorativa a future esigenze.
L'intervento volto a garantire condizioni di vita dignitose a tutti coloro che non possono partecipare all'attività produttiva per malattia, per privazioni, per disgrazie, per altre difficoltà ha per sua natura un carattere solidaristico e pubblico. Accanto alle antiche e sempre presenti esigenze di una società complessa, in continuo movimento, si presentano ora nuove povertà: sovvenire a esse è funzione pubblica. Ma perché non coinvolgere in questa attività, in modo più sistematico e razionale di quanto oggi non avvenga, il cosiddetto terzo settore, il comparto
non profit, il volontariato? A ben vedere è stato così nella storia. In genere, è stata soprattutto la Chiesa che, nei secoli, ha fondato gli ospedali, gli ospizi per i poveri, le mense per i bisognosi e continua a farlo.

È un'antica aspirazione che accomuna ideali diversi, dal riformismo operaio al solidarismo cattolico, quella di introdurre nel lavoro e nella produzione forme di autogoverno.
A esigenze di utilità sociale e collettiva spesso lo Stato non è in grado di far fronte, per le difficoltà che incontra nel riconoscerle tempestivamente e affrontarle in maniera e misura appropriate.
Il terzo settore, il volontariato, coloro che operano nel sociale conoscono meglio i nuovi bisogni e a essi sono in grado di rispondere con tempestività e con il minimo indispensabile di mezzi: usando un termine economico, in maniera efficiente.
In Italia lo sviluppo del terzo settore è rilevante, ma, se si confronta la situazione con quella dei paesi più avanzati, si riscontra che esso è in questi paesi ancora più sviluppato e, in alcuni casi, meglio organizzato. Lo Stato non può intervenire per far fronte a tutti i nuovi bisogni e a tutte le nuove forme di povertà; deve rispettare le compatibilità di bilancio.
Abbiamo avuto modo di ricordare che la costruzione del sistema di previdenza pubblica è una conquista di civiltà. Le modifiche che in esso oggi si impongono e che vanno realizzate in un'ottica di medio termine sono necessarie per preservarne la sostanza, assicurarne la durevolezza, per consentire alle future generazioni di beneficiare di questa acquisizione storica. Nel riesame dello Stato sociale e, in particolare, della previdenza pubblica, un ruolo non secondario può spettare alla sollecitazione e alla incentivazione di attività
non profit. Una minima parte delle risorse risparmiate dallo Stato può essere destinata a fornire le necessarie strutture di base perché il terzo settore e il volontariato possano svolgere in maniera sistematica ed efficiente la propria opera. Essa deve rimanere un'opera volontaria. Lo Stato, i poteri pubblici non devono intervenire sui contenuti, sull'azione del volontariato; devono, invece, assicurare solo alcune condizioni normative e fiscali, nonché fornire le infrastrutture di base, perché il compito di questi nuovi soggetti possa svilupparsi ordinatamente, e apprestare alcune garanzie elementari per coloro che tale attività svolgono.
Sono, questi, stimoli alla riflessione nella linea di un pensiero sociale forte, attualissimo.
La Sapienza dice che l'abbondanza dei saggi è la salvezza del mondo: Pietro Pavan è uno di essi.

Antonio Fazio.

Intervento introduttivo del Governatore della Banca d'Italia.


Signor Presidente, Signori Membri della commissione Parlamentare Antimafia,
desidero in primo luogo formulare i più vivi auguri di buon lavoro a questa Commissione. Essa ha per oggetto temi impegnativi di vitale interesse per la società civile e di riflesso per l'economia e la finanza.
Mi piace ricordare in questa sede che il mio primo intervento pubblico dopo la nomina a Governatore avvenne nel maggio dello scorso anno in occasione del Forum su "Economia e Criminalità", organizzato dalla Commissione Parlamentare Antimafia; da quel Forum sono scaturiti validi approfondimenti sui diversi aspetti della materia.
La Banca d'Italia ha costantemente riservato una particolare attenzione a questo tema, come dimostrano le numerose testimonianze rese dal mio predecessore e dai suoi collaboratori presso la Commissione Antimafia; le prime risalgono alla metà degli anni '80, quando i termini del problema non erano chiaramente delineati e gli strumenti di difesa assai limitati.
Nelle Considerazioni Finali del 1984 venivano tracciate le due linee di intervento, tuttora pienamente attuali, attraverso cui la Banca d'Italia opera su questo fronte: la prima attiene all'esercizio della propria funzione istituzionale di vigilanza sul sistema creditizio; la seconda si realizza attraverso la collaborazione prestata ad organi dello Stato, soprattutto l'Autorità Giudiziaria, impegnati nella difficile opera di contrasto alla criminalità.
La normativa antiriciclaggio in Italia ha trovato una organica espressione nella legge 197 del luglio 1991. La fase di prima applicazione è ormai superata. La materia dell'antiriciclaggio è entrata a far parte della ordinaria attività di verifica e di controllo che la Banca d'Italia svolge nei riguardi dei soggetti vigilati. È maturo il tempo di condurre una prima riflessione sulla base delle esperienze acquisite.
In un contesto estremamente dinamico in cui le tecniche operative si evolvono con grande rapidità, le normative perdono efficacia se non vengono via via adeguate. Anche nel settore dell'antiriciclaggio si pone l'esigenza di assicurare nel tempo un livello costantemente soddisfacente di efficacia e di efficienza della disciplina, evitando che si accumulino costi eccessivi non giustificati da vantaggi certi e percepibili. Qualora quest'ultima circostanza si materializzasse, si determinerebbe negli operatori un atteggiamento di scarsa attenzione tale da vanificare la validità delle regole.
La difesa contro il riciclaggio presuppone una partecipazione convinta e responsabile degli operatori nell'applicazione della normativa. La dichiarazione di principi emanata nel dicembre 1988 dal Comitato di Basilea, che riunisce le banche centrali dei principali paesi, sottolinea che "la prima e più importante difesa contro il riciclaggio risiede nell'integrità dei responsabili delle banche e nella loro vigile determinazione".
Nella lotta alla criminalità organizzata le prescrizioni formali della legge possono risultare insufficienti, se non accompagnate da un'etica professionale fondata su criteri di buona fede, di affidabilità e di correttezza nelle relazioni d'affari.
L'autodisciplina degli operatori è particolarmente importante per il funzionamento dei mercati. Un ricorso troppo ampio a regole fondate su adempimenti formali e su sanzioni penali comporterebbe elementi indesiderati di costo e di rigidità e potrebbe provocare nel tempo un indebolimento dei mercati che risulterebbe alla fine controproducente per lo stesso obiettivo di contrasto della criminalità. Mercati robusti, maturi, capaci di applicare le regole di trasparenza e di concorrenza sono la migliore difesa contro ogni tentativo volto a introdurre metodi di condizionamento mafioso.
Nelle Considerazioni Finali del maggio l993 avevo accostato il tema della lotta al riciclaggio a quello dell'occupazione. Il costo della crisi economica è gravoso e si concentra soprattutto nelle aree più povere e nelle fasce sociali più deboli. Il mercato del lavoro costituisce il terreno su cui il contrasto alla criminalità è più difficile e decisivo al tempo stesso.
La Banca d'Italia continua a impegnarsi fattivamente nella lotta al riciclaggio, utilizzando appieno le competenze che l'ordinamento le attribuisce e le capacità professionali di cui dispone.
L'attenzione della Banca d'Italia si rivolge soprattutto alla prevenzione del fenomeno; mira a consolidare i meccanismi di mercato, a rafforzare i presidi per salvaguardare il sistema finanziario legale dal coinvolgimento in fatti di riciclaggio, a contrastare l'attività finanziaria illegale nelle sue diverse manifestazioni.
Sulla base del quadro normativo individuo tre direzioni principali nelle quali la Banca tende a sviluppare la propria azione.
La prima riguarda l'azione di vigilanza bancaria. Difendere l'autonomia e l'integrità delle gestioni bancarie è uno degli obiettivi della vigilanza. Questo obiettivo viene perseguito attraverso molteplici strumenti, tra cui il controllo degli assetti proprietari, i requisiti di onorabilità degli amministratori, la disciplina delle partecipazioni bancarie, gli interventi di carattere straordinario.
L'esperienza conferma che le banche di minori dimensioni, specie quelle operanti nelle regioni meridionali, sono particolarmente esposte ai rischi di deviazioni connesse all'ambiente circostante. Ciò non fa venir meno tuttavia il ruolo delle banche locali, per la loro capacità di dialogo e di relazioni con le imprese locali. Le banche locali devono saper mantenere e rafforzare questo valore, operando in modo adeguato alle attuali esigenze di mercati concorrenziali e integrati. In questa ottica può essere utile per le banche locali realizzare idonei collegamenti operativi e partecipativi con altre banche di maggiori dimensioni capaci di fornire i supporti, anche gestionali, necessari perché gli organismi locali possano continuare a svolgere con profitto la propria missione.
La seconda linea di intervento è rappresentata dalla analisi economica del fenomeno. La gestione delle informazioni è una leva importante per la lotta alla criminalità. La normativa antiriciclaggio prevede la raccolta presso l'Ufficio Italiano dei Cambi di dati rilevanti concernenti gli intermediari finanziari e le operazioni da essi effettuate. L'Ufficio sta predisponendo un progetto volto a costituire un osservatorio permanente, a carattere istituzionale, per la rilevazione e l'analisi dei fenomeni di criminalità economica, in grado di dialogare con altre istituzioni.
Una terza linea, non certo l'ultima in ordine di importanza, è rappresentata dalla collaborazione con altre autorità. La Banca d'Italia è aperta alla più ampia e positiva collaborazione, come dimostrano le numerose intese ed iniziative congiunte già realizzate. Ciò comporta per l'Istituto un rilevante impegno di risorse, come ad esempio nel caso di funzionari e ispettori che prestano consulenza tecnica per conto di giudici penali in indagini complesse per periodi di tempo anche molto lunghi.
È indispensabile infine una forte collaborazione a livello internazionale. È sui mercati finanziari internazionali che si formano e si muovono i grandi flussi di capitali "sporchi", che poi inquinano i mercati locali. La finanziarizzazione dell'economia, i volumi elevatissimi delle transazioni, il ricorso a tecniche operative sempre più complesse e la crescente diffusione di pratiche speculative costituiscono un ambiente all'interno del quale possono celarsi insidie per il sistema legale.
La Banca d'Italia è impegnata a questo riguardo anche nelle diverse sedi internazionali nelle quali i fenomeni vengono analizzati e dove si formano le direttive di azione volte a combattere i fenomeni stessi.
Vorrei accennare infine al tema dell'usura, che rappresenta, come ho avuto modo di dire in altre circostanze, una vera e propria piaga sociale, e che è legato strettamente ai fenomeni della criminalità organizzata, del riciclaggio e ad altre patologie come le estorsioni, le truffe e l'abusivismo finanziario. L'usura è un fenomeno complesso, frutto della stratificazione di numerosi problemi protrattisi nel tempo, che pertanto va affrontato su diversi campi. Uno degli obiettivi da perseguire è l'affermazione di condizioni per un efficace scrutinio del merito di credito ad opera delle banche e per una sua responsabile accettazione da parte degli operatori, evitando che situazioni di disagio portino a indirizzare questi ultimi verso i canali pericolosi dell'usura.
In conclusione, in una materia complessa come quella all'attenzione di codesta Commissione, la soluzione dei problemi va ricercata attraverso un'azione coordinata e tenace di tutte le componenti pubbliche e private che formano il tessuto economico e finanziario del nostro Paese. La Banca d'Italia continua a svolgere pienamente l'azione di propria competenza, consapevole che la fiducia nella moneta riposa anche sui valori di fondo del Paese e sulla sua capacità di sviluppare un percorso di crescita sano e durevole.

La difesa di Bankitalia:
Parmalat è atto criminoso

"Non sono a rischio nè la stabilità complessiva nè quella di singoli intermediari" in seguito al caso Parmalat. Fazio difende l'operato suo e delle banche. E attacca: il risparmio si tutela anche con la lotta al deficit.


Milano. Bankitalia non ha i mezzi per verificare la veridicità dei bilanci delle imprese e non è compito suo verificare la sovibilità di chi emette bond. Quello che può fare è vigilare che le banche non si espongano troppo verso un unico emittente, cosa che farebbe aumentare il loro profilo di rischio. Cosa che, infatti, Banktialia ha puntualmente fatto dal momento che "l'esposizione delle banche italiane verso le imprese" della famiglia Tanzi "non ha mai raggiunto livelli tali da costituire un rischio per la stabilità di alcun intermediario". Così il governatore di Banca d'Italia Antonio Fazio replica - in un'audizione presso le commissioni congiunte Finanze e Attività produttive di Camera e Senato in Parlamento - agli attacchi che negli ultimi tempi gli sono piovuti addosso sulla vicenda del crac del gruppo alimentare. Tanto più che, ha aggiunto Fazio, "il caso Parmalat nasce da episodi, ripetuti, di criminalità nella gestione di impresa" e che "i contorni della vicenda dimostrano, ancora una volta, che l'inosservanza della legge, la mancanza di un solido riferimento etico per i comportamenti degli operatori possono costituire un grave intralcio al funzionamento del sistema economico e finanziario".

Rischi bancari sotto controllo
Nell'ultimo triennio i prestiti delle banche italiane e delle filiali di banche estere in italia a società facenti capo alla famiglia Tanzi hanno oscillato tra 3,1 e 3,8 miliardi di euro. A novembre scorso ammontavano a 3,4 miliardi, di cui 800 milioni riferiti a finanziamenti erogati da filiali italiane di banche estere. Le banche insediate in Italia detenevano in portafoglio titoli di società del gruppo Parmalat per 250 milioni di euro. I fondi di investimento posseggono obbligazioni Parmalat per 66 milioni. Fazio ha sottolineato che sono sempre stati rispettati i limiti alla concentrazione dei rischi e il gruppo Parmalat ha servito regolarmente, fino a novembre 2003, il debito verso le banche italiane. Nell'ipotesi estrema che l'intero importo dei finanziamenti fosse inesigibile il rapporto tra sofferenze e impieghi salirebbe dal 4,6 al 4,9% e nell'ipotesi, anch'essa estrema, di svalutazione integrale dei crediti verso il gruppo, l'incidenza delle perdite risulterebbe inferiore al 20% dell'utile netto di un solo esercizio.

I limiti di Bankitalia
La Banca d'Italia non ha strumenti per verificare la correttezza dei bilanci delle aziende. "La legge - ha detto Fazio - non attribuisce alla Banca d'Italia alcuna competenza in merito alla gestione e ai conti delle imprese industriali e commerciali. La Banca d'Italia ha accesso unicamente all'informativa e ai bilanci pubblici diffusi dalla società; non ha alcun mezzo per accertarne la veridicità; non può richiedere alle imprese informazioni di alcun tipo". Le ispezioni presso le banche "mirano in primo luogo ad accertare il rispetto delle normative di vigilanza e se i meccanismi di governo societario e il sistema dei controlli interni siano in grado di assicurare una consapevole gestione dei rischi". Quando sorgono dubbi sulle ripercussioni che finanziamenti troppo concentrati verso singole aziende o verso singoli settori possono avere per i portafogli degli istituti di credito, ha spiegato ancora Fazio, la vigilanza invita le banche a valutare attentamente il problema. Quindi, "considera e confronta le conclusioni cui esse pervengono" e "dispone, se necessario, che vengano assunte misure prudenziali, di natura patrimoniale, procedurale e organizzativa".

Dai controlli affidati alla Banca d'Italia "è esclusa qualsiasi valutazione di carattere economico sulla convenienza dei titoli offerti o sul grado di solvibilità dell'emittente", precisa il governatore della Banca d'Italia. Fazio spiega che sulla base dell'articolo 129 e della delibera del Cicr emanata il 12 gennaio 1994, la Banca d'Italia "può chiedere il differimento delle emissioni 'quando il loro importo, congiuntamente a quello di operazioni gia' comunicate, da effettuarsi nello stesso periodo di tempo, risulti incompatibile con le dimensioni e con le condizioni del mercato primario o secondariò. In altri termini "si può differire un'emissione allorchè gli importi sono incompatibili con le capacità di assorbimento del mercato". Secondo Fazio possono essere vietate le emissioni che presentano elementi "non conformi all'ordinamento o riguardano titoli con caratteristiche difficilmente comprensibili o con rendimento difficilmente calcolabile". Il governatore ricorda ai parlamentari che negli altri principali paesi non esistono forme di controllo analoghe.

Piena collaborazione con le altre autorità
Non solo Bankitalia vigilò sulle banche, ma essa collaborò anche con le altre autorità che vigilano sul risparmio. La Consob non ha mai avanzato "nessuna richiesta" alla Centrale rischi su Parmalat. Se la richiesta fosse arrivata, ha detto Fazio, i dati sarebbero stati senza dubbio trasmessi, perchè tra Consob e Banca d'Italia esiste un accordo in questo senso. Dura replica anche a Tremonti sul segreto d'ufficio. Le informazioni richieste dal ministro dell'Economia Tremonti al Governatore "riguardavano due banche, non c'entrava niente la Parmalat", ha sottolineato il governatore di Bankitalia, difendendo così la decisione di aver impugnato il segreto d'ufficio sulle due banche. "C'è una direttiva Ue precisa - ricorda Fazio, che si domanda - cosa avverrebbe se un qualsiasi ministro dell'Economia, visto che cambiano con i cambi di governo, potesse ricevere informazioni su singole banche? Al ministro dell'Economia, che presiede il Cicr, spetta unicamente ricevere informazioni che interessano il Cicr". "C'è, invece, un perfetto accordo tra Bankitalia e Antitrust nell'apertura delle istruttorie" e nell'attività congiunta si raggiungono "ottimi risultati".

La ricetta di Fazio
La ricetta del governatore è molto chiara. Per rimediare a tutto questo occorre "rafforzare la normativa a tutela dei risparmiatori". Accrescere la trasparenza delle attività delle imprese in insediamenti off-shore, "rafforzare i controlli interni ed esterni alle società" (con l'indipendenza delle società di revisione e la rotazione degli incarichi), valutare l'ipotesi di "inasprire le sanzioni" e introdurre l'obbligo per gli intermediari di mantenere in portafoglio per un certo periodo i titoli privi di prospetto o comunque di difficile valutazione. Bisogna tenere separata l'attività di Bankitalia da quella della Consob, e bisogna soprattutto rafforzare i poteri di quest'ultima, ha aggiunto Fazio. E' illuminante l'esempio americano, dove dopo gli scandali societari nessuno ha mai messo in discussione il ruolo della Fed. Non solo. Secondo il governatore, il risparmio si tutela anche con la lotta la deficit. "La garanzia del valore di una parte rilevante della nostra ricchezza nazionale dipende dall'evoluzione, nel coro degli anni a venire, dei conti pubblici", avverte il governatore, rilevando che "il debito pubblico si ragguagliava in Italia, alla fine dello scorso anno, al 105 per cento del prodotto nazionale lordo" e che "il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto in europa è al 64 per cento". E' necessario, secondo Fazio, che "l'avanzo primario del settore pubblico ritorni verso il 5,5% del prodotto interno, valore convenuto al momento dell'ingresso nella moneta unica", perchè "l'ammontare del debito, il suo troppo lento declinare, riduce il risparmio e gli investimenti".



(27 gennaio 2004)

SCHEDA
Tra Tremonti e Fazio
due anni di scontri

ROMA - Due anni di botta e risposta tra il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e il Governatore della Banca d'Italia. Quello della tutela del risparmio è solo l'ultimo campo di battaglia tra i due. Dall'insediamento del Governo Berlusconi numerosi sono i fronti aperti tra Fazio e Tremonti: il mancato 'miracolo italiano', la riforma delle Fondazioni bancarie, gli accordi di Basile2 per il credito alle piccole imprese, fino alla profonda divergenza di vedute sulla riforma delle pensioni quando il Governatore, a Dubai per una riunione del Fmi, gelò Tremonti dicendo che le modifiche al sistema della previdenza rappresentavano "solo un primo passo".

Ma a scaldare gli animi hanno contribuito soprattutto le recenti vicende che hanno scosso il mondo dei risparmiatori. A cominciare dai bond argentini, le difficoltà della Fiat, la vicenda Cirio e oggi la Parmalat.

E proprio il crac della Parmalat sta portando alla resa dei conti Fazio e Tremonti. Una battaglia combattuta a colpi di verbali Cicr e con un Tremonti da tempo allerta sulla possibile debacle del gruppo di Collecchio.

Ma anche, una battaglia fatta di 'sfide', in Parlamento e al Parlamento, - dalla richiesta di Lega e FI di dimissioni del Governatore alla presa di posizione del presidente del senato Marcello Pera all'ormai celebre risposta di Fazio 'Pera chi?'- per arrivare, poi, alla necessità di un riordino delle Authority di controllo sul risparmio. Un riordino da cui il ruolo della Banca d'Italia uscirà ridemensionato e che potrebbe culminare con l'introduzione da parte del Governo di un mandato a termine per il Governatore. Queste le tappe del 'duello' tra Tremonti e Fazio dal 2002 ad oggi.


GENNAIO 2002:
scoppia il caso del mancato rimoborso dei bond argentini. Per circa 450.000 risparmiatori italiani l'esposizione risulta superiore a 14 miliardi di euro

NOVEMBRE 2002: Crac della Cirio. Per il gruppo agroalimentare viene decisa la liquidazione, mentre restano in circolazione oltre 1,1 mld di euro di obbligazioni.

DICEMBRE 2002:
le obbligazioni della Fiat vengono declassate a livello di 'junk', cioè titoli obbligazionari altamente speculativi Dicembre 2002. Fiat-bond declassati a livello di junk bond.

APRILE 2003: Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti scrive al Governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio per avviare un confronto sulla tutela del rispamio ed in particolare sui corporate bond.

LUGLIO 2003: Lucchini ristruttura il debito e rilancia l'azienda con 600 milioni di euro di bond senza rating in circolazione.

LUGLIO 2003: Prima seduta del Cicr sui bond cui partecipano, oltre a Tremonti e gli altri ministri competenti, anche il Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, e il neopresidente della Consob Lamberto Cardia. Secondo Tremonti si sarebbe fatto un espresso riferimento al caso Parmalat.

AGOSTO 2003: Il Tribunale di Roma dichiara lo stato d'insolvenza della Cirio. Continuano le lettere di Tremonti a Fazio sul tema dei corporate bond.

SETTEMBRE 2003: Cirio viene ammessa alla Prodi-bis.

OTTOBRE 2003: Tremonti convoca un secondo Cicr al quale non partecipa il Governatore Fazio.

DICEMBRE 2003: la Parmalat viene ufficialmente dichiarata in stato d'insolvenza. Viene messa, quindi, in amministrazione straordinaria. A guidare l'azienda di Collecchio al posto di Tanzi arriva Enrico Bondi. Sempre a dicembre viene convocata un'altra riunione del Cicr sui corporate bond. Questa volta c'è anche Fazio.

(15 gennaio 2004)

Il Bollettino di via Nazionale: "Così manchiamo la ripresa"
Nuove accuse alle misure una tantum decise dal governo
L'allarme di Bankitalia
"A rischio i conti pubblici"

ROMA - La Banca d'Italia lancia l'ennesimo allarme sullo stato dei conti pubblici italiani e sui mancati interventi per tenere a bada la spesa. Con il risultato che, dice il Bollettino di via Nazionale, l'Italia e l'intera Eurolandia rischiano di non cogliere in pieno le potenzialità di crescita in atto. Un ritratto a tinte fosche, quello degli uomini di Antonio Fazio, che dipingono un Paese con una produttività che va scemando, un aumento del costo del lavoro tornato a crescere, vulnerabilità alla concorrenza internazionale. Un paese per nulla dinamico nei settori dove la domanda mondiale cresce e traina l'economia.

Eppure Bankitalia ritiene che l'economia italiana disponga delle risorse "per riportarsi su un sentiero di crescita più elevato di quello osservato negli ultimi dieci anni".

La ricetta da adottare però non è quella seguita dal governo. Bankitalia torna a puntare il dito contro le misure una tantum che, oltre a essere troppe, potrebbero alla lunga risultare controproducenti. Ma pesano anche il rinvio dei provvedimenti strutturali, soprattutto la riforma previdenziale. Occorre, dice il Bollettino, risolvere "i nodi strutturali della finanza pubblica", rafforzare le "infrastrutture materiali e immateriali" e portare a termine "le riforme volte a stimolare l'innovazione, la formazione di capitale umano e la crescita dimensionale delle imprese, le azioni tese ad accrescere l'efficienza dei servizi pubblici"

Tutto questo in un quadro di crescita che si conferma per il 2003 allo 0,5%, come stimato (dopo diversi ritocchi al ribass) dal governo e con una previsione nel 2004 leggermente più bassa dell'1,5% dell'area euro. Anche l'andamento del fabbisogno "appare coerente con la stima di settembre" fatta dal governo. Al tempo stesso però, Bankitalia rileva che il divario fra fabbisogno e indebitamento netto è destinato ad allargarsi e questo "segnala che c'è qualche problema" sul versante della finanza pubblica. Bankitalia considera in ogni caso possibile il raggiungimento dell' obbiettivo di un indebitamento netto attestato quest'anno al 2,5%, pur in presenza però appunto dell'ampliamento del gap rispetto al fabbisogno.


Più in generale sull'economia italiana, spiega l'Istituto, continuano a gravare "problemi strutturali". Secondo le tabelle contenute nel bollettino, nel primo semestre di quest'anno si è avuto un calo in Italia della produttività industriale dell'1,3% in termini di valore aggiunto, con la conseguenza che il costo del lavoro per unità di prodotto è schizzato al rialzo del 3,8%, pur in presenza di una moderata dinamica delle retribuzioni.

L'analisi contenuta nel Bollettino evidenzia, dopo "il periodo di ristagno", la "ripartenza" dell'economia mondiale, pur se "con intensità diversa fra le aree del globo". La capacità di crescita dell'economia statunitense è elevata: il Pil, cresciuto nel terzo trimestre del 7,2% sospinto dai consumi privati e dall'accumulazione del capitale, dovrebbe registrare un aumento del 3% nel 2003 e del 4% nel 2004, grazie anche a un forte incremento della produttività del lavoro (+3,9%). Anche nelle economie emergenti dell'Asia l'attività produttiva sta accelerando, con la Cina che fa da traino per l'intera area.

Segnali incoraggianti giungono anche da Eurolandia: dopo il ristagno dell'attività economica nel primo semestre del 2003, con un calo di 1,5 punti percentuali del prodotto, le proiezioni di Consensus di novembre configurano un graduale recupero nei prossimi trimestri.

La conclusione è nelle parole del responsabile dell'area ricerca economica della Banca d'Italia, Giancarlo Morcaldo: "La liberalizzazione del commercio nel lungo periodo non può che apportare benefici all'intera economia mondiale". Riferendosi, in particolare, alla Cina, Morcaldo ha tenuto a sottolineare che il paese asiatico "deve rispettare le regole, senza fare concorrenza sleale". Ma, ha aggiunto, "non ci sono regole nuove da inventare. Le regole le abbiamo e sono quelle del Wto".

(19 novembre 2003)

Il governatore: bene comune sempre distinto dall'individuale
Non conta solo il reddito ma anche sicurezza, salute e cultura
Fazio: "Politici con doti morali
non correte solo dietro al Pil"

di ELENA POLIDORI

ROMA - L'economia torna a crescere, il governo assicura che il peggio è passato ma Antonio Fazio avverte che la ricchezza di una nazione non si misura solo in termini di fredde statistiche macroeconomiche. Serve altro. Serve una migliore qualità della vita. Ma, soprattutto, ci vuole una classe dirigente che abbia capacità e doti morali: una "aristocrazia dei migliori", come la chiama.

Ed è quasi un appello al buon governo, quello del responsabile della Banca d'Italia, lanciato proprio all'indomani dell'aumento di mezzo punto del Pil nazionale, giunto dopo due trimestri negativi. "Chi è scelto per una funzione pubblica", ricorda Fazio citando San Tommaso "deve esserlo in base alle capacità e alla doti morali, secundum virtutem; fa parte di una aristocrazia, non nell'accezione comune di detentrice della ricchezza, ma secondo l'etimo, i migliori, i più buoni". Qualche riferimento al governo attuale?

Ecco comunque tratteggiato il profilo di coloro che devono gestire la cosa pubblica, di una "classe dirigente legata ad una idea alta della politica con la P maiuscola". Ed ecco anche perché il Pil, se è importante perché concorre a definire il "benessere generale", non è certo l'unico parametro da tenere sott'occhio. Ve ne se sono altri, "che assumono oggi un rilievo crescente" e che "danno la misura della qualità della vita, come la sicurezza, la salute e la cultura".

Come sempre è l'uomo al centro del suo messaggio, "non individuo ma persona" che per sua natura ricerca "non solo il proprio bene individuale, ma il bene dell'ambiente in cui vive, della sua famiglia, della sua impresa". E se ha "responsabilità dirigenziali, amministrative, politiche, ricerca anche, per esigenza profonda se vive con pienezza la sua responsabilità, il benessere degli altri". Fazio è cattolico, si sa. Ma mai prima d'ora aveva parlato del "valore fondativo" del messaggio cristiano che lui intravede anche "in importanti atti costituenti in corso di elaborazione": riconoscerlo "non è cedimento a posizioni di parte". Perciò afferma sicuro: "Etica, giustizia, visione unitaria dell'uomo sono elementi di una antropologia che vanno riaffermati nel nome di un nuovo umanesimo".


Fazio parla a Bassano del Grappa, nelle zone dove suo padre ha combattuto durante la prima guerra mondiale. Riceve il premio internazionale della cultura cattolica e dunque coglie l'occasione per insistere sul binomio etica ed economia a cui tiene molto, da sempre. Cita il Papa quando dice che non si può "convertire tutto in merce e guadagno". Afferma che "non è accettabile un riferimento di ogni e qualsiasi aspetto della vita sociale all'economia e al mercato".
Quest'ultimo ha delle "limitazioni"; saperlo non implica "un rigetto dell'economia". Bisogna infatti coniugare il comportamento economico con l'etica, perché solo così si crea progresso; battere i concorrenti "con informazioni scorrette o con la corruzione", non è progresso ma "involuzione". "L'etica non viene dopo che ha operato il mercato, ma è parte costituente del suo funzionamento". Comportamenti devianti nella vita economica, minano "le basi di una economia di mercato". Basta guardare alla "corruzione degli anni novanta".

(16 novembre 2003)

Bankitalia diserta la Cicr, via XX Settembre protesta
con Palazzo Chigi, il ministro minaccia le dimissioni
Cirio, nuovo duello
Tremonti-Fazio

Il governatore: "Non c'era nulla da deliberare"
La replica: "Evidentemente non ha opinioni"
DI FABIO MASSIMO SIGNORETTI

ROMA - E' scontro totale tra il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti e il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, che ieri ha disertato la riunione del Cicr sui Cirio bond e ha perso le staffe anche con l'inviato di Striscia la Notizia che voleva consegnargli il famoso "Tapiro d'oro". Un episodio incredibile per chi conosce il consueto aplomb del governatore, probabilmente la spia di uno stato di tensione crescente tra via Nazionale e l'Economia.

La riunione del Cicr di ieri, infatti, sarebbe stata preceduta da uno scambio di lettere e telefonate tra il governatore, la Presidenza del Consiglio e via XX Settembre. E si sarebbe anche arrivati a un passo dalle dimissioni di Tremonti. Martedì scorso, dopo che il giorno prima il ministro aveva convocato la riunione del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio per esaminare gli sviluppi del caso Cirio e più in generale la tutela del risparmio, Fazio avrebbe telefonato a Palazzo Chigi. E avrebbe sottolineato che la riunione era inutile, dato che le ispezioni di Consob e Banca d'Italia negli istituti coinvolti nel collocamento dei Cirio bond non sono ancora concluse e che continuano le indagini delle Procure di Monza, Milano e Roma.

La telefonata però non avrebbe ottenuto grandi esiti e quindi il governatore avrebbe preso carta e penna e avrebbe scritto al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, annunciandogli che, non avendo proposte da fare al Comitato, non avrebbe partecipato al Cicr come prevede la legge. Annuncio formalizzato, sempre per lettera, anche al ministro dell'Economia. Mercoledì mattina, vista la missiva del governatore, Palazzo Chigi avrebbe chiesto a Tremonti di rinviare il Cicr. Ma il ministro avrebbe puntato i piedi. Nello stesso tempo, però, i ministri che compongono il Comitato (Gianni Alemanno delle Politiche Agricole, Rocco Buttiglione delle Politiche Comunitarie, Antonio Marzano delle Attività Produttive e Pietro Lunardi dei Trasporti) avrebbero manifestato l'intenzione di non andare alla riunione. E Tremonti si sarebbe precipitato a Palazzo Chigi, minacciando addirittura le dimissioni.


Ipotesi poi rientrata perché alla fine la Presidenza del Consiglio avrebbe convinto i ministri di Forza Italia, Marzano e Lunardi, a partecipare, mentre Alemanno e Buttiglione, impegnati rispettivamente a Bruxelles e Istanbul, hanno confermato la loro assenza. Il Cicr, infatti, si è tenuto lo stesso e si è occupato di Basilea 2 e di corporate bond, con un'informativa del presidente della Consob, Lamberto Cardia. Ma l'assenza del governatore ha pesato come un macigno. E lo si è visto nella durezza delle note post-riunione.

Il Tesoro è partito all'attacco affermando: "Il Cicr discuteva di corporate bond. Fazio non è venuto per motivi di principio connessi al fatto che il Comitato non deliberava su una sua proposta. E' curioso che dopo circa 100 giorni dall'ultima riunione del Cicr non si fosse fatto un'opinione". E a via XX Settembre ricordano che il governatore ha partecipato ad altre riunioni del Cicr anche se non si deliberavano sue proposte e sottolineano che un nuovo Comitato su Cirio e corporate bond dopo quello dell'8 luglio si sarebbe dovuto tenere già prima della pausa estiva ma che è stato rinviato proprio per dare tempo alla Banca d'Italia di prepararsi. Altrettanto dura la replica di Via Nazionale: "Il governatore - hanno detto - non ha preso parte alla riunione dei ministri, non essendovi nulla da deliberare e proprio per ciò non richiedendosi una proposta della Banca d'Italia, presupposto necessario imposto dalla legge, per le decisioni del comitato del credito. Il comitato non è la sede di meri scambi di informazione o di incontri conoscitivi, non previsti dalle vigenti norme". La battaglia continua.

(17 ottobre 2003)

 

 

 

 

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