DA - IL MANIFESTO 15 DIC.2002

«Stiamo con i lavoratori Fiat»
Parla Kuhlmann, segretario del sindacato europeo dei meccanici
EZIO VALLAROLO
TORINO


Sullo striscione dei cassaintegrati alla porta 2 di Mirafiori si legge:
«Buon Natale alla famiglia Agnelli e a chi ci governa sperando che non gli
arrivi nessuna letterina». Le feste si avvicinano ma tra gli operai vittime
del piano Fiat-governo c'è poca voglia di sorridere. Del clima plumbeo si
è accorto Reinhard Kuhlmann, segretario della Fem (Federazione europea dei
metalmeccanici), a Torino per la giornata di lotta negli stabilimenti europei
della Fiat sparsi in 9 paesi. «Appoggiamo incondizionatamente - dice Kuhlmann
- la lotta dei lavoratori. Abbiamo lanciato per la giornata di oggi uno
parola d'ordine semplice e diretta: la Fiat deve avere un futuro. L'azienda
deve abbandonare la strada dei licenziamenti e del ridimensionamento degli
stabilimenti. Siamo al declino di una grande azienda e non si può rimanere
inerti senza fare nulla».


Quali sono le cause che hanno portato alla crisi di Fiat Auto?


La strategia della diversificazione attuata dalla proprietà ha indebolito
il settore auto. Sono mancati gli investimenti per i nuovi modelli in grado
di reggere l'urto di una concorrenza agguerrita. Volkswagen, Peugeot e Renault hanno impegnato capitali decisamente superiori nella ricerca e nell'innovazione: i risultati sono sotto gli occhi di tutti.


E' possibile invertire la tendenza?


Le competenze in tema di design e ricerca non mancano. Il rilancio passa
però attraverso scelte precise: forti investimenti, modelli di qualità e
coinvolgimento del governo nel processo di ristrutturazione. Gli effetti
negativi della crisi possono essere catastrofici in Italia e in Europa.
Bisogna impedire che il mercato finanziario intervenga pesantemente, come
accade, nei processi decisionali di un'impresa produttiva.

L'accordo Fiat-Gm ha aspetti positivi per i lavoratori europei?


All'inizio questa alleanza fu salutata da molti come possibilità di sviluppo,
anche occupazionale. Oggi la situazione è più complessa, tra i lavoratori
si discute con grande preoccupazione. Personalmente credo che i due marchi, Opel e Fiat, non siano in concorrenza diretta e possano avere spazi diversi
sul mercato. La solidarietà è comunque concreta: lo sciopero di oggi ha
riguardato anche gli occupati degli stabilimenti tedeschi di Bochum, Kaiserslautern e Russelheim, dove la joint-venture Fiat-Gm - in Italia è il caso delle meccaniche di Mirafiori, ribattezzate Powertrain - è già operativa.

DA - L'UNITA' - 26 DIC.2002


«Aiutano i furbi, ma stanno perdendo nel Paese»

ROMA Onorevole Chiti, si parla di Finanziaria dei 12 condoni, Liberation
titola buon Natale agli evasori italiani. Ma il governo non ha altri modi
di trovare i soldi che gli servono?

«La maggioranza ha disperatamente bisogno di soldi a causa dei clamorosi
errori politici fatti quest?anno: sottostimando le spese, graziando i i
ricchi con l?abolizione della tassa sulle successioni, sovrastimando le
entrate per la convizione di essere in un periodo di sviluppo anziché di
difficoltà economiche. Poi i soldi li usano male: non ci sono risorse per
il lavoro, il Sud, la ricerca e l?università, le politiche sociali. E li
prendono nel modo sbagliato, ha ragione Liberation: attraverso condoni che
tolgono certezza al rapporto fra i cittadini e lo Stato. Così si premia
chi non fa il proprio dovere, mentre la politica del centrosinistra era
che ognuno paga secondo il proprio reddito».

Tutti contro Tremonti, che diserta il Parlamento. Ma è solo colpa sua o ognuno ha inserito il tassello che gli faceva comodo?

«Tremonti ha ovviamente una responsabilità di primo piano. In quanto garante del patto con la Lega, protagonista dello sbaglio dei conti e del cattivo
uso delle risorse, artefice di un pauroso accentramento di poteri nel suo
ministero. Detto questo, la politica negativa è di tutto il governo e della
maggioranza. Vedo scelte sbagliate e clamorose divisioni. La Finanziaria
ha avuto una conduzione incerta, confusa, improvvisata. Il Senato l?ha licenziata all?ultimo momento e la Camera è schiacciata fra la necessità di modificarla e la ristrettezza dei tempi. È il fallimento di un Superministro che si era presentato con tanta prosopopea, ma anche di Berlusconi buon propagandista e cattivo premier».

La mini-riduzione dell?Irpef ha le spalle coperte o è pagata dai condoni e l?anno prossimo serviranno nuove soluzioni finanziarie?

«Il problema è che da un lato il governo opta per questa riduzione delle
aliquote, in alternativa a misure di più ampio respiro, e dall?altro si
riprende moltissimo dagli italiani. Anche a causa dell?insipienza e del
mancato controllo da parte dell?esecutivo da noi c?è una ripresa del costo
della vita maggiore che in altri Paesi europei».

Protestano Confindustria, no profit, sindacati, commercianti, docenti e bidelli. Servirà o è troppo tardi per bloccare la manovra?

«Le estese proteste contro la Finanziaria dimostrano che ha ragione l?Ulivo
nel considerarla negativa per la situazione e il futuro dell?Italia. Ma
non mi faccio illusioni che sia modificabile, con una maggioranza così incerta
e chiusa alla voce della società. Servirebbero una sintonia con il Paese
e una forza di indirizzo politico e programmatico che al governo mancano.
Le critiche però mostrano che l?innamoramento verso la destra è in fase
di superamento. Ora sta ai Ds e all?Ulivo dare risposte efficaci a questo
malessere».

Venti Regioni, eccezionalmente compatte, protestano contro il decreto taglia-spese alla sanità. Il welfare è a rischio?

«Si, il pericolo è concreto e da non prendere sottogamba. Ha un significato
profondo che tutte le Regioni abbiano deciso di sostenere il ricorso al
Tar (firmato da Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna, ndr) contro un decreto lesivo del loro autogoverno. C?è una rottura dell?intesa istituzionale raggiunta pochi mesi fa. I Presidenti delle Regioni l?hanno revocata e hanno chiesto un incontro con Ciampi perché il governo non mantiene gli impegni. Poi si sono aggiunte le critiche dei Comuni tramite l?Anci e delle Province tramite l'Upi».

La rivolta finirà in una guerra di competenze?

«Di fronte a tutto questo il vicepresidente degli enti locali di Forza Italia
grida al ?complotto? come se le Regioni fossero succursali uliviste. Ecco
cosa intendevo per assoluta inconsapevolezza di quanto avivene nel Paese.
Le Regioni sono in campo contro la Finanziaria che lede la loro autonomia
e le impossibilita a gestire il welfare. Questo è il punto fondamentale.
I Ds condividono la protesta, la sosterranno e non lasceranno le Regioni
sole nei prossimi mesi».

Scelga il peggior regalo di Natale che la Finanziaria fa agli italiani.

«I condoni. Mortificano il senso civico ed etico del rapporto con le istituzioni.
Anziché diffondere il senso di responsabilità e legalità si incentiva la
peggiore furbizia».

4 GENNAIO 2003

«Panieri diversi secondo il reddito»
Le proposte della Cgil sul sistema di rilevazione Istat e sulle cause dell'inflazione.
Parla Lapadula
PAOLO ANDRUCCIOLI -

«Attenti a non rompere il termometro per cercare di guarire la febbre».
Beniamino Lapadula, segretario confederale della Cgil ed esperto di problemi
fiscali e di politiche dei prezzi, mette in guardia sulle polemiche di questi
giorni a proposito del ritorno dell'inflazione e delle insufficienze nei
sistemi di rilevazione dell'Istat dopo l'avvento dell'euro. Il problema,
secondo il sindacalista della Cgil, non è quello di creare strutture alternative
all'istituto ufficiale di statistica, ma caso mai di riformare i sistemi
di rilevazione per renderli più aderenti alla nuova realtà dell'economia.
Su questi temi la Cgil, che ha commissionato una ricerca all'Ires (curata
da Aldo Carra), presenterà le sue proposte l'11 gennaio prossimo. Ma intanto
il problema più urgente è quello di capire le reali responsabilità politiche
e il perché dell'aumento dei prezzi.

Lapadula, che cosa succede? L'Istat è costretto a rivedere il paniere, mentre altri istituti di ricerca rilanciano dati inflazionistici a due cifre. Siamo tornati alla vecchia inflazione?

Bisogna chiarire prima di tutto quello che è successo. La prima cosa riguarda
il «change over». A differenza di quello che hanno fatto gli altri paesi
europei, da noi il governo non ha operato nessun monitoraggio serio e non
ha messo in guardia i cittadini da chi avrebbe potuto approfittarsi della
situazione. Anzi ricordo che il ministro Marzano rassicurava tutti dicendo
che non ci sarebbe stato problema alcuno. Ora si propone il doppio cartellino
dei prezzi quando le cose sono già successe. E' un'idea priva di senso.

Che cosa si sarebbe dovuto fare? Ed è vero che sono state smantellate le apposite strutture di controllo a livello provinciale?

Non solo sono stati eliminati gli strumenti che avrebbero dovuto controllare
il passaggio dalla lira all'euro, ma non si è neppure fatto nulla per equilibrare
i ritardi del nostro sistema distributivo che è arretrato e insufficiente
e che ha contribuito all'impennata dei prezzi. Il governo ha fatto solo
un'operazione demagogica sulle tariffe, una scelta che ora produrrà altri
effetti negativi sui prezzi al momento dello «scongelamento» delle tariffe
bloccate.

Le polemiche di questi giorni riguardano però anche l'Istat. Com'è possibile che ci sia uno scostamento così grande tra i dati ufficiali e tutti gli altri?

Su questo punto vorrei essere molto chiaro. Non siamo favorevoli a dare
spazio a indici e panieri alternativi a quelli ufficiali. Noi siamo invece
per una ristrutturazione dei sistemi di rilevazione e abbiamo delle proposte
precise che presenteremo la prossima settimana con l'Ires.

Si può anticipare qualche proposta?

La prima cosa che vogliamo mettere in evidenza è che c'è uno scostamento
tra i prezzi percepiti dalla gente e la realtà. E che ci sono comportamenti
diversi a seconda dei redditi. Noi proporremo quindi l'introduzione di panieri
diversificati per fasce di reddito.

Intervista al vicepresidente del Consiglio
Gianfranco Fini: 4 GENNAIO 2003

trattiamo sul premier scelto dal popolo


Il leader di An: non si può ricominciare con le bandiere
di partito. La protesta dei magistrati è di una gravità enorme
ROMA - Se non fosse perché è vicepremier, se non fosse perché è stato uno
dei protagonisti della Bicamerale presieduta da D'Alema, avrebbe comunque
titolo a parlare di riforme perché «io sono uno dei pochi sopravvissuti
della commissione Bozzi». Vecchio non è Fini, sebbene ieri abbia festeggiato
il suo 51° compleanno, però è bastato accostasse alla sua esperienza il
nome dell'esponente liberale che guidò il primo tentativo di modifica delle
istituzioni, per sottolineare quante volte il Palazzo ha invano tentato
di riformarsi.

Così, l'assenza di enfasi nelle sue parole non è solo dettata dalla prudenza di chi ha vissuto i fallimenti passati, ma dal fatto che per realizzare l'impresa servono ora «certe condizioni».

Intanto che non ci siano condizioni,
che non si parta con i diktat, «perché è ovvio che An è da sempre favorevole
al modello semi-presidenzialista francese, ma non si può pensare di ricominciare
daccapo, con le bandiere di partito, con l?idea che le riforme diventino
armi per regolamenti di conti o per sparate propagandistiche. Altrimenti
non si andrà da nessuna parte».
E allora, se si vorrà discutere del nuovo assetto dello Stato, «bisognerà
parlarne coniugando i verbi al futuro, pensando ciò che sarà, non disegnando
la realtà del presente. Le riforme si fanno per i cittadini e non per i
protagonisti del dibattito politico di oggi».

Fra le tante cause dei precedenti naufragi, «la più forte - secondo Fini - fu che mancò la consapevolezza di stabilire un equilibrio complessivo di pesi e contrappesi tra le istituzioni. Ed è proprio il riferimento che ha fatto Ciampi nel suo messaggio di fine
anno».

In realtà il capo dello Stato ha posto soprattutto un altolà al modello presidenzialista. Che effetto le ha fatto, visto che lei è stato uno dei sostenitori di Ciampi nella sua corsa al Quirinale?

«Il capo dello Stato non ha posto alcun veto e certo non sono pentito della
scelta fatta a suo tempo, anzi. Ciampi in questo momento svolge al meglio
il suo ruolo, che è di richiamo ai valori di una forte identità nazionale,
unito all?idea della patria europea che sta nascendo. Ed è proprio questo
il punto. L?Italia è al centro di un processo di doppia devoluzione: da
una parte sta trasferendo quote di sovranità all?Europa e dall?altra sta
delegando compiti alle Regioni. Si tratta di un sistema delicato, e in questa
catena non si può immaginare che il governo centrale rimanga l?anello debole.
Serve invece un esecutivo forte, che garantisca sia "interessi nazionali"
in sede europea, sia "l?identità nazionale" nei rapporti con le autonomie
locali. Tra i governatori, Storace è stato il primo a porre il problema,
ma tutti i presidenti delle Regioni sono consapevoli di questa necessità.
Se così non fosse, allora sì ci sarebbe il rischio di veder rompere il principio
dell?unitarietà. È su questo tema che bisogna verificare se esiste una convergenza
in Parlamento».

Vuol dire che è disposto ad accettare una ipotesi subordinata rispetto al semi-presidenzialismo?

«Intanto vorrei non si demonizzassero le posizioni che non si condividono.
Non si può parlare di devolution e passare per qualcuno che vuole disgregare
il Paese, non si può sostenere il presidenzialismo ed essere accusati di
voler andare verso una deriva plebiscitaria di tipo venezuelano».

Ma se si lavorasse attorno al progetto del premierato?

«Se si è d?accordo con l?idea di rafforzare i poteri dell?esecutivo, allora
significa che tutti prendono in considerazione l?idea di modificare gli
attuali equilibri, comprese anche quelle che sono oggi le prerogative del
Capo dello Stato. E si vedrà subito se c?è qualcuno che parla di premierato
e pensa al cancellierato, se discute di ipotesi innovative e poi si arrocca
su posizioni di retroguardia. A mio avviso esistono alcune colonne d?Ercole
che prendono origine da un messaggio inviato alle Camere durante il suo
settennato da Cossiga. L?allora presidente della Repubblica pose il problema
su quale fosse il baricentro della legittimità di un governo. Io penso risieda
nel corpo elettorale, pertanto le colonne d?Ercole di cui parlo sono il
fatto che nessuna maggioranza parlamentare e nessun premier possono essere
diversi da quelli scelti dagli elettori. In questo senso gli ultimi anni
non sono passati invano, sono stati già acquisiti elementi di bipolarismo
e di una corretta democrazia dell?alternanza. Ma questi elementi devono
essere consolidati, proprio come dice Ciampi».

Ritiene che il premier scelto dagli elettori dovrebbe avere quindi il potere di nominare e revocare i ministri e soprattutto di sciogliere le Camere?


«Sì. Ciò significherebbe che non avrebbe più senso la fiducia parlamentare
a un governo, mentre avrebbe ancora un senso il meccanismo della sfiducia.
Ma l?atto di sfiducia al Governo del premier porterebbe alle elezioni. Simul
stabunt, simul cadent . Attenzione però a non soffermarsi solo su questo
tema, non si possono modificare alcuni Titoli della seconda parte della
Costituzione senza toccarne altri. Le riforme vanno fatte tenendo in considerazione
gli equilibri tra istituzioni e devono andare a regime insieme. Altrimenti
è meglio non partire».

Se sta mandando un messaggio a qualcuno sia più esplicito.

«Non ho problemi: mi riferisco a quella riforma che viene considerata una
fissazione monomaniacale di Berlusconi, e che invece è una necessità. Mi
riferisco al problema della magistratura. E tra i magistrati c?è chi sembra
non rendersi conto di quel che fa. Trovo di una gravità enorme la richiesta
rivolta ai suoi iscritti dall?Anm, affinché inaugurino l?Anno giudiziario
con in mano la Costituzione, come se la Costituzione fosse minacciata. E
da chi?».

Provi a indovinare?

«Ma è grave che, nel momento in cui si cerca di ripartire con le riforme,
una parte dei magistrati lanci il messaggio che il suo ordine è minacciato
dalla politica».

Dicono di rifarsi al messaggio di Ciampi, che si è presentato in tv agli italiani con la Costituzione sulla scrivania.

«Si permettono di usare come un alibi Ciampi, che nel suo messaggio ha ribadito la necessità di tutelare l'indipendenza della magistratura. Nessuno vuol metterla in discussione. L'atteggiamento dell'Anm è pretestuoso, il suo
comportamento è tipico di una mentalità politica, e il processo alle intenzioni
è istituzionalmente inaccettabile».

A proposito di temi legati alla giustizia, sull?indulto An si è spaccata.

«No, il partito ha espresso la sua contrarietà. È falso che An lascerà libertà
di voto. Il punto è un altro: trattandosi di una materia che riguarda la
libertà, ed essendoci stato un appello del Papa rivolto alle Camere, se
vi saranno singoli parlamentari che vorranno appellarsi alla loro coscienza,
questo diritto andrà tutelato e garantito».

Come immagino vorrà veder garantito e tutelato il bipolarismo se partirà il processo costituente...

«Se opposizione e maggioranza inizieranno a discutere non verranno meno
al loro ruolo e alla loro natura. Tra le cause che portarono al fallimento
della Bicamerale guidata da D?Alema, ci fu anche l?idea - a mio avviso errata
- che si stesse ricercando un inciucio. Strano destino quello del presidente
dei Ds: fu lui il primo a coniare quell?espressione e poi a rimanerne vittima...
Comunque, se l?accordo non si dovesse trovare, ciò non comporterebbe come
conseguenza automatica l?impossibilità di fare le riforme. I padri costituenti
furono previdenti, varando l?art. 138 della Costituzione. Ma mi auguro si
possa trovare un?intesa. D?altronde l?anno si è già aperto con una notizia
positiva».

A cosa si riferisce?

«All?andamento dei conti pubblici, che è migliorato. Ciò significa che Berlusconi non professa solo l'ottimismo della volontà ma anche quello della ragione, e che si iniziano a vedere gli effetti dell?azione di governo. Merito anche del ministro Tremonti, che negli ultimi tempi sembrava una sorta di San
Sebastiano».

Qualche freccia l'aveva scagliata anche il suo amico Casini...

«La mia amicizia con il presidente della Camera è destinata a rafforzarsi.
Oggi siamo chiamati a incarichi diversi e ciò implica anche obblighi diversi,
non ci possiamo comportare come ai tempi in cui eravamo i leader dei nostri
rispettivi partiti. Ma la mia stima nei suoi confronti è aumentata, e spero
che la cosa sia reciproca».

L'opposizione ritiene comunque che sui conti pubblici non si avrà un effetto virtuoso duraturo, ma soltanto momentaneo e dovuto ai giochi di finanza creativa messi in atto dal ministro dell?Economia.

«Si tratta di operazioni già attuate in altri Paesi. Quanto alla finanza
creativa di Tremonti, vorrei ricordare che Schröder sta valutando l?ipotesi
di importare il meccanismo dello scudo fiscale in Germania. Non mi risulta
che le idee di Visco fossero così apprezzate da essere importate persino
in Paesi a guida socialdemocratica».

C'era Visco però al governo quando l'Italia entrò nell'euro.

«E oggi sarebbe sbagliato valutare la moneta unica esclusivamente per l'effetto che ha avuto sui prezzi al consumo. È vero che ha innescato una piccola ripresa dell?inflazione, ma è l?unico elemento negativo rispetto agli enormi vantaggi che ha prodotto. Sono d?accordo con l?analisi svolta da Giavazzi sul Corriere : l'euro è uno strumento indispensabile sia sotto il profilo economico sia sotto il profilo politico. E la Convenzione europea, di cui
mi onoro di far parte, sta lavorando proprio a quel progetto storico».

Francesco Verderami

DA - IL MANIFESTO - 5 GENNAIO 2003


INTERVISTA Attilio Ventura,


Colaninno? Servono soldi veri. E tanti»


L'esperto: «Le banche non sono disposte a investire altri miliardi nel settore
auto senza precise garanzie»
B. PE.

«Il progetto di Roberto Colaninno? Mi auguro che vada in porto. Io sarei
favorevole a una soluzione italiana ma per intraprendere questa strada ci
vogliono idee e tanti, tanti soldi. Se no è meglio lasciar perdere... Quanti
soldi? Almeno 10.000 miliardi freschi. Non finanziamenti bancari, sia chiaro.
Non denaro preso a prestito. Mi pare che i rubinetti delle banche si siano
asciugati ed è difficile che si possa spremere ancora qualcosa. Qui ci vuole
qualcuno che metta il grano, come dicono a Milano. Ho sentito dire che Colaninno
metterebbe 1 miliardo di euro... scusi ma mi viene da ridere».Attilio Ventura,
vice presidente della Banca Leonardo, è uno che naviga nei mari agitati
della finanza italiana da decenni, da quando era presidente degli agenti
di cambio di Milano. Di titoli Fiat nella sua vita professionale ne ha trattati
a vagonate, il gruppo torinese è sempre stato guardato con grande rispetto,
come un punto di riferimento insostituibile. Una volta quando si muoveva
il gruppo torinese erano tutti sugli attenti e nessuno poteva immaginare
un economia, una finanza, una Borsa senza mamma Fiat. Adesso, come molti
banchieri e operatori della comunità degli affari, anche Ventura teme che
il baratro non sia lontano. Che la Fiat possa imboccare la via del tramonto.


Dottor Ventura, lo so che si fa fatica a dirlo ma secondo lei siamo davvero al capolinea?

No, ma siamo certamente a un bivio. Se va avanti il progetto con la General
Motors la Fiat auto è destinata a finire nelle mani degli americani. Non
raccontiamoci storie. Non vedo prodotti in grado di reggere un'inversione
di marcia. Ricordo che mio padre mi diceva: «l'Italia è la Fiat». Oggi non
è più così. Bisognerebbe rileggersi i giornali di una decina d'anni fa:
allora si diceva che il mercato dell'auto si sarebbe ridotto a sette o otto
grandi gruppi. E' quello che è avvenuto ma tra questi gruppi, purtroppo,
la Fiat non c'è.

Neanche con una rigorosa politica di dismissioni si riuscirebbe a risalire la china?

Gli Agnelli sono disposti a vendere la Iveco, la Toro, la Fiat Avio e tutti
gli asset più importanti e a reinvestire il ricavato nell'auto? Forse, se
non è troppo tardi, è questa l'unica strada ma non mi pare che si vada in
questa direzione. Mi sembra che non ci credano neanche loro, se no lo avrebbero già fatto.

E dell'ipotesi Colaninno cosa ne pensa?

Penso che se Roberto Colaninno fosse così bravo da presentarsi con almeno
10.000 miliardi ce la potrebbe fare. Ma devono essere soldi veri non prestiti.

Eppure Colaninno ha scalato la Telecom con i prestiti bancari.

Certo, ma adesso la situazione è diversa, di soldi non ce ne sono più e
mi pare che su questo punto il sistema bancario sia giustamente irremovibile.
E poi mi consenta di osservare che si tratta di aziende molto diverse: la
Telecom aveva un cash flow che per le banche era una garanzia, nonostante
l'enorme indebitamento. Per un gruppo automobilistico è diverso, basta sbagliare un modello e sei fritto. E le confesso che di modelli competitivi non ne vedo tanti in giro.

Dalle notizie che si hanno il piano di Roberto Colaninno prevederebbe tra l'altro un consolidamento del debito, una trasformazione dell'indebitamento in partecipazione azionaria delle banche. Potrebbe essere un modo per mettere
assieme quei 10.000 miliardi di cui lei parlava. Anzi nel piano si parla di 8 milioni di euro.

E secondo lei le banche coinvolte nella Fiat accetterebbero una simile soluzione? Io credo proprio di no.

In effetti nelle ultime ore c'è stato un certo irrigidimento della Fiat
e si dice che venga anche dalle banche.

Non mi meraviglia affatto. Mettere altri soldi nell'auto senza una prospettiva
per le banche sarebbe una pazzia. Glielo ripeto: o c'è qualcuno che mette
sul tavolo denaro vero oppure si va verso la soluzione americana. Non mi
pare che ci siano vie di mezzo. Il governo Berlusconi ha fatto bene ad appoggiare
l'ipotesi Colaninno e magari quell'impreditore riesce anche a trovare i
quattrini necessari, ma senza liquidità questa volta non si va da nessuna
parte. E' finita l'epoca del denaro facile, glielo assicuro. Se si vuole
dare una svolta vera bisogna investire quattrini non debiti. Soprattutto
se gli investimenti sono destinati al settore dell'auto.

DA - L'UNITA' - L'INTERVISTA. 5 GENNAIO 2003

Edmondo Bruti Liberati,

Giustizia, è stato un anno delle riforme mancate"

MILANO - Sarà solo un simbolo, chiaro e immediato: una copia della Costituzione
italiana che i magistrati iscritti all?Anm terranno in mano il 18 gennaio
prossimo, in occasione dell?inaugurazione dell?anno giudiziario. È una scelta
talmente esplicita che non richiede commenti, ma per Edmondo Bruti Liberati,
segretario nazionale del sindacato delle toghe, parlarne è un?occasione
per fare un bilancio del 2002, l?anno delle mancate riforme e per elencare
la massa di problemi ancora irrisolti, che rischiano di far naufragare il
sistema giustizia.

Dottor Bruti Liberati, con quali proposte l?Anm si presenterà alle assemblee che si terranno in tutta Italia, in occasione dell?apertura dell?anno giudiziario?

«Noi abbiamo deciso di segnalare due punti. Il primo: la difesa dell?indipendenza della magistratura, come vuole la nostra Costituzione. Il secondo: sottolineare l'esigenza di una giustizia più efficace e rapida. Per questo abbiamo scelto di richiamare simbolicamente i principi costituzionali, ma renderemo esplicito il nostro intervento leggendo in tutte le sedi di corte d'appello un unico documento che farà riferimento a queste due questioni fondamentali».

Il 2002 è stato un anno di forti contrasti, che per la prima volta, dopo dieci anni, ha visto la magistratura scioperare contro il dissesto della giustizia. Il bilancio è nettamente in rosso?

«L?anno appena concluso ha visto uno sciopero al quale la magistratura ha
partecipato in modo massiccio per difendere la sua indipendenza. È stato
l?anno delle riforme mancate e l?anno in cui si sono approvate leggi che
hanno determinato ulteriori ritardi e impunità nel funzionamento del sistema
penale».

Si riferisce alle leggi sulle rogatorie, sulla depenalizzazione del falso
in bilancio, alla Cirami?

«La legge sulle rogatorie ha determinato ritardi e danni che fortunatamente
non sono stati gravi come si poteva temere grazie alle interpretazioni date
dai tribunali di tutta Italia, con motivazioni confermate dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione. La legge sul falso in bilancio priva il nostro Paese, unico tra i Paesi avanzati, di sanzioni penali efficaci a tutela
della trasparenza e della veridicità dei bilanci...».

E adesso è in arrivo un?altra proposta di legge per la depenalizzazione della bancarotta.

«Occorrerà vedere la proposta precisa. In ogni caso sarebbe grave nopn sanzionare adeguatamente comportamenti che creano forti danni ai creditori e che provocano una distorsione della concorrenza rispetto agli imprenditori e ai commercianti onesti».

E poi abbiamo avuto la Cirami.

«E su questo direi che c?è poco da aggiungere: si tratta di una legge di
cui mai, in 13 anni di applicazione del nuovo codice di procedura penale,
si era sentito il bisogno».

Anche il nuovo anno però, non promette niente di buono: la legge Pittelli è già in dirittura di arrivo.

«Se questa legge entrerà mai in vigore si avrà la paralisi totale del sistema
penale, mentre sono fermi tutti quei provvedimenti che avrebbero potuto
accelerare i processi. Il 2002 è stato l?anno degli interventi mancati sotto
il profilo dell?organizzazione giudiziaria, che sono competenza specifica
del guardasigilli. Su questo fronte le iniziative più significative sono
state il rinvio di due concorsi per l?assunzione di nuovi magistrati e l'innalzamento a 75 anni dell?età pensionabile dei magistrati. Anche in questo abbiamo battuto un nuovo record europeo, col risultato di impedire il ricambio per gli incarichi direttivi. Con quale vantaggio, lo si può ben immaginare».

Eppure tutti riconoscono che il primo problema è quello della ragionevole durata dei processi, ma a quanto pare non si muove un passo in questa direzione.

«I magistrati fanno il possibile e dovranno fare di più per accelerare i
processi, ma senza una riforma radicale dell?organizzazione della giustizia
è impossibile ottenere miglioramenti significativi».

Il centro destra ironizza sulla vostra iniziativa. Dice che fate bene a
partecipare alle inaugurazioni dell?anno giudiziario, Costituzione alla mano, purchè vi impegnate ad applicarla e c?è chi usa la Costituzione per rilanciare la separazione delle carriere. Lei cosa risponde?

«Niente. Per noi magistrati la costituzione è un testo fondamentale e lo
applichiamo sempre. In tutte le sedi.
La nostra non sarà un?iniziativa di protesta, ma certo di difesa intransigente
di principi e insieme la proposta delle riforme necessarie. Del resto vorrei
richiamare quello che ha detto lo stesso presidente della Repubblica, nel
suo discorso di fine anno: "E' necessario dare certezza di buon funzionamento
dell'amministrazione della giustizia. Salvaguardia dell'autonomia e dell'indipendenza della Magistratura, e giustizia resa in tempi ragionevoli: queste sono le garanzie che i cittadini richiedono.
Dobbiamo sentire più vicina la Magistratura come istituzione: i giudici
amministrano la giustizia - lo dice la Costituzione - nel nome del popolo
italiano"».

DA - REPUBBLICA - INTERVISTA A FASSINO 7 GENNAIO 2003

Il segretario dei Ds detta le condizioni dell'Ulivo
"La destra intanto chiarisca la sua proposta"
Fassino: confronto in Parlamento
ma diremo no all'elezione diretta
"Trovo incredibile che a sinistra ci sia
chi evoca lo spettro dell'inciucio"
di GIANLUCA LUZI

ROMA - Una cosa deve essere chiara: "Niente tavoli extraistituzionali, né
inciuci. Si discute solo in Parlamento. E non ci deve essere alcuna elezione
diretta, né del presidente della Repubblica né del capo del governo". Il
segretario dei Ds Fassino ha appena finito di raccogliere sotto la pioggia
le sottoscrizioni per i bambini poveri dell Argentina e non vuole che il
dibattito politico sulle riforme istituzionali tolga di mezzo i grandi temi
internazionali. "Proprio perché dobbiamo avere il senso delle proporzioni
voglio manifestare tutta la preoccupazione per quello che sta accadendo
in Medio Oriente. L'attentato di domenica è l'ennesimo episodio di una spirale
di sangue, violenza e terrore che allontana la possibilità di convivenza
tra israeliani e palestinesi che è l'unica pace possibile. Si impone un
soprassalto di responsabilità e quindi chiedo al ministro Frattini di agire
in tutte le sedi affinché ci sia una ripresa dell iniziativa internazionale.
E proprio le vicende drammatiche di questi giorni dicono a quali rischi
si andrebbe incontro se dovesse prevalere la volontà di fare la guerra nel
Golfo Persico".

In questi giorni, però, tengono banco altre priorità. Berlusconi ha detto
che il 2003 sarà l anno delle riforme e lancia proposte di dialogo.

"Le riforme istituzionali vengono evocate troppo spesso in termini strumentali, a seconda delle convenienze. Il tema è stato rilanciato dal centrodestra proprio nel momento in cui il bilancio del governo è particolarmente deludente.
Le riforme istituzionali non possono diventare il principale tema dell agenda
politica. Oggi il paese è di fronte a molte priorità: sono passate poche
settimane da quando Ciampi ha indicato un rischio di minore competitività
del paese, Fazio ha parlato di un rischio di declino, il Censis ha disegnato
un'Italia con le pile scariche. Stanno di fronte a noi le crisi di grandi
gruppi industriali: dalla Fiat alla Piaggio, alla Cirio, all'industria chimica.
Così come c'è una diffusa inquietudine nell'opinione pubblica per una ripresa
dell'inflazione e per politiche sociali che mettono in discussione elementi
di certezza nella vita di milioni di famiglie, quali la sanità, l'assistenza
agli anziani, la scuola".

Ma è Berlusconi che dà le carte e ha deciso che ora si deve parlare di riforme.
Voi quindi non vi potete sottrarre.


"Il tema ha una sua serietà e mi sembra sbagliata la posizione di chi dice
che non se ne deve discutere. Però bisogna fare chiarezza: intanto non si
può prescindere dalla cornice entro cui le riforme si vanno a collocare.
E la cornice è data da un anno e mezzo di governo nel quale il centrodestra
ha alterato aspetti non marginali del tessuto istituzionale del paese. Penso
alla brutta legge sul conflitto di interessi. Agli attacchi costanti e continui
alla magistratura. Al modo irresponsabile in cui è stata ridotta la Rai".

Quindi cosa chiedete?

"Se questa maggioranza vuole affrontare i temi istituzionali smetta di attaccare la magistratura, non presenti più leggi sulla giustizia per allargare le
maglie dell impunità, dia una soluzione nuova al vertice della Rai".

C'è qualcosa che vi sembra interessante nelle proposte del centrodestra?

"Intanto sarebbe utile capire qual è la proposta della maggioranza. Perché
Berlusconi ha parlato di presidenzialismo e finora non ha smentito questa
sua preferenza. Bossi si è mosso nella stessa direzione. Fini invece prende
atto che sul presidenzialismo non c'è unità neanche nel centrodestra e quindi
parla di premierato. Casini e Buttiglione propongono invece il cancellierato.
Qual è la linea del centrodestra? Avanzi una proposta. Noi dell'Ulivo non
ci sottraiamo al confronto, purché avvenga nel contesto di cui ho parlato".

Dove si deve svolgere questo confronto?

"In Parlamento e in nessun altro posto. Quindi smettiamola con i tavoli,
gli accordi, i dialoghi bipartisan. Tutte fonti di equivoco".

Deve rinascere una Bicamerale?

"Non c'è bisogno di far rinascere niente. Non c'è bisogno di inventarsi
sedi particolari o nuove. Basta utilizzare le sedi proprie in Parlamento".

E qual è la vostra proposta?

[ab]E' molto chiara. Bisogna fare riforme coerenti con l'evoluzione che
il sistema costituzionale italiano ha conosciuto in questi anni. In concreto:
completare il federalismo. Istituire il Senato delle Regioni. Realizzare
lo statuto dell opposizione. Bisogna rafforzare il premier riconoscendogli
due facoltà che oggi non ha: la revoca dei ministri e la proposta al capo
dello Stato di sciogliere le Camere. Tutto questo è coerente con il sistema
istituzionale italiano per come si è evoluto fin qui. E del resto sono le
proposte che l'Ulivo ha avanzato nel suo programma elettorale del 2001".

E l'elezione diretta, che per la destra è il punto irrinunciabile?

"E' del tutto incoerente, qualsiasi forma di elezione diretta rappresenterebbe
uno stravolgimento. In Europa non c'è un solo paese in cui il capo di governo
viene eletto direttamente dal popolo. E anche il presidente della Repubblica,
in Europa, è eletto direttamente, con poteri esecutivi, solo in Francia.
Nel momento in cui c'è un sistema maggioritario che dà a chi governa una
maggioranza di seggi ampia anche quando - come accade oggi in Italia - non
ha una maggioranza ampia di voti, l'elezione diretta diventa solo un elemento
di plebiscito".

Che è quello che vuole Berlusconi.

"Ma che è esattamente quello che non vogliamo noi. Perché il paese non ha
bisogno di plebisciti, non ha bisogno del mito dell''uomo solo al comando'".
Il centrodestra è diviso nelle proposte. Ma nel centrosinistra c è chi vi
sospetta o vi accusa di voler tornare ai patteggiamenti. "Si continua ad
alimentare un equivoco. E si scrivono cose francamente offensive, tipo:
'volete trattare con gli avvocati di Berlusconi'. Inaccettabile. Bisognerebbe
smetterla di rappresentare il centrosinistra come se fosse diviso tra chi
vuole fare l'opposizione e chi non la vuole fare. E' falso. Non c è nessun
tavolo, nessuna sede particolare, nessun dialogo improprio. C'è all'ordine
del giorno di una commissione parlamentare il tema della forma di governo.
Io credo che un'opposizione che voglia essere credibile come forza di governo,
ha il dovere di avere una proposta. Non di cercare a tutti i costi un'intesa,
un inciucio. Io ho detto qual è la nostra proposta: se si trovano delle
intese, bene. Se non si troveranno, terremo le nostre posizioni. Però segnalo
che ad essere diviso è il centrodestra e trovo incredibile che a sinistra
ci sia chi, invece di unire le forze per portare a casa un risultato utile,
evoca lo spettro dell'inciucio".

L'INTERVISTA - 7 GENNAIO 2003

«Come prima, peggio di prima»
Cesare Salvi: «Sule riforme i leader dell'Ulivo si avviano a compiere l'ennesimo
gravissimo errore»
I subalterni. «Ancora una volta l'Ulivo si fa dettare l'agenda politica
da Berlusconi. La priorità in Italia non è certo accrescere il potere del
premier»
A. CO.
ROMA
Dopo le reazioni dell'Ulivo all'ultima avance di Fini Cesare Salvi, leader
dell'area di snistra del correntone diessino e relatore nella bicamerale
presieduta da D'Alema sulle forme di governo, non nasconde il pessimismo.
«Imboccare questa strada - dice - sarebbe un errore gravissimo. Purtroppo
di errori simili negli ultimi anni ne ho visti parecchi».

Perché un giudizio così negativo?

Mi pare che ancora una volta il gruppo dirigente dell'Ulivo si stia facendo
dettare l'agenda da Berlusconi. Era così quando si trovava all'opposizione
ed è così ora che la destra è al governo.

La maggioranza del tuo partito risponderebbe che le riforme sono una esigenza oggettiva...

Sì, ma chi ha deciso che la priorità nell'agenda politica sia cambiare la
Costituzione? E chi ha deciso che, in materia di riforme costituzionali,
la priorità sia aumentare i poteri del capo del governo?

E come ti spieghi questa subalternità?

Mi trovo in grande difficoltà ogni volta che provo a spiegarmi la logica
del gruppo dirigente del centrosinistra da parecchio tempo: sin dagli ultimi
mesi del governo Prodi.

Quali sarebbero secondo te le questioni da mettere in cima all'agenda politica?

Le questioni economiche e sociali. Il carovita, prima di tutto, con una
perdita del potere d'acquisto stimata intorno ai 750 euro l'anno che colpisce
soprattutto le fasce di popolazione più svantaggiate. Che Berlusconi abbia
tutto l'interesse a parlare d'altro è ovvio. Quale sia l'interesse dell'Ulivo
invece è misterioso.

Sì, ma quando la maggioranza avanza le sue proposte, come si fa a sottrarsi
al confronto?

Non dico affatto che noi dobbiamo essere assenti da questo dibattito. Premesso che le questioni prioritarie dovrebbero essere altre, noi, di fronte a una destra che prende l'iniziativa, dobbiamo avere una nostra posizione. Ma
che sia chiara e che parta dalla questione davvero centrale, e cioè dal
nodo della partecipazione democratica. Il problema principale è davvero
che il premier ha poco potere o non è, invece, la crisi di fiducia tra cittadini
e istituzioni, la mancanza di partecipazione, la caduta di centralità del
parlamento? La verità è che neppure in passato si erano affrontati simili
temi con tanta leggerezza e approssimazione. E con una tale solitudine dei
dirigenti.

Quello dei poteri del premier sarebbe un falso problema?

Ma qualcuno di quelli che dicono che il premier ha pochi poteri se lo ricorda
come vanno le cose in parlamento? Non ha visto come qualsiasi direttiva
portata da qualsiasi sottosegretario viene approvata da una maggioranza
blindata? E in quale democrazia si può ammettere che il premier sciolga
le camere a suo piacimento? Qui siamo a un rovesciamento radicale: non è
più il premier che deve ottenere la fiducia dal parlamento ma il parlamento
che deve chiedere la fiducia al premier!

Hai parlato di «solitudine dei dirigenti». Perché?

Perché la loro è stata una scelta compiuta in totale solitudine, senza neppure
sentire, anche solo per cortesia, le persone che in questi anni si sono
occupate di questi temi. C'è un'insoddisfazione molto diffusa.

Ora che il dialogo è ripartito, pensi che possa approdare a qualche risultato?

La modfica della forma di governo va raccordata con le altre riforme. E
allora segnalo che la devolution non è stata ritirata e che, nell'intervista
accolta così entusiasticamente dai leader dell'Ulivo, Fini dice chiaramente
che il 2003 sarà l'anno della riforma costituzionale dela magistratura.
Infine, come è possibile pensare all'elezione diretta di chicchessia senza
aver creato un vero pluralismo televisivo, senza aver risolto il conflitto
di interessi, senza aver garantito l'indipendenza ella magistratura. Con
questi macigni di mezzo immagino che tra due mesi il dialogo si arenerà.
DA - IL MANIFESTO - L'INTERVISTA - 8 GENNAIO 2003

«Quella di Fini è un'offerta truffa»
Mussi: «Premierato peggiore del presidenzialismo. sul dialogo decida l'assemblea»
A. CO.
ROMA
L'ala sinistra dell'Ulivo e dei Ds fa muro contro l'ipotesi di riavviare
il dialogo con la destra sulle riforme istituzionali. Lo scontro sul metodo
rischia però di far passare in secondo piano il merito della riforma proposta
da Gianfranco Fini.

Mussi, mettendo da parte la discussione sull'opportunità di dialogare con
questa destra, cosa pensi del premierato?

Bisogna vedere cosa si intende. Parliamo dell'elezione diretta del premier?

Di questo parlano Fini e i leader dell'Ulivo.

Sia Giovanni Sartori che Massimo D'Alema, quando presiedeva la bicamerale,
hanno sparso abbondante sarcasmo sull'elezione diretta del premier. Hanno
fatto notare che un sistema simile esiste solo in Israele, e ricordo che
D'Alema disse: «Ci sarà pure un motivo se nessuno in Europa ha adottato
questo sistema».

Dimentichiamo il passato e parliamo del presente....

Va bene. Allora diciamo che un sistema si chiama così perché è costituito
appunto da una architettura complessiva. Presuppone contolli e contrappesi.
Negli Usa, per esempio, c'è l'elezione diretta del presidente, in compenso
un Silvio Berlusconi non sarebbe eleggibile a nessuna carica, essendo codificato
il conflitto di interessi.

Dunque elezione diretta sì, ma non nell'Italia di Berlusconi?

L'elezione diretta non è in sé antidemocratica. Non si può certo dire che
la Francia non sia un paese democratico. Ma se c'è un conflitto di interessi
regolato alla Frattini, cioè legalizzato, come si fa a discutere di elezione
diretta? Se si sono intaccati il principio di inidpendenza e autonomia della
magistratura e quello di uguaglianza di fronte alla legge, e se pertanto
si è creata una situazione in cui alcuni sono al di fuori e al di sopra
del controllo di legalità, come si fa a discutere di elezione diretta? E
se, infine, tutti i mezzi di informazione, o quasi, sono nelle mani di una
persona, come si fa a pensare che quella persona si possa poi candidarsi
all'elezione diretta del premier? Questo si chiama plebisicitarismo, anzi
populismo plebisictario. Lo dice Sartori, non Che Guevara.

Dunque se non ci fosse l'anomalia rappresentata da Silvio Berlusco ni la
proposta di Fini sarebbe accettabile?

Al contrario: io trovo sbalorditive le accoglienze positive di una parte
del centrosinistra al premierato di Fini. Quella proposta è anche peggiore
del semipresidenzialismo.

Perché peggiore?

Intanto perché cancella automaticamente le prerogative del capo dello stato.

Secondo i leader dell'Ulivo proprio quelle prerogative sarebbero salvaguardate dal premierato....

Tra un premier eletto dal popolo e un capo dello stato eletto dal parlamento,
inevitabilmente il primo cancellerebbe il secondo. E infatti Fini chiede
il passaggio di alcune prerogative dal capo dello stato al premier eletto.
Tra queste c'è la facoltà di sciogliere le camere, il che significa, come
ha già notato Salvi, che non sarebbe più il premier a dovere ottenere la
fiducia dalle camere, ma il parlamento a dover godere della fiducia del
premier. Il premierato presenta rischi maggiori del semipresidenzialismo
francese. Quella di Fini non è una offerta: è una proposta peggiorativa.

Parliamo dell'Ulivo. Sembra che in questi giorni ci sia stata una vera e
propria svolta....

Se c'è stata una svolta voglio che sia verificata. prima di tutto nel dibattito
interno al mio partito, e poi nell'assemblea dei parlamentari dell'Ulivo.
La situazione è assurda. Dal luglio scorso discutiamo appassionatamente
della istituzione di questa assemblea e delle sue regole di funzionamento.
E proprio quando siamo riusciti, anche col contributo della minoiranza diessina,
a trovare un accordo, ci viene di punto in bianco annunciata per domani
una conferenza stampa nella quale si esporrà l'agenda politica dell'Ulivo
per il 2003. E al primo punto ci sarà proprio la ripresa del dialogo per
le riforme istituzionale. Senza che l'argomento sia mai stato afrontato
dall'assemblea. E' paradossale.

Quando pensi che debba essere convocata l'assemblea dell'Ulivo?

Subito. E ne devono essere convocate due. Una su questo tema, l'altra sulla
guerra. Non possiamo continuare a sfogliare i petali dela margherita, «Ci
sarà la guerra, non ci sarà la guerra», senza fare niente. Dobbiamo prendere
delle iniziative concrete sul piano nazionale e anche internazionale.

Il 10 gennaio si riuniranno a Firenze i vari movimenti che lo scorso anno
si sono opposti dal basso al governo Berlusconi. Possono ancora condizionare
le scelte dell'Ulivo?

Questa è l'intenzione. L'assemblea di Firenze deve proprio rilanciare lo
scambio tra politica e movimenti. Se qualcuno pensasse che adesso, passata
la nottata, finalmente si torna alla «politica seria», sarebbe una sciagura.
DA - IL CORRIERE DELLA SERA - L'INTERVISTA
Follini: Fini? Per fortuna se n?è andato quel sosia che criticava e diceva
«no»

«Mai piaciuto lo schema dell'uomo solo al comando»


ROMA - Gianfranco Fini? «Nelle scorse settimane c?era il suo sosia. Meno
male che è tornato». Umberto Bossi? «Speriamo che non si allinei al fronte
del rifiuto guidato da Sergio Cofferati». Marco Follini interviene sulle
riforme. Si dichiara disponibile a partire dall?offerta del vicepresidente
del Consiglio sul premierato, ma ricorda che il suo partito tifa per il
cancellierato ed è favorevole a un presidente della Repubblica che continui
a svolgere un ruolo di garanzia. Ma il segretario dell?Udc approfitta anche
per lanciare qualche frecciata agli alleati di governo. Rimprovera Fini
per l?attacco di An a Casini di qualche settimana fa, mette in guardia Bossi
dalla minaccia di riforme a colpi di maggioranza e invoca la necessità di
costruire partiti «meno fragili» e meno condizionati dai leader che li comandano.
Laddove non cita Forza Italia, ma sembra riferirsi anche al partito di Silvio
Berlusconi.


L'offerta di Gianfranco Fini può essere l'inizio di un nuovo tavolo delle
riforme?

«Si sta aprendo, è vero, la possibilità di avviare le riforme. Che non vuol
dire certezza. La riuscita è legata alla ricerca di un compromesso, alla
capacità che avrà ogni soggetto politico di ridurre il proprio tasso di
egoismo in materia istituzionale».

Vuol dire che all?inizio, più che la formula conta la volontà di dialogo?


«Bisognerebbe far soffiare lo spirito costituente sull?attuale dibattito
istituzionale. Occorre ritrovare la generosità che portò i cattolici a non
insistere su una Costituzione "in nome di Dio" e i marxisti all?accettazione
del Concordato».

Mi sembra che per tanti argomenti, come anche per le riforme, si assista
a tempi ben più litigiosi.

«Sì, ma quella esperienza ha qualcosa di fondamentale da insegnarci e cioè
che le riforme condivise da tutti i partiti possono reggere per intere generazioni
mentre quelle volute da una parte contro l?altra durano lo spazio di un
mattino».

In questo senso il vicepremier sembra avere accolto l?appello di Ciampi
a non fare riforme a colpi di maggioranza.

«Apprezzo queste ultime parole di Fini. Anche perché, nelle scorse settimane,
sembrava apparso sulla scena politica italiana un suo sosia che aveva fatto
capire che la maggioranza poteva fare da sola e sembrava avere condiviso
La Russa quando era arrivato a criticare Casini solo perché in una conversazione
giornalistica aveva parlato di premierato. Oggi è tornato Fini, il sosia
non c?è più. Tanto meglio».

Bossi invece sembra ancora lontano dal dialogo e continua a mettere in guardia da ogni «inciucio» con la sinistra.

«Prima di lui ho visto altri ragazzi intenti a giocare con il tasto del
"no" nella loro Playstation politica. Mi auguro che il ministro per le Riforme
non voglia allinearsi anche lui a questo fronte che ha come capo il noto
impiegato della Pirelli, Sergio Cofferati».

Ma il premierato può essere davvero la base per una riforma bipartisan?


«Al congresso dell?Udc abbiamo espresso le nostre preferenze per il cancellierato.
Tra quella formula e il premierato esistono alcune differenze, ma non c?è
il filo spinato. Una cosa è certa: la necessità di rafforzare i poteri del
premier è ormai condivisa da molti leader di diverso colore politico, come
Prodi, D?Alema e Berlusconi. E se si vuole cercare un baricentro da cui
partire per costruire una nuova forma di governo forse è più facile trovarlo
nei paraggi del premierato».

Poteri rafforzati che dovranno riguardare anche lo scioglimento delle Camere?


«Mentre non vedo nessun ostacolo al potere di nomina e di revoca dei ministri,
lo scioglimento delle Camere è un punto che va discusso e approfondito prima
di effettuare una scelta».

Vuol dire che il presidente della Repubblica deve conservare il ruolo di
garanzia che attualmente ricopre?

«Mi sembra fondamentale: occorre ragionare su un efficace sistema di equilibrio dei poteri evitando di costruire una figura di premier troppo monocratica.
Lo schema dell?uomo solo al comando non mi è mai piaciuta e non si adatta
certo alle nostre istituzioni».

C'è chi accusa i partigiani del cancellierato di usare questa formula solo
per reintrodurre il sistema proporzionale.

«Da una parte dobbiamo salvaguardare il potere degli elettori di scegliere
i governi, vale a dire la possibilità dell?alternanza. Dall?altra dobbiamo
evitare che questo sistema conceda troppo spazio alle posizioni estreme
e venga condizionato da segmenti minoritari. Ad ogni modo terrei all?ultimo
punto delle riforme la legge elettorale. Meglio disegnare prima una forma
di governo condivisa da tutti, poi si vedrà. Da ?91 al ?93 si partì dalla
legge elettorale e ci si fermò lì».

Il bipolarismo va salvato ad ogni costo?

«A salvarlo ci pensano gli elettori: ormai la divisione in due del campo
politico è nella testa dei cittadini. Ma se la prima Repubblica è finita
nell'immobilismo, oggi dobbiamo evitare che la vita del Paese areni nelle
secche nell'estremismo, malattia diffusa in entrambi gli schieramenti».


Esiste una medicina per curarla?

«Ritengo assolutamente fondamentale che quando si ragiona su nuove istituzioni
ci sia parallelamente un lavoro di ricostruzione dei partiti. Qualsiasi
riforma ha bisogno di partiti veri, che siano cioè luoghi di militanza e
di elaborazione di idee. È questo il vero contrappeso al governo del premier.
In molti Paesi europei ciò è avvenuto. Noi invece siamo passati dalle grandi
agenzie ideologiche e clientelari degli anni Sessanta a una terra di nessuno».


Qualcuno l'accuserà di volere il ritorno della partitocrazia.

«Sono consapevole che non si debba più tornare al giurassico della politica.
Ma il problema è che dai dinosauri siamo passati alle farfalle, a creature
politiche troppo esili e fragili».

E magari condizionate dal leader che le comanda?

«È un problema che hanno tutti. E a maggior ragione occorre riattivare un
gioco di squadra più corale».