DA - IL
MANIFESTO 15 DIC.2002
«Stiamo con i
lavoratori Fiat»
Parla Kuhlmann,
segretario del sindacato europeo dei meccanici
EZIO VALLAROLO
TORINO
Sullo striscione dei cassaintegrati alla porta 2 di
Mirafiori si legge:
«Buon Natale alla famiglia Agnelli e a chi ci governa
sperando che non gli
arrivi nessuna letterina». Le feste si avvicinano ma tra
gli operai vittime
del piano Fiat-governo c'è poca voglia di sorridere. Del
clima plumbeo si
è accorto Reinhard Kuhlmann, segretario della Fem
(Federazione europea dei
metalmeccanici), a Torino per la giornata di lotta negli
stabilimenti europei
della Fiat sparsi in 9 paesi. «Appoggiamo
incondizionatamente - dice Kuhlmann
- la lotta dei lavoratori. Abbiamo lanciato per la
giornata di oggi uno
parola d'ordine semplice e diretta: la Fiat deve avere un
futuro. L'azienda
deve abbandonare la strada dei licenziamenti e del
ridimensionamento degli
stabilimenti. Siamo al declino di una grande azienda e
non si può rimanere
inerti senza fare nulla».
Quali sono le
cause che hanno portato alla crisi di Fiat Auto?
La strategia della
diversificazione attuata dalla proprietà ha indebolito
il settore auto. Sono mancati gli investimenti per i
nuovi modelli in grado
di reggere l'urto di una concorrenza agguerrita.
Volkswagen, Peugeot e Renault hanno impegnato capitali
decisamente superiori nella ricerca e nell'innovazione: i
risultati sono sotto gli occhi di tutti.
E' possibile
invertire la tendenza?
Le competenze in tema di design e ricerca non
mancano. Il rilancio passa
però attraverso scelte precise: forti investimenti,
modelli di qualità e
coinvolgimento del governo nel processo di
ristrutturazione. Gli effetti
negativi della crisi possono essere catastrofici in
Italia e in Europa.
Bisogna impedire che il mercato finanziario intervenga
pesantemente, come
accade, nei processi decisionali di un'impresa
produttiva.
L'accordo
Fiat-Gm ha aspetti positivi per i lavoratori europei?
All'inizio questa alleanza fu
salutata da molti come possibilità di sviluppo,
anche occupazionale. Oggi la situazione è più
complessa, tra i lavoratori
si discute con grande preoccupazione. Personalmente credo
che i due marchi, Opel e Fiat, non siano in concorrenza
diretta e possano avere spazi diversi
sul mercato. La solidarietà è comunque concreta: lo
sciopero di oggi ha
riguardato anche gli occupati degli stabilimenti tedeschi
di Bochum, Kaiserslautern e Russelheim, dove la
joint-venture Fiat-Gm - in Italia è il caso delle
meccaniche di Mirafiori, ribattezzate Powertrain - è
già operativa.
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DA - L'UNITA' - 26
DIC.2002
«Aiutano i furbi,
ma stanno perdendo nel Paese»
ROMA Onorevole Chiti,
si parla di Finanziaria dei 12 condoni, Liberation
titola buon Natale agli evasori italiani. Ma il governo
non ha altri modi
di trovare i soldi che gli servono?
«La maggioranza ha disperatamente bisogno di soldi a
causa dei clamorosi
errori politici fatti quest?anno: sottostimando le spese,
graziando i i
ricchi con l?abolizione della tassa sulle successioni,
sovrastimando le
entrate per la convizione di essere in un periodo di
sviluppo anziché di
difficoltà economiche. Poi i soldi li usano male: non ci
sono risorse per
il lavoro, il Sud, la ricerca e l?università, le
politiche sociali. E li
prendono nel modo sbagliato, ha ragione Liberation:
attraverso condoni che
tolgono certezza al rapporto fra i cittadini e lo Stato.
Così si premia
chi non fa il proprio dovere, mentre la politica del
centrosinistra era
che ognuno paga secondo il proprio reddito».
Tutti contro
Tremonti, che diserta il Parlamento. Ma è solo colpa sua
o ognuno ha inserito il tassello che gli faceva comodo?
«Tremonti ha ovviamente una
responsabilità di primo piano. In quanto garante del
patto con la Lega, protagonista dello sbaglio dei conti e
del cattivo
uso delle risorse, artefice di un pauroso accentramento
di poteri nel suo
ministero. Detto questo, la politica negativa è di tutto
il governo e della
maggioranza. Vedo scelte sbagliate e clamorose divisioni.
La Finanziaria
ha avuto una conduzione incerta, confusa, improvvisata.
Il Senato l?ha licenziata all?ultimo momento e la Camera
è schiacciata fra la necessità di modificarla e la
ristrettezza dei tempi. È il fallimento di un
Superministro che si era presentato con tanta prosopopea,
ma anche di Berlusconi buon propagandista e cattivo
premier».
La
mini-riduzione dell?Irpef ha le spalle coperte o è
pagata dai condoni e l?anno prossimo serviranno nuove
soluzioni finanziarie?
«Il problema è che da un lato il governo opta
per questa riduzione delle
aliquote, in alternativa a misure di più ampio respiro,
e dall?altro si
riprende moltissimo dagli italiani. Anche a causa
dell?insipienza e del
mancato controllo da parte dell?esecutivo da noi c?è una
ripresa del costo
della vita maggiore che in altri Paesi europei».
Protestano
Confindustria, no profit, sindacati, commercianti,
docenti e bidelli. Servirà o è troppo tardi per
bloccare la manovra?
«Le estese proteste contro la
Finanziaria dimostrano che ha ragione l?Ulivo
nel considerarla negativa per la situazione e il futuro
dell?Italia. Ma
non mi faccio illusioni che sia modificabile, con una
maggioranza così incerta
e chiusa alla voce della società. Servirebbero una
sintonia con il Paese
e una forza di indirizzo politico e programmatico che al
governo mancano.
Le critiche però mostrano che l?innamoramento verso la
destra è in fase
di superamento. Ora sta ai Ds e all?Ulivo dare risposte
efficaci a questo
malessere».
Venti Regioni,
eccezionalmente compatte, protestano contro il decreto
taglia-spese alla sanità. Il welfare è a rischio?
«Si, il pericolo è concreto e da non prendere
sottogamba. Ha un significato
profondo che tutte le Regioni abbiano deciso di sostenere
il ricorso al
Tar (firmato da Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna,
ndr) contro un decreto lesivo del loro autogoverno. C?è
una rottura dell?intesa istituzionale raggiunta pochi
mesi fa. I Presidenti delle Regioni l?hanno revocata e
hanno chiesto un incontro con Ciampi perché il governo
non mantiene gli impegni. Poi si sono aggiunte le
critiche dei Comuni tramite l?Anci e delle Province
tramite l'Upi».
La rivolta finirà
in una guerra di competenze?
«Di fronte a tutto questo il vicepresidente
degli enti locali di Forza Italia
grida al ?complotto? come se le Regioni fossero
succursali uliviste. Ecco
cosa intendevo per assoluta inconsapevolezza di quanto
avivene nel Paese.
Le Regioni sono in campo contro la Finanziaria che lede
la loro autonomia
e le impossibilita a gestire il welfare. Questo è il
punto fondamentale.
I Ds condividono la protesta, la sosterranno e non
lasceranno le Regioni
sole nei prossimi mesi».
Scelga il peggior
regalo di Natale che la Finanziaria fa agli italiani.
«I condoni. Mortificano il senso civico ed etico
del rapporto con le istituzioni.
Anziché diffondere il senso di responsabilità e
legalità si incentiva la
peggiore furbizia».
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4 GENNAIO 2003 «Panieri
diversi secondo il reddito»
Le proposte della Cgil sul sistema di
rilevazione Istat e sulle cause dell'inflazione.
Parla Lapadula
PAOLO ANDRUCCIOLI -
«Attenti a non rompere il termometro per cercare di
guarire la febbre».
Beniamino Lapadula, segretario confederale della Cgil ed
esperto di problemi
fiscali e di politiche dei prezzi, mette in guardia sulle
polemiche di questi
giorni a proposito del ritorno dell'inflazione e delle
insufficienze nei
sistemi di rilevazione dell'Istat dopo l'avvento
dell'euro. Il problema,
secondo il sindacalista della Cgil, non è quello di
creare strutture alternative
all'istituto ufficiale di statistica, ma caso mai di
riformare i sistemi
di rilevazione per renderli più aderenti alla nuova
realtà dell'economia.
Su questi temi la Cgil, che ha commissionato una ricerca
all'Ires (curata
da Aldo Carra), presenterà le sue proposte l'11 gennaio
prossimo. Ma intanto
il problema più urgente è quello di capire le reali
responsabilità politiche
e il perché dell'aumento dei prezzi.
Lapadula, che cosa
succede? L'Istat è costretto a rivedere il paniere,
mentre altri istituti di ricerca rilanciano dati
inflazionistici a due cifre. Siamo tornati alla vecchia
inflazione?
Bisogna chiarire prima di tutto quello che è
successo. La prima cosa riguarda
il «change over». A differenza di quello che hanno
fatto gli altri paesi
europei, da noi il governo non ha operato nessun
monitoraggio serio e non
ha messo in guardia i cittadini da chi avrebbe potuto
approfittarsi della
situazione. Anzi ricordo che il ministro Marzano
rassicurava tutti dicendo
che non ci sarebbe stato problema alcuno. Ora si propone
il doppio cartellino
dei prezzi quando le cose sono già successe. E' un'idea
priva di senso.
Che cosa si
sarebbe dovuto fare? Ed è vero che sono state
smantellate le apposite strutture di controllo a livello
provinciale?
Non solo sono stati eliminati gli strumenti che
avrebbero dovuto controllare
il passaggio dalla lira all'euro, ma non si è neppure
fatto nulla per equilibrare
i ritardi del nostro sistema distributivo che è
arretrato e insufficiente
e che ha contribuito all'impennata dei prezzi. Il governo
ha fatto solo
un'operazione demagogica sulle tariffe, una scelta che
ora produrrà altri
effetti negativi sui prezzi al momento dello
«scongelamento» delle tariffe
bloccate.
Le polemiche di
questi giorni riguardano però anche l'Istat. Com'è
possibile che ci sia uno scostamento così grande tra i
dati ufficiali e tutti gli altri?
Su questo punto vorrei essere molto chiaro. Non
siamo favorevoli a dare
spazio a indici e panieri alternativi a quelli ufficiali.
Noi siamo invece
per una ristrutturazione dei sistemi di rilevazione e
abbiamo delle proposte
precise che presenteremo la prossima settimana con
l'Ires.
Si può anticipare
qualche proposta?
La prima cosa che vogliamo mettere in evidenza è
che c'è uno scostamento
tra i prezzi percepiti dalla gente e la realtà. E che ci
sono comportamenti
diversi a seconda dei redditi. Noi proporremo quindi
l'introduzione di panieri
diversificati per fasce di reddito.
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Intervista al
vicepresidente del Consiglio
Gianfranco
Fini: 4
GENNAIO 2003trattiamo sul premier scelto dal popolo
Il leader di An: non si può ricominciare
con le bandiere
di partito. La protesta dei magistrati è di una gravità
enorme
ROMA - Se non fosse perché è vicepremier, se non fosse
perché è stato uno
dei protagonisti della Bicamerale presieduta da D'Alema,
avrebbe comunque
titolo a parlare di riforme perché «io sono uno dei
pochi sopravvissuti
della commissione Bozzi». Vecchio non è Fini, sebbene
ieri abbia festeggiato
il suo 51° compleanno, però è bastato accostasse alla
sua esperienza il
nome dell'esponente liberale che guidò il primo
tentativo di modifica delle
istituzioni, per sottolineare quante volte il Palazzo ha
invano tentato
di riformarsi.
Così, l'assenza
di enfasi nelle sue parole non è solo dettata dalla
prudenza di chi ha vissuto i fallimenti passati, ma dal
fatto che per realizzare l'impresa servono ora «certe
condizioni».
Intanto che non ci siano condizioni,
che non si parta con i diktat, «perché è ovvio che An
è da sempre favorevole
al modello semi-presidenzialista francese, ma non si può
pensare di ricominciare
daccapo, con le bandiere di partito, con l?idea che le
riforme diventino
armi per regolamenti di conti o per sparate
propagandistiche. Altrimenti
non si andrà da nessuna parte».
E allora, se si vorrà discutere del nuovo assetto dello
Stato, «bisognerà
parlarne coniugando i verbi al futuro, pensando ciò che
sarà, non disegnando
la realtà del presente. Le riforme si fanno per i
cittadini e non per i
protagonisti del dibattito politico di oggi».
Fra le tante
cause dei precedenti naufragi, «la più forte - secondo
Fini - fu che mancò la consapevolezza di stabilire un
equilibrio complessivo di pesi e contrappesi tra le
istituzioni. Ed è proprio il riferimento che ha fatto
Ciampi nel suo messaggio di fine
anno».
In realtà il capo
dello Stato ha posto soprattutto un altolà al modello
presidenzialista. Che effetto le ha fatto, visto che lei
è stato uno dei sostenitori di Ciampi nella sua corsa al
Quirinale?
«Il capo dello Stato non ha posto alcun veto e
certo non sono pentito della
scelta fatta a suo tempo, anzi. Ciampi in questo momento
svolge al meglio
il suo ruolo, che è di richiamo ai valori di una forte
identità nazionale,
unito all?idea della patria europea che sta nascendo. Ed
è proprio questo
il punto. L?Italia è al centro di un processo di doppia
devoluzione: da
una parte sta trasferendo quote di sovranità all?Europa
e dall?altra sta
delegando compiti alle Regioni. Si tratta di un sistema
delicato, e in questa
catena non si può immaginare che il governo centrale
rimanga l?anello debole.
Serve invece un esecutivo forte, che garantisca sia
"interessi nazionali"
in sede europea, sia "l?identità nazionale"
nei rapporti con le autonomie
locali. Tra i governatori, Storace è stato il primo a
porre il problema,
ma tutti i presidenti delle Regioni sono consapevoli di
questa necessità.
Se così non fosse, allora sì ci sarebbe il rischio di
veder rompere il principio
dell?unitarietà. È su questo tema che bisogna
verificare se esiste una convergenza
in Parlamento».
Vuol dire che è
disposto ad accettare una ipotesi subordinata rispetto al
semi-presidenzialismo?
«Intanto vorrei non si demonizzassero le
posizioni che non si condividono.
Non si può parlare di devolution e passare per qualcuno
che vuole disgregare
il Paese, non si può sostenere il presidenzialismo ed
essere accusati di
voler andare verso una deriva plebiscitaria di tipo
venezuelano».
Ma se si lavorasse
attorno al progetto del premierato?
«Se si è d?accordo con l?idea di rafforzare i
poteri dell?esecutivo, allora
significa che tutti prendono in considerazione l?idea di
modificare gli
attuali equilibri, comprese anche quelle che sono oggi le
prerogative del
Capo dello Stato. E si vedrà subito se c?è qualcuno che
parla di premierato
e pensa al cancellierato, se discute di ipotesi
innovative e poi si arrocca
su posizioni di retroguardia. A mio avviso esistono
alcune colonne d?Ercole
che prendono origine da un messaggio inviato alle Camere
durante il suo
settennato da Cossiga. L?allora presidente della
Repubblica pose il problema
su quale fosse il baricentro della legittimità di un
governo. Io penso risieda
nel corpo elettorale, pertanto le colonne d?Ercole di cui
parlo sono il
fatto che nessuna maggioranza parlamentare e nessun
premier possono essere
diversi da quelli scelti dagli elettori. In questo senso
gli ultimi anni
non sono passati invano, sono stati già acquisiti
elementi di bipolarismo
e di una corretta democrazia dell?alternanza. Ma questi
elementi devono
essere consolidati, proprio come dice Ciampi».
Ritiene che il
premier scelto dagli elettori dovrebbe avere quindi il
potere di nominare e revocare i ministri e soprattutto di
sciogliere le Camere?
«Sì. Ciò significherebbe che non avrebbe più
senso la fiducia parlamentare
a un governo, mentre avrebbe ancora un senso il
meccanismo della sfiducia.
Ma l?atto di sfiducia al Governo del premier porterebbe
alle elezioni. Simul
stabunt, simul cadent . Attenzione però a non
soffermarsi solo su questo
tema, non si possono modificare alcuni Titoli della
seconda parte della
Costituzione senza toccarne altri. Le riforme vanno fatte
tenendo in considerazione
gli equilibri tra istituzioni e devono andare a regime
insieme. Altrimenti
è meglio non partire».
Se sta mandando un
messaggio a qualcuno sia più esplicito.
«Non ho problemi: mi riferisco a quella riforma
che viene considerata una
fissazione monomaniacale di Berlusconi, e che invece è
una necessità. Mi
riferisco al problema della magistratura. E tra i
magistrati c?è chi sembra
non rendersi conto di quel che fa. Trovo di una gravità
enorme la richiesta
rivolta ai suoi iscritti dall?Anm, affinché inaugurino
l?Anno giudiziario
con in mano la Costituzione, come se la Costituzione
fosse minacciata. E
da chi?».
Provi a
indovinare?
«Ma è grave che, nel momento in cui si cerca di
ripartire con le riforme,
una parte dei magistrati lanci il messaggio che il suo
ordine è minacciato
dalla politica».
Dicono di rifarsi
al messaggio di Ciampi, che si è presentato in tv agli
italiani con la Costituzione sulla scrivania.
«Si permettono di usare come un alibi Ciampi,
che nel suo messaggio ha ribadito la necessità di
tutelare l'indipendenza della magistratura. Nessuno vuol
metterla in discussione. L'atteggiamento dell'Anm è
pretestuoso, il suo
comportamento è tipico di una mentalità politica, e il
processo alle intenzioni
è istituzionalmente inaccettabile».
A proposito di
temi legati alla giustizia, sull?indulto An si è
spaccata.
«No, il partito ha espresso la sua contrarietà.
È falso che An lascerà libertà
di voto. Il punto è un altro: trattandosi di una materia
che riguarda la
libertà, ed essendoci stato un appello del Papa rivolto
alle Camere, se
vi saranno singoli parlamentari che vorranno appellarsi
alla loro coscienza,
questo diritto andrà tutelato e garantito».
Come immagino
vorrà veder garantito e tutelato il bipolarismo se
partirà il processo costituente...
«Se opposizione e maggioranza inizieranno a
discutere non verranno meno
al loro ruolo e alla loro natura. Tra le cause che
portarono al fallimento
della Bicamerale guidata da D?Alema, ci fu anche l?idea -
a mio avviso errata
- che si stesse ricercando un inciucio. Strano destino
quello del presidente
dei Ds: fu lui il primo a coniare quell?espressione e poi
a rimanerne vittima...
Comunque, se l?accordo non si dovesse trovare, ciò non
comporterebbe come
conseguenza automatica l?impossibilità di fare le
riforme. I padri costituenti
furono previdenti, varando l?art. 138 della Costituzione.
Ma mi auguro si
possa trovare un?intesa. D?altronde l?anno si è già
aperto con una notizia
positiva».
A cosa si
riferisce?
«All?andamento dei conti pubblici, che è
migliorato. Ciò significa che Berlusconi non professa
solo l'ottimismo della volontà ma anche quello della
ragione, e che si iniziano a vedere gli effetti
dell?azione di governo. Merito anche del ministro
Tremonti, che negli ultimi tempi sembrava una sorta di
San
Sebastiano».
Qualche freccia
l'aveva scagliata anche il suo amico Casini...
«La mia amicizia con il presidente della Camera
è destinata a rafforzarsi.
Oggi siamo chiamati a incarichi diversi e ciò implica
anche obblighi diversi,
non ci possiamo comportare come ai tempi in cui eravamo i
leader dei nostri
rispettivi partiti. Ma la mia stima nei suoi confronti è
aumentata, e spero
che la cosa sia reciproca».
L'opposizione
ritiene comunque che sui conti pubblici non si avrà un
effetto virtuoso duraturo, ma soltanto momentaneo e
dovuto ai giochi di finanza creativa messi in atto dal
ministro dell?Economia.
«Si tratta di operazioni già attuate in altri
Paesi. Quanto alla finanza
creativa di Tremonti, vorrei ricordare che Schröder sta
valutando l?ipotesi
di importare il meccanismo dello scudo fiscale in
Germania. Non mi risulta
che le idee di Visco fossero così apprezzate da essere
importate persino
in Paesi a guida socialdemocratica».
C'era Visco però
al governo quando l'Italia entrò nell'euro.
«E oggi sarebbe sbagliato valutare la moneta
unica esclusivamente per l'effetto che ha avuto sui
prezzi al consumo. È vero che ha innescato una piccola
ripresa dell?inflazione, ma è l?unico elemento negativo
rispetto agli enormi vantaggi che ha prodotto. Sono
d?accordo con l?analisi svolta da Giavazzi sul Corriere :
l'euro è uno strumento indispensabile sia sotto il
profilo economico sia sotto il profilo politico. E la
Convenzione europea, di cui
mi onoro di far parte, sta lavorando proprio a quel
progetto storico».
Francesco Verderami
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DA - IL MANIFESTO - 5
GENNAIO 2003
INTERVISTA Attilio Ventura,
Colaninno? Servono
soldi veri. E tanti»
L'esperto: «Le banche non sono disposte
a investire altri miliardi nel settore
auto senza precise garanzie»
B. PE.
«Il progetto di Roberto Colaninno? Mi auguro che vada in
porto. Io sarei
favorevole a una soluzione italiana ma per intraprendere
questa strada ci
vogliono idee e tanti, tanti soldi. Se no è meglio
lasciar perdere... Quanti
soldi? Almeno 10.000 miliardi freschi. Non finanziamenti
bancari, sia chiaro.
Non denaro preso a prestito. Mi pare che i rubinetti
delle banche si siano
asciugati ed è difficile che si possa spremere ancora
qualcosa. Qui ci vuole
qualcuno che metta il grano, come dicono a Milano. Ho
sentito dire che Colaninno
metterebbe 1 miliardo di euro... scusi ma mi viene da
ridere».Attilio Ventura,
vice presidente della Banca Leonardo, è uno che naviga
nei mari agitati
della finanza italiana da decenni, da quando era
presidente degli agenti
di cambio di Milano. Di titoli Fiat nella sua vita
professionale ne ha trattati
a vagonate, il gruppo torinese è sempre stato guardato
con grande rispetto,
come un punto di riferimento insostituibile. Una volta
quando si muoveva
il gruppo torinese erano tutti sugli attenti e nessuno
poteva immaginare
un economia, una finanza, una Borsa senza mamma Fiat.
Adesso, come molti
banchieri e operatori della comunità degli affari, anche
Ventura teme che
il baratro non sia lontano. Che la Fiat possa imboccare
la via del tramonto.
Dottor Ventura, lo
so che si fa fatica a dirlo ma secondo lei siamo davvero
al capolinea?
No, ma siamo certamente a un bivio. Se va avanti
il progetto con la General
Motors la Fiat auto è destinata a finire nelle mani
degli americani. Non
raccontiamoci storie. Non vedo prodotti in grado di
reggere un'inversione
di marcia. Ricordo che mio padre mi diceva: «l'Italia è
la Fiat». Oggi non
è più così. Bisognerebbe rileggersi i giornali di una
decina d'anni fa:
allora si diceva che il mercato dell'auto si sarebbe
ridotto a sette o otto
grandi gruppi. E' quello che è avvenuto ma tra questi
gruppi, purtroppo,
la Fiat non c'è.
Neanche con una
rigorosa politica di dismissioni si riuscirebbe a
risalire la china?
Gli Agnelli sono disposti a vendere la Iveco, la
Toro, la Fiat Avio e tutti
gli asset più importanti e a reinvestire il ricavato
nell'auto? Forse, se
non è troppo tardi, è questa l'unica strada ma non mi
pare che si vada in
questa direzione. Mi sembra che non ci credano neanche
loro, se no lo avrebbero già fatto.
E dell'ipotesi
Colaninno cosa ne pensa?
Penso che se Roberto Colaninno fosse così bravo
da presentarsi con almeno
10.000 miliardi ce la potrebbe fare. Ma devono essere
soldi veri non prestiti.
Eppure Colaninno
ha scalato la Telecom con i prestiti bancari.
Certo, ma adesso la situazione è diversa, di
soldi non ce ne sono più e
mi pare che su questo punto il sistema bancario sia
giustamente irremovibile.
E poi mi consenta di osservare che si tratta di aziende
molto diverse: la
Telecom aveva un cash flow che per le banche era una
garanzia, nonostante
l'enorme indebitamento. Per un gruppo automobilistico è
diverso, basta sbagliare un modello e sei fritto. E le
confesso che di modelli competitivi non ne vedo tanti in
giro.
Dalle notizie che
si hanno il piano di Roberto Colaninno prevederebbe tra
l'altro un consolidamento del debito, una trasformazione
dell'indebitamento in partecipazione azionaria delle
banche. Potrebbe essere un modo per mettere
assieme quei 10.000 miliardi di cui lei parlava. Anzi nel
piano si parla di 8 milioni di euro.
E secondo lei le banche coinvolte nella Fiat
accetterebbero una simile soluzione? Io credo proprio di
no.
In effetti nelle
ultime ore c'è stato un certo irrigidimento della Fiat
e si dice che venga anche dalle banche.
Non mi meraviglia affatto. Mettere altri soldi
nell'auto senza una prospettiva
per le banche sarebbe una pazzia. Glielo ripeto: o c'è
qualcuno che mette
sul tavolo denaro vero oppure si va verso la soluzione
americana. Non mi
pare che ci siano vie di mezzo. Il governo Berlusconi ha
fatto bene ad appoggiare
l'ipotesi Colaninno e magari quell'impreditore riesce
anche a trovare i
quattrini necessari, ma senza liquidità questa volta non
si va da nessuna
parte. E' finita l'epoca del denaro facile, glielo
assicuro. Se si vuole
dare una svolta vera bisogna investire quattrini non
debiti. Soprattutto
se gli investimenti sono destinati al settore dell'auto.
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DA - L'UNITA'
- L'INTERVISTA. 5 GENNAIO 2003 Edmondo Bruti Liberati,
Giustizia, è
stato un anno delle riforme mancate"
MILANO - Sarà solo un simbolo, chiaro e immediato: una
copia della Costituzione
italiana che i magistrati iscritti all?Anm terranno in
mano il 18 gennaio
prossimo, in occasione dell?inaugurazione dell?anno
giudiziario. È una scelta
talmente esplicita che non richiede commenti, ma per
Edmondo Bruti Liberati,
segretario nazionale del sindacato delle toghe, parlarne
è un?occasione
per fare un bilancio del 2002, l?anno delle mancate
riforme e per elencare
la massa di problemi ancora irrisolti, che rischiano di
far naufragare il
sistema giustizia.
Dottor Bruti
Liberati, con quali proposte l?Anm si presenterà alle
assemblee che si terranno in tutta Italia, in occasione
dell?apertura dell?anno giudiziario?
«Noi abbiamo deciso di segnalare due punti. Il
primo: la difesa dell?indipendenza della magistratura,
come vuole la nostra Costituzione. Il secondo:
sottolineare l'esigenza di una giustizia più efficace e
rapida. Per questo abbiamo scelto di richiamare
simbolicamente i principi costituzionali, ma renderemo
esplicito il nostro intervento leggendo in tutte le sedi
di corte d'appello un unico documento che farà
riferimento a queste due questioni fondamentali».
Il 2002 è stato
un anno di forti contrasti, che per la prima volta, dopo
dieci anni, ha visto la magistratura scioperare contro il
dissesto della giustizia. Il bilancio è nettamente in
rosso?
«L?anno appena concluso ha visto uno sciopero al
quale la magistratura ha
partecipato in modo massiccio per difendere la sua
indipendenza. È stato
l?anno delle riforme mancate e l?anno in cui si sono
approvate leggi che
hanno determinato ulteriori ritardi e impunità nel
funzionamento del sistema
penale».
Si riferisce alle
leggi sulle rogatorie, sulla depenalizzazione del falso
in bilancio, alla Cirami?
«La legge sulle rogatorie ha determinato ritardi
e danni che fortunatamente
non sono stati gravi come si poteva temere grazie alle
interpretazioni date
dai tribunali di tutta Italia, con motivazioni confermate
dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione.
La legge sul falso in bilancio priva il nostro Paese,
unico tra i Paesi avanzati, di sanzioni penali efficaci a
tutela
della trasparenza e della veridicità dei bilanci...».
E adesso è in
arrivo un?altra proposta di legge per la depenalizzazione
della bancarotta.
«Occorrerà vedere la proposta
precisa. In ogni caso sarebbe grave nopn sanzionare
adeguatamente comportamenti che creano forti danni ai
creditori e che provocano una distorsione della
concorrenza rispetto agli imprenditori e ai commercianti
onesti».
E poi abbiamo
avuto la Cirami.
«E su questo direi che c?è poco
da aggiungere: si tratta di una legge di
cui mai, in 13 anni di applicazione del nuovo codice di
procedura penale,
si era sentito il bisogno».
Anche il nuovo
anno però, non promette niente di buono: la legge
Pittelli è già in dirittura di arrivo.
«Se questa legge entrerà mai in vigore si avrà
la paralisi totale del sistema
penale, mentre sono fermi tutti quei provvedimenti che
avrebbero potuto
accelerare i processi. Il 2002 è stato l?anno degli
interventi mancati sotto
il profilo dell?organizzazione giudiziaria, che sono
competenza specifica
del guardasigilli. Su questo fronte le iniziative più
significative sono
state il rinvio di due concorsi per l?assunzione di nuovi
magistrati e l'innalzamento a 75 anni dell?età
pensionabile dei magistrati. Anche in questo abbiamo
battuto un nuovo record europeo, col risultato di
impedire il ricambio per gli incarichi direttivi. Con
quale vantaggio, lo si può ben immaginare».
Eppure tutti
riconoscono che il primo problema è quello della
ragionevole durata dei processi, ma a quanto pare non si
muove un passo in questa direzione.
«I magistrati fanno il possibile
e dovranno fare di più per accelerare i
processi, ma senza una riforma radicale
dell?organizzazione della giustizia
è impossibile ottenere miglioramenti significativi».
Il centro destra
ironizza sulla vostra iniziativa. Dice che fate bene a
partecipare alle inaugurazioni dell?anno giudiziario,
Costituzione alla mano, purchè vi impegnate ad
applicarla e c?è chi usa la Costituzione per rilanciare
la separazione delle carriere. Lei cosa risponde?
«Niente. Per noi magistrati la costituzione è
un testo fondamentale e lo
applichiamo sempre. In tutte le sedi.
La nostra non sarà un?iniziativa di protesta, ma certo
di difesa intransigente
di principi e insieme la proposta delle riforme
necessarie. Del resto vorrei
richiamare quello che ha detto lo stesso presidente della
Repubblica, nel
suo discorso di fine anno: "E' necessario dare
certezza di buon funzionamento
dell'amministrazione della giustizia. Salvaguardia
dell'autonomia e dell'indipendenza della Magistratura, e
giustizia resa in tempi ragionevoli: queste sono le
garanzie che i cittadini richiedono.
Dobbiamo sentire più vicina la Magistratura come
istituzione: i giudici
amministrano la giustizia - lo dice la Costituzione - nel
nome del popolo
italiano"».
|
DA - REPUBBLICA -
INTERVISTA A FASSINO 7 GENNAIO 2003
Il segretario dei Ds detta le condizioni dell'Ulivo
"La destra intanto chiarisca la sua proposta"
Fassino: confronto
in Parlamento
ma diremo no all'elezione diretta
"Trovo incredibile che a sinistra ci sia
chi evoca lo spettro dell'inciucio"
di GIANLUCA LUZI
ROMA - Una cosa deve essere chiara: "Niente tavoli
extraistituzionali, né
inciuci. Si discute solo in Parlamento. E non ci deve
essere alcuna elezione
diretta, né del presidente della Repubblica né del capo
del governo". Il
segretario dei Ds Fassino ha appena finito di raccogliere
sotto la pioggia
le sottoscrizioni per i bambini poveri dell Argentina e
non vuole che il
dibattito politico sulle riforme istituzionali tolga di
mezzo i grandi temi
internazionali. "Proprio perché dobbiamo avere il
senso delle proporzioni
voglio manifestare tutta la preoccupazione per quello che
sta accadendo
in Medio Oriente. L'attentato di domenica è l'ennesimo
episodio di una spirale
di sangue, violenza e terrore che allontana la
possibilità di convivenza
tra israeliani e palestinesi che è l'unica pace
possibile. Si impone un
soprassalto di responsabilità e quindi chiedo al
ministro Frattini di agire
in tutte le sedi affinché ci sia una ripresa dell
iniziativa internazionale.
E proprio le vicende drammatiche di questi giorni dicono
a quali rischi
si andrebbe incontro se dovesse prevalere la volontà di
fare la guerra nel
Golfo Persico".
In questi giorni, però,
tengono banco altre priorità. Berlusconi ha detto
che il 2003 sarà l anno delle riforme e lancia proposte
di dialogo.
"Le riforme istituzionali vengono evocate
troppo spesso in termini strumentali, a seconda delle
convenienze. Il tema è stato rilanciato dal centrodestra
proprio nel momento in cui il bilancio del governo è
particolarmente deludente.
Le riforme istituzionali non possono diventare il
principale tema dell agenda
politica. Oggi il paese è di fronte a molte priorità:
sono passate poche
settimane da quando Ciampi ha indicato un rischio di
minore competitività
del paese, Fazio ha parlato di un rischio di declino, il
Censis ha disegnato
un'Italia con le pile scariche. Stanno di fronte a noi le
crisi di grandi
gruppi industriali: dalla Fiat alla Piaggio, alla Cirio,
all'industria chimica.
Così come c'è una diffusa inquietudine nell'opinione
pubblica per una ripresa
dell'inflazione e per politiche sociali che mettono in
discussione elementi
di certezza nella vita di milioni di famiglie, quali la
sanità, l'assistenza
agli anziani, la scuola".
Ma è Berlusconi che
dà le carte e ha deciso che ora si deve parlare di
riforme.
Voi quindi non vi potete sottrarre.
"Il tema ha una sua serietà e mi sembra
sbagliata la posizione di chi dice
che non se ne deve discutere. Però bisogna fare
chiarezza: intanto non si
può prescindere dalla cornice entro cui le riforme si
vanno a collocare.
E la cornice è data da un anno e mezzo di governo nel
quale il centrodestra
ha alterato aspetti non marginali del tessuto
istituzionale del paese. Penso
alla brutta legge sul conflitto di interessi. Agli
attacchi costanti e continui
alla magistratura. Al modo irresponsabile in cui è stata
ridotta la Rai".
Quindi cosa chiedete?
"Se questa maggioranza vuole affrontare i
temi istituzionali smetta di attaccare la magistratura,
non presenti più leggi sulla giustizia per allargare le
maglie dell impunità, dia una soluzione nuova al vertice
della Rai".
C'è qualcosa che vi sembra
interessante nelle proposte del centrodestra?
"Intanto sarebbe utile capire qual è la
proposta della maggioranza. Perché
Berlusconi ha parlato di presidenzialismo e finora non ha
smentito questa
sua preferenza. Bossi si è mosso nella stessa direzione.
Fini invece prende
atto che sul presidenzialismo non c'è unità neanche nel
centrodestra e quindi
parla di premierato. Casini e Buttiglione propongono
invece il cancellierato.
Qual è la linea del centrodestra? Avanzi una proposta.
Noi dell'Ulivo non
ci sottraiamo al confronto, purché avvenga nel contesto
di cui ho parlato".
Dove si deve svolgere
questo confronto?
"In Parlamento e in nessun altro posto.
Quindi smettiamola con i tavoli,
gli accordi, i dialoghi bipartisan. Tutte fonti di
equivoco".
Deve rinascere una
Bicamerale?
"Non c'è bisogno di far rinascere niente.
Non c'è bisogno di inventarsi
sedi particolari o nuove. Basta utilizzare le sedi
proprie in Parlamento".
E qual è la vostra
proposta?
[ab]E' molto chiara. Bisogna fare riforme
coerenti con l'evoluzione che
il sistema costituzionale italiano ha conosciuto in
questi anni. In concreto:
completare il federalismo. Istituire il Senato delle
Regioni. Realizzare
lo statuto dell opposizione. Bisogna rafforzare il
premier riconoscendogli
due facoltà che oggi non ha: la revoca dei ministri e la
proposta al capo
dello Stato di sciogliere le Camere. Tutto questo è
coerente con il sistema
istituzionale italiano per come si è evoluto fin qui. E
del resto sono le
proposte che l'Ulivo ha avanzato nel suo programma
elettorale del 2001".
E l'elezione diretta, che
per la destra è il punto irrinunciabile?
"E' del tutto incoerente, qualsiasi forma di
elezione diretta rappresenterebbe
uno stravolgimento. In Europa non c'è un solo paese in
cui il capo di governo
viene eletto direttamente dal popolo. E anche il
presidente della Repubblica,
in Europa, è eletto direttamente, con poteri esecutivi,
solo in Francia.
Nel momento in cui c'è un sistema maggioritario che dà
a chi governa una
maggioranza di seggi ampia anche quando - come accade
oggi in Italia - non
ha una maggioranza ampia di voti, l'elezione diretta
diventa solo un elemento
di plebiscito".
Che è quello che vuole
Berlusconi.
"Ma che è esattamente quello che non
vogliamo noi. Perché il paese non ha
bisogno di plebisciti, non ha bisogno del mito dell''uomo
solo al comando'".
Il centrodestra è diviso nelle proposte. Ma nel
centrosinistra c è chi vi
sospetta o vi accusa di voler tornare ai patteggiamenti.
"Si continua ad
alimentare un equivoco. E si scrivono cose francamente
offensive, tipo:
'volete trattare con gli avvocati di Berlusconi'.
Inaccettabile. Bisognerebbe
smetterla di rappresentare il centrosinistra come se
fosse diviso tra chi
vuole fare l'opposizione e chi non la vuole fare. E'
falso. Non c è nessun
tavolo, nessuna sede particolare, nessun dialogo
improprio. C'è all'ordine
del giorno di una commissione parlamentare il tema della
forma di governo.
Io credo che un'opposizione che voglia essere credibile
come forza di governo,
ha il dovere di avere una proposta. Non di cercare a
tutti i costi un'intesa,
un inciucio. Io ho detto qual è la nostra proposta: se
si trovano delle
intese, bene. Se non si troveranno, terremo le nostre
posizioni. Però segnalo
che ad essere diviso è il centrodestra e trovo
incredibile che a sinistra
ci sia chi, invece di unire le forze per portare a casa
un risultato utile,
evoca lo spettro dell'inciucio".
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L'INTERVISTA - 7 GENNAIO 2003
«Come prima, peggio di prima»
Cesare Salvi: «Sule
riforme i leader dell'Ulivo si avviano a compiere
l'ennesimo
gravissimo errore»
I subalterni. «Ancora una volta l'Ulivo si fa dettare
l'agenda politica
da Berlusconi. La priorità in Italia non è certo
accrescere il potere del
premier»
A. CO.
ROMA
Dopo le reazioni dell'Ulivo all'ultima avance di Fini
Cesare Salvi, leader
dell'area di snistra del correntone diessino e relatore
nella bicamerale
presieduta da D'Alema sulle forme di governo, non
nasconde il pessimismo.
«Imboccare questa strada - dice - sarebbe un errore
gravissimo. Purtroppo
di errori simili negli ultimi anni ne ho visti
parecchi».
Perché un giudizio così
negativo?
Mi pare che ancora una volta il gruppo dirigente
dell'Ulivo si stia facendo
dettare l'agenda da Berlusconi. Era così quando si
trovava all'opposizione
ed è così ora che la destra è al governo.
La maggioranza del tuo
partito risponderebbe che le riforme sono una esigenza
oggettiva...
Sì, ma chi ha deciso che la priorità
nell'agenda politica sia cambiare la
Costituzione? E chi ha deciso che, in materia di riforme
costituzionali,
la priorità sia aumentare i poteri del capo del governo?
E come ti spieghi questa
subalternità?
Mi trovo in grande difficoltà ogni volta che
provo a spiegarmi la logica
del gruppo dirigente del centrosinistra da parecchio
tempo: sin dagli ultimi
mesi del governo Prodi.
Quali sarebbero secondo te
le questioni da mettere in cima all'agenda politica?
Le questioni economiche e sociali. Il carovita,
prima di tutto, con una
perdita del potere d'acquisto stimata intorno ai 750 euro
l'anno che colpisce
soprattutto le fasce di popolazione più svantaggiate.
Che Berlusconi abbia
tutto l'interesse a parlare d'altro è ovvio. Quale sia
l'interesse dell'Ulivo
invece è misterioso.
Sì, ma quando la
maggioranza avanza le sue proposte, come si fa a
sottrarsi
al confronto?
Non dico affatto che noi dobbiamo essere assenti
da questo dibattito. Premesso che le questioni
prioritarie dovrebbero essere altre, noi, di fronte a una
destra che prende l'iniziativa, dobbiamo avere una nostra
posizione. Ma
che sia chiara e che parta dalla questione davvero
centrale, e cioè dal
nodo della partecipazione democratica. Il problema
principale è davvero
che il premier ha poco potere o non è, invece, la crisi
di fiducia tra cittadini
e istituzioni, la mancanza di partecipazione, la caduta
di centralità del
parlamento? La verità è che neppure in passato si erano
affrontati simili
temi con tanta leggerezza e approssimazione. E con una
tale solitudine dei
dirigenti.
Quello dei poteri del
premier sarebbe un falso problema?
Ma qualcuno di quelli che dicono
che il premier ha pochi poteri se lo ricorda
come vanno le cose in parlamento? Non ha visto come
qualsiasi direttiva
portata da qualsiasi sottosegretario viene approvata da
una maggioranza
blindata? E in quale democrazia si può ammettere che il
premier sciolga
le camere a suo piacimento? Qui siamo a un rovesciamento
radicale: non è
più il premier che deve ottenere la fiducia dal
parlamento ma il parlamento
che deve chiedere la fiducia al premier!
Hai parlato di «solitudine
dei dirigenti». Perché?
Perché la loro è stata una scelta compiuta in
totale solitudine, senza neppure
sentire, anche solo per cortesia, le persone che in
questi anni si sono
occupate di questi temi. C'è un'insoddisfazione molto
diffusa.
Ora che il dialogo è
ripartito, pensi che possa approdare a qualche risultato?
La modfica della forma di governo va raccordata
con le altre riforme. E
allora segnalo che la devolution non è stata ritirata e
che, nell'intervista
accolta così entusiasticamente dai leader dell'Ulivo,
Fini dice chiaramente
che il 2003 sarà l'anno della riforma costituzionale
dela magistratura.
Infine, come è possibile pensare all'elezione diretta di
chicchessia senza
aver creato un vero pluralismo televisivo, senza aver
risolto il conflitto
di interessi, senza aver garantito l'indipendenza ella
magistratura. Con
questi macigni di mezzo immagino che tra due mesi il
dialogo si arenerà. |
DA - IL MANIFESTO - L'INTERVISTA - 8 GENNAIO 2003
«Quella di Fini è un'offerta truffa»
Mussi: «Premierato
peggiore del presidenzialismo. sul dialogo decida
l'assemblea»
A. CO.
ROMA
L'ala sinistra dell'Ulivo e dei Ds fa muro contro
l'ipotesi di riavviare
il dialogo con la destra sulle riforme istituzionali. Lo
scontro sul metodo
rischia però di far passare in secondo piano il merito
della riforma proposta
da Gianfranco Fini.
Mussi, mettendo da parte la
discussione sull'opportunità di dialogare con
questa destra, cosa pensi del premierato?
Bisogna vedere cosa si intende. Parliamo
dell'elezione diretta del premier?
Di questo parlano Fini e i
leader dell'Ulivo.
Sia Giovanni Sartori che Massimo D'Alema, quando
presiedeva la bicamerale,
hanno sparso abbondante sarcasmo sull'elezione diretta
del premier. Hanno
fatto notare che un sistema simile esiste solo in
Israele, e ricordo che
D'Alema disse: «Ci sarà pure un motivo se nessuno in
Europa ha adottato
questo sistema».
Dimentichiamo il
passato e parliamo del presente....
Va bene. Allora diciamo che un sistema si chiama
così perché è costituito
appunto da una architettura complessiva. Presuppone
contolli e contrappesi.
Negli Usa, per esempio, c'è l'elezione diretta del
presidente, in compenso
un Silvio Berlusconi non sarebbe eleggibile a nessuna
carica, essendo codificato
il
conflitto di interessi.
Dunque elezione diretta
sì, ma non nell'Italia di Berlusconi?
L'elezione diretta non è in sé antidemocratica.
Non si può certo dire che
la Francia non sia un paese democratico. Ma se c'è un
conflitto di interessi
regolato alla Frattini, cioè legalizzato, come si fa a
discutere di elezione
diretta? Se si sono intaccati il principio di
inidpendenza e autonomia della
magistratura e quello di uguaglianza di fronte alla
legge, e se pertanto
si è creata una situazione in cui alcuni sono al di
fuori e al di sopra
del controllo di legalità, come si fa a discutere di
elezione diretta? E
se, infine, tutti i mezzi di informazione, o quasi, sono
nelle mani di una
persona, come si fa a pensare che quella persona si possa
poi candidarsi
all'elezione diretta del premier? Questo si chiama
plebisicitarismo, anzi
populismo plebisictario. Lo dice Sartori, non Che
Guevara.
Dunque se non ci fosse
l'anomalia rappresentata da Silvio Berlusco ni la
proposta di Fini sarebbe accettabile?
Al contrario: io trovo sbalorditive le
accoglienze positive di una parte
del centrosinistra al premierato di Fini. Quella proposta
è anche peggiore
del semipresidenzialismo.
Perché peggiore?
Intanto perché cancella automaticamente le
prerogative del capo dello stato.
Secondo i leader dell'Ulivo
proprio quelle prerogative sarebbero salvaguardate dal
premierato....
Tra un premier eletto dal popolo e un capo dello
stato eletto dal parlamento,
inevitabilmente il primo cancellerebbe il secondo. E
infatti Fini chiede
il passaggio di alcune prerogative dal capo dello stato
al premier eletto.
Tra queste c'è la facoltà di sciogliere le camere, il
che significa, come
ha già notato Salvi, che non sarebbe più il premier a
dovere ottenere la
fiducia dalle camere, ma il parlamento a dover godere
della fiducia del
premier. Il premierato presenta rischi maggiori del
semipresidenzialismo
francese. Quella di Fini non è una offerta: è una
proposta peggiorativa.
Parliamo dell'Ulivo. Sembra
che in questi giorni ci sia stata una vera e
propria svolta....
Se c'è stata una svolta voglio che sia
verificata. prima di tutto nel dibattito
interno al mio partito, e poi nell'assemblea dei
parlamentari dell'Ulivo.
La situazione è assurda. Dal luglio scorso discutiamo
appassionatamente
della istituzione di questa assemblea e delle sue regole
di funzionamento.
E proprio quando siamo riusciti, anche col contributo
della minoiranza diessina,
a trovare un accordo, ci viene di punto in bianco
annunciata per domani
una conferenza stampa nella quale si esporrà l'agenda
politica dell'Ulivo
per il 2003. E al primo punto ci sarà proprio la ripresa
del dialogo per
le riforme istituzionale. Senza che l'argomento sia mai
stato afrontato
dall'assemblea. E' paradossale.
Quando pensi che debba
essere convocata l'assemblea dell'Ulivo?
Subito. E ne devono essere convocate due. Una su
questo tema, l'altra sulla
guerra. Non possiamo continuare a sfogliare i petali dela
margherita, «Ci
sarà la guerra, non ci sarà la guerra», senza fare
niente. Dobbiamo prendere
delle iniziative concrete sul piano nazionale e anche
internazionale.
Il 10 gennaio si riuniranno
a Firenze i vari movimenti che lo scorso anno
si sono opposti dal basso al governo Berlusconi. Possono
ancora condizionare
le scelte dell'Ulivo?
Questa è l'intenzione. L'assemblea di Firenze
deve proprio rilanciare lo
scambio tra politica e movimenti. Se qualcuno pensasse
che adesso, passata
la nottata, finalmente si torna alla «politica seria»,
sarebbe una sciagura.
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DA - IL CORRIERE DELLA SERA - L'INTERVISTA
Follini:
Fini? Per fortuna se n?è andato quel sosia che criticava
e diceva
«no»
«Mai piaciuto lo
schema dell'uomo solo al comando»
ROMA - Gianfranco Fini? «Nelle scorse settimane c?era il
suo sosia. Meno
male che è tornato». Umberto Bossi? «Speriamo che non
si allinei al fronte
del rifiuto guidato da Sergio Cofferati». Marco Follini
interviene sulle
riforme. Si dichiara disponibile a partire dall?offerta
del vicepresidente
del Consiglio sul premierato, ma ricorda che il suo
partito tifa per il
cancellierato ed è favorevole a un presidente della
Repubblica che continui
a svolgere un ruolo di garanzia. Ma il segretario
dell?Udc approfitta anche
per lanciare qualche frecciata agli alleati di governo.
Rimprovera Fini
per l?attacco di An a Casini di qualche settimana fa,
mette in guardia Bossi
dalla minaccia di riforme a colpi di maggioranza e invoca
la necessità di
costruire partiti «meno fragili» e meno condizionati
dai leader che li comandano.
Laddove non cita Forza Italia, ma sembra riferirsi anche
al partito di Silvio
Berlusconi.
L'offerta di
Gianfranco Fini può essere l'inizio di un nuovo tavolo
delle
riforme?
«Si sta aprendo, è vero, la possibilità di avviare le
riforme. Che non vuol
dire certezza. La riuscita è legata alla ricerca di un
compromesso, alla
capacità che avrà ogni soggetto politico di ridurre il
proprio tasso di
egoismo in materia istituzionale».
Vuol dire che
all?inizio, più che la formula conta la volontà di
dialogo?
«Bisognerebbe far soffiare lo spirito costituente
sull?attuale dibattito
istituzionale. Occorre ritrovare la generosità che
portò i cattolici a non
insistere su una Costituzione "in nome di Dio"
e i marxisti all?accettazione
del Concordato».
Mi sembra che per
tanti argomenti, come anche per le riforme, si assista
a tempi ben più litigiosi.
«Sì, ma quella esperienza ha qualcosa di fondamentale
da insegnarci e cioè
che le riforme condivise da tutti i partiti possono
reggere per intere generazioni
mentre quelle volute da una parte contro l?altra durano
lo spazio di un
mattino».
In questo senso il
vicepremier sembra avere accolto l?appello di Ciampi
a non fare riforme a colpi di maggioranza.
«Apprezzo queste ultime parole di Fini. Anche perché,
nelle scorse settimane,
sembrava apparso sulla scena politica italiana un suo
sosia che aveva fatto
capire che la maggioranza poteva fare da sola e sembrava
avere condiviso
La Russa quando era arrivato a criticare Casini solo
perché in una conversazione
giornalistica aveva parlato di premierato. Oggi è
tornato Fini, il sosia
non c?è più. Tanto meglio».
Bossi invece
sembra ancora lontano dal dialogo e continua a mettere in
guardia da ogni «inciucio» con la sinistra.
«Prima di lui ho visto altri ragazzi intenti a giocare
con il tasto del
"no" nella loro Playstation politica. Mi auguro
che il ministro per le Riforme
non voglia allinearsi anche lui a questo fronte che ha
come capo il noto
impiegato della Pirelli, Sergio Cofferati».
Ma il premierato
può essere davvero la base per una riforma bipartisan?
«Al congresso dell?Udc abbiamo espresso le nostre
preferenze per il cancellierato.
Tra quella formula e il premierato esistono alcune
differenze, ma non c?è
il filo spinato. Una cosa è certa: la necessità di
rafforzare i poteri del
premier è ormai condivisa da molti leader di diverso
colore politico, come
Prodi, D?Alema e Berlusconi. E se si vuole cercare un
baricentro da cui
partire per costruire una nuova forma di governo forse è
più facile trovarlo
nei paraggi del premierato».
Poteri rafforzati
che dovranno riguardare anche lo scioglimento delle
Camere?
«Mentre non vedo nessun ostacolo al potere di nomina e
di revoca dei ministri,
lo scioglimento delle Camere è un punto che va discusso
e approfondito prima
di effettuare una scelta».
Vuol dire che il
presidente della Repubblica deve conservare il ruolo di
garanzia che attualmente ricopre?
«Mi sembra fondamentale: occorre ragionare su un
efficace sistema di equilibrio dei poteri evitando di
costruire una figura di premier troppo monocratica.
Lo schema dell?uomo solo al comando non mi è mai
piaciuta e non si adatta
certo alle nostre istituzioni».
C'è chi accusa i
partigiani del cancellierato di usare questa formula solo
per reintrodurre il sistema proporzionale.
«Da una parte dobbiamo salvaguardare il potere degli
elettori di scegliere
i governi, vale a dire la possibilità dell?alternanza.
Dall?altra dobbiamo
evitare che questo sistema conceda troppo spazio alle
posizioni estreme
e venga condizionato da segmenti minoritari. Ad ogni modo
terrei all?ultimo
punto delle riforme la legge elettorale. Meglio disegnare
prima una forma
di governo condivisa da tutti, poi si vedrà. Da ?91 al
?93 si partì dalla
legge elettorale e ci si fermò lì».
Il bipolarismo va
salvato ad ogni costo?
«A salvarlo ci pensano gli elettori: ormai la divisione
in due del campo
politico è nella testa dei cittadini. Ma se la prima
Repubblica è finita
nell'immobilismo, oggi dobbiamo evitare che la vita del
Paese areni nelle
secche nell'estremismo, malattia diffusa in entrambi gli
schieramenti».
Esiste una
medicina per curarla?
«Ritengo assolutamente fondamentale che quando si
ragiona su nuove istituzioni
ci sia parallelamente un lavoro di ricostruzione dei
partiti. Qualsiasi
riforma ha bisogno di partiti veri, che siano cioè
luoghi di militanza e
di elaborazione di idee. È questo il vero contrappeso al
governo del premier.
In molti Paesi europei ciò è avvenuto. Noi invece siamo
passati dalle grandi
agenzie ideologiche e clientelari degli anni Sessanta a
una terra di nessuno».
Qualcuno
l'accuserà di volere il ritorno della partitocrazia.
«Sono consapevole che non si debba più tornare al
giurassico della politica.
Ma il problema è che dai dinosauri siamo passati alle
farfalle, a creature
politiche troppo esili e fragili».
E magari
condizionate dal leader che le comanda?
«È un problema che hanno tutti. E a maggior ragione
occorre riattivare un
gioco di squadra più corale».
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