INTERVISTA -
DA IL CORRIERE DELLA SERA 14 GENNIO 2003
«Raitre è libera
ma non tagliateci i fondi»
Il direttore Ruffini:
vogliamo riavere il budget 2001, questa rete ha
un'identità
e ascolti in crescita
ROMA - Raitre secondo
alcuni sarebbe in crisi di ascolti. Cosa ne dice il
direttore della rete, Paolo Ruffini?
«Ogni tanto c'è qualcuno sbadato o in malafede che
spera nel nostro insuccesso.
Invece Raitre nel 2002 ha eguagliato il prime time del
2001 (10,43% di share,
il miglior risultato degli ultimi cinque anni) e ha
aumentato nell?intera
giornata arrivando al 9,71%. Risultati straordinari se si
tiene conto di
vari fattori: riduzione del budget, cessione di un
successo come "Novecento"
a Raiuno e di alcuni film di grande ascolto a Raidue. Noi
siamo andati avanti
col vecchio Rocky e western d?epoca. Il pubblico continua
a seguirci perché
offriamo una tv con un senso, una memoria, un?identità,
un gruppo di lavoro
coeso».
Quando qualcuno «tocca»
Raitre insorge solo e soltanto la sinistra. Perché
siete la riserva indiana dell?Ulivo, come dicono nel
centrodestra?
«Vorrei rispondere che Raitre è la riserva indiana
della libertà. Ma diciamo
meglio così. Questa rete ha una sua storia che va difesa
e affonda le radici
in uno dei patrimoni culturali di questo Paese, quello
della sinistra democratica.
Ma penso a Nanni Moretti e ripeto con lui: nessuno
dovrebbe augurarsi una
rete di sinistra da contrapporre a un'altra di destra o
leghista. Non si
difende così il pluralismo. Meglio sarebbe che tutti si
ponessero l?obiettivo
di una tv libera e intelligente. Perlomeno questo è il
nostro traguardo».
Raitre è più
«fassiniana» o più «girotondina», secondo lei?
«Una rete tv non dev'essere misurata col metro della
politica. Non dovrebbe
prendere partito. Può, anzi deve, prendere parte, non
essere ignava, distratta
di fronte a ciò che accade e racconta. Può farlo
partendo da un?identità
culturale riconosciuta ma senza delegare ad altri il
proprio giudizio. Il
giornalismo, nei Paesi democratici, è un contropotere.
Non un'appendice
del potere politico».
Un Blob dedicato a
Berlusconi è stato cancellato. Andrea Salerno,
responsabile
della satira di Raitre e autore del Caso Scafroglia , è
stato messo sotto
accusa per le frasi dedicate a Tremonti nello spezzone di
spettacolo teatrale
di Sabina Guzzanti (trasmesso in una puntata) e quindi
sospeso per tre giorni.
Si sente sotto tiro da parte dell'azienda?
«No, perché sono parte di questa azienda. Così come lo
è Salerno. La satira
è una fetta della libertà di pensiero, diritto
garantito dalla Costituzione
che va difeso anche in tv. Io lavoro da uomo libero e
difendo la mia libertà.
Santoro è stato richiamato dai vertici Rai anche per non
aver contestato
a Maurizio Costanzo, nell'ultima puntata di Sciuscià ,
l'affermazione che
Mediaset è più libera della Rai. Direttore generale e
presidente, che sono
certamente uomini di parola, hanno ripetuto più volte
che la Rai è libera.
Perché dovrei sentirmi sotto tiro ? Lo stesso discorso
vale per Blob , una
delle più belle e libere trasmissioni della Rai. Una
lettera di Berlusconi
a Il Foglio ha chiarito l'equivoco. Caso
Guzzanti-Tremonti: l'ho già detto
più volte, non credo che con la battuta contestata si
sia travalicato in
alcun modo il diritto di satira».
Lei sapeva tutto prima
della messa in onda?
«Sapevo che avremmo trasmesso lo spettacolo. Lo avevo
deciso io. Certo,
non conoscevo tutte le battute né credo che un direttore
debba chiedere
ai dirigenti di riferire parola per parola i testi di
ogni show. Non basterebbero
24 ore al giorno».
Si sente comunque
corresponsabile di quella scelta.
«Certo, come direttore di Raitre sono responsabile di
ciò che va in onda.
E credo che lo spettacolo della Guzzanti sia stato un bel
pezzo di televisione.
E credo che Andrea Salerno sia un ottimo dirigente Rai».
Ora arriva Albanese con un
gruppo di autori tra i quali spicca Michele Serra.
Prevede altri incidenti, nuovi problemi?
«No. E francamente non vedo nemmeno perché dovrei».
Le dispiace l'abbandono di
Enzo Biagi?
«Credevo nel progetto di trasportare Il Fatto su Raitre.
Mi dispiace che
sia finita così ma Biagi ha deciso per ragioni
personali. E sulle ragioni
personali non mi pronuncio».
Lei si è anche detto
pronto ad ospitare Santoro. Conferma?
«Lo confermo. C'è anche l'ipotesi di un mensile, che a
Michele non dispiace.
So della vertenza giudiziaria tra Santoro e la Rai. Il
massimo che può fare
Raitre è offrire una possibile soluzione alle due parti
perché la valutino
e decidano».
Lei si è lamentato per il
taglio al budget di un milione di euro. L'azienda
ha risposto: abbiamo tagliato soldi a tutti...
«Ci sono livelli di redditi al di sotto dei quali non
c'è tassazione: sarebbe
ingiusto. E così ci sono livelli di budget al di sotto
dei quali sarebbe
meglio non tagliare. Raitre autoproduce più di tutte le
altre reti e soprattutto
in prima serata: sei sere su sette in prime time ci sono
prodotti "della
casa" ma disponiamo di un budget sensibilmente
inferiore agli altri. Comprendo
le ragioni dei vertici, anche per me l'azienda è la mia
patria e la mia
bandiera. Ma Raitre è una bottega artigianale che vende
ciò che produce».
Cosa vorrebbe, Ruffini?
«Non chiedo di avere a disposizione lo stesso budget di
Raidue che produce
ben meno di noi. Non dico di arrivare a tanto. Mi
basterebbe riavere i mezzi
del 2001 anche per innovare, sperimentare nuovi format.
Le idee ci sono
e neppure posso cancellare ciò che va bene per tentare
la sorte. In due
parole: mi rendo conto della problematica economica della
Rai ma pongo il
mio problema».
Domanda d'obbligo per un
direttore di rete: i politici telefonano?
«Arrivano pochissime telefonate».
Di pressioni?
«Mai».
Allora sono lamentele,
critiche...
«Quelle, quando ci sono, le leggo sui giornali».
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INTERVISTA - DA
L'UNITA' 14 GENNAIO 2003
Fassino
faccia un passo
avanti, ora c'è bisogno di una gestione unitaria
«È vero, siamo a un passaggio delicato. Ma non dobbiamo
fare punto e a capo.
Il problema è la prospettiva. Allora, è di un salto in
avanti che abbiamo
bisogno. Anzi, di un doppio salto, sia nel rapporto
aperto con i movimenti
sia nella gestione unitaria del partito. È complesso,
niente affatto semplice,
ma abbiamo la possibilità e la forza per compierlo».
Sarà che deve quotidianamente
conciliare la sua formazione politica di sinistra con la
responsabilità
al governo della Regione Campania, fatto è che Antonio
Bassolino fonda il
suo ottimismo su quanto è cambiato e su quel che ancora
destinato a cambiare:
«È il momento di mettere in campo una grande sfida al
centrodestra, sulle
questioni sociali e politiche di un paese moderno. Certo,
anche istituzionali».
Bassolino, è
ottimismo della volontà o della ragione? Dove vede tutte
queste
potenzialità tra le tante polemiche, se non vere e
proprie lacerazioni,
che stanno tormentando il centrosinistra?
«Non ignoro le difficoltà, non rimuovo i problemi. Ma
li metto in relazione
alle tante cose che sono cambiate. Un anno fa il
centrosinistra era ancora
tramortito da una sconfitta elettorale molto pesante. Ma,
a partire dalla
grande battaglia sull'articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori, si è rimesso
in movimento un impegno collettivo vitale per la
sinistra...».
Non crede che
proprio di lì sia partito quello che in tanti temono
diventi
un processo divaricante?
«Al contrario. Non era una battaglia a difesa di un
residuo del passato,
ma per diritti concepiti come sostanza di una vera
modernità. Tanto è vero
che non vi ha partecipato solo il mondo del lavoro
dipendente, ma anche
tante parte di quelli che Paul Ginsborg chiama ceti
riflessivi. Insieme,
c'è stata una maturazione di quel movimento chiamato no
global che sta venendo
caratterizzandosi sempre più come new global. E sono
cambiate tante cose
anche in Parlamento, con una opposizione di
centrosinistra che ha saputo
rialzare la testa, condurre battaglie, collegarsi con il
paese. A sua volta,
l'opposizione politicamente più forte ha sollecitato lo
sviluppo delle azioni
sociali. C'è stato, insomma, tutto un intreccio tra
battaglie sociali, civili
e politiche, e l'una spinta ha aiutato l'altra. Tant'è
vero che un anno
fa si discuteva assurdamente su quanti decenni sarebbe
durato il governo
di centrodestra. E ora stiamo a misurare le difficoltà
del centrodestra,
e le aree di tensione e di delusione di diversi ambienti
sociali che pure
erano stati fondamentali per il successo del
centrodestra».
Come spiega,
allora, questo continuo rincorrersi tra partiti e
movimenti,
anziché valorizzare una convergenza così significativa?
«Proprio perché la situazione si è riaperta. Il che
significa cominciare
a giocare la vera partita politica e sociale, dall'esito
niente affatto
scontato».
E sia. Da cosa, o
da chi ripartire: dalla leadership che Nanni Moretti ha
consegnato a Sergio Cofferati?
«A Cofferati va riconosciuto di essersi affermato sul
campo come personalità
politica in sintonia con tanta parte dei movimenti
sociali. Questo è quel
che conta. Noi abbiamo bisogno di tutte le energie
migliori: di Cofferati,
come di Piero Fassino, Giuliano Amato, di Massimo
D'Alema, di Francesco
Rutelli, per non parlare di altre che oggi sono impegnate
in responsabilità
al di sopra dei confini nazionali. Abbiamo bisogno vitale
di tutte queste
personalità. Si vedrà poi, qual è la leadership meglio
capace di portare
a sintesi questo patrimonio di risorse, disponibilità e
intelligenze. Non
è per domattina: una cosa alla volta. Quel che occorre
oggi è un deciso
passo in avanti. E, come tanti hanno riconosciuto, a
cominciare da Piero
Fassino, quel che Cofferati ha detto a Firenze consente
di compierlo».
Fassino, che già
aveva denunciato apertamente rischi di delegittimazione,
ha detto che occorre passare dalle parole ai fatti.
Giusto?
«Mi sembra che Cofferati se ne sia fatto carico, che
abbia dimostrato di
aver inteso. Il problema è di come tradurre tutto questo
in un impegno,
oltre che in un rapporto nuovo, ricco di reciproco
riconoscimento e rispetto,
tra le forze politiche e i movimenti. Perché non ce la
faremmo solo con
i partiti senza una società in movimento, come non ce la
faremo solo con
i movimenti e senza i partiti che ne interpretino le
aspirazioni».
Appunto, come
farcela?
«Sarebbe molto utile e importante impegnare Sergio
Cofferati nello sforzo
di elaborazione programmatica dell'Ulivo. Nel modo
giusto, con intelligenza,
e cioè individuando le forme che consentano di
coinvolgere i movimenti che
erano a Firenze, altre forze ancora che a Firenze non
erano. Se gli chiedessimo
di distaccarsi dal suo rapporto con i movimenti,
Cofferati stesso non ci
starebbe, e forse non interesserebbe più nessuno. Come
va coinvolta un'altra
personalità essenziale che già aveva posto la questione
del programma: Giuliano
Amato, Perché dobbiamo anche poter parlare a forze di
altri settori della
società italiana, soprattutto quelle deluse dal
centrodestra che sono anch'esse
essenziali per battere il centrodestra, vincere e tornare
a governare come
bisogna avere sempre in testa di fare».
Cosa deve essere:
un programma di lotta e di governo?
«Battuta per battuta: deve essere una vera novità
rispetto al 1996...».
Non si dovrebbe
tornare allo spirito dell'Ulivo?
«Nessuno come me è sensibile a questo tema. Ma so anche
che sono cambiate
tante cose: i partiti hanno ripreso, nel bene e nel male,
un ruolo; e nella
società si è sviluppata una realtà molto più
articolata e complessa. Riprendere
lo spirito nel '96 deve significare essere capaci di
elaborare le ragioni
di una sconfitta, come allora fu fatto rispetto al '94,
con un'operazione
innovativa che guardi al 2003, il 2004, il 2005,
all'Italia di oggi, per
tanti aspetti diversa da quella del '96, e a quella di
domani, in continua
trasformazione».
Parliamo allora
del ruolo dei Ds nell'alleanza. E dei difficili rapporti
interni con il correntone, di cui anche lei fa parte, che
sembrano mettere
addirittura in discussione l'unità invocata dalla base
del partito. Come
scongiurare il pericolo?
«Francamente, penso che un altro necessario passo in
avanti sia andare a
una gestione unitaria del partito. E ritengo che debba
essere il segretario
del partito, che sta facendo bene, a dover assumere una
iniziativa in tal
senso. Sarebbe giusta e meritoria».
E le differenze
congressuali? Non si era detto che il passo in avanti era
di discutere democraticamente su diverse opzioni
politiche e assumere, conseguentemente,
la responsabilità della gestione della linea vincente?
«Vedo anche nella situazione attuale un residuo della
storia da cui veniamo.
Parliamoci chiaro: dove sta scritto che bisogna essere
uniti sempre per
avere una gestione unitaria e si debba rimanere distinti
nella gestione
se si discute e ci si divide politicamente?».
Non è che, in quel passato, si doveva essere unitari per
compensare le differenze
che non si potevano dichiarare?
«È, appunto, il riflesso di cui credo dobbiamo
liberarci. Ci sono forze
che al congresso di Pesaro hanno assunto posizioni
diverse da Fassino che
possono essere impegnate nella gestione del partito. Pur
partendo da posizioni
diverse su diverse questioni, una comunanza quotidiana
sarebbe un bene per
tutti, mentre con un congresso che continua, si resta
come separati in casa.
Lo dico con convinzione e con disinteresse...».
Già, si è
parlato di lei come pontiere e forse qualcosa di più...
«Io sono presidente di una Regione, ed è un impegno che
pesa quotidianamente.
Dico questo perché è quello che penso. Per il resto, ci
sono tante facce
nuove...».
Nel resto, però,
non ci sono anche vecchie e nuove differenze?
«E chi lo nega? Ma perché dobbiamo stare in questa
situazione assurda, per
cui ci sono differenze politiche e dunque non c'è
gestione unitaria o se
c'è gestione unitaria scompaiono le differenze
politiche: perché' Abbiamo
fatto un congresso in cui ci si è divisi
democraticamente. L'essenza di
una gestione unitaria è che anche le differenze
politiche emerse in un congresso
possono evolvere, cambiare, diventare altre, anziché
essere cristallizzate
dal fatto che ci si vede e ci sente ogni tanto, senza il
reciproco sforzo
di fare ogni giorno i conti nella direzione politica, di
farsi carico ognuno
e tutti insieme dei problemi che ogni giorno vanno
affrontati».
Scelte non facili.
Quali priorità?
«Sociali, anzitutto, ed è una strada aperta dalla
battaglia sull'articolo
18. E politiche, tenendo conto che per vincere noi
dobbiamo andare ad alleanze
ben più larghe di quelle delle ultime elezioni
politiche, e quindi a un
confronto con Rifondazione e altre forze ancora a
sinistra, ma anche tra
quelle che il plebiscitarismo prevalente nel centrodestra
lascia allo sbaraglio».
A proposito di
plebiscitarismo: e le riforme istituzionali? Va lasciato
campo libero alla destra?
«Non dimentico, me lo ricorda la mia esperienza di
governo della Regione,
che abbiamo davanti a noi un cammino incompiuto. Penso
che abbiamo perso
una grande occasione, nella prima metà degli anni
Novanta quando è esplosa
la grande crisi di sistema, a non affrontare in modo
unitario, in una logica
- appunto -di sistema, il rinnovamento delle istituzioni
della Repubblica
con una assemblea costituente eletta con la
partecipazione di parlamentari,
presidenti di Regioni e Province, sindaci di grandi
città, importanti competenze.
Già con la Bicamerale si era in una situazione diversa,
tant'è che il centrodestra
non ha avuto remore a farla saltare...».
Figuriamoci dieci
anni dopo...
«Oggi, purtroppo, non ci sono le condizioni per una sede
unitaria. Assemblee
costituenti e bicamerali sono del tutte irrealistiche
Però rimane il problema
di una logica unitaria di riforma delle istituzioni. Non
è possibile concepirle
né affrontarle a pezzi. Nei prossimi giorni comincerà
al Senato, prima in
commissione e poi in aula la discussione sulla forma di
governo, mentre
alla Camera approda, dopo che è stata approvata al
Senato, la cosiddetta
devolution che investe negativamente un nodo
delicatissimo della forma di
Stato. C'è bisogno di recuperare, da parte del
centrosinistra, una capacità
di sfida e di confronto con il centrodestra su temi che
comunque sono lì,
in Parlamento».
Facile a dirsi,
difficile a farsi. Ha visto quali e quante polemiche ha
suscitato il primo documento, necessariamente segnato
dalla mediazione interna,
dell'Ulivo?
«Sì, e ho apprezzato lo sforzo unitario. Personalmente
penso che ci si possa
spingere anche più in là del punto cui si è giunti in
materia di rafforzamento
dei poteri del premier. Ma, al tempo stesso, penso si
debba porre al centrodestra
il tema grandissimo dei poteri di garanzia nel sistema
maggioritario, come
con grande forza ha fatto nel messaggio di fine anno il
presidente della
Repubblica. Per stare e restare nel sistema maggioritario
non si può prescindere
dalle garanzie del maggioritario: i quorum del
Parlamento, lo Statuto dell'opposizione.
Non sono altra cosa. Così come non è altra cosa la
questione della concentrazione
dei mezzi finanziari e mediatici: attiene ai poteri
democratici che negli
anni tremila contano non meno, eufemisticamente, delle
istituzioni democratiche
e rappresentative».
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DA - IL
MANIFESTO - L'INTERVISTA 15 GENNAIO 2003
DS
«Perché
dico no a Bassolino»
Gloria
Buffo: «La
gestione unitaria è sbagliata. Ci vuole una competizione
leale e rispettosa»
A. CO.
ROMA
Ancora una volta la Quercia è scossa dalla tempesta. E
si moltiplicano gli
appelli a una gestione unitaria del partito. Ma per
Gloria Buffo, del correntone,
quella strada, suggerita anche da Antonio Bassolino, è
impraticabile.
Cosa
pensi dell'appello lanciato da Bassolino?
Condivido solo la necessità di superare anche il
programma del '96. Su tutto
il resto non sono d'accordo. Se oggi c'è un riflesso del
passato è proprio
l'affermare che, nonostante ci siano linee politiche
diverse, si deve arrivare
a una gestione unitaria. Non abbiamo bisogno di una
accordo al vertice ma
di una dialettica leale, di una competizione su quale sia
la linea giusta
da seguire.
Mi
pare che il segretario vi accusi appunto di non essere
leali...
Io non ci sto a dire che «tira la carretta» solo chi
sta nella o con la
segreteria e tutti gli altri remano contro. Se oggi
milioni di taliani si
sono rimessi in movimento è perché qualcuno ha tirato
la carretta da solo,
come la Cgil con la sua battaglia sui diritti. E non ho
dimenticato cosa
dicevano i dirigenti della Quercia dello sciopero
generale proclamato dalla
Cgil.
La
maggioranza vi accusa di cercare rapporti con realtà
esterne al partito
in totale autonomia...
Quando ci si connette con ciò che si muove al di fuori
del partito si fa
una cosa utile per la sinistra in generale e per i Ds in
particolare. Bisogna
uscire da questa ossessione della delegittimazione del
gruppo dirigente.
Non si possono concentrare tutte le energie di un partito
nella discussione
sulla delegittimazione dei leader.
Il
problema però resta quello di superare una crisi dalla
quale, per ora,
non si intravede via d'uscita...
Dietro i marosi che agitano i Ds c'è un fatto politico
di enorme importanza:
la spinta propulsiva della politica dei Ds si è
esaurita. Ormai è chiaro
che la linea politica per cui andare al governo avrebbe
risolto come per
magia ogni problema è stata sconfitta. Andare al governo
è importante, ma
non basta. In gioco ci sono due visioni diverse della
società e ella democrazia.
Anche
all'interno del partito?
Sì. Io credo che oggi il ragionamento di Cofferati sulla
sobrietà parli
agli elettori assai più dell'appello ad arricchirsi che
lanciò D'Alema ai
tempi del governo. E intendo tutti gli elettori: dai
benestanti del nord
che non vorrebbero più essere soffocati dallo smog ai
ragazzi che pensano
che un altr mondo sia possibile, alla gente che nel sud
sbatte la testa
contro la privatizzazione dell'acqua.
La
minoranza della Quercia ripete di non volere una
scissione. Ma, se le
differenze sono tanto radicali quanto quelle di cui parli
tu, come è possibile
restare insieme?
Sgombrando il campo dall'idea che in un partito abbia
legittimità solo una
linea politica. Il problema vero da cui dipende la crisi
dei ds è un altro:
la linea politica che è stata confermata al congresso di
Pesaro, è maggioritaria
tra gli elettori? Io penso che non sia così, e che
proprio questo sia il
vero elemento critico.
Mi
sembra che, anche a livello di rapporti personali, il
clima si sia deteriorato
parecchio tra le due anime della Quercia...
Personalmente non sono mai stata appassionata allo
scambio di battute. Per
restare insieme penso che sia necessario un rispetto
profondo. Si può convivere
anche avendo linee diverse: si vedrà nel concreto chi ha
più filo da tessere.
Ma accusare chi la pensa divrsamente di essere come Pol
Pot, o come Gengis
Khan, questo no.
La
posizione di Sergio Cofferrti ha creato parecchio
nervosismo anche nel
Prc. Come te lo spieghi?
Rifondazione rischia oggi di porsi come una sorta di
partito-vestale. Mira
ad apparire come l'unico interlocutore credibile del
movimento no global.
Così, però, fa male sia alla sinistra che ai movimenti.
Direi che Rossana
Rossanda ha mostrato acutamente i limiti della posizione
del Prc, che a
volte sembra speculare a quella della maggioranza dei Ds.
In
definitiva, come intende procedere la minoranza di
«Aprile»?
Io continuerò a lavorare perché il mio partito cambi
linea.
Ma
questo non significa fare una specie di congresso
permanente?
Se la linea di Pesaro si mostra inadeguata sia a
misurarsi con ciò che si
muove nella società sia ad affrontare i problemi del
paese, io non posso
che insistere perché quella linea cambi.
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DA - L'UNITA' -
15 GENNAIO 2003
L'unità si può
fare, se si vuole la svolta politica
Pietro Folena, esponente
del «correntone» Ds, accoglie la proposta di Bassolino,
ma sembra non fidarsi troppo delle aperture da parte di
Fassino e D'Alema.
«Non si tratta di assetti interni al partito, è un
problema di contenuti,
da affrontare nella conferenza programmatica di marzo».
Bassolino chiede
unità nella gestione del partito, pur con delle
diversità.
È possibile?
«Non ridurrei al tema della conduzione del partito la
grande domanda di
partecipazione, l'entusiasmo e la spinta unitaria che
sono venute dal Palasport
di Firenze. Subito dopo, questa domanda è stata
rappresentata come una volontà
plebiscitaria, siamo stati descritti come Khmer Rossi,
con metodi alla Pol
Pot, Cofferati come Gengis Khan, è stata fatta la lista
dei perdenti...
Eppure i promotori, Aprile, non hanno usato una parola
polemica. Ora, quasi
fosse solo un tema di potere interno, di poltrone o di
gestione del partito,
cambiano i toni in modo un po? schizofrenico...».
Fassino e D'Alema
si dicono d'accordo con il presidente della Regione
Campania.
Chi adesso si appella all'unità si contraddice?
«Mi compiaccio di questa grande 'offensiva' unitaria da
parte del segretario
Ds e del presidente, ma spero non si voglia pensare a una
gestione del partito
con i Khmer Rossi, come siamo stati definiti».
Anche Bassolino,
che fa parte della minoranza, è un po' schizofrenico?
«No, il suo appello è un contributo positivo, lui
apprezza quello che dice
Cofferati, ha dialogato con i movimenti. Ma nel
Correntone non vige il centralismo
democratico, siamo persone con le proprie idee. E non
vado appresso alle
chiacchiere su doppi fini da parte sua...».
Il Correntone non
si fida?
«Apprezzo i nuovi toni, ma non vorrei più leggere
pagine come quelle uscite
su 'Repubblica', perché so che i nostri militanti in
quel caso devono prendere
il Maalox... So che rischiamo una lotta fratricida, il
paginone di Staino
ha una sua verità. Spesso sono cambiati i toni e poi ci
sono state nuove
campagne. Insomma, non si può passare dalle polemiche
terribili dei giorni
passati a questo improvviso vogliamoci bene. Da Firenze
si chiede una politica
più aperta e partecipativa. Fassino è stato l'unico,
sin dallo schiaffo
di Moretti, ad aver dimostrato di volere e saper
dialogare con questa domanda,
contribuendo al successo elettorale dei Ds a maggio.
Questo dialogo è stato
interrotto brutalmente con la vicenda degli alpini, fino
all'ultimo direttivo.
Siamo stati accusati di essere massimalisti, i signor No,
schiacciati su
Bertinotti. Finché ora il leader di Rifondazione ha
usato toni sprezzanti
verso Firenze, simili a quelli dei vertici ds».
La minoranza Ds
cosa vuole?
«A marzo ci sarà la conferenza programmatica. Non
vogliamo l'abiura del
congresso di Pesaro, o che si dica ha ragione il
Correntone. Vogliamo che
sia l'occasione per una vera svolta politica sui
contenuti. Sulla guerra;
sulle questioni economico sociali riaffiorano tendenze
per modificare l'articolo
18; sullo sviluppo sostenibile; sulle riforme. Su questo
dissento da Bassolino,
penso che il centrosinistra dovrà avere la sua proposta,
ma sapendo che
l'interlocutore non è affidabile».
Come trovare
unità di vedute?
«Ha ragione Bassolino, non si può essere d'accordo su
tutto, ma se non si
trova una base politica comune allora appare sì come
un'operazione di potere
e di poltrone. Noi, che siamo stati marchiati
scissionismo, abbiamo lavorato
per portare voti di aree critiche ai Ds, abbiamo messo in
rete delle realtà.
Se non si vuole perdere questo tesoro, è bene che
continuiamo a fare questo
lavoro di frontiera senza essere bollati come populisti o
massimalisti.
Confrontiamoci laicamente, rispettandoci di più, in nome
dell'unità».
La minoranza deve
entrare nella segreteria Ds?
«La minoranza può gestire con tutto il partito senza
doversi cancellare,
del resto in tutta la sinistra europea le minoranze sono
negli organi dirigenti.
Ma l'importante è che si arrivi a una svolta politica,
che si interloquisca
con l'esterno».
Fassino e Rutelli
hanno chiesto a Cofferati di costruire insieme il
programma
dell'Ulivo. In pratica di «tirare la carretta», come ha
detto D'Alema. Lui
ha detto che nell'Ulivo devono essere rappresentati anche
i movimenti. Che
ne pensa?
«Be', trovo ingeneroso accusare Cofferati di non aver
tirato la carretta,
perché se sono entrati voti ai Ds è stato anche grazie
al suo lavoro. Cofferati
non ha posto delle condizioni, ha detto che nel nuovo
Ulivo i movimenti
devono essere riconosciuti nelle loro identità. Tutto
quello che esiste
nel territorio non è contenibile solo nei partiti».
Cosa farete
nell'Ulivo per aprire ai movimenti?
«Andrà avanti questo lavoro a rete. Piuttosto che fare
gli Stati generali
dell'Ulivo, ci servono meno generali e più gente
semplice con i suoi problemi.
Senza la partecipazione dal basso non si vince».
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