DA - IL MESSAGGERO - L'INTERVISTA - 17
GENN.2003 Follini: no all'alibi Cofferati, serve il dialogo «Il potere di scioglimento delle Camere resti anche al Quirinale. Ma il campo è aperto» di CARLO FUSI ROMA ' Marco Follini, segretario dell'Udc non cambia opinione. «C'è chi dice: è arrivato Cofferati, sparisce la possibilità di fare la riforma a più mani. Io rovescio il ragionamento e dico: a maggior ragione dobbiamo insistere nel dialogo istituzionale. Per non diventare Mongolia». Ma come si fa ad insistere nel dialogo con chi non vuole dialogare' Oppure la vostra è una posizione strumentale, volta a dividere ancor più l'Ulivo ' «La divisione del centro-sinistra appartiene a loro, noi non abbiamo il compito nè di unirli nè di dividerli ancora di più. Io dico e ripeto che le riforme che si fanno assieme durano per qualche generazione; le riforme che si fanno da soli, magari gli uni contro gli altri, rischiano di durare lo spazio di un mattino. E poichè ritengo le riforme un passaggio decisivo, che ci porta a chiudere la transizione dopo indugi durati troppi anni, oggi un tentativo va fatto». Insomma lei dice: Cofferati non diventi l'alibi per chi non vuole fare nulla, il totem dell'impossibilità ' «Non dobbiamo assoggettarci anche noi a Gengis Khan». Tuttavia Cofferati continua a bombardare il quartier generale diessino. Che non a caso parla di delegittimazione... «Quello di Cofferati è una sorta di richiamo della foresta per la sinistra; usa nei confronti dello stato maggiore del centro-sinistra molte di quelle parole d'ordine con cui una decina di anni fa la sinistra oggi riformista è andata all'attacco dei partiti di centro. Sono convinto che in Italia esiste un problema storico, di reciproca legittimazione tra avversari politici. Troppe volte ci siamo abituati a trasformare i nostri avversari in nemici e poi magari i demoni. Ed è paradossale che questo problema si sia aggravato oggi che non c'è più un confine ideologico che separa le forze politiche. Togliere il filo spinato che resta ancora tra i partiti e riconoscere che l'avversario non è una minaccia all'ordinamento democratico è un passaggio decisivo. Le riforme si devono fare per rimuovere questo macigno. Ridurre la politica ad uno scontro tra fazioni non conviene a nessuno e direi che meno di tutti conviene alla maggioranza, che pure è la fazione più grande». Segretario, ma quale riforme vuol fare la maggioranza' L'Ulivo una serie di proposte le ha messe nero su bianco; delle vostre non c'è ancora traccia. Buffo no ' «Di cose in queste settimane ne abbiamo dette tante. E' stato detto da Berlusconi che avremmo cercato di farle assieme all'opposizione; ed è stato detto da Fini, che pure è la bandiera storica del presidenzialismo, che si poteva aprire la strada del premierato. Due punti che condivido entrambi. Conservare un capo dello Stato di garanzia è un elemento di equilibrio del sistema, tanto più necessario quanto più resta aperto il problema della reciproca legittimazione. Ridurre al minimo le tendenze plebiscitarie credo sia saggio, e dopo aver visto il confronto che si è sviluppato a sinistra su questi argomenti dico: è ancora più saggio». Col potere di scioglimento delle Camere in mano al premier o no' «Penso che sia più opportuno mettere in comune quel potere e non considerarlo l'arbitrio di una sola persona. Però non penso che nessuno debba considerare questi argomenti alla stregua dell'undicesimo comandamento. Quindi il campo è aperto». La Consulta ha dato via libera al referendum sull'articolo 18.. «Ha ragione Bertinotti. Se l'articolo 18 è quella bandiera di civiltà minacciata dal governo dei padroni che ha descritto Cofferati non si vede perché non sia più tale sotto la soglia dei 15 dipendenti. La difesa del posto di lavoro dagli arbitri padronali è un punto fermo anche per noi, ma su questo si è poi montata una campagna che oggi impriogiona anche quella parte del centro-sinistra che giudica insensato il referendum». E la maggioranza si è votata da sola la Commissione d'indagine su Tangentopoli... «Indagare su Tangentopoli è doveroso. Un'indagine parlamentare, però, non può processare i giudici nè può interferire su processi in corso. Chi immagina il contrario lavora per erigere a Borrelli la statua a cavallo senza rendersene conto». |
DA - IL MANIFESTO - L'INTERVISTA - 18
GENN.2003 «Metodo e merito sbagliati» Cesare Damiano, segreteria Ds, contro il referendum estensivo dei diritti: «Piuttosto una legge» LORIS CAMPETTI ROMA «Le lotte sociali e l'iniziativa politica del centrosinistra hanno costretto Berlusconi a fare marcia indietro, e dimostrato la giustezza di una battaglia per difendere i diritti dei lavoratori come strumento di modernizzazione del paese. Adesso la via da seguire non è quella di un referendum che estenda automaticamente l'articolo 18 alle imprese sotto i 16 dipendenti». E' Cesare Damiano, responsabile lavoro nella segreteria dei Democratici di sinistra, che parla. Da quel che ci dice in questa intervista, Damiano non solo eslude che il referendum possa diventare un'opportunità per tutta la sinistra per riprendere la battaglia per i diritti dello scorso anno, una battaglia che ha riempito piazze e cuori. Più che un errore politico, il dirigente diessino valuta il referendum una specie di sciagura. Riconosce che i rapporti e l'organizzazione del lavoro sono profondamente modificati in questi anni, così come ammette che la frantumazione del lavoro ha enormenete ampliato i diversi livelli di tutele, in poche parole lavoratori di serie A e lavoratori di serie B (questa aggiunta è nostra, così come nostra è la considerazione che alla frantumazione del lavoro, alla sua precarizzazione, hanno contribuito le politiche dell'Ulivo nei cinque anni di governo del centrosinistra). Ma il referendum no e poi no, insiste Damiano, una legge invece. Cerchiamo di capirne i contenuti. Il metodo referendario per affrontare il tema dell'estensione dei diritti ai lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti non piace all'Ulivo e non piace alla maggioranza dei Ds. Ma prima parliamo del merito: è giusto o è sbagliato il merito del referendum ' I contenuti del quesito referendario sono estremamente chiari: si chiede l'estensione automatica dell'articolo 18. Affrontare l'ordine dei problemi legati alle modifiche intervenute nei rapporti di lavoro con un sì o un no è una scorciatoia, un'operazione di semplificazione che rischia di essere controproducente e rompere il movimento che si è battuto per i diritti. Per questo l'Ulivo ha scelto una strada diversa, una via legislativa. La modifica del mercato del lavoro, anche grazie alle leggi dell'Ulivo, ha introdotto modifiche forti delle tutele dei diritti di chi lavora. Le differenze sono legate alle dimensioni dell'impresa e alla tipologia dei rapporti di lavoro, in particolare con l'estendersi di quelli discontinui. Le differenze riguardano molti livelli di tutele, dagli ammortizzatori sociali, ai licenziamenti, ai diritti di maternità. Dunque, noi pensiamo che si debba individuare una rete di diritti universali, soprattutto per intervenire a favore dei lavoratori discontinui o precari. Non si può non convenire sul fatto che questo referendum tende a semplificare e appiattire, invece di prevedere interventi graduati. E' vero o no che non è comparabile il lavoratore della Fiat con quello di un'azienda che abbia un solo dipendente' Dunque, solo il primo va tutelato dagli arbitri del padrone e dalla deregulation del mercato del lavoro' E se non pensate questo, come intendete muovervi sul terreno legislativo per tutelarlo ' Come Ulivo ci ispiriamo alla Carta dei diritti (vedi l'articolo in questa pagina, ndr) e ai Diritti di sicurezza sociale: estensione della cassa integrazione, principio della totalizzazione dei contributi pensionistici, contributi figurativi quando non lavori. Abbiamo in mente una riforma del processo del lavoro con l'obiettivo di accelerarlo e rendere fruibile, per fare un esempio, il reintegro nel posto di lavoro. Ma tutto questo non mi sembra risponda al quesito referendario. E vorrei ricordare che l'attacco all'articolo 18 non è stato derubricato, è ancora nel cassetto di Berlusconi. Ma neppure puoi negare che c'è stato un arretramento di Berlusconi sull'articolo 18, e io temo che il referendum estensivo farebbe invece arretrare la battaglia per i diritti che ha sortito buoni risultati. Cerchiamo di intenderci: intorno ai diritti dovremmo costruire un fronte il più ampio possibile, con i lavoratori dipendenti, gli autonomi, le piccole imprese. Una schieramento vittorioso come quello che abbiamo messo in campo contro i referendum dei radicali sui temi del lavoro. Con questo referendum, invece, si spacca il nostro fronte. Per questo pensiamo di procedere per via legislativa per estendere le tutele, ma nel rispetto delle specificità d'impresa. Si fa presto a dire specificità d'impresa. Oggi un'azienda può terziarizzare servizi e pezzi di ciclo produttivo frantumandolo in X società con meno di 15 dipendenti e così dribblare lo Statuto dei lavoratori. Conosciamo le modifiche intervenute nel mercato del lavoro, che hanno incorporato la flessibilità come modalità d'impresa. E' un fatto. Ma questo non vuol dire che la flessibilità debba produrre precarizzazione, noi lavoriamo, al contrario, per la stabilizzazione. Credi davvero che con i rapporti di forza parlamentari dati sia pensabile l'approvazione di una legge che estenda i diritti del lavoro' Come Ulivo pensiamo che sia giusto avere una carta, un testo su cui batterci per l'estensione dei diritti. So bene quali sono i rapporti di forza, dovrebbero saperlo anche i promotori del referendum che rischiano di portarci alla sconfitta. Morale, i Ds si schiereranno per il No' Si asterranno' Ripeto: percorriamo una strada diversa. Se si dovesse arrivare al voto, discuteremo e prenderemo una decisione. |
DA - IL CORRIERE DELLA SERA - INTERVISTA 18
GENN. 2003 CONFINDUSTRIA
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DA - L'UNITA' - INTERVISTA - 18 GENN. 2003 Giustizia, un anno passato inultilmente Onorevole Finocchiaro come valuta la relazione del pg della Cassazione Favara sullo stato della giustizia italiana' «Molto interessante e positiva. Vorrei sottolinearne alcuni dati. In primo luogo, il giudizio articolato sull'efficienza della magistratura premia gli anni di governo del centrosinistra: per la terza volta i Procuratori generali sottolineano che le nostre riforme strutturali conducono a una valutazione 'ottimistica' dell'andamento del processo civile». Quello penale va un po' meno spedito. «C'è una convergenza della diagnosi e della cura con quello che noi diciamo da tempo: tutelare le garanzie ma anche garantire la ragionevole durata e l'efficacia. Cioè, il punto di scontro con il centrodestra. Come rileva Favara, l'efficienza dei procedimenti non giova solo alla competitività del Paese: è la base dell'autorevolezza e della credibilità dei giudici, nonché del soddisfacimento dei diritti dei cittadini. Favara lavora sulle analisi statistiche di tutto il Paese, ha una visione compiuta: mi conforta che confermi i contenuti del nostro programma sulla giustizia presentato un anno fa». Accettare le regole processuali, evitare formalismi e tattiche dilatorie, coniugare efficienza e garanzie: era già tutto nella relazione del 2002. Non è cambiato niente' «Un anno è trascorso inutilmente, dedicato a leggi che nulla hanno a che fare con l'efficacia generale. L'azione della CdL segue due assi direttrici. Da un lato, appesantire il procedimento con bizantinismi per renderlo indefinitamente lungo. Dall'altro lato, un pregiudizio nei confronti della giurisdizione. Rispetto al 2002 vedo che le cose si reiterano, più la preoccupazione nei giudici per una riforma che va in direzione opposta alle loro indicazioni». L'anno scorso si ringraziava Ciampi per aver richiamato l'indipendenza della magistratura come valore costituzionale. Ora si ammonisce contro riforme che mettano a rischio quest'indipendenza. Come sono, un anno dopo, i rapporti fra giudici ed esecutivo' «Ulteriormente peggiorati. Come del resto i rapporti del governo con gli avvocati. E ora c'è grande preoccupazione per lo schema di riforma dell'ordinamento giudiziario che è al Senato (il ddl Castelli, ndr). Mi colpisce che Favara abbia sviluppato accanto al richiamo alla difesa dell'autonomia dei magistrati, anche quello forte alla loro laboriosità, impegno, professionalità. La nostra proposta unisce proprio i due profili: il no alla separazione delle carriere più un'efficace formazione e una valutazione meritocratica. Favara ha a cuore i principi costituzionali ma anche la credibilità del sistema, su cui bisogna investire. La sua è una posizione molto equilibrata». Il documento contiene due giudizi negativi: uno sul limite alle dichiarazioni dei pentiti e uno che viene ricondotto al ddl Pitelli. «Quanto al limite per i collaboratori di giustizia, noi abbiamo più volte insistito con il governo perché emanasse il provvedimento di proroga dei termini. Eravamo tutti convinti che avrebbe reso effettivi i 180 giorni. Si erano impegnati in molti, dal presidente dell'Antimafia Centaro al sottosegretario Mantovano. Bene: manca ancora il decreto legge, i termini per Giuffrè sono scaduti e altri scadranno presto». Quanto invece al dilagare delle impugnazioni in Cassazione' «Favara è stato molto puntuale: 'guardate, non è possibile che tutto finisca là'. Il testo Pittelli mira a rendere imprevedibile la durata dei processi consentendo a una difesa organizzata che non si giunga mai a sentenza. Così rende impugnabili davanti alla Suprema Corte una serie di atti procesusali, compresa la lista di ammissione dei testi. Noi invece proponiamo che un principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite diventi vincolante, disincentivando i ricorsi. Ma Favara, quando parla di 'depenalizzazione misurata', si riferisce anche alla necessità di deflazionare quel Moloch che è il sistema penale. È in linea con la nostra proposta di un diritto penale minimo in funzione sussidiaria». C'è «grande attesa» per la decisione sull'indulto, ma c'è anche l'esigenza di costruire nuove carceri e assumere educatori. Queste osservazioni influenzeranno il Parlamento' «Lo spero. Noi sosteniamo l'indulto non come fine ma come precondizione per politiche che restituiscano dignità ai detenuti, come rieducazione e pene alternative. Chiediamo più educatori e assistenti sociali (oggi ce ne sono 1800 per 56mila detenuti) e un fondo per le politiche di risocializazione». Come incide la relazione sulle linee dell'agenda giustizia dei Ds per il 2003' «Le rafforza. conferma che la direzione presa e il lavoro già svolto partivano da un'analisi corretta. C'è ancora molto da fare, ma abbiamo depositato proposte serie. La differenza è che il centrodestra presegue obiettivi parziali e privatistici, mentre per noi il sistema o gira tutto o non gira per niente. E la chiave di accensione può essere solo l'interesse generale». |
DA - IL CORRIERE DELLA SERA - L'INTERVISTA - 20 GENN.
2003
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DA - IL CORRIERE DELLA SERA - INTERVISTA : 20 GENN.
2003 «Basta con la D'Eusanio. Costanzo' In Rai non c'è posto» L'INTERVISTA / «Sgarbi al dopo Festival' Il Consiglio di amministrazione non può leggerlo sui giornali. E poi c'è una regola sui politici in tv che vale anche per lui» Albertoni, consigliere di area leghista: approvato il piano, a Raitre mezz'ora in più al giorno sulle regioni e un tg culturale ROMA - Il Cda Rai ha approvato il nuovo progetto culturale. Di cosa si tratta, consigliere Ettore Adalberto Albertoni' «E' un indirizzo dettagliato sul ruolo del servizio pubblico, la qualità della programmazione (che subirà una autentica rivoluzione) e il rispetto di un reale pluralismo. Metodo che deve tenere conto di una novità. Da una parte c'è l'Europa che vulnera la dimensione nazionale: niente frontiere né moneta locale. Dall'altro c'è il Titolo V, seconda parte, della Costituzione che ora prevede i quattro livelli di potere: Stato, Regione, Provincia, Comune. Il documento è stato distribuito ai 150 top manager. Ne discuteremo insieme il 4 febbraio. Ma il dibattito si allargherà all'esterno e all'interno dell'azienda». Quindi dobbiamo immaginare una Rai che si federalizza' «Esatto. Proprio nel rispetto della mozione che presentai in Consiglio il 16 aprile e che parlava di una Rai federalista. E le novità saranno molte e ben visibili». Per esempio' «La mezz'ora al giorno in più che Raitre dedicherà alle regioni. E' un emendamento al contratto di servizio della commissione di Vigilanza che volentieri abbiamo approvato. La politica in questo caso è un passo avanti rispetto alla Rai: capita. E poi c'è il Tg culture, arti e spettacoli. Un appuntamento sul nostro grande patrimonio culturale: occuparsene è prima di tutto un dovere morale e di conoscenza. L'abbiamo progettato con Luigi Zanda. Mi dispiace anzi che sia andato via. Ora diventerà realtà e sarà incastonato nella TgR : 15 minuti al giorno dal lunedì al venerdì verosimilmente alle 18.45 su Raitre, un magazine domenicale di 45 minuti. Redazione centrale a Milano, nucleo operativo a Firenze per i beni culturali, snodo istituzionale col ministero a Roma, forte redazione a Palermo per Sud e area mediterranea». Lei dice che il nuovo indirizzo «informerà» tutta la programmazione. Compreso l'intrattenimento' «Direi in particolare. Ma ci vorrà un grosso sforzo. Questa azienda, per costume o malinteso senso delle autonomie, stenta a tradurre operativamente gli indirizzi che provengono dal Cda». Faccia un esempio concreto. «Il Consiglio non può leggere sui giornali che un direttore di rete come Fabrizio del Noce o un conduttore come Pippo Baudo buttano lì la proposta di affidare al deputato Vittorio Sgarbi la conduzione del dopo-festival di Sanremo senza nemmeno consultare i vertici. Il Cda deve applicare alcune deliberazioni, anche precedenti a questa gestione, che disciplinano negativamente l'uso dei politici nei programmi. Massima stima per Sgarbi storico dell'arte ma c'è un metodo che vale per tutti. Nessuno escluso. Tutti liberi di ideare. Ma le verifiche aziendali sono doverose. E si fanno prima di decidere». Magari avrà in mente altri casi... «Penso all'affare Lewinsky, di cui nessuno in Cda sapeva alcunché, così come il direttore generale. E penso al caso Costanzo, il quale fa sapere di aver avuto contatti con la Rai. Ma la Rai non è un taxi che si prende o si lascia quando si vuole. Siamo contrari alla rissa in tv. E proprio Costanzo ha rivendicato due giorni fa la paternità di quel genere tv. Lui e la signora Maria De Filippi sono due seri professionisti che, per i loro prodotti, appartengono sicuramente alla concorrenza. La Rai non ne ha bisogno». Il documento culturale si occupa dunque di qualità. Antonio Socci ha dedicato al problema una puntata e in quel contesto Alda D'Eusanio si è autodefinita la Bin Laden della tv italiana: una specie di capro espiatorio delle polemiche, insomma... «Socci ha il merito di affrontare con competenza temi scottanti. In quanto ad Alda D'Eusanio rappresenta in questo momento un modello televisivo non compatibile col nuovo progetto culturale». In che senso e perché' «Fa parte di quella che Aldo Grasso definisce la "tv piagnona". Roba da cancellare anche per il cattivo gusto di alcune battute e talune situazioni. Certi personaggi hanno una precisa vocazione televisiva' Vadano sulle tv commerciali. Il che non vuol dire che professionisti come la stessa D'Eusanio non possano riuscire in futuro a dedicarsi a progetti diversi. Ma senza coinvolgere i minori. E senza ricorrere a volgari magliette "personalizzate"». In che cosa si vedrà questa nuova Rai «etica»' «Attenzione ai minori, agli anziani, ai disabili, alle minoranze religiose e linguistiche. E al dibattito culturale nel Paese. La Rai ha grandi potenzialità professionali. Più vado avanti lavorando qui dentro più le individuo, le vedo inutilizzate. E più mi arrabbio». Lei parla come se avesse un grande futuro davanti a sé. Eppure Il Riformista vi chiama «il Cda Smart». Siete solo in due: il presidente Antonio Baldassarre e lei... «Citerò Giolitti che, a chi gli chiedeva un commento su un'importante legge approvata con soli tre voti di scarto, disse: ce ne sono due di troppo, in democrazia ne basta uno solo. Io sono un uomo di legge: ho avuto un incarico che svolgerò fino in fondo, cioè ripensare e aggiornare il ruolo del servizio pubblico. Ho la legge dalla mia parte, anche la Corte dei Conti lo ha confermato». Attendete dunque il reintegro' «Sono questioni che riguardano la politica e non noi, che proseguiamo nel nostro lavoro. Solo la commissione di Vigilanza con un voto di due terzi dei suoi membri potrebbe sfiduciarci». Non pensate dunque a dimettervi' «L'abbiamo detto altre volte: no». Baldassarre promette: mai più appalti esterni. E' solo uno slogan' «No. Sarà realtà. Raitre propone in questi giorni la serie di fiction di Gilberto Squizzato, interamente prodotte dalla Rai di Milano a bassissimo costo. Un esempio per tutta l'azienda da parte di un ottimo professionista». A proposito di Milano: dove sorgerà la nuova sede' «Proprio domani, lunedì, ci sarà una riunione operativa. E lì esamineremo nel dettaglio le due proposte: spostamento alla Fiera di Milano o adesione al progetto della Città della comunicazione a Sesto San Giovanni. Tutte le sedi Rai sono prossime al 100% delle loro capacità produttive in base agli impulsi che il Cda ha dato all'intera azienda. Ma per Milano un'ulteriore espansione è possibile solo risolvendo la questione logistica. E anche un'altra di natura direi ancora una volta culturale», In che senso, consigliere Albertoni' «Milano sembra aver assorbito in parte la cultura del piagnisteo. Eppure è la capitale dell'editoria, della moda, della Scala, del Piccolo Teatro. Non posso accettare che un'edizione della TgR lombarda apra, com'è accaduto giorni fa, con l'esplosione in una fabbrica di bottoni che ha provocato lievi feriti. Parliamo di una Lombardia che in termini numerici equivale al Belgio, all'Austria. Occorre cambiare una mentalità e una cultura aziendale mettendo il territorio, con tutti i suoi problemi e le sue energie positive, al centro di un servizio pubblico in cui finalmente riconoscersi». |
DA - IL CORRIERE DELLA SERA - INTERVISTA - 20 GENN
2003 Il presidente della Bpm: insieme al Crédit Mutuel pronti a crescere nell'Europa dell'Est «Un patto tra Popolari per Mediobanca» Mazzotta: puntiamo a una banca d'affari. L'istituto è una risorsa del Paese MILANO - «La Popolare di Milano non è rimasta single . L'accordo con il Crédit mutuel è serio, impegnativo, reciproco. E' un'aggregazione in piena regola, con possibili e importanti sviluppi azionari». Roberto Mazzotta, presidente della Bpm, è un banchiere di lungo corso. A chi gli fa notare che, in fondo, il suo istituto sembra rimasto fuori dalle danze che hanno coinvolto le banche cooperative del Nord, risponde così: «Con una battuta: ai matrimoni preferisco le convivenze. Purché siano sorrette da seri progetti industriali». E a proposito di piani strategici, delinea ulteriori alleanze anche domestiche e un «patto» fra le Popolari, un comune e ambizioso disegno: «Mediobanca' Potrebbe essere un eccezionale esempio di impegno condiviso: le principali aggregazioni di banche regionali e interregionali sono in grado di risolvere molti problemi, ma non di mettere in piedi una struttura di merchant bank forte. Ebbene, in Italia c'è la straordinaria esperienza di Mediobanca, con un passato e un assetto di management non riproducibili. Dovrà dare una risposta su quale lavoro intende fare, e il tema non può che interessarci». Sta candidando le Popolari a soci di Mediobanca in caso di riassetto' «Faccio solo un'ipotesi. Affascinante. Per le banche regionali e interregionali, radicate nel territorio e che conoscono la clientela delle aziende piccole e medie, una struttura efficiente ed esperta di merchant banking è fondamentale». Ma per Piazzetta Cuccia quali sarebbero i vantaggi' «Senza entrare negli argomenti delicati di cui si occupano ogni giorno le cronache finanziarie, non è difficile individuare l'acquisizione di due possibili punti di forza: un forte placing power , e cioè una grande capacità di collocare prodotti e servizi, e una specializzazione in merchant banking per la piccola e media impresa, un mestiere difficile e che nessuno, di fatto, oggi svolge. Con tutte le dovute "muraglie cinesi" e separazioni varie, sarebbe possibile coniugare la professionalità e l'esperienza di Mediobanca con le conoscenze storiche dei singoli istituti regionali e interregionali, ciascuno dei quali ha nell'archivio di relazioni il proprio vero patrimonio. Sarebbe una razionale e interessante opportunità, per le Popolari e per il sistema-Italia». Per le prime è chiaro, ma il sistema cosa c'entra' «Un processo aggregativo fra istituti "locali" che, pur lasciando autonomia nel retail, nei servizi al pubblico, porti a progetti comuni nelle attività ad alto valore aggiunto, mi sembra possa interessare anche al sistema industriale nel suo complesso. In virtù di alcune riflessioni». Quali' «Siamo chiari, soprattutto oggi non si possono perdere di vista tre cose. Primo: è in corso una rapida deindustrializzazione. Con le grandi imprese ci stiamo comportando come le persone ricche che buttano via i gioielli senza avvedersene. Secondo: il cuore imprenditoriale dell'Italia è costituito da piccole e medie aziende. Non lo dico con entusiasmo, bensì con qualche rammarico, perché non sono convinto che piccolo sia bello. Anzi. Ma piccolo è senz'altro meglio di niente. Deve però crescere e ha bisogno più di istituti "vicini" che di colossi del credito. Terzo: in questo senso si può dire che le banche regionali e interregionali abbiano oggi un ruolo quasi "storico". Anche loro però devono crescere, rafforzarsi. Abbiamo già perso, o meglio ci siamo già giocate le casse di risparmio (e glielo dico con il cuore in mano, da ex presidente della Cariplo). Cerchiamo di non fare lo stesso con le Popolari». Scusi, mi sembra piuttosto che alcuni istituti, come anche la Popolare di Milano, hanno fatto di tutto in passato per restare fuori dal mercato, per non essere contendibili. «La Bpm ha cambiato la governance , con un nuovo statuto e introducendo il voto di lista. Un tradizionale motivo di "ostilità" nei confronti del sistema di governo di questa banca sta dunque venendo meno. Inoltre l'istituto ha un portafoglio crediti equilibrato e coefficienti patrimoniali collocati nella fascia alta del sistema. E' un'azienda sana, posizionata e radicata in un'area fra le più ricche. E con il Mutuel conta di fare altri accordi simili per seguire i mercati dell'Est europeo». A proposito di alleanze, avete dossier sul tavolo' «Quelli, per così dire, non mancano mai. Riteniamo che i matrimoni finora portati a termine rispondano a progetti razionali. Ma Verona-Novara e Bergamo-Comindustria non hanno certo esaurito le possibilità di unione. Con i presupposti che le ho illustrato non mi sembra manchino opportunità per chi, come noi, non ha intenzione di comportarsi da "ombelico del mondo", e cioè da polo aggregante (espressione priva di significato) procedendo per acquisizioni, ma vuole crescere insieme ad altri "uguali"». Insomma: dossier' «Diciamo che guardiamo con attenzione a Lombardia, Veneto ed Emilia. Inoltre tramite la controllata Legnano, che è una spa, stiamo dialogando con istituti collocati nelle aree Nord Milano, Varese e Como per ricreare banche di territorio attraverso partnership operative». Ma il progetto di Superpopolare del Nord è definitivamente abbandonato' «Ora siamo in una fase che al Nord darà vita a tre-quattro nuclei aggregativi. Poi si vedrà». Cosa pensa delle megafusioni che hanno cambiato la geografia bancaria italiana' «Chi ne è felice, vada pure avanti». Insomma, una freddezza così proprio da lei, che da presidente Cariplo ha meditato a fondo la «conquista» dell'Imi... «Ma l'Imi non era un istituto retail , era un patrimonio di intelligenza, un grande istituto finanziario». E comunque oggi gli istituti protagonisti delle grandi fusioni guidano un'ampia azione di sostegno al sistema industriale. «E' vero. Vorrei però farle notare una cosa. Se un collaboratore mi spiega che un finanziamento va trasformato in partecipazione, io non lo lodo. Una banca deve solo prestare quattrini. E recuperarli». |
DA - L'UNITA' - L'INTERVISTA 20 GENN 2003 Non si può aggirare l'Onu, anche in casi estremi" CITTÀ DEL VATICANO Per 16 anni mons Renato Martino è stato osservatore della Santa Sede all'Onu. Nel 1991 era nell'ufficio del segretario generale delle Nazioni Unite, Perez de Cuellar, quando arrivò la notizia della decisione di Bush padre di attaccare l'Iraq. Iniziò la guerra del Golfo. «Io ero lì a New York a cercare di fare qualcosa per impedirla. Ci fu una lettera a Bush padre ed una a Saddam, poi vari tentativi all'Onu». Rievoca
quei momenti |
DA - IL MANIFESTO - L'INTERVISTA 21 GENN.
2003 «Stanno seminando la guerra»
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