DA - LA REPUBBLICA

L'economista italiano da anni viveva negli Stati Uniti
Era professore emerito al Massachussets Institute of Technology
E' morto Franco Modigliani
premio Nobel per l'economia

ROMA - E' morto negli Stati Uniti il premio Nobel per l'economia Franco Modigliani. Il nipote, Enrico Modigliani, ha reso noto che lo studioso è deceduto improvvisamente nella notte, probabilmente a causa di un attacco di cuore. Ieri sera aveva partecipato a un ricevimento e comunque negli ultimi giorni sembrava godere di una discreta salute.

Una vita segnata dalla passione per l'economia, una vita segnata dall'esperienza dell'anti- fascismo: l'economista, 84 anni, è mancato nei giorni dell'ennesima battaglia pubblica contro il fascismo e le leggi razziali che oltre sei decenni fa lo costrinsero a lasciare l'Italia.

Modigliani è morto a Cambridge dove abitava e dove, dal 1962, insegnava al prestigioso Massachusetts Institute of Technology. Solo alcuni giorni fa, in interviste e con una lettera aperta al New York Times firmata con i colleghi di Mit Robert Solow e Paul Samuelson, aveva polemizzato, dopo i commenti su Mussolini, con l'associazione ebraica Anti- Defamation League per il premio attribuito al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Proprio oggi, su Repubblica, era uscita una sua intervista in cui criticava il premier.

Premio Nobel per l'Economia per "le pionieristiche analisi sul risparmio e sui mercati finanziari", Modigliani era un ebreo di Roma. Era nato nel 1918 in una famiglia dell'alta borghesia ebraica radicata da secoli nella capitale ma aveva lasciato l'Italia a vent'anni dopo l'emanazione delle leggi razziali.

Il padre Enrico era un noto pediatra che lo aveva lasciato orfano a 14 anni: "Ricordo di lui solo sprazzi. Fu quello l'unico trauma della mia infanzia", aveva rievocato lo stesso Modigliani nell'autobiografia "Le avventure di un economista".

Morto il padre, Modigliani pensò brevemente di seguirne le orme studiando medicina. Era soprattutto il desiderio dei familiari, ma alla fine medicina venne scartata: "Non riuscivo a tollerare la la sofferenza e la vista del sangue", aveva scritto il premio Nobel nell'autobiografia.

Modigliani si iscrisse così a Legge. I primi contatti con l'economia furono in una competizione organizzata dai Littoriali della Cultura sulle dottrine economiche. Il saggio del giovane studente romano vinse, con sua stessa sorpresa, il primo premio, ma l'interesse per l'economia Modigliani lo dovette portare avanti da solo: "Sotto il fascismo non c'erano buoni insegnanti in questo campo", rievocò poi il Premio Nobel nell'autobiografia.

E' nel 1938 che la vita del giovane romano subisce la vera svolta: con l'emanazione delle leggi razziali Modigliani se ne va dall'Italia, prima a Parigi, presso i genitori della fidanzata Serena Calabi che l'anno dopo diventerà sua moglie, poi a New York.

A Parigi Modigliani si iscrive alla Sorbona ma i corsi gli sembrano banali e privi di stimoli. E quando, dopo avere conseguito la laurea in Legge durante un breve rientro in Italia, il secondo conflitto mondiale gli appare ormai imminente, con la famiglia decide per l'espatrio definitivo.

I Modigliani arrivano a New York nell'agosto 1939, pochi giorni prima dell'ultimatum di Hitler alla Polonia.
Modigliani capisce subito che la permanenza negli Usa non sarà di breve durata e ottiene di poter seguire gratuitamente i corsi della New School of Social Research, un'istituzione appena creata per assistere i tanti studiosi in fuga dall'Europa schiacciata dalle dittature.

Per sostenere la famiglia il futuro premio Nobel studia di notte e di giorno vende libri. Ottiene il Dottorato di Ricerca e nel 1942 comincia a insegnare all'Università, al Bard College all'epoca collegato alla Columbia University, poi dal 1948 alla University of Chicago.

E' lì che il giovane professore, che due anni prima aveva ottenuto la cittadinanza americana, conosce un brillante studente appena laureato, Richard Brumberg, e con lui mette le basi della sua teoria più nota, l'ipotesi del ciclo vitale del risparmio, la cui versione definitiva fu pubblicata solo nel 1980 e che lo porta, cinque anni dopo al Nobel, conferito per "le pionieristiche analisi sul risparmio e sui mercati finanziari".

Da allora Modigliani era rimasto una presenza costante in Italia partecipando al dibattito sulle politiche economiche e sul mercato del lavoro. Dal suo osservatorio transatlantico il premio Nobel aveva continuato a seguire "con amore" (come ha detto lui stesso nell'ultima pubblicata oggi su Repubblica) anche le vicende politiche italiane su cui aveva continuato fino alla fine a dire la sua in interviste e articoli su giornali.

(25 settembre 2003)

Il capo dello Stato ricorda l'esilio del premio Nobel
a causa delle leggi razziali e il suo grande amore per l'Italia
Modigliani, il cordoglio di Ciampi
"Amico e grande economista"

Il presidente della Camera Casini: "Ha onorato il Paese"
Mario Baldassarri: "Perdo un padre, una guida e un maestro"

ROMA - "Un amico e un grande economista", questo era per il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il premio Nobel Franco Modigliani, scomparso negli Stati Uniti. Nel suo messaggio di cordoglio, il capo dello Stato non ha dimenticato di ricordare come l'economista sia stato "esule a causa delle leggi razziali" ma nonostante questo non avesse "mai smesso di amare l'Italia". E di supportarla benché fosse "profondamente inserito nella società
americana, il suo aiuto, il suo consiglio non è mai mancato nei momenti difficili per la nostra Patria, come negli anni del terrorismo e del difficile cammino verso l'euro".

Un'amicizia lunga trent'anni, quella tra Ciampi e Modigliani, nata "in Banca d'Italia negli anni Sessanta". In quell'occasione il presidente ricorda di aver "imparato ad ammirare il suo eccezionale vigore intellettuale, la creatività, la fantasia, la passione civile, la capacità di trascinare ed entusiasmare i giovani". Fu l'umanità del premio Nobel l'elemento che più colpì Ciampi: "Non si fermava mai al fatto economico o monetario, dietro di esso cercava sempre le conseguenze per gli uomini, per il loro destino".

La notizia della morte di Franco Modigliani è stata accompagnata da una lunga serie di messaggi di cordoglio. Il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ricorda di averlo una volta definito "un italiano fuori dal comune": una persona "dalle opinioni nette e decise, mai convenzionali". E aggiunge che "è stato un economista che ha onorato l'Italia con il premio Nobel". Marcello Pera, presidente del Senato, parla di "un grande studioso di economia".


"Perdo un maestro, una guida, un amico, un padre, tutte queste cose insieme", dice Mario Baldassarri, viceministro dell'Economia. E Piero Fassino, segretario dei Ds, ricorda di Modigliani la "costante lucidità e la straordinaria passione" nel suo impegno per "affermare obiettivi di sviluppo, di crescita, di equità sociale e di lavoro''. Giorgio La Malfa, suo allievo negli Stati Uniti, lo definisce "uno dei più grandi economisti del secolo, maestro per due generazioni di studiosi italiani".

(25 settembre 2003)


DA - ILCORRIERE DELLA SERA

La notizia è arrivata da fonti della famiglia Addio al premio Nobel Franco Modigliani Il grande economista si è spento negli Usa a 85 anni.

Oggi apparsa l'ultima intervista: «Berlusconi disonora l'Italia»

ROMA - Si è spento negli Usa il premio Nobel per l'economia Franco Modigliani. Di origine ebrea, nato a Roma ma cittadino americano, aveva 85 anni. Lascia la moglie Serena, sposata nel 1939 a Parigi e dalla quale ha avuto due figli.

ATTACCO DI CUORE
- Il grande economista se n'è andato improvvisamente nella notte nella sua casa di Cambridge (Massachussettes) probabilmente a causa di un attacco di cuore. Riferisce il nipote, Enrico Modigliani: «Mercoledì sera aveva partecipato a un ricevimento e negli ultimi giorni sembrava godere di una discreta salute».

L'ULTIMA INTERVISTA - L'ultima intervista del grande economista, che viveva negli Usa, è apparsa proprio oggi su La Repubblica dopo le ultime dichiarazioni di Berlusconi New York: «Berlusconi non onora l'Italia e non la difende, come dice sempre, onorando e difendendo Mussolini. Così, all'opposto, la disonora». Modigliani è stato tra i 41 premi Nobel americani che hanno sottoscritto quest'anno una dichiarazione per opporsi alla guerra in Iraq senza un largo consenso internazionale.

CIAMPI: «CI LASCIA UN MAESTRO» - Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, appresa la notizia della scomparsa di Modigliani, ha dichiarato: «Sono profondamente colpito dalla scomparsa di un amico, di un grande economista, di un esule a causa delle leggi razziali - che non ha mai smesso di amare profondamente l'Italia, di un maestro al quale tutti dobbiamo molto, che ha dato molto alla nostra Patria».
Marcello Pera, presidente del Senato, ha espresso «profondo cordoglio».
Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera: «Modigliani è stato un grande economista che ha onorato l'Italia con il premio Nobel. Un uomo dalle opinioni nette e decise, mai convenzionali, che ha sempre espresso con passione le sue idee sull'Italia a cui è rimasto sempre profondamente legato».
Rocco Buttiglione, Politiche comunitarie: «Modigliani ha sempre saputo coniugare il rigore dello studioso dell'economia con le esigenze sociali».
Mario Baldassarri, vice ministro dell'Economia ed ex allievo di Modigliani: «Perdo un maestro, una guida, un amico, un padre, tutte queste cose insieme».
Giorgio La Malfa, presidente della commissione Finanze della Camera ed ex allievo: «Uno dei maggiori economisti del ventesimo secolo, un uomo di grande ingegno, di straordinaria capacità analitica, animato da profonda passione sociale e civile».
Vincenzo Visco, ex ministro del Tesoro: «Con Modigliani scompare uno dei grandi vecchi che hanno caratterizzato la scienza e la conoscenza. Le sue analisi sono rimaste lucide e puntuali fino all'ultimo».
Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil: «È stato un economista sempre attento alle questioni sociali e del lavoro, una persona libera e indipendente».
Mario Sarcinelli, ex vice direttore della Banca d'Italia e del Tesoro: «Un maestro della disciplina economica».
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma: «Era uno dei nostri simboli, uno dei quattro premi Nobel italiani ebrei. Dava un senso del peso degli ebrei nella cultura del nostro Paese; un vanto della comunità ebraica romana».

DA - L'UNITA'

Modigliani, un economista contro il fascismo
di Oreste Pivetta

Abbiamo visto tutti qualche giorno fa la sua lettera (insieme con altri studiosi e altri premi Nobel, Paul Samuelson e Robert Solow), una lettera semplice per spiegare per quali motivi sembrava inopportuno che una lega americana contro la discriminazione razziale premiasse Berlusconi. Nella lettera stava scritto: «Mussolini è stato responsabile della morte di molti oppositori politici, di molti partigiani, di molti ebrei. Il dittatore perseguitò il popolo ebraico con le Leggi Razziali e fu responsabile, durante il conflitto mondiale, della deportazione di almeno settemila ebrei».

Una nota storica che però toccava da vicino, anzi intimamente e drammaticamente, la sua esistenza: Franco Modigliani, ebreo, aveva provato su di sè il peso di quella dittatura, a ventun anni, appena laureato in giurisprudenza, era stato costretto, con la moglie, Serena Calabi, appena sposata, a emigrare negli Stati Uniti. Un esilio, un rifugio e poi soprattutto il luogo della sua formazione culturale, dell’insegnamento, anche del successo fino al premio Nobel nel 1985 e della popolarità. Ma ancora in questi giorni Modigliani raccontava lo strazio di quella partenza e del viaggio e testimoniava comunque nel ricordo l’amore per l’Italia, anzi «l’immenso amore», che lo spingeva a seguire le vicende di un paese che aveva abbandonato sei decenni fa. A proposito di popolarità, molti ricorderanno il suo viso simpatico, bonario, il fisico asciutto, la sua parlata italiana che tradiva la lunga frequentazione americana e soprattutto quel dire chiaro di problemi enormi, la grande economia svelata al pubblico, i giudizi netti, taglienti, le argomentazioni precise e rapide.

A proposito di popolarità molti lo ricorderanno in televisione, persino in trasmissioni quasi di varietà: non si tradiva, era sempre il professore del Mit, premio Nobel, il professore che sapeva comunicare con tutti, senza trascurare la sua scienza e il bisogno di spiegare a tutti, quasi un bisogno morale di sperimentare le grandi leggi o le grandi teorie economiche, di svelare le congiunture e le tendenze nella concretezza spesso drammatica del vivere quotidiano. Gli era capitato, anche per questo, di considerare e criticare momenti diversi della politica italiana. Gli era capitato di criticare tante scelte di Berlusconi e del suo governo. Non solo pochi giorni fa con quella lettera al New York Times, rispresa dai giornali di tutto il mondo. Proprio all’Unità, appena rinata, alla vigilia del voto, nel maggio di due anni fa aveva scritto, quasi prevedendo che cosa prima o poi presentato al nostro orizzonte: «Credo che la democrazia in Italia sarebbe davvero in pericolo...

Dall’indipendenza della magistratura alla libertà di stampa non credo che i valori democratici facciano parte della cultura del candidato premier del centrodestra. Anzi... Resto molto scettico sulla sua capacità di dire qualcosa e persino di capire che cosa l’espressione “conflitto di interessi” significhi. E cioè rinunciare a qualunque intervento, decisione, presenza rispetto alle proprie aziende o ai propri investimenti. Bene: non vedo come una persona che possiede mezza Italia possa risolvere in maniera vera, e non con una buffonata, questa che è essenzialmente una questione morale. Di una legge non ci dovrebbe essere nemmeno bisogno...». Appunto.

Franco Modigliani è morto nella notte. L’altra sera aveva partecipato a un ricevimento. Stava bene. La moglie Serena, risvegliandosi, lo ha ritrovato, nel letto, privo di vita. Aveva ottantacinque anni. Era nato a Roma nel millenovecentodiciotto, figlio di Enrico e di Olga Flaschel, il padre pediatra famoso, la madre impegnata in attività sociali. In una breve autobiografia, si rivedeva studente di buon profitto. Non eccezionale, però. Nel 1932 gli morì il padre, in seguito a un intervento chirurgico, e fu per lui un evento doloroso, un trauma che si sentì addosso per anni, tanto che la sua stessa vita scolastica ne risentì. Si riprese. Si iscrisse al liceo Visconti, bruciò le tappe, riuscì a iscriversi all’università romana a diciassette anni di età.

Non seguì la carriera del padre, non scelse medicina, si dedicò invece allo studio della giurisprudenza. Ricordava anche d’aver partecipato ai Littoriali e d’aver vinto il primo premio. Poco alla volta comprese il fascismo, la sua natura liberticida e classista. Cercò di ampliare gli orizzonti della sua cultura, immergendosi nella lettura dei classici stranieri, s’avvicinò poco alla volta con passione all’economia. Proprio ai Littoriali conobbe altri giovani come lui e con quei giovani cominciò a riflettere sul fascismo, sulla necessità della politica contro il fascismo. Nel suo antifascismo una parte, come riconobbe più tardi, ebbero la giovanissima Serena, futura moglie, e il padre di lei, Giulio Calabi. Arrivò il 1938, vennero le leggi razziali. Andò con lei a Parigi, si sposò e insieme si iscrissi alla Sorbona. «Ma - annotava - l’università mi appariva una gran perdita di tempo. Preferivo studiare in biblioteca e in biblioteca preparai la mia tesi di laurea». Con la tesi pronta si ripresentò a Roma, per discuterla.

Con la laurea in giurisprudenza, ma in un paese ormai travolto dal fascismo, dalla sua vocazione imperialista, a un passo dalla guerra: «Assistevo alla corsa dell’Europa verso la sua tragedia, verso una guerra sanguinosa. Decisi allora di chiedere il visto per gli Stati Uniti. Nell’agosto del 1939 Serena ed io sbarcavamo a New York. Mi resi conto che il soggiorno americano non sarebbe stato breve e che davvero per noi stava per iniziare una nuova vita». Una vita non facile: per mantenere se stesso, la moglie e, presto, il primo figlio, Andrea, vendeva libri. Di notte studiava, con accanimento. L’economia era diventata il suo nuovo campo: capire i grandi fenomeni, che percorrevano il mondo, gli squilibri, la ricchezza e la povertà, il senso del denaro nella società moderna. I suoi maestri furono Adolf Lowe e Jacob Marschak: «Un periodo per me difficile, duro, faticoso. Ma se lo ripenso, lo ripenso con entusiamo, come un’avventura emozionante. Capire le leggi dell’economia era la mia ambizione...».

Il primo appuntamento fu un seminario a New York. Alla fine, nel 1941, cominciò ad insegnare: in una scuola per ragazze nel New Jersey. Cominciò a scrivere: il suo primo importante saggio fu pubblicato nel 1944, «La teoria dell’interesse e la moneta». Nel 1944 conseguì anche il dottorato in sociologia presso la New School of Social Research. Cominciava in questo modo, dopo un severo, tenace apprendistato, una carriera che avrebbe condotto Franco Modigliani nelle più importanti università americane, attraverso le ricerche più illumninanti e innovative: dal New Jersey College all’Università dell’Illinois, dalla Harward University al Carnegie Institute of Technology e alla Northwestern University. Finchè, nel 1962, divenne professore di economia e finanza al Massachusetts Institute of Technology (dove nel 1988 divenne profesdsore emerito).

In quegli anni sviluppò la sua ricerca con una particolare attenzione alla teoria monetaria, ai mercati finanziari, alla macroeconomia, ai modelli econometri. I suoi lavori più noti riguardano l’ipotesi del “ciclio vitale” che spiega il comportamento risparmio-consumo nelle famiglie e due teoremi, sviluppati negli anni cinquanta, assieme a Merton Miller, che forniscono un quadro analitico di riferimento per capitale le strutture del capitale delle imprese. Proprio per queste elaborazioni ottenne nel 1985 il premio Nobel per l’economia, «per le sue analisi pionieristiche sul risparmio e sui mercati finanziari».. Seguirono ovviamente molti altri riconoscimenti e conseguenti incarichi: membro dell’Accademia statuntense delle scienze e dell’American Association of Arts and Sciences, presidente dell’Econometric Society, consulente del Tesoroi e del Federal Reserve System degli Stati Uniti, consulkente di tante banche negli Usa e in Europa. Tra tanta America e tanti onori, continuava a stargli a cuore l’Italia, seguiva il dibattito politico e economico in Italia, interveniva secondo (lo ha fatto ancora sull’Unità, di recente, ad esempio in tema di pensioni e di liquidazioni) un’idea che assegnava la priorità agli obiettivi di piena occupazione e di promozione del lavoro e dei lavoratori, senza dimenticare l’imperativo di un sistema competitivo ed efficiente per garantire realistiche prospettive di crescita.

Di questo parlava e scriveva in modo schietto, perchè non era uomo da compromesso, senza temere reazioni. Che ci furono con il tono insultante di alcuni portavoce del centrodestra.

Ha scritto moltissimo e molti suoi libri sono stati pubblicati anche in Italia: uno dei più vicini, il più autobiografico, Avventure di un economista: la mia vita, le mie idee, la nostra epoca (Laterza, 1999). Di quest’epoca disse: «Un’epoca affascinante, in cui le cose si muovono così presto, al di là di ogni immaginazione. Mi secca di essere così vecchio. Ma forse avrò modo di vedere ancora molte cose. Sono ottimista: come non credo allo scienziato malvagio che studia il modo di rovinare il mondo, così credo che più gli strumenti innovatrivi sono potenti, più forte è l’incentivo a usarli in modo appropriato. L’umanità in fondo non si è ancora distrutta con la bomba atomica nè pare abbia l’intenzione di farlo. Bisognerà certo tenere gli occhi aperti...».

 

 

 

 

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