L'ULTIMA
INTERVISTA E' CONTRO SILVIO BERLUSCONI L'amarezza
del premio Nobel dopo il discorso di Berlusconi
ROMA - "Ah certo, in Italia ora ci sono
molti meno comunisti. Ma ci sono molti più Berlusconi.
Questo è il problema". Franco Modigliani, classe
1918, la storia del fascismo e del "buon"
Mussolini l'ha vissuta sulla sua pelle. Ebreo di Roma,
dovette lasciare l'Italia nel luglio 1939, appena
laureato, per sfuggire alle leggi razziali portando con
sé la moglie Serena, per sposare la quale era stato
costretto ad andare a Parigi. Negli Stati Uniti si è
costruito una folgorante carriera di economista e
studioso che l'ha portato a vincere il premio Nobel nel
1985 per le sue "pionieristiche analisi sui risparmi
e sui mercati finanziari", come si legge nella
motivazione dell'Accademia di Svezia. Tuttora è
professore emerito di economia al Massachusetts Institute
of Technology di Boston. Insomma, nessuno più di lui
può permettersi di parlare chiaro e in assoluta libertà
sui destini di un'Italia che, da lontano, ha sempre
seguito "con immenso amore". Pesa con calma le
parole, ma da ogni singola frase traspare un senso di
sconforto per l'arroganza e la protervia dell'attuale
classe dirigente. "Berlusconi non onora l'Italia e
non la difende, come dice sempre, onorando e difendendo
Mussolini. Così, all'opposto, la disonora". "Io cos'avrei fatto? Una guerra di dieci anni?
Forse avrei dovuto farla davvero con tutti gli errori che
ha fatto?E invece l'ho difeso in tante occasioni: quando
voleva abolire l'articolo 18, quando vuole riformare le
pensioni d'anzianità, quando deve fronteggiare certi
scioperi che mi sembrano irrazionali. Certo, altre volte,
molte volte, l'ho criticato, per i suoi atteggiamenti
come appunto per la storia del Duce, ma soprattutto per
le tante opportunità mancate in economia. I condoni
fiscali, e peggio che mai edilizi, per esempio, mi
sembrano una cosa immorale e indegna di un paese civile.
Ma una cosa dev'essere chiara: io non faccio battaglie
personali contro nessuno. Perché dovrei? Non è nel mio
stile".
(25 settembre 2003) Il premio Nobel per l'economia, che da anni vive negli Stati Uniti, racconta il suo rapporto con la patria d'origine Modigliani: italiani, non fate i furbi «Il peggiore dei peggiori è stato Craxi Ma anche Andreotti...» «Non ho mai rimpianto neanche la cucina: ho sposato una bolognese» «Se non fosse ingabbiato in un sistema spaventoso, questo sarebbe il primo Paese al mondo. Davanti agli Usa» di GIAN ANTONIO STELLA «Onestamente, non ho mai rimpianto neanche la cucina». Possibile? «Sa, ho sposato una bolognese...». Pochi italiani, forse, amano l'Italia come l'ama Franco Modigliani. Un rapporto struggente, malinconico, forte come sanno essere struggenti, malinconici e forti solo gli amori contrastati. Cresciuti sul dolore, il tradimento, la diffidenza, la riconciliazione, la serenità ritrovata, la delusione. Mai avuto, Franco Modigliani, un'idea di patria dannunziana: «Conculcate le stirpi moribonde / ella fa dell'Italia dai tre mari / la grande Patria dalle quattro sponde». Mai. Quando nel 1985 andò a ritirare il Nobel per l'economia si emozionò al suono dell'inno americano. Al collo, però, portava il cordone di Cavaliere di Gran Croce. Disse allora: «Nella mia vita non ho mai creduto nel nazionalismo, non ho mai detto "giusta o sbagliata è sempre la mia patria". Sono nato italiano ma ho lasciato l'Italia quando ho pensato che avesse preso una strada immorale, oggi sono fiero di sentirmi di nuovo italiano. Come mi sento insieme americano. Ho amato e amo l'America che mi ha accolto, anche se non l'ho mai interpretata come una adesione acritica». In realtà la sua vera «heimat», come dicono gli amici più cari e come conferma Paolo Peluffo, il portavoce di Carlo Azeglio Ciampi che ha ormai ultimato la biografia del grande economista italo-americano, prossima in uscita per Laterza, è Serena. La donna che sposò 59 anni fa e della quale, dopo due figli, quattro nipoti, un Nobel e un po' di lauree ad honorem, è innamorato come quando era un ragazzo della buona borghesia ebraica romana, figlio di un noto pediatra, studente modello. «Andavo al Visconti, in altre classi c'erano tra gli altri Guido Carli e Pietro Amendola. Che poi nel '35 vinse con me i "Littoriali" per la cultura. Economia. Devo molto al Visconti. C'erano grandi professori. Ero così preparato che la terza liceo, chissà per quale istinto, la saltai dando subito gli esami. Cosa che mi permise di guadagnare un anno. E di laurearmi appena in tempo prima che tutto precipitasse». La sua rottura con l'Italia avvenne nel '38? «Sì. Quando arrivarono le leggi razziali avevo vent'anni e studiavo legge alla "Città universitaria". Il padre di Serena, che aveva fondato le Messaggerie Italiane, se ne andò subito. Lui l'aveva detto già nel '25, dopo il delitto Matteotti: "Andrà sempre peggio, bisogna prepararsi all'idea di partire". Nel '28 disse: basta. Sfidando la legge che prevedeva la pena di morte, era riuscito a far passare dei soldi in Svizzera. E portò tutta la famiglia a Parigi». E lei? «Io e Serena non è che fossimo proprio fidanzati, eravamo troppo giovani. Però... Le nostre famiglie erano amiche da sempre. Così amiche che io e lei ci giochiamo dicendo che ci amiamo da settant'anni ma siamo amici dal 1860. L'esordio fu un disastro. Era venuta da Bologna a trovare dei miei cugini che avevano un grande giardino. Giocammo ad "acchiapparella" o qualcosa del genere. Io l'avevo presa per la mano per correre più in fretta e l'avevo fatta cadere. Aveva le prime calze di seta e si ruppero. Non le dico! Tornò a casa e disse a suo padre: "Pensa che quel cretino di Franco Modigliani gioca ancora come i bambini". Ci rivedemmo a Cortina d'Ampezzo. Poi di nuovo a Roma. E quel che doveva succedere successe. Nel '38, quando se ne andò, la raggiunsi a Parigi». Vi sposaste lì? «Sì. Davanti al console italiano. Lui era in camicia nera, noi no. Disse: "Saluto il Duce!". E noi: "Buongiorno". Un gran matrimonio. Tornammo a Roma, dove l'aria ormai si era fatta pesantissima, solo perché dovevo discutere la tesi. Ormai non avevo più nessuno, lì. Solo mio fratello. Mio padre era morto. Mia madre si era rifugiata in Israele. I genitori di Serena erano molto preoccupati. Temevano che restassimo bloccati». E stavolta, per laurearsi, fu costretto a mettersela, la camicia nera? «No. Tutti i professori ce l'avevano. Tutti. Io no. Non so come, ma andò bene. Discussa la tesi e avuto quello che volevo, tornammo subito a Parigi». Eravate lì quel 14 giugno 1940 in cui arrivarono i tedeschi? «No. Ce n'eravamo andati, per fortuna, nell'agosto del '39. Arrivando a New York esattamente il 28 agosto, tre giorni prima che Hitler invadesse la Polonia e scoppiasse la guerra. Per noi che ne eravamo fuggiti le notizie che arrivavano dall'Europa erano sconvolgenti. Ricordo i cinegiornali che mostravano le prime truppe naziste scendere lungo gli Champs Elysées... Serena era incinta. Nascondevo i giornali perché non li vedesse». Perse qualcuno nei campi di concentramento di Buchenwald, Treblinka o Birkenau? «Parenti stretti no. Erano venuti via tutti. Mio fratello, l'unico che era rimasto, restò per mesi nascosto nella campagna romana, aiutato da una famiglia di contadini, per sfuggire alle retate naziste. Nei campi persi degli amici. Molti. Lionello della Seta, per esempio. E suo figlio, che aveva forse quindici anni. Non ho mai saputo neppure dove furono portati a morire. Neppure la sua famiglia, credo, lo ha mai saputo». Ha mai pensato, in tutti questi anni, di tornare in Italia? «Sì, subito dopo la guerra. Quando sembrò, per un breve momento, che grandi uomini come Ferruccio Parri fossero destinati ad avere un ruolo nell'Italia post-fascista. Allora sì, ci pensai. Ma poi, visto buttar giù Parri, nascere l'Uomo Qualunque, tornare l'Italia che non mi piaceva, recuperare i vecchi baroni universitari...». Quelli che lei aveva visto in camicia nera? «Quelli. Tornare in Italia voleva dire mettersi sotto le ali protettive di un professore. Fargli da cameriere, servirlo e sperare che un giorno... Ricordo un congresso a Washington, a guerra finita, con un famosissimo statistico italiano, Gini. Mi presentarono con parole molto lusinghiere, dicendo che ero giovane studioso molto promettente. Lui ascoltò distrattamente e mi mise alla prova: "Mi si è rotto l'orologio, me lo fa accomodare"?». E lei? «Gli risposi: "Lo farà molto meglio il portiere del suo albergo". Un episodio minimo. Ma mi fece ricordare tante cose. Era l'Italia che non sopportavo. Capii che il mio Paese non faceva più per me. Per dieci anni non volli rimetterci piede». Mai pentito? «Mai. Vengo spessissimo, mi vogliono bene, sono andato anche a Modigliana, un paesino che pare sia all'origine del nostro cognome. Ma non mi sono mai pentito di essere rimasto qui. In America ho avuto tutto. Apprezzo la qualità della vita americana, mi son fatto tanti amici, mi piace l'efficienza di questo sistema, ho studiato con grandi professori. Che non mi han mai chiesto di aggiustare orologi». Cosa le piace, di questa patria italiana dove non ha voluto tornare? «Io ho un enorme rispetto per gli italiani come produttori, risparmiatori, consumatori. Enorme. Le capacità imprenditoriali degli italiani sono uniche al mondo. Se avesse un sistema politico, amministrativo, sociale serio l'Italia sarebbe il primo Paese al mondo. Davanti a tutti. Anche agli Stati Uniti». Solo che... «Solo che è un Paese ingabbiato da un sistema spaventoso. Le istituzioni inefficienti, la burocrazia, il debito pubblico, la corruzione... Un Paese pieno di problemi. Oggi va un po' meglio. Prodi ha fatto molto e Ciampi è una persona di cui ho una stima enorme. Per me è, in questo momento, il miglior uomo di stato europeo. Ma è durissima, per loro. Decenni di governi a guida dicì sono stati massacranti. Hanno devastato il Paese». Non salverebbe nessuno? «De Gasperi fu certamente un grande statista. La Malfa un uomo lungimirante. Spadolini una brava persona, non so se sia stato un grande capo di governo. Carli fu un uomo notevole. Fu lui a battersi per primo perché la Banca d'Italia fosse separata dal Tesoro. Ma le dirò: gli economisti al governo sono stati spesso di valore. Penso ad Amato, Spaventa, Andreatta. Ma poi c'erano gli altri, un disastro...». A chi pensa? «Il peggiore dei peggiori, secondo me, è stato sicuramente Craxi. Ma anche Andreotti... Me lo ricordo una sera a cena alla Casa Bianca, ai tempi di Jimmy Carter. In quel momento avevo una buona opinione di lui. La cambiai del tutto. Oggi poi... Io non so quanto siano buone le prove giudiziarie contro di lui. So che le sue responsabilità nel rapporto mafia-politica sono enormi. Solo lui poteva imporre un mafioso come Salvo Lima al governo. Se ha dato o no il bacio a Riina non lo so. So che, per motivi personali, ha fatto il gioco della mafia. E' incredibile che l'Italia per anni sia stata governata da lui». Eppure si giocava sulla battuta che nel Paese dei dritti anche Andreotti... «Guardi: la pecca più grande degli italiani, il loro vizio peggiore, il difetto più imperdonabile è la furbizia. Non pagar le tasse o imbrogliare l'Inps per molti è normale. Se puoi lo fai. Ahi ahi... La sola cosa che mi consola è che hanno imparato a non fare i furbi come produttori. Perché nel resto del mondo non te lo perdonano. Ma una volta... Pensi che un giorno comprammo un servizio completo di piatti di Vietri: non ci arrivò mai. Dico: un servizio intero. Pagato. Che gran Paese, se non fossimo così furbi...». I vantaggi della flessbilità di Carlo Gnetti Dopo avere illustrato anche su Rassegna <../../../statosociale/articoli/modigliani/prima.htm> la proposta di riforma del sistema pensionistico, il professor Franco Modigliani accetta di rispondere ad alcune domande sullattualità politico-sindacale italiana, pur precisando che alcune delle questioni trattate attengono alla politica interna del nostro paese, e pertanto, non essendo cittadino italiano, non si sente di esprimere giudizi dal suo osservatorio del Massachussets Institute of Technologies di Boston. In primo luogo gli chiediamo cosa pensa riguardo al metodo della concertazione che oggi rischia di essere definitivamente accantonato. "La concertazione osserva Modigliani ha avuto unimportanza enorme, avendo permesso allItalia di risollevarsi dalla crisi del 93 e di superare i problemi legati allinstabilità della lira. Anche se è più importante in tempi tempestosi che in tempi tranquilli, è un metodo che si va estendendo in molte parti del mondo e che ha una funzione importante, in particolare quella di evitare gli effetti deleteri della rincorsa tra prezzi e salari. Non cè quindi alcuna ragione per abolirla, anzi è sbagliato cercare di limitarla o di cancellarla". Rassegna Eppure è proprio quello che intende fare il governo italiano. Modigliani Non ho particolare simpatia per il governo italiano, che non è il mio. Credo che sia uno sbaglio muoversi verso un liberismo privo di senso. Laccordo evita i conflitti ed è utile in qualunque sistema. Ma il conflitto attuale è su punti molto particolari, non riguarda salari e prezzi. Ciò significa minore disponibilità, anche se non credo che voglia dire la fine di ogni collaborazione. Senza dubbio il governo intende ancora evitare lo scontro, ma occorre essere in due a volerlo. Rassegna
Il conflitto riguarda appunto la proposta di riforma
dellarticolo 18 dello Statuto dei lavoratori da
parte del governo. Proposta che, secondo i sindacati,
colpisce un diritto fondamentale: quello al reintegro per
i licenziamenti senza giusta causa. Rassegna Il diritto al reintegro ha avuto anche la funzione storica di impedire le discriminazioni politiche o sindacali allinterno delle aziende. Modigliani Certo. Questo è comprensibile. Ma la giusta causa esclude il licenziamento per ragioni politiche. Rassegna Non ritiene che lattacco al sindacato, che finora ha garantito la coesione sociale sostituendosi anche ai partiti politici, nasconda la volontà di eliminare ogni ostacolo al liberismo dilagante? Modigliani È vero che il sindacato ha avuto un ruolo politico, riempiendo il vuoto lasciato dallinefficienza del sistema politico. Ma è bene che questa funzione sia limitata. Quando i governi sono soddisfacenti non è richiesto un ruolo politico attivo del sindacato, mentre al contrario, quando i governi non sono buoni, è inevitabile che il sindacato assuma un ruolo politico che non gli è proprio. Questo può essere allorigine di alcuni conflitti, perché non sempre il sindacato difende gli interessi generali. Ad esempio il discorso sulle pensioni di anzianità è falsato dal fatto che il sindacato è diventato rappresentante della popolazione anziana, dei pensionati, e quindi spinge per misure che non sono nellinteresse di tutti i lavoratori. Io ho sempre trovato che le pensioni danzianità siano una vergogna puramente italiana, perché i furbi sfruttano i poveracci, e ho dimostrato che chi va in pensione danzianità ha un reddito superiore rispetto alla media. In questo modo invece di ridursi le disuguaglianze aumentano, e a rimetterci sono i lavoratori nel loro complesso. Rassegna In questi giorni si discute dellasse Blair Berlusconi sulle questioni del mercato del lavoro e della flessibilità. Che cosa ne pensa? Modigliani Non conosco i termini
dellintesa fra Berlusconi e Blair, ma è certo che
la flessibilità del mercato del lavoro in entrata e in
uscita è molto importante per riassorbire la
disoccupazione. I contratti che diventano indissolubili
costituiscono un danno e hanno contribuito alla crescita
della disoccupazione giovanile, in particolare delle
donne. Anche questo è un fenomeno tutto italiano. In
Germania addirittura avviene il contrario: la
disoccupazione giovanile ha il tasso più basso. Quando
le imprese non possono mandare via nessuno non assumono
neppure, e in particolare non assumono i giovani. Quindi
sono a favore dei contratti che permettono una maggiore
flessibilità, inclusi i contratti di lavoro interinale.
Questi ultimi hanno prodotto risultati ottimi ovunque, e
buoni risultati anche in Italia. In Europa vi è una
varietà di esperienze in materia di flessibilità, ma in
generale si può dire che i paesi che hanno fatto grandi
progressi nella lotta alla disoccupazione, come Irlanda,
Spagna e Inghilterra, hanno spinto di più in direzione
della liberalizzazione del mercato del lavoro. Fino a
qualche anno fa lInghilterra aveva tassi del 10-11
per cento, simili a quelli italiani. Oggi la
disoccupazione è scesa a livelli molto bassi. Modigliani Questo non sono in grado di dirlo. Se flessibilità vuol dire imitare gli Stati Uniti non cè niente di male. Anche oggi, tenuto conto dei fenomeni ciclici, la disoccupazione negli Stati Uniti è a livelli enormemente più bassi rispetto a quasi tutti i paesi europei. Qui il licenziamento non richiede causa ed è completamente rimesso alla libera scelta del datore di lavoro. Ma capisco che questa è unesagerazione per la tradizione europea. Per quanto riguarda lattacco allEuropa, o meglio alleuro, non ho unidea precisa. Blair è a capo dellInghilterra, paese che non fa parte delleuro, mentre Berlusconi continua a fare dichiarazioni a favore delleuro. Non so se sia una falsità. Tuttavia in questo momento lItalia è molto inserita nel sistema mentre lInghilterra ne è mezza fuori. Rassegna Il governo ha avanzato una proposta di riforma fiscale che riprende in parte il modello americano. Ritiene giusta la critica avanzata dallopposizione secondo cui viene colpito il principio costituzionale della progressività dellimposta, favorendo i ceti più abbienti a danno dei redditi piccoli e medi, difesi dal sindacato e dalle sue politiche mirate alla ridistribuzione della ricchezza? Modigliani Anchio ho riserve sulla
riforma fiscale, in particolare sullidea di
limitarsi a due scaglioni di reddito. Sono convinto della
necessità di una progressività ragionevole, non
esagerata, e da questo punto di vista due scaglioni mi
sembrano inadeguati perché favoriscono le persone più
ricche. Alla stesso modo sono contrario alla riforma dei
sistemi di successione ereditaria. Anche qui occorre una
tassazione ragionevole. Abolire la tassa significa
alimentare una delle fonti principali attraverso cui
vengono perpetuate le disuguaglianze economiche. Si è
parlato di questa eventualità anche negli Stati Uniti,
dove le tasse di successione sono molto alte, sebbene sia
molto facile evaderle attraverso una serie di trucchi. Il
presidente Bush è riuscito a far passare una misura di
detassazione, che però è posposta di molti anni. Resta
da vedere se quella misura verrà mai applicata. Intervista con di Pietro Zullino <../AUTORI/AutoriWZ.html> Se l'informazione è globale Le nuove tecnologie hanno creato uno
spazio planetario nel quale lo scambio di merci e servizi
può avvenire senza alcun limite; cadono i confini
nazionali e presto le politiche monetarie delle banche
centrali non avranno più senso. Ne derivano grandi
opportunità di investimento. |
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