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la redazione namir ha partecipato ad un dibattito avvenuto nella casa delle letterature di Roma, per la presentazione di un libro.

Sottolineiamo, meritevole di attenzione, l'intervento di Pietro Ingrao, che certo ha parlato dell'immagine, strumento comunicativo per eccellenza, ma su di essa, ha detto poche parole che per noi esplicano esattamente l'utilizzo che se ne puo' fare e quanto questo argomento deve essere attento soggetto di studio per la comunicazione.

PIETRO INGRAO.

Sull’immagine.

Voglio dire e dare un contributo personale sul cinema e l’immagine. La critica al cinema e’ sempre un’azione coraggiosa, perche’ rimanda continuamente alla complessita’ della bellezza che si intende raccontare e sottolineo - complessita’ - perche’ e’ fondamentale riflettere su questa parola.

Insisto sull’identificazione dell’immagine, che non puo’ essere letta diversamente se non nella chiave del suo montaggio, che esplica l’artificialita’ di cio’ che viene rappresentato, con la mobilita’ dell’opera.

Il montaggio, cioe’ la presentazione dell’immagine in sequenza o fissa che sia, e’ un’azione inventiva ma anche rischiosa. Nel proseguire del tempo rimane per questo un passaggio significativo e da analizzare in tutta la sua evoluzione, se si intende comprendere l’immagine nel suo atto creativo.

Quindi un’immagine, che noi leggiamo come reale, ha la sua complessita’ nel percorso e di come ci viene consegnata, filtrata attraverso le apparecchiature tecniche moderne o passate che siano. L’immagine in azione, cioe’ in sequenza, quella del cinema, dona sicuramente un prodotto d’insieme, come un cerchio che si chiude, perche’ questa nasce dalla fotografia ma da essa si distacca completamente per tanti motivi emozionali che non staro' ad elencare.

L’immagine ha una ricchezza incredibile, ma e’ anche sfuggente, bisogna comprenderne il reale linguaggio, racchiuso nell’eliminazione della parola scritta. Un fotogramma racconta da solo, nel suo illuminarci gli occhi, l’espressivita’ dei contenuti che racchiude e questa secondo me e’ la vera forza e pericolosita’ del percorso espressivo dell’immagine.

Il trovarsi davanti a quel quadrato bianco, per poi vederlo riempire di colori e prospettive, nel contrasto netto tra chiari - scuri e parola, perche’ il cinema e’ soprattutto visione e incertezza, capacita’ cioe’ di far proseguire nel fruitore e nell’immagine-azione, le problematiche osservate e non raccontate, t'incanta.

L’incertezza di Chaplin la trovo magnifica, cosi’ come i versi di una poesia, che hanno una loro fluttuazione nel tempo, per chi la sfoglia, la impara a memoria ne ricorda i versi. Ma come si leggono i versi di una poesia ?

E’ un bel problema, perche’ basta saltare una virgola nel leggerla, e da fruitore a fruitore si trasforma, cambia il timbro sonoro e vocale, con cui l’hai scritta e pensata, diventa altro, bella o brutta che sia. Insomma l’immagine come la poesia ha la sua capacita’ linguistica nel montaggio, che avviene successivamente anche nel fruitore.

Il cinema realista, ha una sua conseguenza, che penetra in zone precarie, dove ci sono messaggi indiretti, con nomi e parole che diventano altro nel pensiero di chi lo segue, sommerso dalla visione del significato e non dalla distrazione.

Con l’immagine,siamo continuamente alla ricerca, essa ci spinge a fare quest’azione ed e’ per questo io credo, la vera rivoluzione del nostro secolo, dal 900 in poi. L’immagine ci ha fatto percorrere la modernita’, la storia, ci ha fatto percorrere il passato di sempre, contenuto nella sua presentazione, che si trasforma in futuro mentre la osserviamo.

Bisogna saperne leggere la sua dimensione, il suo percorso, la sua estetica, il piacere e la pericolosita’ della stessa, perche’ e’ rapida e sempre senza alcun commento.