DA - L'UNITA'.
Caro presidente
provo vergogna
di Alberto Asor Rosa
L'Avana: sul Malecon, poco dopo lo show room della
Fiat, c'è una chiesa dove ogni mattina si incontrano i
familiari di chi è in prigione. I padri che fanno la
spola tra la chiesa e le carceri sono due. Gli altri
danno una mano. Ogni carcerato cubano riceve un modulo da
riempire: se desidera un incontro «religioso» ( sono
sette le confessioni ammesse a Cuba, compreso lo
spiritismo) può riempire il modulo, consegnarlo al
direttore delle carceri e aspettare. Ma la richiesta di
una visita da parte di chi deve consolidare lo spirito
arriva con sempre meno frequenza ai sacerdoti autorizzati
a visitare le prigioni.
I moduli si perdono per strada. Ogni mattina la moglie e
la madre di Oscar Manuel Espinosa Chepe arrivano nel
grande corridoio della speranza. Ma è una speranza
rimandata.
In modo tale da rendere impossibile alla nostra
magistratura di perseguire il medesimo presidente del
Consiglio e alcuni dei suoi presunti complici per reati
comuni (alcuni dei quali gravissimi, come la corruzione
dei giudici), commessi nella fase precedente
lassunzione, in seguito al voto degli italiani, di
tale prestigiosa carica.
Per ottenere tale effetto non solo, come ho già detto,
il Parlamento repubblicano è stato continuamente piegato
a esercitare una funzione di omertosa salvaguardia nei
confronti delle azioni giudiziarie intraprese, ma è
stato necessario scatenare contro la magistratura una
violenta azione di demolizione e di scardinamento,
opponendo al tempo stesso una strenua resistenza allo
svolgimento regolare dei processi.
Affinché le iniziative intraprese potessero avere
miglior successo, il collegio di difesa del premier è
stato trasferito di peso sugli scanni parlamentari, ed è
così potuto accadere che il capo di tale collegio
difensivo, trasferendosi da Milano a Roma e dalle aule
del tribunale a quelle della Camera dei deputati,
potesse, qui da presidente della Commissione Giustizia,
continuare a ordire il medesimo disegno impostato
dallavvocato difensore, al fine di tenere il
premier al riparo dalle maglie di una giustizia, di cui
vanamente si continua a leggere, come un ritornello
sempre più vuoto e sempre più stanco, che essa sarebbe
«uguale per tutti».
Taccio del contesto di estrema anomalia, - ormai al di
là dei confini della rottura delle regole stesse che
presiedono al buon funzionamento di un sistema
democratico, - dentro cui questa forsennata e inedita
vicenda si è svolta: il perdurante conflitto
dinteressi, infatti, mette nelle mani del premier
un potere immenso, rischioso e di assoluta perversione
istituzionale, sullintero sistema
dellinformazione, consentendogli di fronte
allopinione pubblica una libertà di movimento che
altrimenti non avrebbe.
Lapprovazione da parte del Parlamento del Lodo, che
ormai solo impropriamente si potrebbe definire dal nome
del suo primo presentatore, lon. Maccanico,
rappresenta il culmine di tale ostinata ricerca
dellimmunità e al tempo stesso il prevedibile
punto di partenza per altre iniziative volte a scardinare
lordinamento giudiziario italiano. Cinque
cittadini, infatti, - cinque comuni cittadini, mi
permetta questa sottolineatura, da ogni altro punto di
vista, - per il fatto che occupano le più alte cariche
dello Stato (motivo che, a pensarci bene, dovrebbe
indurre a pensarle e sperarle più impeccabili e
trasparenti di qualsiasi altra), vengono in questo modo
sottratte alla giurisdizione del Codice Penale per
qualsiasi reato questo contempli, sia, cosa ancor più
straordinaria, per quanto eventualmente avessero a
commettere in futuro.
La cosa è tanto più scandalosa in quanto, come anche un
bambino non stenterebbe a capire, quattro di quelle
persone si offrono in ostaggio unicamente perché alla
quinta sia consentito di uscire indenne dalla moltitudine
delle inchieste e dei processi che le piovono addosso.
Lei, Signor Presidente, non potrà consentire,
ovviamente, con lidea, che il premier tenta di
accreditare, secondo cui egli sarebbe oggetto di una
«persecuzione giudiziaria». Se questa tesi fosse
minimamente fondata, infatti, lordine giudiziario
avrebbe dovuto da Lei medesimo, che ne ha facoltà, esser
chiamato a risponderne attraverso linchiesta più
severa. Siccome sappiamo, anzi, tutti sanno che non è
così, non resta che concludere che il Lodo ex Maccanico
non serve che a sottrarre il premier allo svolgimento dei
processi, ai quali, come qualsiasi altro cittadino, in
quanto accusato di reati comuni, dovrebbe sottostare. È
precisamente ciò che io trovo vergognoso, e per cui
provo vergogna come italiano di fronte ai miei amici
europei e di tutti i paesi del mondo. Che se poi, come si
sente dire, si trattasse di garantire mediante tali
procedure il normale e dignitoso svolgimento del semestre
di presidenza italiana in Europa, io penso che, per il
buon nome della nostra Italia, così frequentemente, e
spesso anche così ingiustamente mal giudicata fuori dei
nostri confini nazionali, converrebbe coraggiosamente
ammettere che lItalia non è in grado in questo
momento di assolvere in maniera dignitosa a compiti di
rappresentanza internazionale. Se ci sono vergogne
nazionali, - e in questo momento non vè dubbio che
ve ne siano, - meglio sarebbe confessarle che sforzarsi
ad ogni costo di esportarle.
Lespressione dei sentimenti, che Le trasmetto,
Signor Presidente, è sincera quanto il rispetto e
laffetto, che, come Lei sa, le porto. Spero
sinceramente di essere il solo in Italia a nutrire questo
senso di frustrazione e di dolore, ma, se così non
fosse, - e temo purtroppo che non lo sia, - la prego di
leggere con animo aperto queste righe.
Suo affezionatissimo e devotissimo
Alberto Asor Rosa
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DA - IL
MANIFESTO
Un mega ponte
per Lunardi
Il sì politico della commissione di valutazione
ambientale alla grande opera sullo Stretto
Gli esperti nominati dal governo danno il via libera al
ponte di Messina ma prescrivono altri studi di carattere
ambientale e geologico. Per le associazioni è «una
decisione pilatesca»
M. BA.
ROMA
Il Ponte sullo stretto di Messina si può fare. Ma al
momento nessuno è in grado di sapere esattamente come,
né a quale prezzo economico o ambientale. E' questo il
senso della valutazione di impatto ambientale consegnata
ieri dalla commissione speciale Via al ministero
dell'ambiente. Una decisione che se negli esiti appare
scontata - date le intenzioni del governo - contiene
però una serie di vincoli e prescrizioni che rischiano
di snaturare il progetto elaborato finora, facendo
lievitare i costi già faraonici. La Società Ponte sullo
Stretto di Messina Spa infatti ha ricevuto alla fine di
aprile il primo mezzo miliardo di euro necessario al suo
funzionamento. Uno stanziamento che si ripeterà per
altri cinque anni, arrivando alla cifra record di 2,7
miliardi di euro. Che rappresentano però solo il 40%
dell'opera. E il resto? Lo cercheremo sul mercato, hanno
detto gli entusiasti del ponte. Ma le otto paginette
della Via di ieri (a fronte di quintali di tavole,
progetti, rapporti) chiedono di più e sono state scritte
dopo pesanti discussioni tra i tecnici del ministero. Gli
esperti hanno detto che il ponte, dal punto di vista
ambientale, si può realizzare. Però, come si evince
incredibilmente dalla lettura del testo, bisogna ancora
presentare studi geologici, sismici e tettonici, il
monitoraggio dei siti di importanza comunitaria (zone
umide e così via), un modello idrogeologico di tutte le
gallerie a monte e a valle, lo studio dell'inquinamento
acustico. Richieste non da poco. E' spontanea allora la
domanda di Edoardo Zanchini, responsabile trasporti di
Legambiente: «La società del Ponte come ha fatto a
disegnare un progetto senza tener conto di questi aspetti
basilari?». La risposta è semplice. Il ponte sospeso
più lungo del pianetea (3.300 metri) è la prima opera
realizzata con le nuove norme della Legge Obiettivo
elaborata dal ministro delle infrastrutture Lunardi. La
nuova Via semplificata ha trasferito le valutazioni
ambientali alla fase del progetto preliminare. Ecco
perché, come commenta Zanchini, la «commissione ha
preso una decisione pilatesca. Ha dato il via libera
sulla base di un progetto non definitivo e ha poi
richiesto una serie di studi e interventi che non sono
ancora stati previsti». Per esempio Zanchini ricorda il
caso dei Pantani di Ganzirri, due laghi di interesse
comunitario accanto ai quali dovranno sorgere i due
piloni siciliani del ponte, due voragini cubiche da 50
metri di lato, due palazzi di 20 piani. Su questo punto
la Via chiede una completa impermeabilizzazione
dell'opera, per impedire lo svuotamento dei bacini
naturali. Una cosa mai realizzata e i cui costi nessuno
ha ancora ipotizzato. Inoltre, ed è forse l'aspetto più
singolare, manca totalmente l'assicurazione che il
collegamento del ponte con la rete ferroviaria calabrese
si farà. A Cannitello infatti, vicino Reggio, la
ferrovia scorre a livello del mare, 70 metri sotto quella
siciliana. Come si collegherà al ponte, dato che in quel
punto è prevista la costruzione dei piloni di sostegno
calabresi? La soluzione ipotizzata è quella di costruire
una nuova linea ad alta velocità in galleria che
attraversi le montagne calabresi fino al mare. Tutto
perfetto, peccato che su questo punto Reti Ferroviarie
non abbia disposto finora nessuno stanziamento
signficativo.
Ce n'è abbastanza, secondo Legambiente, per fare ricorso
al Tar e alla Corte Europea. A questo punto, dice il
portavoce dell'associazione Roberto Della Seta: «I costi
del progetto non sono chiari e non oso immaginare cosa
succederebbe se gli studi richiesti ieri dovessero dare
in futuro esito negativo». «Inoltre - ricorda Della
Seta - alcuni documenti di integrazione al progetto del
ponte non sono stati messi a disposizione delle
associazioni come richiede la legge, impedendoci di
esprimere valutazioni complete».
Anche per il Wwf «il via libera espresso dal ministero
dell'Ambiente al Ponte sullo stretto di Messina appare
più politico che tecnico: con le stesse motivazioni il
progetto poteva essere respinto», dice l'associazione,
che aggiunge: «E' un progetto pieno di carenze che non
ha tenuto in alcun conto i problemi di equilibrio
ambientale e naturalistico che avrebbero potuto motivare
un parere negativo».
Ora il ponte aspetta l'esame del Cipe, atteso entro
l'estate. Un calendario blindato che non ammette
rallentamenti.
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DA - IL MANIFESTO
Salonicco primo
atto
Contro il vertice Ue le anime più radicali del movimento
europeo Un'ora di scontri tra polizia e manifestanti,
pioggia di lacrimogeni e cariche anche sulla spiaggia.
Cinque feriti Disobbedienti con le protezioni come a
Genova, anarchici in nero all'università, Social forum
diviso. Oggi sfilano in 100 mila ma senza sindacati
ANGELO MASTRANDREA
INVIATO A SALONICCO
Dieci minuti per trecento metri di strada attorno
all'ecomostro di Porto Carras, un vero e proprio
obbrobrio urbanistico a pochi metri da una delle spiagge
più belle e incontaminate della Grecia che ospita il
vertice dell'Unione europea. Tanto è durato
l'accerchiamento della zona rossa che ha portato fin
dalla mattina di ieri circa 10 mila attivisti a montare
su un autobus o in auto per spostarsi nella amena
località di villeggiatura di Neos Marmaras, un pugno di
case raccolte attorno a un golfo nella penisola
Calcidica. Ma è bastato che qualche centinaio di
disobbedienti locali, con protezioni in polistirolo e
gommoni come a Genova durante il G8, si mettesse a
fronteggiare la polizia mentre dal più ampio spezzone
del blocco nero che seguiva poco dietro volava qualche
sasso, a provocare un vero e proprio diluvio di
lacrimogeni, che in pochi minuti hanno dissolto il corteo
e provocato un'ora abbondante di battaglia prima attorno
al ponte dove era avvenuto il fronteggiamento, a due
chilometri circa dall'albergo del summit, poi nei campi
che circondano il paesino, sulla spiaggia e lungo la
strada che la costeggia, in uno scenario da cartolina. Al
termine, fonti di polizia parlano di tre feriti tra i
manifestanti, «caduti mentre correvano lungo la
spiaggia», e altrettanti tra gli agenti, colpiti da
sassi. Nulla di grave ma nemmeno di esauriente, se
percorrendo a ritroso il percorso del mini-corteo abbiamo
incontrato nell'ordine un fotografo professionista con la
macchina fotografica distruttagli da un colpo di karate
(che il malcapitato mima) di un poliziotto delle unità
speciali antisommossa nascoste tra gli ulivi come nei
campi (le stesse che a battaglia finita raccoglievano
bandiere rosse e anarchiche a mo' di trofeo), e un
manifestante con la schiena tumefatta da lacrimogeno
soccorso da un ristoratore che aveva aperto le porte del
locale a chi cercava riparo. Altri flash della giornata:
un anziano abitante del luogo che con calma olimpica
cerca di spegnere il fuoco appiccato a una barricata; un
gruppo di «neri» che spegne un incendio provocato da un
lacrimogeno finito nelle sterpaglie e che stava
pericolosamente estendendosi; un gruppo di militanti «no
border» che va a portare simbolicamente del cibo agli
immigrati reclusi in un centro di detenzione a pochi
chilometri dal luogo in cui si discute anche di come
impedire ai migranti di arrivare in Europa; un Buddha bar
di fronte al mare, simbolo della globalizzazione, stretto
tra un cordone di poliziotti e i container che delimitano
la zona rossa. Non è stata una manifestazione di massa,
quella di ieri a Neos Marmaras, ma piuttosto di quelle
componenti del movimento che volevano far sentire la loro
pressione sui partecipanti a un vertice organizzato in
modo da renderne il più sconsigliabile possibile la
contestazione: disobbedienti (ma solo una parte del
social forum ha accettato di andare in piazza ad aprire
il corteo con gommoni e protezioni); blocco nero,
«Stalin bloc», Iniziativa Genova 2001 e poco altro.
Sono invece attese almeno centomila presenze al corteo
che sfilerà oggi in una Salonicco affatto «chiusa» e
che vedrà insieme tutte le componenti che hanno dato
vita alla tre giorni di mobilitazioni contro il summit
Ue: le cento e passa organizzazioni del Forum sociale
greco; i militanti di Iniziativa Genova 2001; sindacati
di base (per la prima volta da oltre due anni a questa
parte, a un controvertice europeo spicca l'assenza dei
confederali della Confederazione europea dei sindacati);
i comunisti ortodossi e antieuropeisti del Kke, raccolti
nel cartello Azione Salonicco 2003; i numerosi anarchici
che hanno occupato la facoltà di Filosofia in polemica
con il social forum che aveva contrattato con le
istituzioni la concessione della stessa e che hanno
esposto provocatoriamente lo striscione «black bloc
squat» rivendicando per la prima volta l'appartenenza a
una pratica, con il risultato che alcuni dei forum del
controvertice previsti all'interno sono stati spostati
altrove. Domani, invece, ultimo giorno di forum e
assemblea dei movimenti in cui si tireranno le somme di
questa tre giorni che un po' tutti hanno voluto
somigliasse a Genova 2001, tanto che come allora a
catalizzare maggiormente l'attenzione sono stati i
momenti di conflitto (cortei e azioni dirette) piuttosto
che quelli di discussione. Poi si torna in Italia, e i no
global partenopei presenti a Salonicco già pensano al
primo appuntamento del semestre italiano, il 5 luglio a
Napoli quando si incontreranno i ministri dei trasporti
dell'Ue.
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DA - IL MANIFESTO
I gay sulla
road map
«Pride» a Gerusalemme, per un «amore senza confini
contro i muri di Sharon»
MICHELE GIORGIO
GERUSALEMME
Gay pride a Gerusalemme. E' un raduno omosessuale diverso
da quelli delle altre città del mondo. Un po' perché
nella bigotta Gerusalemme, città santa per tre
monoteismi, gay e lesbiche fanno più scandalo. Non è un
caso che si sia stato solo il secondo gay pride per
Gerusalemme, occupata per metà (la zona araba, da 36
anni) e amministrata (la zona ovest) da alcune settimane
dal suo primo sindaco ebreo ortodosso che, suo malgrado,
è stato costretto ad autorizzare la sfilata omossesuale
finendo nel mirino della potente comunità haredim
(i «timorati»). Molto di più perché Gerusalemme è al
centro del conflitto israelo-palestinese e la città
respira l'aria dell'Intifada palestinese contro
l'occupazione. «Amore senza confini», lo slogan del gay
pride e sembra fare riferimento al quel muro che Israele
sta costruendo per rinchiudere la Cisgiordania e i
palestinesi in una enorme prigione di cemento armato.
Così un anno dopo, con molte centinaia di morti in più
- tra cui Alan Bier, attivista di «Open House»,
l'associazione che tutela gli omossessuali promotrice del
gay pride, morto dell'attentato dell'11 giugno a
Gerusalemme -, tante distruzioni in più nei Territori
occupati e un piano di pace Usa, la «road map», al
quale si affidano ingenui e disperati, inevitabilmente
l'occupazione e l'Intifada occupano il posto centrale del
raduno omosessuale che anticipa quello che si terrà tra
qualche giorno a Tel Aviv. Gili, 27 anni lesbica e
militante del gruppo «Kvisa Shchora» (Biancheria
sporca), tiene in alto uno striscione: «Non c'è
orgoglio nell'occupazione, fermatela». Con lei avevamo
parlato già un anno fa, al primo gay pride di
Gerusalemme. Cos'è cambiato nell'ultimo anno? «Direi
che sia dal punto sociale e politico le cose sono
peggiorate nella società israeliana e verso i
palestinesi - ci ha detto - c'è stato un aumento della
disoccupazione, tanti sono diventati poveri a causa della
politica economica di questo governo di destra. La
società è diventata più violenta verso qualsiasi
minoranza e i palestinesi, certo è meno tollerante verso
gli omosessuali». Gili vede a Gerusalemme «confini
senza amore». «In questa città tutto è diviso:
israeliani e palestinesi, uomini e donne, ricchi e
poveri, disabili e non. I problemi si stanno aggravando,
primo fra tutti il razzismo ma anche il militarismo
sfrenato. Questa società è stata rovinata dallo
sciovinismo, dall'aggressività. Qualche anno fa ho fatto
il mio periodo di servizio militare, oggi invito tutti i
giovani non solo a rifiutarsi di andare nei Territori
occupati palestinesi ma a boicottare totalmente il
servizio di leva. E' un nostro dovere combattere il
militarismo che offusca la mente». Ai margini del raduno
un uomo sbraitava contro gli omosessuali: «Siete la
vergogna di tutti noi, siete il cancro della società,
sparite, andate via». Un religioso ultraortodosso, in
lontananza ricordava a un gruppetto di persone che la
Bibbia prevede la lapidazione per gli omosessuali. Presa
di mira è stata in particolare Samira, araba israeliana
(palestinese con cittadinanza israeliana) di Haifa,
lesbica e militante di «Kvisa Shchora». «Che ci fai
qui, vai da Arafat, sharmuta (puttana) torna dai
tuoi palestinesi, lascia subito la nostra terra», gli
gridava un religioso. «Sono doppiamente discriminata,
come lesbica e palestinese, sono abituata a questo tipo
di insulti», ha commentato accennando un sorriso. Poco
dopo è giunta la delegazione italiana composta da
Arcigay, conil responsabile esteri Renato Sabbadini,
Antagonismo Gay e dal Movimento Omosessuale Sardo: le
associazioni promotrici dell'iniziativa di pace
gaylesbica «Queerforpeace». Lo slogan della loro
partecipazione ha un contenuto politico che non lascia
dubbi: «Fai dell'amore la tua unica occupazione».
Sabbadini assieme a Massimo Mele e ad un'altra ventina di
componenti della delegazione hanno avuto incontri in
Israele ma hanno anche visitato i Territori occupati allo
scopo non solo di rendersi conto della difficile realtà
degli omosessuali palestinesi, ancora costretti a
nascondersi, ma anche dell'assedio militare israeliano
che subisce l'intera popolazione palestinese. Ieri hanno
incontrato l'esponente palestinese Hanan Ashrawi che,
oltre ad esprimere il suo profondo scetticismo verso la
«road map», ha ipotizzato il riconoscimento dei diritti
degli omosessuali palestinesi tra gli articoli sui
diritti civili della futura carta costituzionale dello
Stato di Palestina. «Siamo per una società migliore dal
punto di vista sessuale ma non solo. Siamo venuti qui per
dire no a questa occupazione militare e per sostenere la
nascita di uno Stato palestinese libero», ha spiegato
Stefano Barozzi, di Rovereto. «Certo volevamo incontrare
i gay locali, ma più di tutto volevamo conoscere la
condizione del popolo palestinese. Ho visto in
Cisgiordania le città circondate che non possono
respirare. L'obiettivo, oggi irrealistico, è la
formazione di uno Stato unico, che non si chiami più
Israele, in cui (israeliani e palestinesi) possano vivere
insieme. Più realisticamente si deve puntare al ritorno
di Israele ai confini del 1967 e fare di Cisgiordania e
Gaza i territori dello Stato palestinese con capitale
Gerusalemme est».
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DA - IL SOLE 24 ORE
Immigrazione:
Berlusconi, situazione Italia migliore in Ue
Radiocor - Salonicco, 20 giu - La situazione
dell'immigrazione in Italia "e' probabilmente la
situazione migliore in Europa". Dal Consiglio
europeo di Salonicco, dove e' giunta l'eco delle critiche
della Lega ai provvedimenti del Governo, presidente del
Consiglio, Silvio Berlusconi, smorza i toni e attribuisce
responsabilita' ai mezzi di informazione di massa:
"Purtroppo certe situazioni vengono amplificate dai
mezzi di comunicazione e dalle tv prima di tutto",
ha detto il premier citando l'esempio degli sbarchi a
Lampedusa. In ogni caso, secondo Berlusconi, "per
numero complessivo di immigrati e in percentuale sulla
popolazione italiana noi siamo probabilmente il Paese che
soffre di meno di questo problema. Quindi, credo che il
problema sia ovviamente un problema, ma che siano state
messe in atto, con l'approvazione della legge Bossi-Fini
e con il nuovo decreto sulle regole di ingaggio della
nostra Marina, le misure atte a contenere il fenomeno e a
risolverlo".Amm
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DA - LA STAMPA
Al HackMeeting
2003
si parla di wireless e copyright
Fino a stasera a El Barrio, periferia Nord di Torino
22 giugno 2003
di Monica Perosino
TORINO. Periferia Nord di Torino: dalle finestre di El
Barrio, ex scuola ora trasformata in centro di
aggregazione giovanile dal Comune, escono metri di cavi
di rete tirati fino al giardino, ovunque gli hacker sono
allopera, al riparo degli alberi in cortile, nelle
stanze dei seminari, nella grande aula magna: è il terzo
giorno dellHackmeeting. Oltre duemila gli hacker
venuti da tutta Italia - i gruppi più numerosi da
Sicilia, Veneto, Bologna, Milano e Firenze -, ma anche da
Francia, Spagna, Croazia e Germania. Molti - quasi
quattrocento - sono arrivati con pc e tenda, altri sono
di passaggio, numertosi sono i curiosi e i semplici
interessati che, nonostante il caldo, hanno deciso di
seguire i seminari e gli incontri delledizione di
questanno.
Il tema più discusso è stato l'EUCD (European Union
Copyright Directive) e sul suo recepimento in Italia: le
modifiche alla legge sul diritto d'autore, i nuovi poteri
per editori e produttori di software proprietario, i
danni ai diritti di utenti, ricercatori, sviluppatori di
software libero.
Se nelledizione di Bologna dello scorso anno si è
parlato dellesplosione dei computer portatili, il
boom del 2003 riguarda la tecnologia wireless e le sue
applicazioni.
Il pomeriggio al Barrio trascorre tranquillo, gli
"acari" vivono "in autismo", come
scherzosamente spiegano descrivendo lattività che
non si ferma se non per qualche pausa in giardino
magari per preparare la grigliata in programma questa
sera -, o per un attimo di risposo, la testa appoggiata
accanto alla testiera.
Tra i vari ospiti è arrivato in città anche il tedesco Tim
Pritlove del Caos Computer Club, uno dei primi
gruppi hacker europei, che dal 7 al 10 agosto organizza
un camping a Berlino.
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