Il direttore
generale della Rai: "Nomine obbligate
e non è vero che porto nella tv pubblica gli uomini
Mediaset"
Saccà:
"Berlusconi mi ha chiamato
sono in trincea ma tranquillo"
Sulla liquidazione: "Abbiamo solo adeguato il
mio Tfr
a quello di Cappon e Celli. Quel che mi spettava"
di ALDO FONTANAROSA
ROMA - Dottor
Saccà, l'avete fatta grossa.
"Mi scusi, ma oggi le
interviste sono pericolose".
C'è da capirlo. Non era mai successo, nella pur
pirotecnica storia della Rai, che due consiglieri
d'amministrazione superstiti e un direttore generale
contestato procedessero a ben 14 nomine. Eppure, alla
fine, Saccà non si sottrae ad alcune domande.
"La politica ha i suoi tempi e i suoi riti, che
rispetto. Ma la Rai - dice - è un'azienda che va
governata. Certe nomine erano urgenti".
Un golpe,
secondo Rutelli.
"Abbiamo indicato i dirigenti
di Rai Sipra, e poco più. Sipra è la nostra
concessionaria della pubblicità, il pilastro della Rai.
Se non li avessimo nominati, qualcuno ci avrebbe chiamato
a risponderne. Voglio dire: se la Sipra perde 200 milioni
di pubblicità, perché è senza presidente e
amministratore, questi soldi poi chi ce li mette?".
Lo spieghi al
presidente del Senato Pera, che critica le vostre
"astuzie personali".
"Su questo, che dirle? Per
Pera e Casini ho un rispetto enorme, e per le istituzioni
che rappresentano. Se c'è bisogno di un qualsiasi
chiarimento, sono qui. Ma senza polemiche, né
intermediari".
Alla fine lei è
riuscito a portare a RaiSipra, pilastro della Rai, Mario
Bianchi. Nomina indigesta.
"Credo che, su questo,
procederemo ad alcune mirate querele".
Giornalisti e
deputati avranno pure il diritto di criticare.
"Continuate a scrivere che
Bianchi è stato in Mediaset e che lo portiamo in Sipra
come quinta colonna del nemico. Lo dico anche al deputato
e amico Giulietti dei Ds: è falso. Bianchi non ha
passato in Mediaset un solo giorno. Semmai ha lavorato
con Formenton. Semmai in Sipra, da bravo direttore delle
vendite. Semmai alla 7".
In Sipra però, vi
contestano, era con Adreani, che oggi è a Mediaset.
"Demonizzare una persona
valida come Bianchi per motivi politici è gravissimo, in
uno Stato di diritto".
Era il caso che
il consiglio, ieri, le aumentasse la liquidazione?
"Su questo vorrei essere
chiaro".
E fa bene: era
incredulo anche Petruccioli, un moderato.
"La questione era all'ordine
del giorno da tempo, da ottobre. Per un automatismo,
legittimo, era previsto che la mia liquidazione fosse
portata al livello dei miei predecessori alla direzione
generale, Cappon e Celli. I direttori dell'era ulivista.
Non prenderò un solo euro in più di loro, che è poi
quello che mi spetta".
Perché farlo
oggi, però? Teme di andar via?
"Avevamo esaurito ogni altra
questione in esame, tutto qui. Tengo anche a dire che, 8
mesi fa, il Tesoro ha proposto ben altro per me".
Cioè?
"Come da consuetudine, ha
concordato con il presidente della Rai un aumento della
mia retribuzione e un premio di produttività, il
"Mob". Bene: io non ho mai chiesto che questi
aumenti, consistenti e anch'essi dovuti, venissero
votati. Non volevo che qualcuno potesse dire, in
consiglio: votiamo l'aumento del tuo stipendio, però in
cambio ci devi dare... Non aspettavano altro, sa?".
Posso chiederle
quanto guadagna?
"Direi di no. Sono un
dirigente di una società per azioni. In ogni caso,
troppo poco per quanto lavoro".
Ha sentito
Berlusconi?
"Qualche ora fa. Mi fa:
"Dottor Saccà, la trovo tranquillo". Ed io:
perché lavoro".
Ha aggiornato
Berlusconi su Biagi e Santoro, i due giornalisti che - la
accusano - lei ha accantonato su esplicito diktat?
"Con Biagi non ho problemi:
l'ho spiegato a Petruccioli e al consiglio. Con Santoro,
invece, ci sono problemi perché non sempre è
pluralista. Non sono io a dirlo, e neanche questo o quel
politico, ma l'Autorità delle Comunicazioni".
Antonio Socci, con il suo "Excalibur", è
pluralista?
"Non mi sembra che l'Autorità gli abbia mosso alcun
rilievo".
Lei chiede un
aumento del canone di 5 euro. Gasparri risponde picche.
"Aspettiamo fine mese, quando
l'aumento sarà deciso. Noi abbiamo le carte in regola:
un nuovo canale satellitare per insegnare le lingue,
studi di produzione a Milano, una cittadella della tv
accanto a Saxa Rubra. Il governo sosterrà i nostri
investimenti".
Ieri, Saccà,
avete indicato il rappresentante della Rai nella tv di
San Marino perché, dice Baldassarre, si rischiava
grosso. C'era forse una guerra alle porte?
"Con San Marino vige un
trattato internazionale. Da tempo era attesa questa
nomina. I piccoli si rispettano, non si
mortificano".
Dopo questa
giornata, come si sente?
"In trincea, certo. Una
trincea fangosa. E a volta, tra il fango, ci può essere
anche dell'altro. Ma lavoro per la Rai e rispetto la
politica".
(22 novembre 2002)
I presidenti delle Camere annunciano
"approfondimenti giuridici"
dopo il Cda a due in cui Baldassarre ha deciso 14 nomine
Crisi Rai, Pera
e Casini:
"Viva preoccupazione"
Protesta anche l'opposizione, critiche dai centristi
del Polo
Rutelli: "Operazione indecente. Impossibile una
ricomposizione"
ROMA - "Viva preoccupazione
istituzionale". E' quella manifestata dai presidenti
di Camera e Senato, al termine dell'incontro nel quale
Pierferdinando Casini e Marcello Pera hanno affrontato la
questione Rai. In un comunicato congiunto, i presidenti
delle Camere hanno espresso "piena identità di
vedute e viva preoccupazione istituzionale per la
situazione", aggiungendo che "seguono con
attenzione, nell'ambito delle competenze a loro
attribuite dalla legge, l'evolversi della situazione, e
torneranno a vedersi nei prossimi giorni anche per un
approfondimento di carattere giuridico.
Si è conclusa così la riunione che ha affrontato la
crisi esplosa ieri a viale Mazzini, con le dimissioni dei
due consiglieri d'amministrazione Zanda e Donzelli, e
ulteriormente aggravata dalla riunione del cda di
stamattina. Quando, nonostante due consiglieri
dimissionari, e un terzo assente per polemica, Antonio
Baldassarre ha deciso di andare, comunque, avanti.
Il presidente della Rai si è seduto al tavolo con il
consigliere "superstite" Albertoni e insieme a
lui ha deciso 14 nomine che attendevano da mesi. Quelle
più importanti riguardano i nuovi vertici alla Sipra, la
concessionaria che raccoglie la pubblicità della tv
pubblica, e il nuovo presidente per RaiCinema. Deciso e
sottoscritto da due soli consiglieri su cinque,
affiancati dal direttore generale Saccà. Un blitz che ha
sollevato dure reazioni da parte dell'Ulivo ma anche
critiche dai centristi della maggioranza.
Decisione che non è piaciuta neanche al presidente del
Senato, Marcello Pera, che già prima dell'incontro con
Casini aveva constatato "con rammarico che cavilli
giuridici e astuzie personali non rispondono a quel
richiamo al senso di responsabilità di tutti che avevo
espresso nella giornata di ieri".
Fin dalla fine della riunione
Baldassarre si era difeso parlando di "Nomine
urgenti che non potevano attendere". Ulteriori
ritardi alla Sipra, ha insistito il presidente,
rischiavano di fare "perdere quote di mercato alla
Rai". Alla presidenza della Sipra è andato Raffaele
Ranucci, l'amministratore delegato è Mario Bianchi.
Deciso anche il presidente di Rai Cinema: Franco Iseppi,
che prende il posto di Giuliano Montaldo.
Durissimi i commenti dell'Ulivo: "Quella fatta oggi
è un'operazione più che sospetta. E' indecente",
ha dichiarato Francesco Rutelli", che durante la
registrazione di "Porta a Porta" non ha
risparmiato critiche. "Una ricomposizione sulla
questione Rai - ha incalzato Rutelli - non è possibile,
perché quello che è successo oggi non è una cosa
normale. E' successa - ha proseguito - una cosa siderale,
astrofisica". Secondo il coordinatore dell'Ulivo,
"le nomine che attribuiscono la responsabilità per
la pubblicità e la fiction sono state attribuite con una
minoranza in Cda e senza discuterne con nessuno".
Anche il consigliere dimissionario Donzelli, parla di
"margini di incostituzionalità" del Cda a due.
E dalla maggioranza si è levata la voce del ministro per
le Politiche comunitarie Rocco Buttiglione: "Fare
delle nomine in queste condizioni non è esattamente quel
comportamento responsabile che mi attendevo per evitare
di aggravare la crisi della Rai. Credo- ha aggiunto
l'esponente centrista - che tutti quanti debbano fare un
passo indietro".
Pesanti le reazioni dei Democratici di sinistra.
Baldassarre non può restare alla guida della Rai un
minuto di più", ha dichiarato il segretario
Fassino. Uno "schiaffo" nei confronti di Pera e
Casini è il parere di Fabizio Morri, responsabile
informazione dei Ds; "Questa mattina è stato
compiuto un atto di grave scorrettezza non verso le
opposizioni, ma verso le istituzioni, soprattutto verso i
presidenti di Camera e Senato: per loro è un vero
schiaffo".
Sventato però - secondo Baldassarre - l'incidente
diplomatico. Fra gli incarichi, oltre a Sipra, RaiCinema,
Auditele e Audiradio, c'è anche quello di direttore di
Tele San Marino, attribuito al giornalista Michele
Mangiafico. Necessario, spiega il presidente della Rai,
dopo le "proteste ufficiali del governo di San
Marino".
Intanto, da Praga, dove partecipa al vertice Nato, il
presidente del Consiglio Berlusconi ha detto in più
occasioni che è sua intenzione tenersi a distanza dalla
vicenda Rai. "Voglio restarne fuori. Il problema
della Rai - ha datto il premier - appartiene a chi ne
deve decidere, cioè agli attuali consiglieri ed,
eventualmente, ai presidenti di Camera e Senato".
Una presa di distanze che non convince il capogruppo dei
Democratici di sinistra, Luciano Violante. Il premier
"c'è dentro fino al collo - afferma l'ex presidente
della Camera - basta guardare alla collocazione degli
uomini Mediaset." Una crisi, quella di viale
Mazzini, dalla quale, secondo Violante, si può uscire
solo in due modi: "O cambia l'indirizzo
dell'azienda, oppure se ne devono andare tutti a casa e
si cambia tutto".
(21 novembre 2002)
COMMENTO
Gli irriducibili
di Viale Mazzini
di MASSIMO GIANNINI
QUESTA crisi della Rai è molto più
che una rognosa bega post-democristiana, una guerricciola
tra poteri di sottogoverno giocata all'insegna delle
poltrone e della "visibilità". Al di là
dell'enfasi retorica, la "viva preoccupazione
istituzionale" espressa dai presidenti di Camera e
Senato dopo l'incontro di ieri segnala l'assoluta
incompetenza del Cda nel definire per il servizio
pubblico un metodo preciso ed efficiente di gestione
aziendale. Ma rivela anche la crescente incapacità della
maggioranza nell'individuare un modello durevole e
decente di sintesi politica. Oggi lo sfascio della Rai
fotografa l'ennesimo fiasco del centrodestra. In
prospettiva, è un test essenziale per valutarne la
cultura di governo.
La giornata di ieri segnala un ulteriore avvitamento
della crisi. Nonostante le dimissioni dei rappresentanti
dell'opposizione, il consiglio di Viale Mazzini si è
riunito e ha "deliberato". Con questa mossa
Baldassarre e Saccà, degnamente spalleggiati dal
leghista Albertoni, l'unico consigliere rimasto a
disposizione, hanno lanciato una sfida che non ha
precedenti nella storia del servizio pubblico televisivo.
Dopo un'impasse che durava da oltre due settimane, si
sono rinchiusi in conclave. Ovviamente non c'erano Zanda
e Donzelli, che hanno già rassegnato le dimissioni.
Prevedibilmente non c'era Staderini, che è pronto a fare
altrettanto se la frattura non sarà ricomposta. C'era il
direttore generale, che in consiglio presenzia ma non ha
diritto di voto. Risultato: il presidente, seduto a
tavolino con un solo consigliere, ha fatto in mezz'ora
quello che il cda al gran completo non riusciva a fare da
quindici giorni. Ha sfornato la bellezza di quattordici
nomine.
Una scelta a metà strada tra il
ridicolo e il provocatorio. Il ridicolo: nel bel mezzo di
un pericoloso scontro aziendale non si scelgono i vertici
della Sipra o di Rai Cinema in una riunioncina
"carbonara", quasi privata. Come se il
consiglio d'amministrazione di un grande gruppo
televisivo fosse l'assemblea di condominio di un
palazzetto di periferia, con l'aggravante tutt'altro che
trascurabile che i due presenti non avevano in tasca
nessuna "delega" dei tre assenti. Il
provocatorio: nel bel mezzo di una grave crisi
istituzionale, con i presidenti di Camera e Senato
impegnati nel delicato tentativo di recupero dei due
consiglieri dimessi, non si procede a colpi "di
minoranza" ignorando quelle dimissioni e vanificando
quel tentativo. Qui proprio qui sta la sfida: come tre
piccoli ma irriducibili giapponesi su un'isoletta deserta
del Pacifico, Baldassarre, Albertoni e Saccà dichiarano
guerra al resto del mondo, si chiudono in trincea e si
preparano a un'irresponsabile resistenza.
L'enormità del fatto non può sfuggire a nessuno. Non è
sfuggita a Casini. Il presidente della Camera è
rientrato in tutta fretta dal Brasile per prendere in
mano la situazione. Ma questa volta - a dispetto di altre
"disattenzioni" del passato - non è sfuggita
neanche a Pera, che nei confronti dei tre giapponesi ha
emesso già un primo verdetto. Il presidente del Senato
aveva formulato un "richiamo alla ragionevolezza e
al senso di responsabilità di tutti", e quel che
resta dei vertici Rai gli ha risposto con "cavilli
giuridici e astuzie personali". Difficile dire se
queste durissime parole di Pera nascano da un disappunto
personale, o invece riflettano anche la disapprovazione
del presidente del Consiglio nei confronti di Baldassarre
e Saccà. E' certo comunque che meritano un sicuro
apprezzamento: in questo caso, al contrario di casi
precedenti, il presidente del Senato si è elevato
finalmente "sopra le parti". Ed è altrettanto
certo che queste stesse parole, insieme a quelle
contenute nel successivo comunicato dei due presidenti
delle Camere, marcano un punto di non ritorno nella crisi
della Rai. Il vertice dell'azienda, di fatto, è già
stato "sfiduciato" dalle istituzioni che
l'avevano nominato. Sul piano giuridico, la legge assegna
alla sola Commissione parlamentare di Vigilanza la
facoltà di revocare le nomine del consiglio Rai, tra
l'altro con una procedura "rinforzata" che
prevede la maggioranza di almeno due terzi. Ma sul piano
politico, Pera e Casini quella revoca l'hanno già
emessa. Non serve a far decadere gli incarichi di
Baldassarre, Albertoni e Saccà. Ma basta a confermare
che il mandato fiduciario che gli era stato conferito
nove mesi fa si è spezzato, non esiste più.
E' penoso, adesso, il solito balletto sul ponte del
Titanic. La Rai affonda, mentre i Poli si azzuffano, le
istituzioni studiano i profili giuridici del caso, e i
vertici si preparano a cannibalizzarsi a colpi di carta
bollata. Non che tutto questo sia insensato. Al momento
ci sono alcune questioni "legali" che esigono
una risposta rapida. Il consiglio può andare avanti
nell'attuale composizione, con due soli
"sopravvissuti"? In questa composizione, può
deliberare e decidere? Zanda e Donzelli sono ancora
dimissionari o risultano già effettivamente dimessi? Le
quattordici nomine appena fatte sono legittime? E che
farà Staderini, il consigliere centrista che è ora più
che mai l'ago della bilancia? Se si dimetterà, quando lo
farà? E le sue dimissioni faranno decadere
automaticamente tutto l'organo, o si potrà procedere ad
un semplice reintegro delle tre poltrone rimaste
scoperte? Sono domande importanti. Ma non colgono il
nocciolo vero della questione. E in una situazione così
drammaticamente compromessa, suonano come miseri
bizantinismi.
Questo vertice Rai va azzerato, perché ha fallito la sua
missione. Non ha valorizzato l'azienda, schiantata dalla
potenza di fuoco di Mediaset. E non ha garantito il
pluralismo, vilipeso dall'assurda cacciata di Enzo Biagi.
L'unica via d'uscita apprezzabile, da questo tunnel
vergognoso di arroganza e insipienza, è la nomina di un
nuovo consiglio, guidato da un vero presidente di
garanzia. Un personaggio realmente autorevole e super
partes, che non prenda ordini da nessun palazzo. Per la
soluzione della crisi si aspetta il rientro di Berlusconi
dal vertice Nato a Praga. Purtroppo il Cavaliere -
all'ombra del suo irrisolto conflitto di interessi, in
cui l'indecenza diventa inefficienza - non farà questa
scelta. L'esperienza insegna che quando ci sono in ballo
i suoi "core business", le televisioni e la
giustizia, il premier non ascolta la ragion di Stato, ma
solo le ragioni del portafoglio.
(22 novembre 2002)
Il Cavaliere non sembra dispiaciuto
della bufera sull'emittenza
La sua tentazione: il commissariamento con un uomo di
fiducia
Rai, Berlusconi
non è scontento
"Così, ora, sui vertici decido io"
di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - La partita è appena
cominciata, oggi con il ritorno di Casini dal Brasile si
gioca il secondo tempo. E non sono esclusi i
supplementari, vale a dire termini non brevissimi. Ma le
squadre nella Casa delle libertà, per la partita Rai,
sono ormai riconoscibili. Silvio Berlusconi sta in quella
che non ti aspetti, la squadra degli scontenti, in
compagnia del presidente della Camera. Da un po' stanno
tessendo una nuova tela e insieme si preparano a dare il
benservito al Cda della Rai. Cercando di raggiungere una
serie di obbiettivi.
Il Cavaliere vuole dimostrare il fallimento della prima
operazione sulla Rai, quella che nove mesi fa stoppò il
suo piano portando alla presidenza Baldassare sostenuto
da An. La terza carica dello Stato si prepara a cavalcare
la crisi per "ribaltare" Agostino Saccà, il
direttore generale che non ne ha fatta passare una al
consigliere dell'Udc Staderini. Un deputato forzista,
mentre il premier è a Praga per il vertice Nato,
commenta così le dimissioni di Zanda e Donzelli:
"La posizione del Cavaliere? Pensa che in fondo
questa può essere un'opportunità". L'opportunità
di cambiare le cose, di uscire dallo stallo, una strada
condivisa anche da Casini. A perdere la partita sarebbe
dunque Alleanza nazionale. Lo si capisce bene dalle prime
reazioni di Maurizio Gasparri.
E anche delle successive retromarce
della destra. Il vicepremier sente che il risultato è
decisamente favorevole agli avversari, fa un lungo giro
di telefonate, capisce che la sorte del cda è segnata.
Allora manda in Transatlantico il portavoce Mario
Landolfi che affievolisce il "resistere, resistere,
resistere" intorno alla figura del presidente Rai:
"Se si dimette Staderini salta anche Baldassare.
Come si fa andare avanti con due consiglieri?". An
sente il fiato sul collo, è isolata. Berlusconi vuole
prendersi la rivincita. Infatti il suo candidato
principale alla successione di Baldassarre è quello
della prima volta, il direttore di Panorama Carlo
Rossella. Ad affiancarlo potrebbe essere chiamato Mauro
Masi, attuale vice segretario generale di Palazzo Chigi,
con il profilo bipartisan per il suo passato di portavoce
di Lamberto Dini al governo. Fuori Saccà, dunque, e
anche Casini avrebbe colpito il suo bersaglio. Ma il nome
di Masi viene fatto circolare dalla presidenza del
consiglio anche per la carica di commissario,
un'indiscrezione che suona come un avvertimento ai
partiti: attenti, perché rischiate di non contare più
niente. Stavolta niente scherzi, nessun balletto di nomi.
Per far capire che lo scontento sulla Rai è anche del
premier qualcuno collega gli ultimi passaggi della
telenovela Rai. Dieci giorni fa, dopo la notizia
dell'autosospensione del consigliere Donzelli, Berlusconi
incontra Pera e Casini. È il segnale che stavolta il
premier non prende sottogamba la crisi. L'altro ieri il
presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, in assoluto
l'uomo più vicino al Cavaliere, boccia sonoramente i
concorrenti di Viale Mazzini: "Io farei lavorare
Enzo Biagi". Biagi è una delle tante questioni che
Baldassare ha lasciato ammuffire senza prendere il toro
per le corna. E probabilmente il giudizio
"tecnico" di Confalonieri coincide con quello
più politico del presidente del Consiglio.
Anche Casini pare deciso a una sterzata. Sul filo del
telefono tra Roma e il Brasile, dove il presidente della
Camera ha preso l'aereo di ritorno ieri sera, corre la
preoccupazione della terza carica dello Stato. Il
consigliere vicino agli ex democrstiani, Marco Staderini,
da sempre ago della bilancia degli equilibri interni, ha
fatto sapere che cercherà di convincere i colleghi
dimissionari. E ha capito che Baldassare e Saccà
stavolta sono molto agitati, non si aspettavano la mossa
dei consiglieri ulivisti che ha dato la stura anche ai
maldipancia del Polo e pensano a nuove offerte
all'opposizione. Ma se fallisce la mediazione molla anche
lui, su questo è stato chiarissimo. E allora si nomina
un nuovo vertice.
È una partita agli inizi, con la Lega che festeggia le
dimissioni, dice: "Il consiglio non si tocca".
Ma si accontenterà della conferma di Albertoni. Gasparri
è stato invece durissimo sulle dimissioni dei
consiglieri ulivisti: "Lottizzatori". A Casini
le parole del ministro delle Comunicazioni non sono
piaciute: "E Marano e Del Noce?". Due nomi
scelti non a caso, sia il direttore di Raidue (Lega) che
quello di Raiuno (Forza Italia) sono ex deputati.
(21 novembre 2002)
I consiglieri di area Ulivo hanno
inviato una lettera ai presidenti
delle Camere. Anche Staderini pronto all'addio.
Rai,
esplode la crisi
Zanda e Donzelli si dimettono
Baldassarre: "Non possiamo fermarci, il Cda va
avanti"
Pera invita i dimissionari a "un ripensamento"
ROMA - La miccia era accesa da
mesi. Ora la bomba è esplosa: due consiglieri di
amministrazione Rai dimissionari, un terzo in bilico, i
presidenti delle Camere impegnati in una difficile
trattativa per garantire il futuro della televisione
pubblica. E il presidente Baldassarre che non ammette
stallo: "Non possiamo fermarci, il Cda continuerà
ad operare".
La situazione è precipitata questa mattina quando Luigi
Zanda e Carmine Donzelli (che fanno riferimento
all'Ulivo) hanno comunicato le loro dimissioni in una
lettera ai presidenti delle Camere, Pera e Casini, da cui
ricevettero il mandato nel febbraio scorso. I due parlano
di "azienda allo sbando" e individuano anche i
colpevoli di questa situazione: lo stesso Antonio
Baldassarre, e Agostino Saccà, ovvero presidente e
direttore generale della Rai, accusati di operare scelte
perdenti e incomprensibili che danneggiano gravemente la
televisione pubblica.
Il presidente del Senato, che li ha incontrati
stamattina, ha invitato Zanda e Donzelli a un
ripensamento, ma sembra difficile che i due possano fare
retromarcia, visti i toni usati per motivare le
dimissioni. E se stamattina il consiglio di
amministrazione si è ugualmente riunito a Viale Mazzini,
presenti i tre consiglieri rimasti in carica e il
direttore generale, la situazione si è ulteriormente
complicata e fine riunione, quando Marco Staderini (che
fa riferimento ai centristi del Polo) ha annunciato che
non avrebbe partecipato ai lavori pomeridiani (il
consiglio è stato per questo rinviato a domani) e che
anche lui lascerà l'incarico se non si arriverà a una
ricomposizione della vicenda.
"Il cda Rai - ha detto Staderini - è stato
unitariamente nominato dai presidenti della Camera e del
Senato. Non si può far finta che la decisione dei
colleghi Luigi Zanda e Carmine Donzelli di dimettersi
lasci le cose come stanno. Per quanto mi riguarda - ha
preseguito - valuterò nelle prossime ore se e come sia
possibile favorire il ricompattamento del cda.
Diversamente, ne trarrei tutte le conseguenze".
Baldassarre non commenta direttamente
le dimissioni di Zanda e Donzelli. Si augura che i
presidenti di Camera e Senato prendano preso una
decisione, "Perché la cosa migliore è operare
nella piena collegialità". E sottolinea: "Non
possiamo fermarci, l'azienda ha bisogno di decisioni e
quindi il consiglio di amministrazione continuerà ad
operare", ricordando la convocazione di domani
mattina. "Non possiamo permetterci una situazione di
stallo".
Quanto a Staderini e alle dimissioni minacciate,
"Ognuno è libero - dice Baldassarre - di prendere
le proprie determinazioni". Poi aggiunge "Mi
auguro vivamente che Staderini rimanga". Infine, per
quel che riguarda le decisioni dei presidenti delle
Camere, "non spetta a me interferire
minimamente", conclude il presidente.
Rai sull'orlo della crisi, insomma. Con i presidenti
delle Camere chiamati in prima persona ad intervenire,
visto che la legge assegna loro la scelta dei cinque
consiglieri di amministrazione di Viale Mazzini. Casini
è ancora in Brasile e per ora si è limitato a esprimere
massima considerazione per il gesto dei due dimissionari,
evitando di pronunciarsi nel merito. "Se due persone
serie come Zanda e Donzelli hanno deciso di dimettersi -
ha detto - questo è un fatto che richiede la massima
attenzione da parte delle autorità istituzionali. Non
esistono consiglieri di maggioranza o di opposizione.
Esistono consiglieri di amministrazione della Rai
unitariamente nominati".
A suo rientro a Roma, domattina, il presidente della
Camera incontrerà il suo collega del Senato. Insieme
dovranno decidere se sostituire i due dimissionari (come
ha chiesto stamattina il presidente della Rai) o se
procedere diversamente. Una decisione che dovrà
necessariamente tenere conto anche delle prossime mosse
di Staderini. Se anche il terzo consigliere consegnasse
le dimissioni, il consiglio di amministrazione verrebbe
di fatto svuotato, perdendo la maggioranza dei suoi
cinque membri.
Intanto c'è chi avanza ipotesi di gestione alternativa.
"La Rai va commissariata - dice l'ex ministro delle
Comunicazioni, Antonio Maccanico - "un
commissariamento temporaneo, per ottenere al più presto
dal Parlamento le nuove norme sui criteri di nomina del
cda". Ipotesi poco gradita sia dall'opposizione
("Meglio un presidente e un direttore generale di
garanzia" dice Paolo Gentiloni della Magherita) che
dalla maggioranza ("Sarebbe una sconfitta di
tutti" secondo Alessio Butti di Alleanza nazionale).
Potrebbe quindi arrivare all'epilogo la bufera che da
mesi investe la Rai. L'ultimo scontro in ordine di tempo
è di ieri, e si è consumato sulle nomine per la fiction
e per i palinsesti, quando Zanda e Donzelli si sono visti
bocciare i nomi di Guglielmi e Cereda. Un episodio, ma
che si va a sommare ai tanti che si sono susseguiti già
dalle prime settimane della nuova gestione Rai. E che ha
portato a una tensione via via crescente con la crisi di
audience, la chiusura dei programmi di Biagi e Santoro, i
flop di Excalibur e Max e Tux. E che ora,
dopo le dimissioni, potrebbe portare alla resa dei conti
finale per la Rai di Baldassarre.
(20 novembre 2002)
Un presidente
di garanzia
di CURZIO MALTESE
LA RAI della destra, cioè di
Berlusconi, già "destinata a durare un
decennio", sta andando a pezzi dopo appena 9 mesi. I
due consiglieri in quota all'Ulivo si sono dimessi e se,
come pare, li seguirà il centrista Staderini, allora
dovranno andare a casa tutti, Baldassarre, Saccà e
compagnia. Si tratta d'una crisi per metà aziendale e
per metà politica. Come sempre la Rai è lo specchio e
il laboratorio per eccellenza della classe dirigente e
questo ne spiega lo stato penoso. Una legge della
meccanica politica dice che quello che accade in viale
Mazzini anticipa quello che accadrà al governo. La
regola ha funzionato tanto nella prima repubblica quanto
nella seconda, con governi di centro, destra, sinistra e
misti.
Negli ultimi anni, la Rai "dei professori",
intorno a Tangentopoli, ha annunciato la stagione dei
governi tecnici. Così come la caduta della Rai di
Siciliano, voluta all'epoca dal tandem D'Alema-Marini,
prefigurava quella del governo Prodi. Questa crisi della
Rai è dunque la prima vera crisi del governo Berlusconi,
per interposta istituzione. Per arrivare a che cosa?
Prima di avventurarsi in ipotesi, è bene chiarire la
natura anomala di questa crisi Rai.
Nessun governo della tv pubblica,
compresi i peggiori, aveva mai prodotto tanti disastri in
così poco tempo, finendo per essere inghiottito dal buco
nero del conflitto d'interessi. L'esordio della Rai di
Baldassarre è subito segnato da quell'ombra, quando
Berlusconi, appena nominati i vertici, ordina di far
fuori Enzo Biagi e Michele Santoro. Lo sfrontato proclama
bulgaro del presidente del Consiglio e proprietario di
Mediaset suscita sulle prime reazioni di scandalo,
ipocrite rivendicazioni di autonomia da parte di
Baldassarre e Saccà, vaghi moniti quirinalizi e ridicole
esibizioni sulla tv pubblica di dipendenti berlusconiani
che, travestiti da suffraggetti della libertà
d'opinione, giurano di incatenarsi ai cancelli di viale
Mazzini in caso di censura. Naturalmente la censura
arriva e nel peggiore dei modi.
Baldassarre e Saccà obbediscono all'ordine del padrone
di Mediaset, chiudono "Il Fatto" e
"Sciuscià", e per giunta spargono sulle rovine
il sale di programmi demenziali come
"Max&Tux" ed "Excalibur" (fra i
due, il più comico). Non bastasse, si dedicano alla
vendetta su Biagi e Santoro con una serie di false
promesse e persecutorie lettere di richiamo. Uno
spettacolo di regime, rafforzato dalla totale
omologazione dei telegiornali, che fanno a gara nel
nascondere le notizie sgradite al governo.
Il guaio è che il pubblico, meno stupido di quanto
pensino gli strateghi, se ne accorge e diserta in massa i
programmi Rai. Il crollo di ascolti va così ben oltre la
possibile missione di favorire le reti del presidente del
Consiglio. La tv pubblica perde ogni mese quote d'ascolto
in prima serata, la fascia d'oro della pubblicità. Rai1
reagisce con lo show del sabato sera, costato un po' meno
dello sbarco sulla luna, ma finisce letteralmente in
mutande nel confronto con il programma della De Filippi,
che tutto intero fattura quanto una puntata di Morandi.
Rai2 viene demolita dal leggendario Marano, dopolavorista
raccomandato da Bossi, al punto da avere come unici
programmi di punta i cartoni animati di Popeye. Al resto
ci pensa il governo e il ministro Gasparri che blocca
l'accordo Raiway, firma una riforma tv che sembra scritta
ad Arcore e infine, con notevole coraggio, chiede un
aumento del canone, dopo averne proposto a suo tempo
l'abolizione.
Ora, se in questi 9 mesi Fedele Confalonieri avesse
ridotto Mediaset nello stato in cui Baldassarre e Saccà
hanno conciato la Rai, probabilmente sarebbe stato
licenziato e magari traslocato con tutta la lapide dal
mausoleo di Arcore. Si capisce insomma l'inusuale
allegria di Zanda e Donzelli nel rassegnare le dimissioni
e la forte tentazione di seguirli di Staderini. Sul ponte
di comando della Rai, già inclinato verso gli abissi,
rimangono soltanto Baldassarre e Saccà che nella
migliore tradizione oltretutto litigano.
Così la Rai di Berlusconi è giunta al capolinea in
pochi mesi. Complimenti. E dopo? Qui rientra in gioco la
politica. La soluzione migliore, ovviamente, sarebbe
l'elezione d'un cda di garanzia, competente e davvero
pluralista. Ma è impossibile perché si tratta di una
soluzione che restituirebbe alla tv pubblica prestigio,
efficienza e ascolti, con grave danno economico per le
reti del presidente del Consiglio. La soluzione peggiore
sarebbe il commissariamento, dopo aver portato i libri in
tribunale. È guardacaso l'idea più gettonata dai tg
Mediaset.
Certo, decretare il fallimento della Rai sarebbe un bel
colpo per il premier-padrone. Ma forse esiste un limite
di decenza perfino nell'Italia berlusconiana: che direbbe
l'Europa? Torna la soluzione più probabile, quella della
crisi Rai come banco di prova della crisi di governo.
Sarà interessante allora vedere come ne usciranno, se
con una Rai di breve corso, da "elezioni
anticipate", un modello da "rimpasto" o
addirittura da "governissimo". Il regolamento
di conti fra le varie componenti della maggioranza, tante
volte rinviato, rischia di trovare a viale Mazzini il
terreno e l'occasione per esplodere. C'erano volute
settimane di passione e guerriglia fra An e Forza Italia,
centristi e leghisti, per arrivare alla nomina di un
consiglio Rai che, pur con un piglio da ventennio, è
durato lo spazio d'un mattino.
(21 novembre 2002)
Parla il consigliere di amministrazione
che si è appena dimesso
"Che dovevamo fare, restare a guardare come semplici
testimoni?"
Donzelli:
"Ormai per noi
era impossibile lavorare"
"Il vertice Rai sembra aver scelto
deliberatamente
la strada di eludere i problemi veri dell'azienda"
di MARCO BRACCONI
ROMA - E' amareggiato. Ma
combattivo nel difendere la "totale autonomia della
sua scelta". Misura le parole nei confronti di
Antonio Baldassarre, ma la sostanza della sua accusa ai
vertici Rai è durissima: "Dovevamo gestire
un'azienda che attraversa una crisi drammatica. E loro
(la maggioranza del consiglio, ndr), pensavano a
sostituire fior di dirigenti e a chiudere
trasmissioni".
E' Carmine Donzelli un'ora dopo la notizia delle
dimissioni sue e di Luigi Zanda dal vertice Rai. E le sue
sono le parole di un consigliere deluso, certo, ma non
pentito.
A vederla con il
senno di poi, Donzelli, lo rifarebbe?
"Sì, perché quando sono
stato nominato ho preso questo impegno come un dovere
civile. Un dovere al servizio di una realtà importante
della nostra democrazia. In questi nove mesi, poi, ho
anche imparato ad amare, pur con tutti i suoi problemi,
questa grande azienda. No, non sono pentito. Se oggi me
ne vado è perché non ci sono più le condizioni, ma
questo è tutto un altro discorso..."
Le
condizioni non ci sono più perché due settimane fa
Fassino e Rutelli hanno detto che il Cda se ne doveva
andare?
"Assolutamente no, questa è una interpretazione
molto lontana dalla verità".
E qual è la sua
verità?
"La verità è che l'ipotesi
delle dimissioni è sempre stata nel mio orizzonte,
dall'inizio, perché da subito è stato difficile
lavorare. Ma questa scelta io l'ho sempre considerata
come una valutazione strettamente, ripeto, strettamente
personale".
Però non si
può negare che prima a chiedere le vostre dimissioni era
solo il correntone Ds, e che poi anche Rutelli e
Fassino... Solo una coincidenza?
"Guardi, come si
capisce bene dalla lettera che ho scritto ai presidenti
Pera e Casini, le scelte della politica con le dimissioni
non c'entrano. In quella lettera io faccio riferimento a
dirigenti di grande valore lasciate a languire privi di
incarichi, di discriminazioni di carattere politico, vedi
Santoro e Biagi, e di una costante nostra disponibilità
a farci carico di soluzioni condivise, magari accettata a
parole, ma poi sempre disattesa dai fatti. Ecco perché
dico che è stato passato il segno".
Insomma,
Baldassarre sta sbagliando tutto?
"Il vertice della Rai sembra
aver scelto deliberatamente la strada di eludere i
problemi veri dell'azienda, che le assicuro, sono gravi
ed evidenti a tutti, per occuparsi di altro"
Scusi, se
insisto, Donzelli, ma perché oggi?
"In questi nove mesi ho
sperimentato, giorno dopo giorno, la possibilità di dare
un contributo utile. Le dimissioni arrivano oggi perché
oggi prendo atto che non c'è nessuna possibilità di
dare un contributo al bene dell'azienda. Che dovremmo
fare, restare ad assistere mentre l'azienda va allo
sbando, perdendo pluralismo, prestigio, e ascolti in
alcuni suoi punti di forza?".
Sta dicendo che
vi si voleva ridurre al ruolo di semplici
"testimoni"?
"Più o meno è così. Ripeto,
le dimissioni erano una possibilità da molti mesi, ma
finchè ho avuto non dico la certezza, ma almeno la
speranza di poter esercitare un ruolo positivo, sono
rimasto al mio posto".
Per la Rai
nessuna speranza, allora?
"Questo non lo so. Anzi,
auguro all'azienda tutto il bene possibile".
E adesso, a
viale Mazzini?
"Che dire, l'azienda avrebbe
bisogno di un cambiamento drammatico, ma mi pare che si
vada in tutt'altra direzione. Ho sperato a lungo che il
vertice si sforzasse di elaborare analisi condivise, e di
conseguenza terapie efficaci. Così non è
stato...".
Ma il Cda?
"Non lo chieda a me, io mi
sono appena dimesso".
Dicono che
Staderini (il consigliere di maggioranza vicino a Pier
Ferdinando Casini), non abbia voglia di restare in un
consiglio "dimezzato".
"Non lo so, bisognerebbe
chiederlo a lui".
(20 novembre 2002)
Il testo delle lettere di dimissioni
del consigliere Rai
"La situazione dell'azienda è particolarmente
critica"
Zanda:
"Impossibile collaborare
con Baldassarre e Saccà"
ROMA - Sono indirizzate ai
presidenti delle Camere le lettere con cui Luigi Zanda e
Carmine Donzelli presentano le dimissioni dal consiglio
di amministrazione della Rai, esprimendo tutto il loro
disagio. In particolare Zanda sottolinea che "il
principale motivo di questa decisione è l'impossibilità
di collaborare positivamente con il presidente Antonio
Baldassarre e con il direttore generale Agostino Saccà
dei quali non sono riuscito a comprendere quali siano gli
ideali, la visione del futuro, le strategie operative e
gestionali".
Dello stesso avviso Donzelli: "Sono arrivato alla
convinzione che l'attuale vertice aziendale, nelle
persone del presidente Baldassarre e del direttore
generale Saccà porta la responsabilità di una
conduzione che rischia ormai di compromettere la forza
della Rai, la sua tenuta economica e produttiva, la sua
stessa immagine di azienda titolare del compito di
rendere un servizio pubblico, a tutela della democrazia e
del pluralismo. Manca ogni elaborazione di una strategia
editoriale e di un piano industriale". "In un
momento delicatissimo" prosegue il consigliere
dimissionario, "e in un quadro di difficili e
complesse evoluzioni legislative, la Rai non riesce a
trovare la bussola di un orientamento che la restituisca
al suo ruolo storico di più grande e importante impresa
di cultura del nostro Paese".
"Non riesco a comprendere come sia
possibile" scrive Zanda "che alla guida della
Rai vengano mantenuti l'attuale presidente e l'attuale
direttore generale. La situazione dell'azienda è
particolarmente critica. La qualità dei programmi è
molto discutibile, il rispetto del pluralismo è stato
mortificato, l'ingiustificata emarginazione di
professionisti di valore e la loro fallimentare
sostituzione sono sotto gli occhi di tutti,
l'omologazione dei programmi con quelli della concorrenza
è sempre più vistosa, la posizione finanziaria netta è
peggiorata e per fine 2002 si preannuncia per il gruppo
Rai un indebitamento più che quadruplicato rispetto alla
stessa data dell'anno scorso".
"Sinora, né il presidente Baldassarre né il
direttore generale Saccà" insiste Zanda,
"hanno mostrato una chiara percezione dei problemi,
una visione strategica delle iniziative da assumere, una
autentica autonomia aziendale. La mia preoccupazione per
la loro inadeguatezza è molto elevata. Un consigliere di
amministrazione di una società per azioni come la Rai
non può restare al suo posto se non condivide non dico
le singole decisioni, ma nemmeno l'impostazione generale
che i due capi-azienda hanno sinora dato alla loro
attività".
Donzelli cita espressamente i casi di Biagi e Santoro:
"E' ormai mia convinzione che questi due
professionisti dell'informazione televisiva siano
sottoposti dalla Rai a una ingiustificata discriminazione
politica che trae la sua origine dal veto a suo tempo
espresso, in modo gravemente improprio e irrituale, dal
presidente del Consiglio. Per quanto riguarda Enzo Biagi
nulla è stato fatto da parte del direttore generale,
contrariamente agli impegni presi, per ripristinare la
sua trasmissione, mentre nel frattempo si è voluto a
tutti i costi insistere nel ricercare alternative di
basso profilo".
"Nel caso di Michele Santoro" prosegue
Donzelli, "dopo aver abolito la messa in onda di Sciuscià,
si pretende di contestare addirittura al suo conduttore
di non voler lavorare. E anche in questo caso, la
trasmissione che si è sostituita a quella di Santoro
appare agli occhi di tutti gli osservatori più
imparziali di certo non meno faziosa, ma sicuramente
assai meno ascoltata".
"Nei limiti delle mie capacità" scrive ancora
Zanda, "ho fatto quel che ho potuto per modificare
la linea gestionale seguita dagli attuali amministratori
della Rai per migliorare l'organizzazione dei lavori del
Consiglio, per introdurvi maggiori elementi di
pluralismo, per affrettare la riorganizzazione
dell'azienda. Ma non ci sono riuscito" ammette
Zanda. "Da due settimane è all'ordine del giorno
del Cda la nomina di dirigenti destinati a occupare
posizioni centrali per il futuro della Rai. Nessuno dei
candidati di Agostino Saccà possedeva, a mio avviso, i
requisiti necessari. Su sollecitazione del presidente,
dell'intero Consiglio e del direttore generale, ho
presentato assieme a Carmine Donzelli proposte
alternative di grande valore nelle persone di due
dirigenti Rai: Angelo Guglielmi e Giuseppe Cereda".
"Nonostante gli espliciti apprezzamenti di Guglielmi
e Cereda, ieri sera Agostino Saccà ha cambiato un'altra
volta parere e ha presentato proposte ancora una volta
diverse da quelle che lui stesso aveva indicato solo
pochi giorni fa. Nonostante l'evidente gravità, questo
episodio non costituisce il motivo delle mie
dimissioni" conclude Zanda, "E' soltanto
l'ultima conferma di un metodo di gestione che se non
verrà immediatamente modificato produrrà ancora molti
danni alla Rai".
"Seguendo la rotta così abilmente tracciata dal
presidente Baldassarre, e così puntigliosamente
perseguita dal direttore generale Saccà, la nave si
sbatte tra i marosi", è infine la conclusione di
Donzelli. "Non vi sono più le condizioni minime per
assolvere il mandato che mi avevate affidato. Mai avrei
pensato di dover assistere a un così sistematico
annichilimento delle sue risorse, energie e culture.
Davvero, la Rai non merita di essere governata in questo
modo".
(20 novembre 2002)
RAI
Il canone
ripagato in piazza
FRANCESCO PARDI
Da piazza S. Giovanni, evocata ieri nell'articolo di
Norma Rangeri, si alza una voce interrogativa. Chiede: la
Rai svolge un compito d'interesse pubblico? Un'altra voce
(nella piazza ce ne sono tante) gli risponde: si potrebbe
dubitarne. Un'altra aggiunge: consideriamo alcuni fatti.
Il presidente del consiglio, con il famoso proclama
bulgaro, mette in moto la procedura per allontanare
Biagi, Santoro e Luttazzi dal video. In azienda l'ordine
viene eseguito: gli autori di due tra i programmi in
assoluto più seguiti, e quindi più redditizi in termini
pubblicitari, non sono ancora tornati sullo schermo.
Sarà un caso, ma dai primi mesi di vita del nuovo
governo, la capacità competitiva della Rai nei confronti
delle reti possedute dal presidente del consiglio si è
ridotta di giorno in giorno. Non si sa bene se per
rovesciare o favorire questo processo numerosi dirigenti
Mediaset sono stati traslocati in Rai: i risultati si
vedono. Da quando è insediato il nuovo governo, la
Sipra, l'azienda di raccolta pubblicitaria pubblica, ha
perso e continua a perdere consistenti quote di mercato a
vantaggio di Publitalia, che raccoglie pubblicità per
Mediaset. Non si sa se per rimediare o incoraggiare
questa tendenza un duomo molto vicino a Publitalia è
stato mandato a dirigere la Sipra: i risultati si
vedranno.
Qualche genio della programmazione ha pensato bene di
mandare in onda lo stesso giorno alla stessa ora due tra
i pochi spettacoli seguiti dal pubblico: si immagini il
dispiacere di Mediaset.
In generale i programmi Rai stanno inseguendo, più che
in passato, i programmi Mediaset in una generale corsa al
rincretinimento. La televisione rincretinisce se stessa
per meglio rincretinire i suoi spettatori. Pare che una
parte di essi cerchi di sottrarsi: i televisori rimangono
accesi ma davanti non c'è nessuno.
Il rincretinimento, nuova categoria che arricchirà la
sociologia dei processi cognitivi nei prossimi anni, si
fa avanti anche nella radio. I programmi preesistenti
della rete tre, quella a maggiore vocazione culturale,
sono stati già decisamente intaccati e se ne attende tra
breve lo smantellamento definitivo.
I telegiornali unificati, rivolti ormai sempre più
all'intrattenimento e sempre meno alle notizie (eccetto,
in parte, quello del terzo, ma non va detto se no lo
chiudono), celebrano i fasti del centro destra: si può
scegliere tra l'apologia di qualsiasi atto quotidiano del
presidente del consiglio, la sempre più bonaria
rivisitazione del fascismo e qualche balzano rito
«celtico».
Allora, oggi a che serve la Rai? Non a mandare in onda
programmi degni di essere visti o ascoltati, non a fare
concorrenza a Mediaset (e su questo tema si dovrà porre
un quesito alla commissione europea del professor Monti).
Una voce di piazza San Giovanni dice: la Rai serve ormai
solo a fare propaganda al governo e a chi lo presiede.
Un'altra voce perfeziona: la Rai svolge solo un compito
di supporto subalterno all'interesse privato, indovinate
di chi. E un'altra aggiunge: si può lasciare il video
acceso nella stanza vuota, lo si può anche spegnere, ma
ha senso pagare il canone per una televisione tutta
impegnata a favore dell'interesse privato, indovinate di
chi?.
Ma, si preoccupa qualcuno, privando la Rai del canone la
indeboliamo di fronte a Mediaset. Forse, ma è proprio la
concorrenza a Mediaset che la Rai si rifiuta di fare.
L'ultima voce: non potremmo smettere di pagare il canone
e, poiché sappiamo tutti che è un obbligo di legge,
dire che lo facciamo per disobbedienza civile? I liberali
ricorderanno a tutti un certo libretto di Henry D.
Thoreau, non un pericoloso comunista ma uno dei padri
della letteratura americana. Così, per disobbedire
meglio versiamo tutti il canone in un conto sotto
controllo notarile intestato a: per una televisione
libera.
21.11.2002
"Non
c'è pluralismo. Santoro trattato come un cane
rognoso"
ROMA Donzelli,
cosa lha spinta a dimettersi?
«Si erano consumati i margini
di operatività nel consiglio. Sono stato chiamato dai
presidenti delle Camere per amministrare unazienda
speciale, un servizio pubblico. Ho inteso questo incarico
come un dovere civico. Weberianamente, ho seguito
letica della responsabilità: finché è possibile
sto lì a fare la mia parte, ma quando non ci sono
sbocchi non resto un minuto di più».
Cosa ha fatto
saltare tutto?
«Io e Luigi Zanda, ma non
solo, in questi otto mesi abbiamo lavorato come talpe per
far emergere lo stato di criticità della Rai,
unazienda profondamente in crisi su ascolti e
prodotto, senza una strategia industriale né un piano
editoriale, e senza il rispetto del pluralismo. Ecco, il
nostro lavoro ha scosso la maggioranza, infatti la crisi
è tutta interna a questa. A questo punto si è creato un
bivio: o capiscono che è necessario un cambio di marcia
e si può riaprire un gioco sui bisogni della tv
pubblica, oppure non si può far niente. Perché la Rai
ha bisogno di essere ripensata in un grande disegno
aziendale, con la cooperazione di tutti».
Cosa avrebbe
segnato il cambio di rotta?
«Prima di tutto la verifica
sul pluralismo, far lavorare di nuovo Biagi e Santoro.
Poi un cambiamento nella gestione aziendale: i nomi che
abbiamo proposto per la Fiction e per il coordinamento
palinsesti, persone di rilievo e grandi capacità come
Angelo Guglielmi e Antonio Cereda sarebbero stati una
garanzia per lefficienza aziendale e per il
pluralismo».
Nomi respinti da
Saccà.
«Cè stata una volontà
precisa di mischiare le carte».
Una volontà
solo del direttore generale o anche del presidente
Baldassarre?
«Bella gara. Direi che
Baldassarre ha dato la rotta, e Saccà ha mosso il
timone. Ma leffetto è quello di una nave nella
tempesta».
Se i presidenti
di Camera e Senato le chiedessero di ritirare le
dimissioni, come ha già fatto Marcello Pera, tornerebbe
indietro?
«Il nostro rientro mi sembra
lo scenario meno probabile. Non penso che ci siano
margini possibili per rimettere in discussione le
dimissioni. Ringrazio Pera per averci ricevuto
mezzora dopo linvio della lettera, ma non è
un gesto che si ritira per cortesia verso i presidenti
delle Camere».
Cosa pensa che
accadrà, Staderini potrebbe andarsene.
«Credo ci sia uno scontro in
atto nella maggioranza. Qualcuno ha pensato che
assicurando una pera allalbero con un cordino,
questa potesse rimanere attaccata...».
Parla del
direttore generale?
«Non lho detto, ma chi
pensava di essere preventivamente garantito,
appiattendosi sulle volontà del capo, ha sbagliato i
conti. E Saccà è stato più realista del re, nelle
ultime quarantotto ore ha cambiato strategia,
invece di arrivare a una mediazione ha sparato a zero».
Il centrodestra
vi accusa di esservi dimessi per non essere riusciti a
lottizzare la Rai. Cosa risponde?
«Sono critiche strumentali e
unaccusa ingiusta e offensiva. Su tre punti
delicati come la Sipra, la Fiction e il coordinamento
palinsesti avevamo sperato in un ragionamento condiviso.
Sulla Sipra Saccà è stato irremovibile sui nomi di
Bianchi e Ranucci. Allora abbiamo proposto Guglielmi e
Cereda per gli altri due settori, lasciando libera la
scelta sui ruoli. In una riunione informale, tutti erano
daccordo, Albertoni si è persino detto
compiaciuto. Ci sediamo in consiglio, grandi sorrisi e
cortesie. Fermi tutti, Saccà, chiede dieci minuti di
sospensione. Diventano tre ore. Si capisce che è stata
fatta una telefonata ed è arrivato un veto, dopodiché
si blocca tutto, e Saccà tira fuori altri nomi dal
cappello con un gioco insidioso: uno a me e un altro a
te».
Quanto ha pesato
leliminazione di Biagi e Santoro?
«È stato determinante. Una
discriminazione politica che aziendalmente non ha senso.
Sono stati sostituiti con programmi peggiori in tutto.
Fino allultimo ho pensato che, con la delibera
firmata in consiglio, si ripristinasse il pluralismo.
Unaltra presa in giro sleale. Se davvero Saccà
pensa che Santoro abbia avuto un comportamento contro
lazienda, perché non ha avuto il coraggio di
licenziarlo? Lo ha trattato come un cane rognoso, lo ha
tolto dal video e dai programmi di informazione, per poi
accusarlo, dire che si rifiutava di lavorare al
docu-dramma sul bandito Giuliano, un piccolo tassello
sperimentale, per di più con un budget irrisorio».
Se Staderini si
dimettesse cadrebbe il consiglio. Cera un accordo
fra voi?
«No e non so che farà. Solo
io e Zanda abbiamo concepito i tempi delle dimissioni.
Certo con Staderini spesso ci siamo ritrovati
daccordo nel criticare certe scelte».
|