DA - LA REPUBBLICA. del 14 aprile 2003
Così sessant'anni fa i giapponesi
sperimentavano sui prigionieri in Manciuria armi letali
Orrori e misteri
dell'Unità 731
la "fabbrica" dei batteri killer
di MARCO LUPIS
HONG KONG - Ad Harbin i bambini con gli occhi a
mandorla e la faccia da piccoli russi attraversano il
fiume Sungari in bicicletta, cercando di tenersi in
equilibrio, scivolando con le gomme sulle acque
ghiacciate. Da lontano questa cittadina della Manciuria,
il Grande Nord della Cina, ha persino il sapore della
terra di confine. La cupola verde a cipolla della
cattedrale conferma quel soprannome di "piccola
Russia" che i locali le danno da sempre. Oggi Harbin
è una città animata, sporca, logora e inquinata. Quando
nel 1949 i comunisti cinesi presero la Manciuria,
ereditarono dai giapponesi sconfitti e in fuga una
struttura industriale e una rete di comunicazioni che non
avevano eguali in nesuna parte del Paese. Ma anche uno
dei segreti più agghiaccianti della storia degli orrori
del ventesimo secolo: l'Unità 731. Un luogo in cui si
consumarono terrificanti atrocità nel nome di una folle
progetto voluto dal Giappone Imperiale: trovare
quell'"arma finale" che garantisse la
supremazia definitiva del Giappone sul mondo.
Fantasmi terribili di un passato lontano ormai quasi
sessant'annni, ma che improvvisamente sembrano rivivere
per gettare le loro ombre sulla tragedia che, con il
contagio della polmonite atipica, sta attaversando la
Cina e il mondo intero. Ad Harbin il generale Ishii Shiro
detto "il dott Menghele giapponese" a capo
della Unità 731 condusse, durante e dopo la seconda
guerra mondiale, un folle programma di ricerche
batteriologiche. Con il benestare dei vertici militari
dell'epoca e, probabilmente, dello stesso imperatore
Hiroito, i prigionieri cinesi venivano utilizzati come
cavie umane e sottoposti a ogni sorta di terrificanti
esperimenti. Il piano rimase segreto anche dopo la fine
del conflitto, grazie alla promessa di immunità fatta
dall'esercito degli Stati Uniti ai dottori accusati di
crimini di guerra, in cambio dei dati emersi dalle loro
ricerche.
Il progetto in Giappone era stato avviato negli anni
Trenta per iniziativa di alcuni funzionari, rimasti
colpiti dalla messa al bando delle armi batteriologiche
contenuta nel protocollo di Ginevra del 1925. Il Giappone
nella loro idea doveva assolutamente disporre di queste
armi. L'esercito giapponese, che all'epoca occupava una
vasta area in Cina, fece evacuare gli abitanti di otto
villaggi nella zona di Harbin, per fare posto al quartier
generale della famigerata Unità 731". Dal punto di
vista dei giapponesi la Cina costituiva un luogo ideale
per le ricerche, poiché offriva materiale umano "di
basso valore" su cui sperimentare i batteri: i
marutas, ovvero pezzi di legno, come i giapponesi li
chiamavano con disprezzo, erano per lo più sospetti
comunisti e criminali comuni. Tutti cinesi. L'efficacia
delle armi batteriologiche preparate in laboratorio
veniva regolarmente sperimentata sul campo: il lancio di
pulci infette sul territorio orientale di Ningbo e su
quello centro-settentrionale di Changde provocò lo
scoppio di due epidemie di peste. Mentre la
contaminazione di pozzi e bacini con colture di tifo,
colera, tubercolosi, antrace, e anche virus di una forma
di polmonite letale, si rivelò efficace. Nel 1942
l'équipe di esperti riuscì a diffondere queste malattie
nella provincia cinese di Zhejiang, ma il contagio si
estese anche alle truppe giapponesi, provocando la morte
di 1.700 soldati.
Il professor Sheldon H. Harris, docente di Storia presso
la California State University a Northridge, nel suo
libro "Factories of death (Fabbriche di
morte)", pubblicato nel 1997 e considerato un testo
di riferimento per la scrupolosa e documentata
ricostruzione storica della vicenda, ritiene che le
vittime degli esperimenti con armi batteriologiche fatti
in Cina siano stati più di 200 mila. "Persino
quando ormai il conflitto volgeva al termine e si
profilava chiara l'imminente caduta del Giappone, nella
zona di Harbin furono liberati animali appestati e
infettati con virus e batteri letali, mutati in
laboratorio in modo tale da renderli trasmissibili
all'uomo. Nelle epidemie che seguirono in Cina, dal 1946
al 1948, morirono almeno 30 mila persone", scrive il
professor Harris. Malgrado siano ormai passati quasi 60
anni, nessuno tra i ricercatori che si sono occupati
della vicenda, né tantomeno gli organismi internazionali
che si occupano di disarmo globale, come l'Onu, sono mai
riusciti a sapere con esattezza dal governo cinese che
fine abbiano fatto quei materiali batteriologici. Questo
black-out delle informazioni è essenzialmente dovuto
alla totale chiusura internazionale della Cina di Mao. Ma
anche in seguito, le autorità cinesi non sono state
prodighe di informazioni. I documenti dell'esercito
nipponico dell'epoca, pubblicati nel libro dello storico
americano, rivelano che, "a pieno regime"
l'Unita 731 produceva, tra l'altro, 1000 chili di batteri
della peste al giorno.
Ma che fine ha fatto questa enorme quantità di
pericolossimi materiali batteriologici e chimici prodotti
ad Harbin? Un rapporto riservato della Conferenza di
Ginevra sul Disarmo (protocollo CD/1127/CD/CW/WP.384),
datato 18 febbraio 1992, fornisce una parziale risposta.
Soltanto 11 anni fa sul territorio cinese esistevano
ancora: "tre milioni di armi chimiche abbandonate da
potenze straniere (leggi Giappone) scoperte ma non
distrutte"; 100 tonnellate di agenti batteriologici
abbandonate da potenze straniere, scoperte ma non
distrutti". Nello Hubei le vittime sono state almeno
2000. Nel 1986 e 1987 poi (malgrado Usa e Cina fossero
nemici) l'American department of Defense e la Hubei
Provincial Medical University condussero una serie di
test su circa 200 volontari locali, affetti da febbre
emorragica con sindrome renale. Il risultato fu la
creazione di un antivirale da utilizzarsi inizialmente
solo per uso militare, per disporre di una cura per le
contaminazioni batteriologiche da virus. Il Ribavirin,
questo il nome del farmaco, è lo stesso utilizzato
estensivamente in questi giorni dai medici cinesi per
cercare di curare i malati di Sars.
Il professor Masuda Tsuneshi, direttore del Centro Studi
sulla Guerra del Pacifico dell'Università di Taipei, ha
raccolto e sviluppato l'insegnamento di Harris. "Da
quando sono cominciate ad arrivare le prime notizie
dell'epidemia in Cina - racconta a
"Repubblica"- ho fatto riflessioni angoscianti.
Gli esperimenti di Harbin condotti sui virus della
polmonite, la diffusione di animali infettati, la
coincidenza sull'uso del Ribavirin...". Coincidenze
sufficienti ad ipotizzare un legame tra gli antichi
orrori dell'Unita' 731 e l'attuale emergenza? Oppure
addirittura l'ipotesi che il virus-killer fosse stato
già sperimentato o prodotto nei laboratori di Harbin, e
poi "richiamato in vita" da qualche contenitore
abbandonato in qualche parte della Cina? "Credo che
questo sia poco probabile - riflette il professore -
anche se non impossibile. Difficile immaginare che un
agente patogeno come un virus sia potuto rimanere in vita
molti decenni. Dai documenti dell'epoca, però, sappiamo
che il generale Shiro e i suoi colleghi lavoravano
proprio per mettere a punto 'veicoli' che potessero
diffondere virus e batteri nell'ambiente mantenendo la
loro sinistra efficacia più a lungo possibile, come le
spore, ad esempio. Un po' meno azzardato forse pensare
che il regime maoista prima, e i militari cinesi dopo, si
siano impossessati delle armi letali di Harbin e le
abbiano conservate scrupolosamente per decenni in qualche
magazzino o laboratorio segreto, per poter disporre di
armi di distruzione di massa. Finora non è emersa alcuna
prova certa a favore di questa teoria - obbietta il
professor Masuda - ma neppure nessuna prova contro.
D'altronde - conclude - Mao diceva: 'la bomba atomica non
mi spaventa. Di cinesi ne ho talmente tanti'. Perché
avrebbe dovuto avere paura della guerra
batteriologica?"
Unità 731, chi
vuole nasconderla?
di Massimiliano Crippa
17 marzo 2003. Il primo uso documentato di guerra
biologica può essere fatto risalire ai romani o
addirittura agli antichi greci, che usavano carcasse di
animali per inquinare le riserve d'acqua nemiche. La
stessa pratica fu applicata dal Barbarossa nel XII
secolo.
Nel 1347, le truppe tartare impegnate nell'assedio del
presidio genovese di Kaffa, sul Mar Nero, catapultarono
all'interno della fortezza cadaveri di appestati. Alcuni
storici ritengono che, in seguito a questo episodio, la
peste sbarcò in Europa, trasportata dalle navi dei
genovesi in fuga, dove sterminò da 20 a 30 milioni di
persone in appena tre anni (un terzo della popolazione di
allora).
Un uso più recente della guerra biologica coinvolse gli
inglesi durante la guerra dei Sette Anni. Gli Indiani
d'America erano molto più numerosi degli inglesi e erano
sospettati di fiancheggiare i francesi. Come "atto
di amicizia", nel 1763 sir Jeffrey Amherst,
governatore della Nuova Scozia, diffonde tra i pellerossa
del Canada coperte provenienti da un ospedale e infettate
di vaiolo, che decimò le comunità indiane.
Più o meno nello stesso periodo, gli inglesi mandarono
tra i Maori (il popolo indigeno della Nuova Zelanda)
gruppi di prostitute infettate dalla sifilide: in poco
tempo le popolazioni locali vennero sterminate e le
praterie diventarono "terra vergine" per i
coloni europei.
Poca cosa ancora sono i piani germanici di guerra
biologica durante la Prima Guerra Mondiale, che
prevedevano soprattutto interventi sul bestiame con
l'impiego di antrace e Pseudomonas mallei e scarsi
tentatvi di introdurre la peste a S. Pietroburgo ed il
colera sul fronte italiano.
La vera storia delle armi biologiche comincia agli albori
della Seconda Guerra Mondiale, ma vediamo intanto di che
stiamo parlando.
Le armi biologiche
Le armi biologiche possono essere classificate in virus,
batteri, rickttesia, tossine ed organismi geneticamente
alterati. I virus più noti sono Hanta, Ebola, Marburg,
Encefalite Equina Venezuelana (VEE) e Lassa. Le armi
batteriologiche includono il Vibrio colera (colera),
Yersinia pestis (peste), Variola major (vaiolo), Bacillus
anthracis (antrace o carbonchio) ed altre specie meno
pericolose ma patogene come Salmonella typhi e
Staphylococcus aureus. Gli organismi rickettsiali sono
parassiti intracellulari umani. Alcuni possono essere
usati nella guerra biologica come Coxiella burnetti che
causa la febbre Q e un'endocardia cronica, o come
Rickettsia prowasecki, l'agente del tifo. Le due
principali tossine associate alla guerra biologica sono
Clostridium botulinum (botulismo) e Clostridium
perfringens. L'ultimo gruppo di organismi che sono, o
possono essere usati per scopi di guerra biologica sono
gli organismi geneticamente alterati. Di solito, si
tratta di un mutante degli organismi sopracitati che può
essere più virulento o meno suscettibile alle cure. Ogni
tossina o sostanza creata con la tecnica del DNA
ricombinante appartiene a questo gruppo.
Il più grande vantaggio della guerra biologica è la
grande efficienza letale. Una forma purificata di tossina
botulinica è quasi 3 milioni di volte più efficace del
Sarin, un agente chimico nervino.
Un altro vantaggio sono i costi. Colpire 1 km2 costerebbe
2.000 dollari usando armi convenzionali, 800 dollari
usando armi nucleari, 600 dollari usando agenti chimici,
e 1 dollaro usando agenti biologici. Per questo fatto gli
agenti biologici sono chiamati "la bomba atomica dei
poveri".
Forse una definizione più accurata è "l'atomica
dei pigri" a causa della facilità di produzione.
Ogni nazione con un'industria farmaceutica e medica
ragionevolmente avanzata ha la capacità di produrre in
massa armi biologiche.
L'ultimo vantaggio della guerra biologica è la natura di
questi virus: ogni cosa, dal pezzo di frutta al missile
balistico può essere usata per sganciare un'arma
biologica sul bersaglio. Oltre a questo con alcuni
organismi sono necessarie solo poche particelle per
causare un'epidemia. Le armi convenzionali esplodono e
sono esaurite, ma con poche particelle di Hanta molte
migliaia di persone possono diventare vettori di
infezione!
Al di là delle considerazioni morali, che valgono per
ogni tipo di arma di distruzione di massa, lo svantaggio
più grande della guerra biologica è sicuramente
l'imprevedibilità legata al suo uso, spesso in balia
delle condizione atmosferiche(1), che ci sembra anche il
migliore deterrente.
Il Trattato di Ginevra del 1925 impegnava i paesi
aderenti a non usare armi biologiche in guerra, ma non
vietava lo sviluppo, la produzione e lo stoccaggio. Un
nuovo trattato (Biological Weapons Convention),
sottoscritto nel 1972 da 70 paesi, proibisce anche lo
sviluppo, la produzione e l'accumulo di agenti batterici
e tossine. Da allora il numero dei paesi firmatari è
enormemente cresciuto (160 paesi hanno firmato e 140
anche ratificato), anche se è preoccupante rilevare che
una grande potenza come gli Stati Uniti ha aderito solo
in tempi recentissimi(2).
Non è facile, purtroppo, determinare quali nazioni
abbiano programmi in corso. Nessun governo ammetterà mai
niente e molti programmi "legali" di ricerca
offrono un'ottima copertura. I più recenti
"interessamenti" alla guerra biologica vengono
dai paesi cosiddetti "a media/bassa potenza".
Le nazioni sospettate di aver programmi di guerra
biologica sono: Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto,
Giappone, Iran, Iraq, Israele, Siria, stati ex-sovietici,
Stati Uniti, Taiwan. I più grandi depositi, invece, sono
detenuti da Iran, stati ex-sovietici e Stati Uniti, ma
ancora una volta i dati sono molto incerti, perché molti
governi non vogliono fornire queste informazioni.
Inoltre, questi depositi sono molto più facili da
nascondere di quelli di armi convenzionali e persino
delle armi chimiche.
L'infamia giapponese e la copertura americana
Il Giappone non aveva aderito, nel 1925, alla Convenzione
di Ginevra per la messa al bando delle armi biologiche.
Le ricerche biologiche in campo militare dei giapponesi
erano cominciate con un viaggio in Europa, nel 1928, del
Generale Ishii Shirou, che vi restò due anni. Al suo
ritorno affermò che una moderna guerra poteva essere
vinta solo con la scienza e la tecnologia e che la
produzione di armi biologiche era la più indicata per un
paese povero di risorse come il Giappone.
L'Unità 731 dell'Esercito Imperiale Giapponese, diretta
da Ishii e attiva dal 1936 al 1945 in Manciuria,
sviluppò e sperimentò sui civili varie armi biologiche.
Secondo gli storici, da 3.000 a 12.000 persone, tra
civili cinesi e prigionieri di guerra di varie
nazionalità, vennero usati come cavie per gli
esperimenti. Non vi furono superstiti.
Le cavie furono sottoposte a congelamento, bruciate vive,
depressurizzate, appese a testa in giù, infettate con
peste, colera e antrace, nonché vivisezionati vivi.
Verso la fine della guerra, nel 1945, era nato anche il
piano di utilizzare queste armi biologiche contro gli
Stati Uniti, utilizzando palloni aerostatici o aerei
kamikaze per diffonderli sulle coste californiane.
Il governo cinese aveva informato di queste pratiche,
immorali prima che illegali, i governi americano ed
inglese, tramite i suoi ambasciatori, fin dal 1941. Le
autorità cinesi chiesero ripetutamente aiuto alla
comunità internazionale.
Non che gli Stati Uniti fossero ignari delle fruttuose
ricerche di lotta biologica portate avanti dal Giappone,
ma non le presero seriamente in considerazione perché,
secondo Harris, il Giappone era lontano e non poteva
lanciare attacchi massicci verso gli Stati Uniti anche
perché, essendo i giapponesi asiatici, non potevano
essere in grado di sviluppare armi biologiche sofisticate
senza l'aiuto dell'uomo bianco.
Con l'aumento del numero di prigionieri di guerra
giapponesi catturati nel Sud del Pacifico, gli Stati
Uniti scoprirono che i giapponesi avevano un programma di
guerra biologica molto più grande di quanto avessero
sospettato; scoprirono inoltre che Ishii era il profeta
della lotta biologica giapponese con il suo centro di
Harbin, in Manciuria. Dopo che il Giappone ebbe sparso
con gli aerei i germi delle peste bubbonica sopra Changte
(novembre 1941), il Presidente Roosevelt protestò
vivamente a livello internazionale.
Ma proprio gli Stati Uniti, qualche anno più tardi,
giocarono un ruolo fondamentale nel nascondere al mondo i
crimini giapponesi. La Gran Bretagna, infatti, stava
sviluppando un suo progetto di guerra biologica, iniziato
per la paura che Germania e Giappone avessero un
vantaggio in questo settore(3). Gli Stati Uniti, avendo
cominciato un programma di ricerche su armi biologiche
solo nel settembre 1943, si ritrovarono a dover
rincorrere la Gran Bretagna e fu così che gli scienziati
americani pensarono di impadronirsi dei frutti delle
ricerche dell'Unità 731.
Fu uno dei momenti più bui nella storia americana. Gli
Stati Uniti si impegnarono per sottrarre l'Unità 731 al
Tribunale di Tokyo per i crimini di guerra (1946-48).
Così, diversamente da centinaia di medici nazisti che
furono giudicati e condannati per crimini contro
l'umanità al processo di Norimberga (1945-46), Ishii e
altri membri dell'Unità 731 non furono portati innanzi
alla giustizia(4). Ishii morirà da libero cittadino
negli Stati Uniti nel 1959. Williams e Wallace
attribuiscono l'insabbiamento solo al Gen. MacArthur. Il
libro di Harris dimostra che gli scienziati americani
furono ugualmente responsabili.
Nel gennaio 1946 il "Pacific Stars and
Stripes", un organo ufficiale dell'U.S. Army, aveva
riportato che tra le vittime degli esperimeni di Ishii
c'erano degli americani. Una settimana più tardi, un
simile rapporto apparve su The New York Times, e notizie
su prigionieri di guerra alleati usati come cavie negli
esperimenti furono sporadicamente divulgate anche in
seguito. Non importa quanto i sopravvissuti americani
cercassero di raccontare come furono usati dall'Unità
731 per esperimenti umani; il Congresso americano fece
orecchie da mercante, per non pagare spese mediche e
compensazioni.
Nel 1949 l'Unione Sovietica tenne un processo di una
settimana a Khabarovsk contro i criminali di guerra
giapponesi per l'uso di armi chimiche. Tra gli imputati,
12 persone erano associati all'Unità 731.
Durante la Guerra di Corea (1950-53), una notte gli
abitanti del villaggio di Min-Chung sentirono un aereo
volare sopra le loro case: la mattina dopo trovarono un
gran numero di topi morti, molti dei quali con le zampe
rotte. Presi dal panico li bruciarono quasi tutti.
Alcuni, fatti poi analizzare, si rivelarono infettati da
peste. Una commissione internazionale di indagine
pubblicò un rapporto che era un chiaro atto di accusa:
Non vi sono
dubbi che sul territorio di Kan-Nan nella notte tra il 14
e 15 aprile 1952, furono immessi topi appestati per mezzo
di un velivolo che gli abitanti udirono distintamente.
Tale mezzo aereo è stato identificato come un caccia
bimotore americano F-82 per azioni notturne.
Negli archivi cinesi vi è traccia anche del lavoro di
altri gruppi di medici i quali giunsero alla conclusione
che, in precedenti casi di peste, antrace, colera ed
encefalite, si era in presenza di una guerra
batteriologica.
Gli Stati Uniti, portati davanti alle Nazioni Unite dalla
Cina, respinsero con forza ogni sospetto. In realtà, il
27 ottobre 1950, due settimane dopo l'entrata delle
truppe cinesi nella Guerra di Corea, quando si teme una
generalizzazione del conflitto, George Marshall,
Segretario alla Difesa, dà il via ad un importante
programma batteriologico a Fort Detrick (Maryland). I
documenti declassificati confermano che lo stato maggiore
aveva posto la guerra batteriologica in cima alle sue
priorità strategiche, insieme al nucleare. Il governo ha
massicciamente finanziato questa ricerca, mobilitando
ingenti risorse militari e civili. Tra il 1950 e il 1952,
gli Stati uniti furono sul punto di diventare la prima
nazione al mondo a introdurre le armi batteriologiche in
un sistema di armamento moderno.
All'inizio venne privilegiato lo sviluppo di un sistema
d'arma integrato, che doveva essere operativo entro il
1° luglio 1954. Il progetto entrò in fase sperimentale
già nel marzo 1952. Tuttavia, visti i deludenti
risultati, a metà 1953 il programma sarà annullato e
sostituito da un programma più a lungo termine.
E' strano che Harris dedichi solo due pagine all'uso
americano della lotta biologica nella Guerra di Corea,
sembra che non ne voglia parlare; per contro, Williams e
Wallace hanno scritto 51 pagine, circa un sesto del loro
libro.
L'atteggiamento spregiudicato degli americani non deve
sorprendere poi molto. Basti pensare alla conferenza
stampa del 30 novembre 1950, ad una domanda sul possibile
uso della bomba atomica, il Presidente Truman aveva
risposto:
E' sempre
stato tenuto in considerazione il suo uso. Non voglio
vederla usata, è un'arma terribile.
Poco prima di essere destituito, il Gen. MacArthur voleva
lanciare le atomiche su Pechino e Shanghai.
Molti test americani sulle armi biologiche consistettero
nel contaminare aree popolate all'interno degli stessi
Stati Uniti.
Uno dei più grandi esperimenti avvenne nel settembre
1950, quando la Marina segretamente vaporizzò nella baia
di San Francisco una nube di batteri di Serratia
marcescens. Più tardi, la Marina ha dichiarato che i
batteri usati nell'attacco simulato erano innocui, ma
molti residenti presentarono sintomi tipici della
polmonite (i casi erano 5-10 volte maggiori rispetto al
solito) e qualcuno morì. Sebbene l'esercito abbia
dichiarato di non aver dato seguito a studi su questo
esperimento, uno studio esiste e dimostra che quasi
l'intera popolazione, circa 800.000 persone, fu infettata
dal microrganismo. L'esperimento dimostrava che una
grande città americana non aveva mezzi per difendersi da
una contaminazione di massa provocata da germi
trasportati dal vento.
Nel 1955, nell'area di Tampa Bay (Florida) si verificò
un clamoroso aumento di casi di pertosse, incluse dodici
morti, che i più informati associano ad un test di
guerra biologica. I dettagli del test sono ancora
classificati.
Tra il 1956 e il 1958 sulle comunità afro-americane di
Savannah (Georgia) e Avon Park (Florida), si liberarono
sciami di zanzare, sia a livello del suolo che da
aeroplani ed elicotteri, tipica tecnica dell'Unità 731.
Molti abitanti si ammalarono, alcuni morirono.
Successivamente, personale dell'Esercito, facendosi
passare per ufficiali pubblici della Sanità,
sottoponevano ad indagine le vittime e quindi sparivano.
E' stato teorizzato che le zanzare fossero infette di
febbre gialla. Comunque, i risultati dei test sono ancora
top secret.
Con l'identico scopo di verificare la vulnerabilità
delle città ad una aggressione batteriologica, dal 7 al
10 giugno 1966 l'Esercito diffuse il Bacillus subtilis
nel sistema della metropolitana di New York. I risultati
mostrarono che l'intero sistema di tunnel sotterranei
poteva essere infettato mediante il rilascio in una sola
stazione, a causa del vento creato dai treni. Sebbene non
siano noti effetti nocivi per questa diffusione, fu
calcolato che quell'attacco infettò oltre un milione di
persone.
Altri esperimenti riguardarono Minneapolis. Furono
camuffati come "test dello schermo di fumo",
perché ai residenti fu detto che si stava testando un
fumo innocuo che nascondesse le città ai missili a guida
radar.
Nel 1969 il Presidente Nixon intimò che ogni attività
di ricerca e produzione di armi biologiche fosse
interrotta. Nel 1977, per la prima volta, l'Esercito ha
ammesso di aver condotto, dalla Seconda Guerra Mondiale,
centinaia di esperimenti di guerra biologica, compresi
test che avevano come obiettivo popolazioni civili.
In base ai documenti declassificati, cioè su cui è
stato tolto il segreto, sappiamo ora che il Pentagono
sperimentò, negli anni compresi fra il 1962 e il 1971,
aggressivi chimici e biologici su almeno 5.500 soldati
americani. La notizia, riferita da The New York Times
all'inizio di ottobre del 2002, suscitò molto clamore,
vista la coincidenza con le accuse all'Iraq di possedere
queste stesse armi e di voler combattere una guerra
contro chi pensa di utilizzarle. Ora i veterani
potrebbero esigere un risarcimento per eventuali
conseguenze negative sulla salute. I test si svolsero a
terra in Alaska, nelle Hawaii, nel Maryland e in Florida.
Vennero testati gas nervini, come il Sarin e il VX, e
tossine biologiche. Il Pentagono ha anche ammesso che,
come prevedibile, si verificarono alcune fughe
nell'ambiente delle sostante usate e possibili
contaminazioni della popolazione civile, ma solo per
quanto riguarda le sostanze biologiche, che erano di
bassa pericolosità. I documenti affermano anche che
esperimenti analoghi sono stati portati avanti in Canada
e Gran Bretagna.
Inoltre, già nel maggio del 2002, era venuta alla luce
un'altra storia di esperimenti condotti tra il 1964 e il
1968 sulle navi della Marina. Anche qui erano stati
sperimentati Sarin, Soman, Tabun e VX(5).
Gli americani, inspiegabilmente, sembra che vengano a
sapere dell'Unità 731 solo il 17 marzo 1995 tramite un
articolo di Nicholas D. Kristof su The New York Times(6).
In realtà, la prima persona che alzò il velo della
segretezza americana fu John W. Powell Jr., proprietario
del quotidiano di Shanghay "The China Weekly"
fino al 1953, quando tornò negli Stati Uniti, dove venne
perseguitato per le sue rivelazioni. Il primo dettagliato
rapporto sull'Unità 731 e sulla copertura statunitense
venne reso disponibile soltanto nel 1989, grazie a Peter
Williams e David Wallace, due giornalisti inglesi. Subito
dopo, anche Sheldon Harris completò la sua monumentale
opera.
La redenzione
Dall'altra parte del Pacifico, intanto, diversi membri
dell'Unità 731 avevano occupato posizioni di rilievo
nelle imprese farmaceutiche, negli ospedali, nelle
università. Può sembrare scandaloso, ma è proprio
grazie alla testimonianza di alcuni di questi ex-soldati
che tali atroci crimini di guerra vengono alla luce per
la prima volta.
Shinozuka Yoshio, 79 anni, è stato forse tra i primi a
raccontare in giro per il paese il suo triste passato.
Shinozuka entrò a far parte dell'Unità 731 nella
primavera del 1939, all'età di 15 anni, senza sapere
bene quale fosse il suo compito. In seguito, egli
produsse colture di germi e vivisezionò le vittime degli
esperimenti. Shinozuka tornò in Giappone nel 1956, dopo
aver trascorso sei anni in un campo di prigionia in Cina,
e lavorò come impiegato pubblico nella prefettura di
Chiba. Fin da allora, egli tentò di parlare della sua
esperienza, ma il clima non era ancora adatto.
Nel 1981 lo scrittore Morimura Seiichi raccontò la
terribile vicenda in un libro che fu fatto passare sotto
silenzio(7). Nell'aprile del 1995, lo storico giapponese
Ooe Shinobu ha affermato che Auschwitz, Hiroshima,
Nagasaki e le attività dell'Unità 731 sono i peggiori
atti criminali della Seconda Guerra Mondiale. Nel giugno
1998 Shinozuka venne chiamato negli Stati Uniti dai
gruppi per i diritti umani come testimone, ma
all'aeroporto di Chicago gli venne impedito di entrare,
in quanto considerato criminale di guerra. Alla fine del
2001 è stato il regista Matsui Minoru a realizzare un
documentario sui crimini di guerra giapponesi, vincitore
di premi in Portogallo e in Germania.
Negli ultimi anni, però, a risollevare il velo davanti
ai tribunali giapponesi, sono stati soprattutto i
familiari delle vittime cinesi. Anche Shinozuka, come
altri 10.000 giapponesi ogni anno, si è recato in Cina a
visitare il sito dove sorgeva l'unità speciale(8), ma
nel suo caso soprattutto per aiutare alcuni dei parenti.
Recentemente, con la sua testimonianza, ha aiutato 180
cinesi che, nel 1997, hanno fatto causa al governo
giapponese presso la Corte Distrettuale di Tokyo.
Questo processo si è concluso il 27 agosto 2002 e, per
la prima volta, un tribunale giapponese ha ammesso che le
truppe imperiali erano coivolte in tali delitti. Alcuni
anni fa il governo aveva ammesso l'esistenza dell'Unità
731, ma ha sempre rifiutato di confermarne le attività.
Il giudice Iwata Koji ha invece dichiarato:
Lo sviluppo di
armi biologiche era una parte strategica dei piani di
guerra giapponesi e fu portato avanti in base a ordini
provenienti dai vertici militari. [...] L'obiettivo
principale [dell'Unità 731] era la ricerca, lo sviluppo
e la produzione di armi biologiche.(9)
La causa civile però è stata respinta. I 180 cinesi
chiedevano un risarcimento danni di 10 milioni di yen a
testa e le scuse del governo giapponese. Il giudice ha
però ricordato che in base alle leggi internazionali,
compresa la Convenzione di Hague, un singolo cittadino
non può chiedere indennizzi ad uno stato estero. Queste
compensazioni andavano concordate al momento del trattato
di pace (San Francisco, 1951).
Quest'ultima decisione forse lascia un po' l'amaro in
bocca, ma non deve far dimenticare i passi avanti fatti
negli ultimi anni nella gestione collettiva di questo
fatto tragico. A trent'anni anni dalla normalizzazione
dei rapporti diplomatici (settembre 1972), la relazione
tra Cina e Giappone rimane complessa. Le proteste cinesi
si fanno ancora sentire in occasione della visita di un
membro del governo giapponese allo Yasukuni Jinja o
all'uscita di un libro di storia che puzza di
revisionismo, ma secondo Kojima Tomoyuki, professore alla
Keiou Daigaku, si tratta di eventi isolati, mentre le
questioni economiche acquistano sempre maggiore
importanza.
La Cina cerca
ancora di usare la guerra come una carta diplomatica, ma
sa che usarla troppo produrrebbe risultati negativi.
Sebbene i problemi della guerra siano ancora in campo tra
Giappone e Cina, ciò non significa che la loro relazione
trentennale vada rinnegata.(10)
Nel 2001 Koizumi si è recato in Cina per esprimere le
sue "sincere scuse e condoglianze" al ponte
Marco Polo, dove cominciò l'invasione della Cina nel
1937. Nel 1999 e nel 2000 il Giappone ha protestato per
lo sconfinamento di alcune navi cinesi nelle proprie
acque territoriali, ma quando nel dicembre 2001 il
Giappone ha inseguito e affondato vicino alle acque
territoriali cinesi un vascello che si sospetta essere
una nave spia della Corea del Nord, la Cina ha protestato
molto poco ed ora ha permesso anche il suo recupero(11).
Purtroppo lo scandalo diplomatico di quest'anno(12) ha
raffreddato un po' i rapporti, ma ancora una volta è
l'economia a ridare il sorriso a tutti.
Le importazioni giapponesi dalla Cina ammontano al 17,8%
del totale e stanno per superare il 18,2% degli Stati
Uniti. Anche gli investimenti giapponesi in Cina stanno
crescendo. Nel 1999 il Giappone ha dato alla Cina 414
milioni di dollari in aiuti allo sviluppo, più di
qualsiasi altro paese.
Inoltre, sembra ormai ovvio che il problema del
riconoscimento dei crimini di guerra sia tale solo per il
governo e per i gruppi nazionalisti che lo sostengono
(anche se, dopo questa sentenza, sarà quasi impossibile
negare ancora). Il popolo giapponese sa o vuole sapere e
non nasconde la verità. I libri che raccontano questi
fatti in modo non fazioso sono ormai decine e mentre
alcuni anni fa stentavano a vendere, ora alcuni sono
diventati dei best-seller.
Al loro fianco ci sono libri revisionisti che negano ogni
addebito, ma questo è il bello della democrazia.
Un sondaggio che viene fatto ogni anno tra gli studenti
di storia della Meiji Daigaku di Tokyo mette sempre in
luce come oltre i due terzi crede che il Giappone abbia
fatto troppo poco per farsi perdonare i crimini del
passato.
Conclusioni
Diventare un terrorista biologico non è difficile come
si pensa. Nascondere armi nucleari è piuttosto
complicato (quanti usi ci sono dell'Uranio-235?), ma
nascondere un laboratorio di ricerca sulla biologia
molecolare è facile. In appena 30-60 minuti un
laboratorio può essere sgombrato di tutti i materiali
sospetti e sembrare un laboretorio di ricerca medica o
farmaceutica. Le attrezzature necessarie ai laboratori
legali e illegali sono le stesse. Non c'è bisogno di
attrezzature speciali, a parte condizioni di lavoro molto
stringenti. Un'altro vantaggio è che non richiede molto
spazio. Perfino la produzione di massa di organismi può
essere fatta su scala artigianale. Una coltura di batteri
dell'antrace può crescre in grande quantità in 96 ore.
Il livello di tecnologia richiesto è molto inferiore a
quello richiesto dalle armi nucleari. Molte tecniche
usate possono essere trovate nei mezzi di comunicazione.
Le informazioni non sono considerate
"scottanti" come quelle nucleari.
Infine, i progressi fatti nelle biotecnologie ha dato il
via a dibattiti sui problemi e sull'avvenire della guerra
biologica. Chiunque può modificare un virus, così da
renderlo ancora più pericoloso.
Anche se crediamo di non aver perso di vista l'obiettivo
di fare chiarezza sulle responsabilità giapponesi e
americane per quanto riguarda la gestione della questione
"Unità 731", ci sembra che, in consideazione
anche dei fatti dell'11 settembre 2001, si delineino per
il futuro scenari ancora più apocalittici.
Note
1. La storia dell'isola di Gruinard ci pone di
fronte a tutti i principali problemi che anche soltanto
la sperimentazione di armi biologiche da parte dei
governi sui propri territori comporta, di come
l'imprevedibilità può prendere il sopravvento e
danneggiare se stessi prima che gli altri.
2. Soltanto dal 1996, dopo l'ultimo di una serie
di episodi che hanno del ridicolo, negli Stati Uniti
l'acquisto e lo spostamento di agenti patogeni è stato
sottoposto a un rigido controllo.
Nel 1995, infatti, Larry Wayne Harris, membro di
un'organizzazione razzista nota come Aryan Nation
(Nazione ariana), si era lamentato col laboratorio al
quale aveva richiesto il 5 maggio un campione di Yersinia
pestis (del costo di 240 dollari) che la sua spedizione
tardava ad arrivare. E' solo per questo e per il fatto
che aveva dato l'indirizzo di casa e non quello riportato
sul suo permesso (in quanto microbiologo presso
un'azienda alimentare) che l'FBI bussò alla sua porta.
Nel cruscotto della sua macchina, parcheggiata nel
vialetto d'ingresso, conservava le tre fiale di peste,
impacchettate fra due lastre di vetro, gommapiuma
assorbente e in scatole di metallo sigillate
contrassegnate come contenenti sostanze infettive, come
richiesto dai regolamenti federali.
Comunque, egli non aveva infranto la legge per il
possesso dell'agente né per averlo conservato nel
proprio cruscotto. Si riuscì ad accusarlo solamente di
frode postale avendo usato in modo ingannevole,
nell'ordinazione dell'agente patogeno, il documento
rilasciatogli sul posto di lavoro.
Harris è anche l'autore di un libro autoprodotto
intitolato "Bacteriological Warfare: A Major Threat
to North America", che spiega nei dettagli la
produzione di agenti patogeni e il loro utilizzo come
armi biologiche.
Harris sarà arrestato anche il 18 febbraio 1998 a Las
Vegas per aver tentato di diffondere l'antrace, anche se
il materiale rinvenuto si rivelò poi essere un vaccino.
Dall'entrata in vigore della nuova legislazione, le
investigazioni si sono moltiplicate a dismisura. Cfr. ad
esempio Edwards, Tamala M. Catching A 48-Hour Bug, in
"Time", vol. 151, n. 8, 2 marzo 1998; leggere
anche Stein, Jeff. The terror at home, in
"Salon", 20 febbraio 1998.
3. Il programma era focalizzato sulle spore di
antrace e sul loro raggio di diffusione quando lanciate
con una bomba convenzionale. Gruinard, un'isola al largo
delle coste della Scozia, fu scelta nel 1942 come luogo
degli esperimenti. L'isola fu evacuata versando agli
abitanti un indennizzo di 500 sterline. Si pensava che
l'isola fosse abbastanza distante per prevenire qualsiasi
contaminazione della terraferma, un'ipotesi sbagliata.
Nel 1943, dopo un'epidemia di antrace tra il bestiame
sulle coste della Scozia davanti a Gruinard, gli inglesi
decisero di terminare gli esperimenti. Fino agli anni '80
furono ancora rinvenute spore vitali sul territorio
dell'isola. Per eliminare del tutto le spore, fu
necessario ricorrere ad una drastica operazione di
bonifica, ottenuta spargendo una soluzione di formaldeide
in acqua di mare su tutta l'isola. Nel 1988, dopo
ulteriori controlli, il governo ha dichiarato che l'isola
è sicura.
4. Trenta membri dell'Unità 731 furono portati
davanti al Tribunale di Tokyo per i crimini di guerra
l'11 marzo 1948. Ventitre di loro furono ritenuti
colpevoli, cinque furono condannati a morte, ma nessuna
sentenza venne eseguita. Entro il 1958, tutti i
condannati erano liberi.
5. Al confronto, il programma di guerra biologica
sovietico era relativamente "quieto", per
quanto riguarda la sperimentazione. Nel 1979 almeno 66
abitanti di Sverdlovsk, cittadina posta sottovento
rispetto ad un laboratorio di microbiologia statale,
morirono per una epidemia di antrace. Per molti anni, la
spiegazione ufficiale del governo fu che le vittime
avevano mangiato incosapevolmente bestiame infetto. Solo
nel 1992 il Presidente Yeltsin ammise che si era trattato
di un incidente.
Tra il 1973 e il 1974, venne creata una enorme struttura,
il Biopreparat, diretta da Yuri Kalinin che nell'arco di
25 anni occupò oltre 50.000 persone. La conferma sulle
attività di Biopreparat è venuta da Ken Alibek, alto
funzionario di quella struttura ed autore di un libro
sull'argomento edito nel 1999, ove si afferma anche l'uso
di Pseudomonas mallei (responsabile della morva, una
malattia dei cavalli che può colpire anche l'uomo)
durante la guerra condotta dai russi in Afghanistan.
Sebbene i nuovi governi si dicono intenzionati ad
eliminare le armi biologiche, ciò non risulta così
semplice o viene fatto nel modo sbagliato. Centinaia di
tonnellate di batteri di antrace, seppellite nel 1988 su
di un'isola nel Mare di Aral dalle autorità sovietiche,
rischiano ora di riaffiorare. Grazie ad alcuni test
esplorativi, si è scoperto che, nonostante la
dissoluzione dell'antrace in candeggina, alcune spore
risultano ancora attive.
6. Cfr. Kristof, Nicolas D. Unlocking a Deadly
Secret. The New York Times, 17 marzo 1995.
7. I gruppi nazionalisti condussero una battaglia
spietata contro il libro. Scoprirono che una delle tante
foto di cui era corredato era stata manomessa e tanto
fecero che ottennero il ritiro del libro.
8. Nell'edificio principale, l'unico lasciato in
piedi dai giapponesi, è stato realizzato un piccolo
museo.
9. Cfr. Forney Harbin, Matthew e Kattoulas,
Velisarios. Black Death, in "Time Asia", vol.
160, n. 9, 9 settembre 2002.
10. Cfr. Fuyuno, Ichiko e Kruger, David. Memories
of Horror, in "Far Eastern Economic Review", 5
settembre 2002.
11. Il 22 dicembre 2001, al largo delle coste
sud-occidentali giapponesi, alcune navi della guardia
costiera nipponica (Kaijou Hoanchou) hanno bloccato e
affondato un peschereccio non identificato entrato nella
sua Zona Economica Esclusiva (EEZ) che, come stabilito
dalle leggi internazionali (United Nations Convention on
the Law of the Sea), si estende fino a 200 miglia
nautiche (370 km) dalle acque territoriali (ryoukai), che
a loro volta sono 12 miglia nautiche (22 km) dalla costa.
Le rispettive zone di Cina e Giappone si sovrappongono e
sottostanno ad un particolare accordo.
La dinamica dell'incidente non è chiara, come pure
l'identità della nave colata a picco. I guardacoste,
dopo un lungo inseguimento dalla EEZ giapponese fino a
quella cinese, avrebbero circondato l'imbarcazione,
intimandole di farsi riconoscere e chiedendo di salire a
bordo. Dalla barca sarebbero allora partiti dei colpi di
arma da fuoco che hanno ferito due guardacoste.
A quel punto, si è scatenata la risposta nipponica che
ha affondato la misteriosa imbarcazione, lasciando in
mare i 15 uomini che componevano il suo equipaggio, in
contravvenzione alle leggi internazionali. Vista
l'attrezzatura di cui disponevano, parabole satellitari e
altre apparecchiature, poteva trattarsi di una nave spia,
probabilmente nordcoreana. Sono stati ritrovati due corpi
con scritte in coreano sugli abiti.
La legge di polizia giapponese (Keishokumuhou) permette
di sparare per colpire solo all'interno delle acque
territoriali, mentre nella EEZ si può sparare solo colpi
di avvertimento. Il comportamento tenuto dal Giappone
sembra aver violato più volte quanto stabilito
dall'UNCLOS, anche se non nell'articolo 111, come afferma
qualcuno, dove si definisce il diritto di inseguimento
(hot pursuit, in giapponese tsuisekiken). Cfr. ad esempio
Takada, Kazunori. A case of excessive self-defense? Japan
Today, 28 dicembre 2001.
12. L'8 maggio 2002, alcuni poliziotti cinesi
entrano illegalmente nel Consolato giapponese di
Shenyang, dove cinque fuggitivi nordcoreani si erano
rifugiati. I poliziotti non si sono limitati a catturare
una donna sul cancello, ma sono entrati nel consolato per
una quarantina di metri, facendo irruzione indisturbati
all'interno della sala visti, prendendo in consegna gli
altri fuggiaschi e riportandoli sul suolo cinese del
tutto indisturbati. I funzionari giapponesi non si sono
opposti.
L'immagine di debolezza e insipienza della diplomazia
giapponese ha ormai fatto il giro del mondo. Il tutto in
violazione della Convenzione di Vienna (1961), che
stabilisce l'inviolabilità delle sedi diplomatiche e che
alle forze di sicurezza dei paesi ospitanti di entrarvi
senza autorizzazione formale del capo-missione.
Insoddisfacenti anche le spiegazioni cinesi.
L'ambasciatore a Tokyo Wu Dawei ha affermato che le
guardie avrebbero dato vita a un'operazione di sicurezza
per impedire a "sospetti terroristi" di entrare
all'interno della sede diplomatica nipponica al fine di
proteggerla.
Sembra che la Cina possa essere accusata di violazione
della sovranità giapponese e del rifiuto di gestire in
modo umano il problema dei rifugiati. Ma il personale
diplomatico cosa ha fatto per impedire questo?
Gregory Clark ci ricorda che, all'inizio degli anni '80,
la polizia giapponese si comportò più o meno allo
stesso modo nell'Ambasciata americana a Tokyo, nel
tentativo di portare fuori un nordcoreano; la cosa si è
ripetuta nel 1998 con l'Ambasciata cinese. Cfr. Clark,
Gregory. Japan at its inconsistent worst. The Japan
Times, 17 maggio 2002.
La vicenda umanitaria, fortunatamente, dopo un paio di
settimane si è conclusa bene: i cinque coreani, col
permesso del governo cinese, sono volati a Manila e da
lì hanno raggiunto la Corea del Sud.
I LIBRI CHE VI CONSIGLIAMO DI LEGGERE :
Bibliografia
AA.VV. La
guerra chimica, speciale di "Storia
Illustrata", n. 151, giugno 1970.
Daws, Gavan. 1994.
Prisoners of the Japanese: Pows of World
War II in the Pacific. William Morrow & Company.
Endicott, Stephen e Hagerman, Edward. Le armi biologiche della
guerra di Corea, in "Le Monde diplomatique",
luglio 1999.
Endicott, Stephen e Hagerman, Edward. 1998. The United States
and Biological Warfare. Secrets from the
Early Cold War and Korea. Indiana University Press,
Bloomingtoon-Indianapolis.
Forney Harbin, Matthew e Kattoulas, Velisarios. Black Death, in
"Time Asia", vol. 160, n. 9, 9
settembre 2002.
Fuyuno, Ichiko e Kruger, David. Memories of Horror, in
"Far Eastern Economic Review", 5
settembre 2002.
Gold, Hal. 1996. Unit 731: Testimony. Charles E.
Tuttle, Tokyo.
Harris, Sheldon H. 1994. Factories of Death: Japanese Biological
Warfare, 1932-45 and the American
Cover-Up. Routledge, New York.
Ippolito, Giuseppe. Rischi
e possibili effetti di un eventuale attentato
terroristico con agenti biologici, in "Per Aspera ad
Veritatem", n. 22, gennaio-aprile
2002.
Karube, Takuya. Ex-Unit
731 member spreads truth as his apology. Japan
Today, 12 agosto 2002.
Kristof, Nicolas D. Unlocking
a Deadly Secret. The New York Times, 17
marzo 1995.
Pilling, David e Hijino, Ken. Japan admits virus tests
on war prisoners. Financial Times, 28
agosto 2002.
Sanders, Richard. 2001.
La storia del bioterrorismo negli U.S.A.
COAT.
Santoianni, Francesco. 1991. L'ultima epidemia: le armi
batteriologiche. Dalla peste all'AIDS.
Edizioni Cultura della Pace.
Santoianni, Francesco. Una guerra a colpi di virus,
in "Newton", febbraio 1999.
Williams, Peter e Wallace, David. 1989. Unit 731:
Japan's Secret Biological Warfare in World War II. The
Free Press, New York.
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