PER CAMBIARE «LO STATO DI COSE PRESENTE»

PER CAMBIARE «LO STATO DI COSE PRESENTE»

di mario monforte

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Il nuovo, che è venuto avanti negli anni recenti in Italia, è però stato considerato a lungo alla maniera di quei dannati danteschi che avanzano con la testa rovesciata all’indietro: si è guardato al presente con le categorie del passato. E se quell’“insieme” denominato «movimenti» è la sola vera realtà nuova nel nostro paese, la comprensione di che cosa implica e verso dove si deve sviluppare arriva tardi. A cose fatte? No, per fortuna, non ancora.

Pensiamo ai movimenti per la pace, alle migliaia di comitati sorti dovunque su “nodi” maggiori o (apparentemente) minori, ma tutti di primaria importanza, al successo del «Vday», alle «liste civiche» (quelle vere, perché non manca il solito fenomeno delle “liste civetta”) che hanno rotto con il “sistema” dei partiti: tutto ciò ha segnato una separazione dalla consueta organizzazione delle «masse» nei, e a seguito dei, partiti e delle organizzazioni collaterali e associazioni fiancheggiatrici, e ha coinciso con la critica crescente alla «classe politica» – divenuta quella che è stata chiamata (giustamente) «casta» – nel contesto dell’avvitamento in un circolo vizioso verso un fondo oscuro della situazione italiana – sul piano economico, sociale, urbano, ambientale, culturale, esistenziale. Ma la critica non è abbastanza proceduta, anche all’interno dei «movimenti», rispetto agli organismi che fanno capo alla «classe politica» e rispetto alle concezioni connesse, e il processo è stato strumentalizzato o contenuto dai partiti – e in molte realtà affogato e chiuso.

Chi scrive ha cercato di concorrere ad aprire la via al nuovo (e non al “nuovismo” che è il peggiore “vecchismo”), tramite incontri nazionali, a cui hanno partecipato esponenti di varie realtà di molte regioni del nostro paese, per avviare la ricomposizione, autonoma e indipendente, dei «movimenti» esistenti e potenziali contro «lo stato di cose presente». Ebbene, non a caso, nel percorso indicato si sono levati i due seguenti ostacoli e fuorviamenti, opposti ma perfettamente complementari:

- primo, la tendenza a impedire la ricomposizione – politica e organizzativa – dei «movimenti», puntando a condurli a confluire come supporto, prima, della «cosa rossa», ora, della «sinistra arcobaleno» – ovviamente con i soliti discorsi, presenti dentro e fuori ai partiti della sinistra (ivi compresi i «dissidenti» di questi vari partiti): “mutiamone la linea”, “incidiamo sulle decisioni”, “portiamo una prospettiva diversa”, “costringiamoli a tener conto …”, “salviamo la sinistra”, e cosí via, e sempre ovviamente in sostanziale subalternità a questi “pezzi” (appunto di sinistra) della «classe politica», tagliando e spengendo le istanze di mutamento che vengono dai «movimenti».

- Una seconda tendenza è stata quella di strozzare il processo di ricomposizione, imponendo la formazione di un partito autoproclamato, con vesti e riferimenti dei «movimenti», ma chiudendoli in strutture organizzative, consuete e desuete, di persone designate e non elette da nessuno, funzionanti con tutti gli altri partiti, quale supporto di qualche presenza istituzionale – con l’ovvio esito di autoproclamare un ennesimo “partitino” in sostanziale subalternità al “sistema” e al modo di essere dei partiti, e come emanazione di minuscole presenze nella «classe politica».

Nel frattempo è proceduta una terza direttrice, quella che viene da spinte diverse, ma che si centra sulla «riforma della politica» – “via inquisiti e disonesti”, “riduzione delle prebende”, dunque, “governo degli onesti” –, il che è importante, dati peraltro i livelli di corruzione e lo scandaloso assorbimento di risorse della «classe politica», ma è inadeguato, in quanto non risponde alla domanda “governo degli onesti” ma per fare che?, non pone la priorità della “messa a casa” di tutta la «classe politica», nemmeno definisce con chiarezza l’opposizione a tutti gli strumenti (partiti e organizzazioni varie) della «classe politica» stessa (si va da chi dice di situarsi sempre nel contesto del centrosinistra – contro la destra berlusconiana – a chi lascia tutto nel vago).

A fronte a queste posizioni, in tutti i “pezzi” dei «movimenti» ne scorre una quarta – ben comprensibile, ma insufficiente –, quella di rinserrarsi nella propria specifica “questione” e azione, chiudendosi al resto, il che serve a mantenere l’unità dei singoli “pezzi” stessi, ma blocca, a sua volta, la ricomposizione necessaria e la collocazione in un’elaborazione globale e un’iniziativa complessiva, invece necessarie per conseguire la massima efficacia e incisività possibili. Fra tali “scogli” procede la prospettiva di ricomposizione autonoma e indipendente dei «movimenti». E occorre ribadire quanto “non va”:

- va respinta ogni confluenza nella «sinistra arcobaleno», perché la sinistra (pur ridicolmente «unita e plurale») ha ormai dimostrato di aver del tutto fallito rispetto alle promesse e premesse su cui si è mossa e su cui continua a carpire i voti di parte dell’elettorato, ed è semplicemente inutile e fuorviante parlare un’ennesima volta del suo “rinnovamento”, dando solo supporto alle frazioni e fazioni di «classe politica» della sinistra stessa, che hanno già ben mostrato il ruolo che svolgono – per quanto riguarda il resto della «classe politica» e relativi partiti è superfluo dire, sono solo organizzazione di interessi, di “cordate”, di clientele e di manipolazione dei consensi;

- va respinta l’autoproclamazione di un ennesimo “partitino”, perché ciò significa castrare il processo potenziale in corso e confluire nel consueto “gioco” della politica istituita e costituita, “di palazzo”, affogando ogni possibile rinnovamento;

- va superato il limite di puntare solo sul “governo degli onesti” perché non basta ad affrontare la situazione in cui sta affondando il paese, mentre non concorre a fare chiarezza;

- va superata la chiusura nel proprio “specifico”, perché cosí non si evita il progressivo deperimento dei «movimenti», mentre si mette in discussione la stessa possibilità di “sfondare” sulla specifica “questione”.

La sola possibilità è quella di ricomporre tutti i «movimenti» (liste, comitati, associazioni varie, nonché singoli cittadini) in un unico movimento, – articolato ma complessivo, ricomposizione che venga “dal basso” – discussa e condivisa da chi, nel pieno mantenimento della sua completa autonomia, aderisce consapevolmente e volontariamente alla ricomposizione stessa –, procedendo dal livello locale a quello regionale (in maniera, per intendersi, federativa), e da questo a livello interregionale e nazionale (in maniera, sempre per intendersi, confederativa).

Non si tratta, in nessun modo, di mettere in piedi “un” partito, “un altro” ancora, e va respinto il “modo di essere” dei partiti (passati e presenti), il leaderismo dilagante, la struttura di “capi” e “capetti”, “segretari” e “dirigenti”, con tanto di relativi seguiti, di “attivisti” posti in “liste d’attesa” (per trovare una “sistemazione”), di elettori illusi e ingannati, confinati a metà fra fede e tifo.

Si tratta di avviare l’organizzazione (e autorganizzazione) della parte, quella parte della società civile che deve, e intende, trasformare lo «stato di cose presente»: organizzando i coordinamenti (locali, regionali e nazionali) in base a veri esponenti (delle realtà e dei cittadini aderenti) che siano revocabili in qualsiasi momento, nella piú completa trasparenza e partecipazione paritetica; puntando da subito a eleggere rappresentanti che non iterino mai il mandato; facendo procedere ogni elaborazione, decisione, iniziativa, dalla discussione e condivisione “dal basso”. Insomma, democrazia coerente e conseguente, da applicare innanzitutto nella stessa ricomposizione in un movimento complessivo, e iniziativa su tutti i piani – il che è riassumibile nei seguenti “titoli”: difesa della democrazia e sviluppo della democrazia attiva e diretta; no alla «classe politica» e ai suoi partiti e supporti; ripristino di città, paesi e territori a misura di cittadino e di vita civile; ri-creazione di una cultura che abbia senso e prospettive; istanza di economia “altra”, programmata e volta alla necessità e utilità, nella salvaguardia e arricchimento del nostro tessuto produttivo, dei nostri “saper fare”, del nostro territorio, della salute ambientale; conquista di una vera sovranità indipendente sul territorio del nostro paese.

E a chi ci si rivolge? La definizione è chiara: a tutti coloro che lavorano, hanno lavorato, sono in cerca di lavoro e a tutta la “gente semplice” che non opprime e comanda gli altri – e nemmeno aspira a farlo a titolo individuale.

La ricomposizione delineata deve avere un versante operativo – raccordo e potenziamento reciproco delle iniziative in corso e da decidere, nonché delle scadenze elettorali che si approssimano – e un versante elaborativo – raccolta iniziative già in atto, diffusione del “materiale”, individuazione dei “nodi” da affrontare o da approfondire, studi e convegni a tema, elaborati, etc.

In Toscana siamo riusciti, attraverso mille ostacoli e difficoltà, con la riunione a Firenze del 17 febbraio e quella a Siena del 15 dicembre, ad avviare questo processo di ricomposizione, andando infine alla formazione del Coordinamento regionale di un complessivo movimento cittadino nella regione (detto ciò senza trionfalismi: resta da ampliare a tutte le realtà esistenti, resta da consolidare a livello provinciale e comunale, resta da mettere alla prova nelle iniziative in corso e nelle prossime scadenze). Senza pretendere alcun “primato” ci rivolgiamo a tutte le realtà che possiamo raggiungere, a tutti coloro che hanno capito non solo la necessità di opporsi all’“andamento” in corso, ma anche di pensare e agire, e perciò di associarsi e organizzarsi, perché si muovano nella stessa direzione, perché si mettano in contatto con noi, perché si estenda questo processo su scala interregionale e nazionale.

Con un’avvertenza: nelle tendenze in atto che investono, e travolgono, il nostro paese, spingendo al “passaggio” (o meglio disastro) epocale dell’Italia da economia di trasformazione a economia di transito (di trasporto-immagazzinaggio-distribuzione), con investimenti finanziari dove “rendono” subito, e in primo luogo nello spazio urbano e interurbano, nel territorio, con supporto statale e drenaggio di risorse a tal fine (dalle «grandi opere» all’industria dei rifiuti, a quella dell’energia, fino all’industria del turismo, e l’elenco può continuare), mentre l’assetto produttivo (industriale, nonché agricolo) cede, ma reggono gli imperativi della grande finanza (interconnessa con il grande capitale transnazionale) e della residua grande industria, mentre si va perdendo ogni autonomia (dall’alimentare alla ricerca), mentre continua la contrazione dell’occupazione e la spinta a «contenere» il «costo del lavoro» (diretto e differito, ivi compresi i costi di sicurezza, con i risultati mortali che sappiamo), e si intensifica una massiccia immigrazione (questa duplice tragedia: per gli immigrati e per noi) – il nostro paese viene portato a diventare un “pontone” geoeconomico e geostrategico di interessi e comandi altrui, sede di centri direzionali, finanziari, istituzionali, e insieme luogo di divertimento turistico (naturistico e anche artistico; insomma, per incolti e colti).

E sotto i comandi delle potenze estere e dei centri finanziario-affaristici, nella devastazione del nostro territorio, delle nostre città, per gli imperativi di investimenti immobiliari e strutturali, rendita e speculazione fondiaria, consumo turistico – devastazione che riduce i centri storici, artistici, monumentali a delle italiche “disnyeland”, che espelle i cittadini in periferie e periferie di periferie, e trasforma le città in mero tessuto urbano (che non è campagna e nemmeno città) –, ebbene, i cittadini vengono trasformati in moderni sudditi. Li abbiamo sotto gli occhi: scarsa formazione a causa di un’istruzione in completa caduta, disinformazione e deformazione, unita a permanente “dieta” di divagazione triviale e trastullo di scemenze, ammannite dai servili media, confinamento in relazioni ristrette, scissione in una serie di “figure” che non si riconnettono mai e inchiodano alla piena subalternità – «consumatori» (reddito permettendo), «utenti» di servizi e beni “pubblici” (sempre piú cari e peggiori), «contribuenti» per un fisco iniquo e assurdo, bravi «elettori» che votano per “qualcuno” e poi … lo lasciano “lavorare”. E la civiltà si dissolve – e lo vediamo, nel degrado crescente e nell’infittirsi della stesse notizie di cronaca.

Ed ecco l’avvertenza: ricomporre l’opposizione, ricomporre l’iniziativa dei cittadini ancora tali e che lo vogliono rimanere, in un solo movimento è tanto inderogabile, quanto urgente. Perché il tempo – dell’ulteriore avvitamento in un circolo vizioso dello «stato di cose presente» – ci è ostile: il tempo lavora contro.

Firenze, 28 dicembre 2007