trasmetto la copia della motivazione della sentenza realativa al processo delle porte bruciate il 29 giugno del 1993 dalla mafia di Brancaccio a tre componenti del Comitato Intercondominiale (Romano, Guida e Martinez) . Due mesi e mezzo dopo (15 settembre 1993) gli stessi mandanti ed esecutori di quest'atto intimidatorio uccidevano padre Puglisi. Vi prego di leggerla con attenzione perchè, attraverso le conclusioni a cui sono giunti i giudici del suddetto processo, potrete finalmente comprendere una storia che nasce spontaneamente e si sviluppa grazie alla collaborazione intensa tra un gruppo di semplici cittadini e un semplice parroco, ma anche il motivo per cui viene intimidito il Comitato Intercondominiale e perchè muore padre Puglisi. Un cordiale saluto Per l'Associazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio, Pino Martinez. Il Tribunale di Palermo Sez. V Penale composto da: Dott. Salvatore Barresi - Presidente est. Dott. Luisa Leone - Giudice Dott. Adriana Piras - Giudice Con lintervento del P.M. Dott. Egidio La Neve alla pubblica udienza del 25 ottobre 2003 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZAnei confronti di:
Parti
civili costituite: Martinez Giuseppe, presente Associazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio Per entrambi Avv. Giovanna Giamo, presente. IMPUTATI Per i reati di cui agli artt. 81, 61 n.2 e 5, 423, 424 e 425 n.2 c.p. e 7 D.L. 152 del 1991 per avere, i primi due nella qualità di mandanti, il MANGANO SALVATORE quale mandatario mediato ed organizzatore logistico, gli altri quali esecutori materiali del fatto di reato, provocato lincendio delle porte delle abitazioni dei signori MARTINEZ GIUSEPPE, GUIDA GIUSEPPE e ROMANO MARIO nel domicilio di Palermo, via Azolino Hazon n. 17, cospargendo le stesse con liquido infiammabile, tale condotta consumata con finalità di intimidazione ed al fine specifico di fare recedere il comitato Intercondominiale, al quale i soggetti passivi appartenevano, da attività sociali e di recupero edilizio del quartiere non gradite alla famiglia mafiosa di Brancaccio capeggiata dai mandanti fratelli Giuseppe e Filippo GRAVIANO. Con laggravante di avere compiuto i fatti di reato in rapporto di connessione teleologica, su edificio abitato, nella finalità di favorire lassociazione mafiosa ed in circostanza di tempo e di luogo tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. Fatto accertato in Palermo alle ore 2,00 del 29.6.1993 Le
parti hanno concluso: udienza
dell8 maggio 2003 Il Pubblico Ministero chiede la condanna di Graviano Giuseppe, Graviano Filippo, Spatuzza Gaspare e Mangano Antonino alla pena di anni 7 di reclusione ciascuno e di Cascino Santo Carlo e Federico Vito alla pena di anni 5 di reclusione ciascuno; lavv. Giamo nellinteresse delle parti civili costituite chiede la condanna alle pene di legge ed al risarcimento dei danni come da comparsa conclusionale e nota spese che deposita. Udienza del 5 giugno 2003 LAvv. Farina chiede lassoluzione di Mangano Antonino dal reato ascrittogli per non avere commesso il fatto; lAvv. Zito chiede lassoluzione di Cascino Santo Carlo dal reato ascrittogli per non avere commesso il fatto; lAvv. Galatolo anche in sostituzione dellaltro difensore di fiducia Avv. Zampardi chiede lassoluzione di Federico Vito dal reato ascrittogli per non avere commesso il fatto, in subordine chiede derubricarsi limputazione in quella di cui allart. 635 c.p. e dichiararsi il reato estinto per intervenuta prescrizione ovvero pronunciarsi sentenza di improcedibilità dellazione penale per mancanza di querela. Udienza del 25 ottobre 2003 LAvv. Giacobbe quale difensore di Graviano Giuseppe e Spatuzza Gaspare chiede lassoluzione di entrambi dal reato continuato ascritto per non avere commesso il fatto; lAvv. Oddo quale difensore di Graviano Filippo chiede lassoluzione per non avere commesso il fatto. FATTO E DIRITTOCon decreto emesso il 17 gennaio 2001 il GIP del Tribunale di Palermo disponeva il giudizio nei confronti di Graviano Giuseppe, Graviano Filippo, Cascino Santo Carlo, Federico Vito, Spatuzza Gaspare e Mangano Antonino per rispondere del delitto di cui in rubrica (artt. 81, 61 n.2 e 5, 423, 424 e 425 n.2 c.p.). Alludienza del 18 dicembre 2001, rigettata con ordinanza lopposizione formulata dai difensori degli imputati alla costituzione di parte civile di Martinez Giuseppe e dellAssociazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, il P.M. esponeva i fatti oggetto dellimputazione e chiedeva lesame dei testi e degli imputati di reato connesso indicati tempestivamente e ritualmente in lista. Il Tribunale, nulla opponendo i difensori, ammetteva le prove orali richieste. Alle successive udienze del 31 gennaio e del 21 marzo 2002 venivano esaminate le tre parti offese Martinez Giuseppe, Guida Giuseppe e Romano Mario, mentre il 4 aprile successivo veniva esaminato il teste di p.g. Carmucco Francesco già in servizio al Commissariato P.S. Brancaccio di Palermo.Alle udienze del 18 aprile, 16 maggio e 7 novembre 2002 venivano esaminati gli imputati di reato connesso La Barbera Gioacchino Marchese Giuseppe,Di Filippo Emanuele, Trombetta Agostino, Grigoli Salvatore e Cannella Tullio. Su richiesta di ub difensore (Avv. Oddo) il Tribunale disponeva accertarsi presso il DAP i periodi di detenzione di Graviano Filippo e Drago Giovanni dal 1985 in poi. Il dibattimento quindi proseguiva il successivo 5 dicembre con lesame dei testi di p.g. Mar. Passaro Carmine e Carmucco Francesco e si disponeva con il consenso di tutte le parti lacquisizione al fascicolo del dibattimento di una scheda informativa predisposta dalla DIA e datata 18.5.98 con lallegata scheda biografica relativa allimputato Cascino Santo Carlo, nonché verbale di denuncia a firma della p.o.Martinez Giuseppe del 29 giugno 1993, C.N.R. della Questura di Palermo del 29 giugno 1993 a firma dei testi Isp. Alfano e Commissario dott. Cravana il cui esame veniva pertanto revocato. Alludienza del 23 gennaio 2003 si procedeva allesame di Ciaramitaro Giovanni allesito del quale il P.M. chiedeva che il Tribunale procedesse ad un sopralluogo negli appartamenti oggetto degli attentati per cui è processo, richiesta cui si opponeva il solo Avv. Galatolo. Alla successiva udienza del 27 febbraio il Tribunale, acquisiti con il consenso di tutte le parti alcuni documenti prodotti dal P.M., disponeva ex art. 507 c.p.p.un nuovo esame della p.o.Martinez Giuseppe, escusso il quale il Collegio rigettava la richiesta di sopralluogo formulata dal P.M. non apparendo assolutamente necessaria ai fini della decisione. Alludienza del 13 marzo 2003 si disponeva, su richiesta del difensore di Federico Vito (Avv. Galatolo) e con il consenso delle altri parti, lacquisizione di copia della sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Palermo il 18.9.97, irrevocabile il 5.1.98, nei confronti di Baiamonte Santi ed altri, nonché, su richiesta del difensore di Graviano Filippo ai sensi dellart.238 c.p.p., lacquisizione di alcuni verbali di prove assunte in altro procedimento alla cui realizzazione prestavano il consenso i difensori di tutti gli altri imputati; in accoglimento infine della richiesta formulata dal difensore di Graviano Giuseppe (Avv. Giacobbe) si acquisiva copia integrale manoscritta sequestrata il 25 giugno 1995 nei confronti di Mangano Antonino. Alludienza dell8 maggio 2003, acquisita su richiesta del P.M. ai sensi dellart. 238 bis c.p.p. la sentenza pronunciata dal GUP di Palermo il 29 maggio 2001, divenuta irrevocabile il 3.10.2001, nei confronti di Grigoli Salvatore per gli stessi fatti oggetto del processo, indicati gli atti utilizzabili ai fini della decisione, il P.M. formulava la sua requisitoria richiedendo la condanna di Graviano Giuseppe, Graviano Filippo, Spatuzza Gaspare e Mangano Antoninoalla pena di anni sette di reclusione ciascuno, di Cascino Santo Carlo e Federico Vito alla pena di anni cinque di reclusione ciascuno. Il difensore delle parti civili costituite chiedeva affermarsi la penale responsabilità di tutti gli imputati in ordine al reato loro contestato e la condanna alla pena di legge, al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese di costituzione. Alle udienze del 5 giugno 2003 e 25 ottobre 2003 i difensori degli imputati concludevano chiedendo lassoluzione dei propri assistiti per non avere commesso il fatto; lAvv. Galatolo in subordine per Federico Vito chiedeva il derubricarsi limputazione in quella di cui allart. 635 c.p. e dichiararsi il reato estinto per intervenuta prescrizione ovvero pronunciarsi sentenza di improcedibilità dellazione penale per mancanza di querela. Alla stessa udienza del 25 ottobre 2003 il Tribunale, in esito alla camera di consiglio, pronunciava sentenza come da dispositivo in atti. Tanto premesso deve preliminarmente ribadirsi la legittimità della costituzione di parte civile dellAssociazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio cui si sono opposti i difensori degli imputati sul rilievo che la suddetta associazione non avrebbe la necessaria legittimazione ad agire in quanto costituita in epoca (1 giugno 1994) successiva a quella di commissione del reato per cui si procede (29 giugno 1993). Ma la opposizione è infondata e pertanto è stata dal Collegio rigettata con ordinanza emessa alludienza del 18 dicembre 2001 le cui motivazioni vanno integralmente qui richiamate. A carico degli odierni imputati si procede invero per il delitto di cui agli artt. 423, 424 e 425 numero 2 codice penale, aggravato ex articolo 7, legge n. 203 del 1991, commesso ai danni di Martinez Giuseppe, Guida Giuseppe e Romano Mario, con finalità dintimidazione, allo specifico scopo di fare recedere il comitato intercondominiale, al quale i predetti soggetti appartenevano, da attività sociali e di recupero edilizio del quartiere. Con la menzionata ordinanza il Tribunale ha rilevato che LAssociazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio si è costituita, come si evince dallo statuto e dallatto costitutivo (cfr. produzione documentale del difensore di parte civile), nella continuità dellattività svolta dal Comitato Intercondominiale della via Hazon e vie limitrofe, comitato tra cui i soci fondatori figurano proprio le tre persone offese dal reato per cui è processo. È pertanto innegabile ed incontestabile la sussistenza di una continuità territoriale, storica, oggettiva e soggettiva tra i due enti, accomunati dal perseguimento dello scopo di svolgere nel quartiere Brancaccio unattività di stimolo delle istituzioni per gli interventi a favore della comunità rappresentata, di vigilanza sul funzionamento delle istituzioni medesime e di diffusione della cultura della legalità e della responsabilità. Nella prospettazione accusatoria i fatti contestati agli odierni imputati avevano proprio la finalità di ostacolare e bloccare tale concreto impegno posto in essere da parte dei tre soggetti nominati, in proprio e nella qualità di esponenti di rilievo del comitato, poi divenuta associazione intercondominiale. Giova rammentare che in tema di legittimazione degli enti e dellassociazione a costituirsi parte civile deve ritenersi che quando linteresse diffuso non è astrattamente connotato, ma si concretizza in una determinata realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, diventando la ragione, e perciò elemento costitutivo di esso, è ammissibile la costituzione di parte civile da tale ente, sempre che dal reato sia derivata una lesione ad un diritto soggettivo inerente allo scopo specifico perseguito (Cass. Sez. III sent. n. 8699 del 9 luglio 26 settembre 96). Proprio in forza della rilevata continuità tra il Comitato Intercondominiale della via Hazon e vie limitrofe e lAssociazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio, si è ritenuto dunque che questultima sia portatrice di un interesse che legittima la sua costituzione nel presente processo per ottenere il risarcimento dei danni relativi alloffesa diretta e immediata dello scopo sociale che costituisce la finalità propria del sodalizio, derivata dal reato ascritto agli imputati. ****** Laccertamento della responsabilità degli imputati si fonda principalmente sulle dichiarazioni accusatorie di una pluralità di collaboratori di giustizia che il Tribunale valuta nel loro complesso credibili sia sotto il profilo intrinseco che estrinseco ed ulteriormente corroborate da elementi probatori tratti aliunde di univoco contenuto accusatorio ed incontrastabile valore dimostrativo. La pluralità e varietà della fonti di prova processualmente acquisite impone, a giudizio del Collegio, di procedere ad una preliminare disamina dei criteri legislativi che presiedono alla loro valutazione ed in modo precipuo delle regole normative vigenti e degli orientamenti giurisprudenziali affermatisi in materia di chiamata di correo. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la cui nozione è stata introdotta dalla legislazione premiale, prima in materia di legislazione di emergenza contro la criminalità terroristica (cfr. art. 4 D:L: 15/12/1979 n ° 625 conv. con mod. nella L. 6/2/1980) e successivamente in materia di criminalità mafiosa (cfr. art. 1 c. 5 D.L.13/5/1991 n°152 conv. in L. 12/7/1991 n°203), possono essere definite come dichiarazioni provenienti da coloro che, dissociandosi dagli altri, si siano adoperati per evitare che lattività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente lAutorità di polizia o lAutorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per lindividuazione o la cattura degli autori dei reati. Ove tali dichiarazioni siano riconducibili, soggettivamente ed oggettivamente,ad una delle figure processuali prima evidenziate, devono essere sottoposte alla medesima disciplina valutativa di cui allart. 192 c.3 c.p.p. in base al quale le dichiarazioni di tali soggetti sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano lattendibilità. Lintroduzione di tale specifica disposizione nel nuovo codice che, secondo le aspettative espresse nella stessa Relazione al progetto preliminare, avrebbe dovuto superare le dispute tra operatori e studiosi del processo in ordine alla problematica valutazione della chiamata in correità è stata ispirata da una duplice esigenza: da un lato, sulla scia delle esperienze dei paesi in cui vige il sistema accusatorio nel quale il sistema della accomplice evidence è accompagnata dalla c.d. corroboration, sancire il principio del necessario riscontro probatorio della chiamata di correo, peraltro già anticipato dalle pronunce della Suprema Corte in materia durante il codice previdente, dallaltro escludere che le dichiarazioni di chiamante in correità potessero qualificarsi ex lege come elementi probatori inutilizzabili. E difatti la introduzione di una regola normativa di valutazione della chiamata di correo nellambito delle disposizioni dedicate alle prove se da un lato consente di superare definitivamente il problema, teoricamente prospettabile nel vecchio impianto codicistico, della svalutazione probatoria di tale elemento probatorio, dallaltro certamente impone un impegno da parte del giudice nellindicare nella propria motivazione, in un quadro di valutazione unitaria degli elementi acquisiti, le prove o gli indizi che corroborano la chiamata di correo. Lelaborazione giurisprudenziale è pervenuta alla formulazione di principi, peraltro autorevolmente espressi anche in sede di legittimità dalla Corte di Cassazione a sezioni unite, che possono ormai considerarsi jus receptum ed ai quali è necessario richiamarsi per linterpretazione della norma in oggetto. Proprio traendo spunto dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi sotto il vigore del vecchio codice il legislatore del 1988 ha introdotto con lart. 192 c.p.p.c. III una regola positiva di valutazione destinata ad operare con riguardo alle dichiarazioni rese dai coimputati del medesimo reato ovvero di reati connessi o collegati. Lesplicita previsione di tale regola di giudizio, valutata nel complessivo contesto della disposizione di cui allart. 192 c.p.p., lungi dal costituire un limite al riaffermato principio del libero convincimento indica, piuttosto, il criterio argomentativi che il giudice deve adottare per fare assurgere le dichiarazioni di taluni soggetti processuali al rango di prova imponendogli a tal riguardo un più rigoroso impegno motivazionale. Il terzo comma dellart. 192 cod. proc. pen. non introduce una deroga o una restrizione quantitativa allo spazio del libero convincimento del giudice, e neppure è volto a porre divieti di utilizzazione, ancorché impliciti, o ad indicare una gerarchia di valore delle acquisizioni probatorie, ma si limita unicamente a indicare il criterio argomentativi che il giudice deve seguire nel portare avanti loperazione intellettiva di valutazione delle dichiarazioni rese da determinati soggetti (cfr. Cass. Sez. 1 Sent. 6992 del 16/06/92; in senso conforme c.f.r. anche Cass. Sez. VI n. 1793 dell 11/2/1994). Dalla nuova disciplina della chiamata in correo si evince come alle propalazioni di detti soggetti processuali sia stato riconosciuto il valore di prova e non di mero indizio, come appare chiaro già dai lavori preparatori del codice e dal rilievo di ordine sistematico che la disposizione in questione è inserita nel Libro III dedicato alle Prove. Che tali propalazioni accusatorie siano state inquadrate nellambito della prova e non già del semplice indizio, è dato, poi, desumere, anche e soprattutto dalla richiamata locuzione adoperata dal legislatore (altri elementi di prova) per indicare gli ulteriori elementi probatori richiesti per conferire attendibilità alla fonte propalatoria, qualificata appunto come elemento di prova. Al contempo la previsione
normativa della necessità del concorso del riscontro
integratore e confermativo nellambito di una
obbligatoria valutazione unitaria delle risultanze
probatorie richiama, come è dato desumere dalla stessa
relazione al progetto preliminare al codice, la
necessità di circondare con maggiori cautele il ricorso
ad una prova, come quella proveniente da chi è coinvolto
begli stessi fatti addebitati alimputato ed ha
comunque legami con lui, alla luce della sua attitudine
ad ingenerare un erroneo convincimento giudiziale. Copiosa è la elaborazione
giurisprudenziale in ordine ai superiori argomenti
interpretativi che hanno ricevuto anche lautorevole
avallo delle Sezioni unite del Supremo Collegio: Le
dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato (o
da persona imputata in un procedimento connesso, o da
persona imputata nei casi di cui allart. 371,
lett. b cod. proc. pen. ) hanno valore di prova, ma il
giudizio di attendibilità su di esse necessita di un
riscontro esterno. Ne consegue che non possono essere
utilizzate da sole, ma possono essere valutate
congiuntamente con qualsiasi altro elemento di prova, di
qualsivoglia tipo e natura, idoneo a confermare
lattendibilità (Cass. Sez. Unite
sent. n. 2477 del 20/2/90; cfr. anche Cass. Sez. Unite
sent. n. 1048 del 1/2/92 secondo cui Lart.
192, comma 3 e 4, del Codice di procedura penale non ha
svalutato sul piano probatorio le dichiarazioni rese dal
coimputato di un medesimo reato o da persona imputata in
un procedimento connesso ex art. 12 cod. proc. pen. o di
un reato collegato a quello per cui si procede nel caso
previsto dallart. 371, comma 2, lett. b cod. proc.
pen. perché ha riconosciuto a tali dichiarazioni valore
di prova e non di mero indizio e ha stabilito che esse
debbano trovare riscontro in altri elementi o dati
probatori che possono essere di qualsiasi tipo o
natura). Requisito essenziale per la positiva delibazione della valenza probatoria delle propalazioni accusatorie disciplinate dallart. 192 3° c.p.p. è ritenuto dalla Suprema Corte laccertamento in ordine alla cosiddetta attendibilità intrinseca della fonte. La chiamata in correità richiede, infatti, un cauto e prudente apprezzamento da parte del giudice di merito, il quale è tenuto a verificarne lintrinseca attendibilità con riferimento alla personalità di chi le esprime, al grado di conoscenza della materia riferita, alle modalità di esternazione delle dichiarazioni (dettagliate, approfondite, con riferimenti precisi a luoghi e persone ), ai motivi che hanno indotto a collaborare, ad una serie di parametri di valutazione che, sulla base di una vasta casistica giurisprudenziale in materia, possono individuarsi nella genuinità, nella spontaneità, nel disinteresse, nella costanza e nella logica interna del racconto. Per quel che concerne lanalisi della personalità del chiamante in correità, ove lindagine del giudice investa il campo dei collaboratori di giustizia, è evidente che lungi dal poter far riferimento a supposte qualità etiche del soggetto dichiarante, che per definizione essendo autore di almeno un reato e spesso di molti gravi delitti ha necessariamente una personalità poco commendevole, lanalisi dovrà essere incentrata sulla posizione assunta dal propalante allinterno dellorganizzazione criminale, da cui con la propria scelta di collaborazione, ha dimostrato di volersi dissociare. Non vi è dubbio, infatti, che con lavvento della legislazione premiale lo stato abbia inteso favorire ed incoraggiare soprattutto la dissociazione da quelle organizzazioni criminali che, per la loro potente struttura logistica e per la segretezza del loro operato, costituiscono una gravissima minaccia per lordine pubblico: proprio al fine di porre in essere una significativa opera di smantellamento di tali strutture eversive per lapparato statuale, il contributo di chi allinterno di esse abbia in passato rivestito un ruolo di maggior spessore criminale, a causa delle relazioni instaurate con gli altri coassociati ed al livello delle conoscenze raggiunte, può più utilmente consentire di ricostruire in modo organico e completo le più segrete e micidiali dinamiche interne a tali organizzazioni criminali. Deve, altresì, prendersi atto che listituzionalizzazione dellinteresse del collaborante a fruire di quelle misure di protezione, assistenza per se e per i propri familiari, possibilità di detenzione in strutture extra-carcerarie , riconoscimento di peculiari circostanze attenuanti ecc., contemplate dalla legislazione vigente proprio al fine di incoraggiare e tutelare tali forme di collaborazione con la giustizia, deve condurre ad una revisione dei tradizionali criteri del disinteresse e della spontaneità del pentimento. In particolare il disinteresse, che non potrà certamente essere interpretato come indifferenza rispetto ai benefici premiali, dovrà, piuttosto, essere valutato sotto un duplice profilo: con riferimento allindifferenza rispetto alla posizione processuale del chiamato in correità e quindi attraverso laccertamento di eventuale presenza di motivi di rancore, inimicizie ed in genere di motivi di vendette e di rivalsa; con riferimento alla posizione processuale del dichiarante al momento della sua scelta collaborativa, per cui tanto più disinteressato dovrà essere considerato il contributo investigativo offerto, quanto più lieve apparirà la posizione processuale del collaboratore in relazione agli elementi di prova acquisiti dagli inquirenti a suo carico al momento dellinizio della collaborazione. Sotto tale ultimo profilo, infatti, non vi è dubbio che tanto più credibile risulterà il propalante quanto più con la propria scelta collaborativa egli abbia consentito di far luce su delitti dei quali gli inquirenti ignoravano gli autori, coinvolgendo nella responsabilità per tali reati innanzi tutto se stesso oltre che gli altri soggetti. Va, infatti rilevato che nella vasta gamma degli adeguati riscontri, normalmente valorizzati in funzione della valutazione della attendibilità intrinseca, una doverosa preferenza deve essere accordata, conformemente ad un costante orientamento giurisprudenziale, al confessato personale coinvolgimento del dichiarante nello stesso fatto-reato narrato, specie in relazione ad episodi criminosi altrimenti destinati allimpunità. Ciò che la legislazione vigente richiede ai fini di una valida scelta di collaborazione con la giustizia è che il soggetto con le proprie dichiarazioni, debitamente riscontrate, abbia fornito un contributo concreto alle indagini, consentendo di addivenire ad una conoscenza delle dinamiche dei delitti posti in essere dalle organizzazioni criminali ed allidentificazione dei suoi autori, non pretendendo anche come requisito necessario che la collaborazione muova da ragioni etiche di effettivo pentimento. La determinazione alla collaborazione se sorretta da motivazioni di tipo ideale, dallaspirazione al personale ravvedimento e da una sorta di catarsi personale e sociale, non potrà che essere bene accolta dalla collettività e positivamente valutata dal giudice ma tale dato non è posto dalla legge come condizione di credibilità del collaborante. In una visione realistica dellutilitarismo del collaboratore di giustizia di cui si è fatta portavoce anche lelaborazione giurisprudenziale nella materia in esame, il suo interesse a fruire di determinati benefici, espressamente previsti dallOrdinamento, non potrà certamente essere considerato indice di mendacio. Al fine di verificare lattendibilità intrinseca del dichiarante, la spontaneità rappresenta senza dubbio un parametro di valutazione di notevole importanza, intendesi per spontanee le dichiarazioni non coartate, essendo la spontaneità per definizione lopposto dellimposizione,e ciò il giudice dovrà sicuramente accertare al fine di verificare la genuinità del contributo investigativo offerto. Sempre per accertare laffidabilità dellimputato si fa riferimento anche ai requisiti temporali come quello dellimmediatezza; infatti viene, normalmente riconosciuto un alto tasso di credibilità alle dichiarazioni accusatorie eventualmente rese nellimmediatezza della scelta di collaborazione con la giustizia anche se ciò non può indurre a troppo facili semplificazioni in una materia che per sua natura è notevolmente complessa. Non può, infatti, omettersi di prendere atto che spesso il collaborante è portatore di conoscenze molteplici ed articolate le quali, sia per problemi mnemonici connessi alla stratificazione nel tempo delle proprie esperienze sia per le difficoltà spesso connesse allimpossibilità di pretendere una immediata e compiuta articolazione espressiva delle proprie conoscenze da parte di soggetti il cui livello di cultura è quasi sempre notevolmente basso, il giudice si trova nelle condizioni di dovere esaminare una gradualità di approfondimenti della materia trattata da parte del collaborante. Tale dato, se da un lato, impone una ricostruzione quanto più possibile attenta delle progressive fasi di esposizione del proprio sapere da parte del collaborante e delle cause che ne hanno, eventualmente, determinato levoluzione nel tempo con peculiare accertamento dellassenza di adattamenti manipolatori, dallaltro esclude che per il solo fatto della gradualità della collaborazione nel tempo il giudice debba rinunciare ad utilizzare tale sapere, dovendo egli innanzitutto attenersi al dato normativo che gli impone di operare attraverso la tecnica argomentativi dei riscontri convalidanti. Occorre soprattutto tenere conto se nei successivi adattamenti siano ravvisabili genuini ripensamenti, frutto di approfondimenti mnemonici o di più complete ricostruzioni della materia trattata, ovvero se si tratti di meri adeguamenti a risultanze processuali diverse ed eventualmente in contrasto con la versione offerta dal collaborante. In conclusione la chiamata di correo non può essere disattesa in relazione al tempo in cui è stata resa, giacchè essa non è soggetta a vincoli di tipo temporale che ne limitino lapprezzamento, e come ogni altro dato di fatto, essa deve essere sottoposta alla scrupolosa valutazione da parte del giudice secondo le regole che presiedono alla formazione del suo libero convincimento. Il giudice, inoltre, deve tenere in conto la costanza delle accuse, quindi la reiterazione coerente durante il procedimento delle dichiarazioni e lintrinseca forza persuasiva delle stesse; per potere affermare lesistenza di tale carattere occorre verificare se le dichiarazioni presentino o meno una intrinseca logicità, se siano suscettibili di essere inserite allinterno del fatto processuale, se nella narrazione del dichiarante vi siano dati tra loro contraddittori, se vi siano richiami a circostanze non recepite come fatti esterni bensì riferibili a mere valutazioni dello stesso dichiarante; a ciò il giudice giunge mediante una valutazione che si fonda sullesperienza e su regole generali della logica per verificare la possibilità di una ricostruzione lineare del racconto del dichiarante e aderente al senso comune. Le dichiarazioni accusatorie, inoltre, devono essere articolate, dettagliate, permettendo il loro controllo grazie a fatti obiettivamente accertabili, infine devono essere verosimili, ovvero non devono essere immediatamente considerate come false. Per quel che concerne il rapporto tra operazione di verifica dellattendibilità intrinseca e quella di verifica dellattendibilità estrinseca delle dichiarazioni del propalante è dato distinguere nella giurisprudenza della Suprema Corte un orientamento leggermente differenziato che, se non incide in modo decisivo sulla necessità, comunque di effettuare entrambi i tipi di verifica, può avere una defluenza sulla possibilità o meno di utilizzazione parziale delle dichiarazioni dei collaboranti: ed infatti secondo un orientamento giurisprudenziale laccertamento dellattendibilità intrinseca sarebbe un presupposto logico indefettibile per poter procedere al successivo accertamento dellesistenza di riscontri convalidanti, esame che sarebbe precluso da un esito negativo del primo accertamento; secondo altro orientamento, che pone laccento sullobbligo delle considerazione unitaria degli elementi probatori di cui alla norma in esame, lapprofondimento accertativo riguardante lattendibilità intrinseca non può essere disgiunto da quello riguardante lattendibilità estrinseca non potendo tali valutazioni essere sottratte al criterio della congiunta analisi sicchè sarebbe inesatto attribuire al primo esame, se di esito incerto o contraddittorio, valenza esclusiva, a priori, del confronto con ulteriori elementi, proprio perché dal coevo apprezzamento dellattendibilità estrinseca potrebbero derivare elementi di conferma in grado di bilanciare le risultanze del primo approccio. In tale senso spinge del resto anche il rilievo che larticolazione del comma III in esame mostra di indirizzarsi nella direzione di una limitazione della rilevanza dellesame di credibilità intrinseca, mettendo in evidenza la sola necessità della valutazione unitaria degli elementi di prova, ai fini dellaccertamento di attendibilità; quello che appare, dunque, rafforzato e accentuato è lobbligo ambivalente del giudice di esplorare con minuziosa puntigliosità tutti i dati che offrono materia di analisi e di confronto e di muoversi con estrema e cauta prudenza nel loro coordinato apprezzamento (cfr. pp. 271-272 sent. Cass. Sez. I 30/1/1992 n° 80). Dalladesione al secondo degli orientamenti esposti discende la possibilità di unadesione al concetto di frazionabilità della chiamata in correità nel senso che ove lattendibilità di un chiamante in correità venga denegata per una parte delle sue dichiarazioni ciò non necessariamente coinvolgerà anche le altre parti della dichiarazione che risultassero, per converso, confermate da riscontri esterni adeguati, e ciò sulla base del principio che non lattendibilità complessiva deve essere provata, per inferirne la comunicabilità per traslazione allintero racconto, ma ogni parte di questa può e deve essere oggetto di verifica, residuando, dunque, linefficacia probatoria di quelle non comprovate o, peggio, smentite, con esclusione di reciproche inferenze totalizzanti (cfr. p. 289 sent. Cass. 30/1/1992 n° 80 cit.)). In tema di prova, ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dellart. 192, comma terzo, cod. proc. pen., il giudice deve in primo sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (confidente e accusatore) in relazione, tra laltro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare lintrinseca consistenza, e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza della costanza, della spontaneità; infine egli deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni. Lesame del giudice deve
essere compiuto seguendo lindicato ordine logico
perché non si può procedere ad una valutazione unitaria
della chiamata in correità e degli altri elementi
di prova che ne confermano lattendibilità se prima
non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino
sulla chiamata in se, indipendentemente dagli elementi di
verifica esterna ad essa (Cass. Sez. Unite sent. n.
1653 del 22/2/93, ud. 21/10/92). Alla luce delle considerazioni sopra svolte occorre convenire che un affidabile giudizio di credibilità del collaborante, non solo richiede un cauto e prudente apprezzamento del magistrato ed un elevato grado di professionalità ed esperienza dello stesso, ma può essere avvalorato solo da riscontri estrinseci. I riscontri alla chiamata di correo devono avere quel grado di specificità che consenta di delineare lipotesi più probabile sul fatto. Questo grado di specificità non è determinabile in astratto,perché dipende da ogni singolo contesto probatorio. I cosiddetti elementi estrinseci di riscontro sono fatti interferenti con quello da provare, in grado di accertare la verità o meno della narrazione del dichiarante. Tale accertamento può portare ad una conferma o ad una smentita della efficacia probatoria delle dichiarazioni ed attraverso tali elementi il giudice riesce a conferire completezza probatoria alla chiamata di correo. La regola di giudizio enunciata dal III comma dellart. 192 c.p.p. a differenza del secondo comma dello stesso articolo non è caratterizzata da un divieto diretto e specifico, e quindi si può affermare che non sussistono preclusioni in ordine alla natura dei riscontri utilizzabili; i divieti di utilizzazione di prove, infatti, devono essere esplicitamente previsti dalla legge. Oggetto della valutazione di attendibilità da riscontrare è la complessiva dichiarazione del coimputato relativamente ad un determinato episodio criminoso nelle sue componenti oggettive e soggettive, e non ciascuno dei punti riferiti dal dichiarante. Con riferimento alla natura da attribuire a tali elementi di riscontro, si può affermare che si tratta di fonti di prova da cui ricavare un argomento sulla base del quale verificare dallesterno la veridicità o meno delle dichiarazioni, senza che tali elementi debbano necessariamente afferire al fatto-reato. Una giurisprudenza consolidata della Suprema Corte ritiene che gli elementi integratori possano essere anche di natura logica purchè riconducibili a fatti esterni alle dichiarazioni accusatorie; quindi nelle ipotesi di dichiarazioni daccusa rivolte nei confronti di più persone, la eventuale confessione resa da uno di questi è da ritenere utilizzabile ai fini di una valutazione complessiva dellattendibilità della dichiarazione ed idonea a costituire valido elemento di riscontro nei confronti di tutti i chiamati. Gli elementi di prova ulteriori si caratterizzano per la loro utilizzabilità ai fini della formazione della prova e come conferma dallesterno alle dichiarazioni accusatorie; tali elementi devono collegare limputato al reato che gli viene addebitato senza assurgere a prova autonoma di tale collegamento. I riscontri a differenza degli indizi non devono essere caratterizzati necessariamente da una pluralità, quindi lespressione altri elementi di prova deve essere intesa in senso qualitativo e non quantitativo, cioè come qualsiasi altro elemento di prova in grado di confermare lattendibilità della chiamata in accusa. Da quanto detto si può quindi affermare che il riscontro deve assolvere sempre ad una funzione integrativa e non suppletiva rispetto alla dichiarazione di correo; questultima infatti non deve perdere in seguito alla valutazione unitaria, la sua rilevanza e la sua capacità dimostrativa. Chiamata e riscontro sono indispensabili, nessuno dei due può fare a meno dellaltro, quindi il riscontro non potrà da solo dimostrare il fatto per il quale si sta procedendo. Per assolvere alla funzione che gli è stata conferita dal legislatore il riscontro deve essere certo ed in grado di offrire garanzie per quanto riguarda lattendibilità del chiamante. La ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale in tema di chiamata di correo, con specifico riferimento ai riscontri estrinseci dellattendibilità del dichiarante, non sarebbe completa senza un sia pur breve accenno alla possibile natura di tali elementi estrinseci di conferma. Per quanto riguarda gli altri elementi di riscontro estrinseci che, giova ripeterlo, in quanto non predeterminati nella specie e qualità, possono essere in via generale di qualsiasi tipo e natura, è appena il caso di rilevare che la Corte di Cassazione li ha ravvisati di volta in volta: nella ricognizione di cose, nel riconoscimento fotografico, negli accertamenti di P.G., nella riscontrata corrispondenza in ordine ai luoghi indicati dal dichiarante ovvero nei legami esistenti tra il prevenuto ad altri soggetti facenti parte di un medesimo sodalizio criminoso; ovvero nellaccertata disponibilità da parte dellindagato degli immobili dettagliatamente descritti dal dichiarante. Va subito rilevato che la Suprema Corte ha escluso la tesi riduttiva secondo cui il contenuto innovativo dellart. 192, 3° comma c.p.p. si risolva nel valorizzare solo i riscontri oggettivi o reali con esclusione, quindi, di ulteriori chiamate di correo. Sulla scia di tale orientamento giurisprudenziale costituisce ormai jus receptum il principio secondo cui non esiste alcuna plausibile ragione per pervenire ad una disparità di trattamento tra elementi di riscontro reali, documentali o testimoniali in senso proprio ed altri elementi desunti dalle cosiddette chiamate plurime. Tali principi sono stati, peraltro, affermati dalla Corte di Cassazione nella già citata sentenza del 30 gennaio 1992 n. 80, che avendo definito gran parte delle posizioni processuali del procedimento a carico di Abbate Giovanni ed altri, noto come il cosiddetto primo maxiprocesso di Palermo, costituisce senzaltro un fondamentale punto di riferimento ermeneutico in tema di valutazione della prova ex art.192 c.p.p. con particolare riferimento alla chiamata di correo nello specifico settore di processi aventi per oggetto la fattispecie associativa di cui allart. 416 bis c.p. e reati connessi. La Corte di Cassazione, infatti,
approfondendo lanalisi dellart. 192 c.p.p. ha
sottolineato che non si può attribuire allarticolo
in questione il significato di valorizzare solo
i riscontri oggettivi o altrimenti detti reali della
partecipazione del chiamato né tanto meno
quello di rendere inutili le ulteriori chiamate
di correo. Ha per contro sostenuto che alla norma citata bisogna riconoscere oltre che una portata limitativa del principio del libero convincimento anche un effetto estensivo dei poteri del giudice. Ed infatti, la Corte dopo aver ribadito che alle dichiarazioni rese dal coimputato o dallimputato di reato connesso deve essere riconosciuta la natura di prova rappresentativa, sebbene caratterizzata da una parzialità contenutistica che pertanto richiede il necessario riscontro convalidante, ha affermato che il nuovo codice non solo ha eliminato ogni residuo dubbio sulla utilizzabilità della chiamata di correo, ma ne ha ridotto la distanza anche sul piano della concreta valutabilità della testimonianza, al cui livello di efficacia probatoria è in grado di porsi con lausilio del riscontro convalidante, che può ben essere omologo e cioè elemento di prova della stessa specie dato che il legislatore ha espressamente richiesto che gli altri elementi di prova fossero aggiuntivi e non di specie diversa. Movendo proprio dal raffronto tra i commi II e III dellart. 192 c.p.p. la Suprema Corte che ha ulteriormente precisato che mentre la significatività probatoria degli indizi richiede i requisiti della gravità, precisione e concordanza, il terzo comma non pone né limiti quantitativi né qualitativi al grado significativo della chiamata di correo, con conseguente possibilità di attribuire pieno valore confermativo a successive chiamate le quali vanno sicuramente a collocarsi allo stesso livello probatorio di ogni altro livello di riscontro. È importante evidenziare, ulteriormente, che lelemento di riscontro estrinseco della chiamata di correo, secondo un orientamento ormai consolidato e pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte, non deve consistere in una prova distinta della colpevolezza del chiamato, ma in un dato certo che, pur non avendo la capacità di dimostrare la veridicità del fatto oggetto di dimostrazione, sia tuttavia idoneo ad offrire garanzie obiettive e certe circa lattendibilità di chi lo ha riferito. Può in ordine a tale punto ritenersi pacifico il principio secondo cui in tema di chiamata di correo, se è vero che non può essere ritenuto sufficiente laccertamento dellattendibilità intrinseca della parola dellaccusatore e che occorre anche, in relazione alle accuse che questultimo muove, operare una verifica estrinseca, è altrettanto vero che lelemento di riscontro non deve necessariamente consistere in una prova distinta della colpevolezza del chiamato, perché ciò renderebbe ultronea la testimonianza del correo. Ne consegue che tale dato non deve necessariamente concernere il thema probandum, in quanto esso deve valere solo a confermare ab estrinseco lattendibilità della chiamata in correità, dopo che questa sia stata attentamente e positivamente verificata nellintrinseco quanto al dichiarato ed al dichiarante. Un profilo della chiamata in correità destinato probabilmente a rimanere uno dei più controversi anche nellambito del nuovo codice di procedura penale, è quello relativo alla c.d. chiamata plurima, cioè alla possibilità di fondare la condanna dellimputato esclusivamente su dichiarazioni accusatorie provenienti da una pluralità di soggetti rientranti fra quelli previsti dallart. 210 c.p.p. . <<<nel caso di coesistenza e convergenza di fonti propalatorie, la Suprema Corte ha ritenuto di valorizzare la con testualità, lautonomia, la reciproca sconoscenza , la convergenza almeno sostanziale tanto più cospicua quanto più i racconti siano ricchi di contenuti descrittivi ed in genere tutti quegli elementi idonei ad escludere fraudolente concertazioni ed a conferire a ciascuna chiamata i connotati della reciproca autonomia, indipendenza ed originalità. Non può essere sottaciuto a riguardo che eventuali discordanze su alcuni punti possono, nei congrui casi, essere addirittura attestative della reciproca autonomia delle varie propalazioni in quanto fisiologicamente assorbibili in quel margine di disarmonia normalmente presente nel raccordo tra più elementi rappresentativi (cfr. gia citata Cass. Sez. I 30 gennaio 1992 n. 80). Nella stessa sentenza n. 80/92 la Suprema Corte ha ritenuto che in presenza di pluralità di dichiarazioni accusatorie rese da soggetti compresi tra quelli indicati nei commi 3 e 4 dellart. 192 c.p.p., la eventuale sussistenza di smagliature e discrasie, anche di un certo peso, rilevabili tanto allinterno di dette dichiarazioni quanto nel confronto tra esse, non implica, di per se, il venir meno della loro sostanziale affidabilità quando, sulla base di adeguata motivazione risulti dimostrata la complessiva convergenza di esse nei rispettivi nuclei fondamentali. Va, infine, rilevato che non possono ritenersi aprioristicamente inattendibili le dichiarazioni di quei collaboratori di giustizia che, in relazione al tempo del loro contributo investigativo, possono già essere a conoscenza di quelle di altri collaboranti rese pubbliche nel corso di dibattimenti. La Suprema Corte ha sul punto affermato il principio che la pubblicazione ufficiale di precedenti propalazioni accusatorie di altri soggetti non può, per ciò solo, inficiare lattendibilità di quelle successive, soprattutto quando in queste ultime siano ravvisabili elementi di novità e originalità e, comunque, in assenza di altri e comprovati elementi che depongono nel senso del recepimento manipolatorio di quelle anteriori da parte di quelle posteriori. Ne consegue che, neppure laccertata conoscenza delle prime propalazioni è di ostacolo allaccredito delloriginalità di quelle successive, ancorché di contenuto per lo più conforme, la cui autonoma provenienza dal bagaglio proprio del dichiarante può essere accertata - sul piano soggettivo come su quello oggettivo in vario modo, non escluso il rilievo di ordine logico concernente il radicamento dei due propalanti nella realtà criminale mafiosa, con la connessa possibilità di conoscenze di prima mano sicchè leventuale convergenza di dichiarazioni accusatorie rese in epoca diversa da parte dei soggetti organicamente inseriti in sodalizi criminosi di stampo mafioso, soprattutto se con ruoli di un certo rilievo, non autorizza, per ciò solo, il sospetto della cosiddetta contaminatio e della non autonoma origine di quelle successive. Per completare la disamina della chiamate plurime o convergenti, è opportuno ricordare che costituisce, altresì, principio consolidato quello secondo cui quando il riscontro consiste in altra chiamata di corre, non è necessario pretendere che questa abbia già avuto a sua volta il beneficio della convalida a mezzo di altro elemento esterno, giacchè in tal caso si avrebbe la prova desiderata e non sarebbe necessaria alcuna altra operazione di comparazione o di verifica (Cass. Sez. I n. 80/1992 cit.). Sulla base di tale orientamento, si è riconosciuta forza di validi elementi di riscontro anche alle chiamate cosiddette plurime o convergenti, aventi cioè identico contenuto e soggetto passivo e si è ritenuto che: una pluralità di dichiarazioni di coimputati tutti coincidenti in ordine alla commissione del fatto oggetto dellimputazione, legittima, nella valutazione unitaria degli elementi di prova, laffermazione di responsabilità a carico del chiamato in correità. Allorché più chiamate in correità siano ritenute intrinsecamente attendibili, esse si integrano e si rafforzano reciprocamente acquistandola rilevanza probatoria conducente a un giudizio di certezza. Le dichiarazioni devono essere indipendenti così da escludere che siano frutto di una concertazione o che traggono origine dalla stessa fonte di informazione.La molteplicità delle chiamate non può essere considerata di per sé uno strumento di riscontro incrociato di attendibilità di ciascuna di esse, ove non venga verificato con il dovuto grado di certezza che la chiamata ulteriore abbia un contenuto meramente ripetitivo ed anzi ricopiativi della prima narrazione e che soprattutto venga escluso che le accuse possano essere frutto di reciproca influenza tra i vari chiamati in correità o peggio di collusioni fraudolente. Di fondamentale importanza è sottolineare come lutilizzazione probatoria della chiamata in reità o correità non è esclusa dal fatto che il chiamante muova laccusa riferendo fatti appresi da altri, rendendo in tal caso una chiamata c.d. de relato. Costituisce ius receptum invero il riconoscimento della valenza probatoria della chiamata in reità c.d. de relato cioè quella che consiste nella propalazione di notizie non personalmente conosciute dal chiamante ma apprese da terzi, sempre che la stessa sia sottoposta ad un rigoroso vaglio critico, nel senso di unattenta valutazione non solo delle dichiarazioni del chiamante, ma anche della fonte di riferimento, ove ciò risulti possibile. In tali ipotesi, quindi, occorre valutare oltre lattendibilità del dichiarante e la veridicità delle sue affermazioni, anche, seppure in via mediata, laffidabilità e attendibilità della fonte primaria e la veridicità delle notizie da essa riferite anche se ciò non vuol significare che detto riscontro debba necessariamente costituire, di per se, prova della responsabilità del chiamato; il riscontro, in tal caso, dovrà essere di valenza tale da indurre sotto il profilo logico a far ritenere processualmente acclarata la colpevolezza dellaccusato in ordine alla commissione dello specifico fatto non caduto sotto la diretta percezione del dichiarante (cfr. Cass. Sez. I 7/4/1992 n°4153). In relazione a quella parte del
patrimonio informativo dei collaboratori costituito da
notizie apprese da altri affiliati, protagonisti degli
episodi oggetto delle informazioni fornite nel contesto
di resoconti o comunque nel quadro di rapporti
confidenziali riconducibili alla c.d. affectio
societatis sceleris , è appena il caso di
rilevare che secondo un costante orientamento
giurisprudenziale della Suprema Corte anche la
testimonianza de relato sui fatti riferiti al teste dagli
stessi autori o da altri può ben costituire fonte
probatoria idonea a formare il convincimento del giudice,
purchè venga sottoposta a prudente ed attento vaglio
critico. È pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità che le chiamate de relato ben possono essere riscontrate da dichiarazioni provenienti da altri soggetti tra quelli previsti dallart.192 c.p.p., sempre che, anche in tali ipotesi, sia possibile escludere ipotesi di collusione o di reciproco condizionamento psicologico (cfr. Cass. sez. I n°04689 del 15/4/1992). Il controllo demandato al giudice della fonte primaria non può, comunque, secondo la Suprema Corte, superare i limiti normativi prefissati dal legislatore allart. 195 del vigente c.p.p. in materia di testimonianza indiretta: la possibilità di valida corroborazione reciproca fra più chiamate in correità provenienti da diversi soggetti, ai fini di cui allart. 192 c. III c.p.p., opera anche nel caso in cui trattasi di chiamate fondate su conoscenza indiretta della condotta attribuita al chiamato, dandosi luogo, in tal caso, soltanto allobbligo da parte del giudice, di una verifica particolarmente accurata dellattendibilità intrinseca delle dichiarazioni accusatorie,alla stregua del principio di ordine generale stabilito dal c. I del medesimo art. 192 c.p.p. (libero convincimento del giudice) e nellosservanza del disposto di cui allart.195, richiamato dallart. 210, comma V c.p.p. (cfr. Cass. Sez. I 11/12/1993 n°11344). Va, peraltro, rilevato che la S.C. ha affermato il principio, che merita di essere condiviso, secondo cui in materia di valutazione della prova orale, costituita da dichiarazioni di soggetti imputati o indagati per lo stesso reato o per reati connessi probatoriamente collegati, non sono assimilabili a pure e semplici dichiarazioni de relato quelle con le quali si riferisca in ordine a fatti o circostanze attinenti la vita e le attività di un sodalizio criminoso, dei quali il dichiarante sia venuto a conoscenza nella qualità di aderente, in posizione di vertice, al medesimo sodalizio, specie quando questo sia caratterizzato da un ordinamento a base gerarchica, trattandosi, in tal caso, di un patrimonio conoscitivo derivante da un flusso circolare di informazioni dello stesso genere di quello che si produce, di regola, in ogni organismo associativo, relativamente ai fatti di interesse comune (cfr. Cass. Pen. Sez. I, 11/12/1993, n. 11344, Algranati ed altri). Alla stregua dei principi di diritto fin qui ampiamente illustrati può conclusivamente affermarsi che dallart. 192 comma 3° c.p.p., secondo cui le dichiarazioni accusatorie dei coimputati sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano lattendibilità, si ricava con chiara evidenza che non è stata sancita lesigenza che lulteriore elemento di prova debba essere di natura diversa dallelemento che deve essere confermato, e pertanto la conferma può essere ricercata anche nelle dichiarazioni di altri coimputati; che gli elementi di conferma di qualsiasi tipo e natura debbono essere idonei a costituire verifica dellattendibilità del dichiarante, più che costituire prova diretta dei fatti dichiarati; che lesigenza dei riscontri cosiddetti individualizzanti non esclude che la ricerca degli stessi possa, nei congrui casi, prospettarsi in termini di meno rigoroso impegno dimostrativo, ove lattendibilità del dichiarante sia stata positivamente riscontrata sia intrinsecamente che sulla base di elementi esterni ancorché generici; che, fermo restando leffetto preclusivo di una conclamata intrinseca inaffidabilità della fonte propalatoria, ove invece si tratti di affidabilità dubbia ovvero di affidabilità limitata soltanto a parti del discorso propalativo, leffetto probatorio, discendente dalla integrazione di dichiarazioni autonome, è innegabile, specie se specificatamente cadente su quelle medesime parti; che deve essere riconosciuta pena valenza probatoria alle chiamate plurime o convergenti (cosiddette dichiarazioni incrociate), nella misura in cui determinano quella convergenza del molteplice, che assurge a dignità di prova piena, addirittura idonea a sorreggere una pronuncia di condanna; che anche le chiamate c.d. de relato ove sottoposte a rigoroso vaglio critico ed adeguato riscontro, possono assumere valenza probatoria Ai principi esposti in materia di valutazione della prova il Collegio si atterrà nellesaminare il complesso materiale probatorio acquisito nellambito dellodierno procedimento. ************************* Passando quindi al merito delle accuse ritiene il Tribunale che il compendio probatorio acquisito in esito alla articolata istruttoria dibattimentale, costituito da convergenti e significative propalazioni di vari collaboratori, tra i quali uno dei coimputati separatamente giudicato, reo confesso e chiamante in correità proprio per il fatto delittuoso per cui si procede, consente di pervenire, con assoluta certezza, ad un giudizio di piena colpevolezza di tutti gli imputati in ordine al reato continuato e aggravato di danneggiamento seguito da incendio di cui allart. 424 comma 1 c.p. loro in concorso ascritto, in relazione al quale va tuttavia esclusa per le ragioni che saranno appresso esposte la circostanza contestata del nesso teleologico. Il processo ha per oggetto in particolare la commissione nella notte del 29 giugno 1993 di un grave attentato incendiario ai danni di tre cittadini del quartiere Brancaccio di Palermo Martinez Giuseppe, Guida Giuseppe e Romano Mario componenti del Comitato Intercondominiale di via Azolino Hazon allevidente scopo di indurli a desistere dalla loro attività di impegno politico e sociale condotta instancabilmente con laiuto, non soltanto spirituale ma anche economico, del parroco della chiesa di San Gaetano, Padre Pino Puglisi. Le prove raccolte hanno infatti inequivocabilmente dimostrato che il grave fatto delittuoso si inserisce nel contesto delle ben più gravi attività criminali poste in essere nellanno 1993 dagli affiliati alla cosca mafiosa operante nel quartiere Brancaccio di Palermo e facente capo indiscutibilmente ai noti fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Fin dai primi atti investigativi è emerso in modo univoco che il movente dellattentato era da ricercare unicamente nellattività di impegno sociale portato avanti dalle tre parti offese anche con il sostegno di padre Puglisi nei cui confronti lattività di intimidazione sarebbe infine sfociata nellefferata uccisione. Anche gli attentati incendiari per cui è processo, infatti, secondo quanto confermato soprattutto da uno degli autori materiali degli stessi, Grigoli Salvatore, rientravano nella strategia volta a scoraggiare padre Puglisi ed i suoi più stretti collaboratori dallintraprendere o proseguire iniziative ritenute pregiudizievoli per gli interessi criminali della famiglia mafiosa di Brancaccio. Latto di natura palesemente intimidatoria era ricollegato con tutta evidenza allattività svolta dal Martinez, dal Guida e dal Romano nellambito del Comitato Intercondominiale della via Hazon, una associazione tra cittadini che operava nel quartiere di Brancaccio alla periferia orientale della città caratterizzato da un estremo degrado e da uno stato di sostanziale abbandono per la mancanza o carenza di adeguati servizi fognari, di una scuola media, di servizi sociale e sanitari. A ciò si aggiungeva, aggravando il grave stato di degrado, la presenza invasiva e capillare di un dominio mafioso imposto dal gruppo criminale presente nel quartiere e dalla conseguente e diffusa condizione di arretramento culturale e civile, nonché di soggezione ed intimidazione che il potere mafioso aveva imposto. Il Comitato Intercondominiale di cui erano stati fondatori tra gli altri proprio le odierne parti offese aveva tentato, grazie allimpegno sociale e civile di pochi, di affrontare o almeno evidenziare i problemi più gravi che affliggevano il quartiere cercando di portarli allattenzione delle Istituzioni al fine di sollecitare e trovare adeguate soluzioni. Ed è stato proprio il condiviso e costante impegno nellattività del Comitato unico, sicuro e evidente elemento di contatto tra i tre a far si che Martinez Giuseppe, Guida Giuseppe e Romano Mario si ritrovassero accomunati quali obiettivi del grave atto intimidatorio commesso la notte del 29 giugno 1993 mediante lincendio delle rispettive tre porte di abitazione. I tre atti incendiari risultano essere stati posti in essere alla stessa ora e con le stesse identiche modalità operative gettando liquido infiammabile sugli zerbini e sotto le porte di ingresso degli appartamenti dandovi quindi fuoco talchè risulta indubitabile ed incontestabile la riconducibilità dei tre atti delittuosi ad una unica matrice progettuale ed esecutiva. Per meglio comprendere i fatti appare opportuno riportare integralmente le dichiarazione delle tre parti offese in merito a quanto accaduto quella drammatica notte: Martinez Giuseppe (udienza del 31 gennaio 2002) MARTINEZ: il 29 giugno del 1993 .Allora, io quella notte tra luna e le due ho ricevuto una telefonata da Guida, laltra parte lesa, da Giuseppe Guida, laltra parte lesa. Potevano essere luna le due di notte , adesso non ricordo bene, e mi informava che lui e Mario Romano avevano subito questo incendio della porte e quindi mi diceva vedi se è successo pure a te, che molto probabilmente si è verificato pure a te. Io mi sono alzato e quando sono entrato nel corridoio ho sentito un odore tremendo di benzina, quindi sono andato alla porta dingresso, con cautela ho aperto e mi sono reso conto che cera la porta bruciata, lo zerbino, quello che era davanti la porta, bruciato, poi tutti i muri anneriti, le porte dellinquilino dirimpetto tutte annerite, insomma, e poi ho trovato pure una bottiglia di plastica, praticamente oramai vuota, che era la bottiglia che conteneva la benzina. PM: Che era per terra ? MARTINEZ: Che era per terra nel pianerottolo.
PM: Senta, lora della telefonata se la ricorda ? Lora precisa. MARTINEZ: la telefonata, glielho detto, tra luna e le due, non mi ricordo. Della notte, esatto, la mattina del 29 giugno del 93. Luna le due, quello era lorario.
Si, noi abitiamo praticamente nella stessa strada. Con Giuseppe Guida tra laltro eravamo colleghi di lavoro pure. Dunque, io abito al numero 17, a seguire nel condominio vicino ci sta Giuseppe Guida e a seguire ancora, nellaltro portone a seguire ci sta, abita Mario Romano. 17, come numero civico, adesso non mi ricordo quali sono i numeri civici, comunque sono uno diciamo appresso allaltro. PM: Comunque la stessa via e lo stesso lato ? MARTINEZ: E stesso lato, esatto.
PM: Ha chiamato la Polizia ? MARTINEZ: Si, si, si. PM: Dopo quanto tempo sono intervenuti ? MARTINEZ: No, subito sono venuti, non lo so, dieci minuti, non lo so, subito, subito comunque sono venuti. PM: La polizia ha fatto delle fotografie, qualcosa ? MARTINEZ: No, io, io veramente li avevo invitati a fare qualcosa perché cera la bottiglia come avevo detto, la bottiglia di plastica buttata là nel pianerottolo, però siccome io lavevo presa questa bottiglia loro mi hanno detto no, signor Martinez non possiamo fare più niente . Al che ho detto si possono prendere le impronte digitali. No perché lei lha toccata.
AVV. GALATOLO: Senta signor Martinez, ritornando ai fatti del 29, alla sera del 29, alla notte del 29 giugno 93, innanzitutto lei quando intervenne ed aprì la porta dellingresso lincendio si era già spento, le fiamme si erano già spente ? MARTINEZ: No, era già spento, quello si. AVV. GALATOLO: Senta signor
Martinez, lei intervenne subito, ricevette la
telefonata, si alzò, disse pocanzi al Tribunale,
intervenne subito quindi si recò subito
allingresso per vedere quello che era successo
quella sera, quella notte ? MARTINEZ: Si, mi alzai subito
dopo la telefonata, immediatamente quando entrai, stanza
da letto entro nel corridoio, appena entrai nel corridoio
cera un odore tremendo di benzina, andai alla porta
e chiaramente con attenzione aprii la porta e vidi quello
che vidi. AVV. GALATOLO: Può dire al
Tribunale quello che vide ? Aprì la porta, che cosa
cera ? MARTINEZ: Dunque, aprii la
porta e cera la porta dingresso che era
bruciata, la parte bassa era addirittura bruciata fino a
quasi in fondo, no ?, fino a questi, non a fare il buco,
questo no. Ma per un bel po bruciata sino in
fondo e completamente annerita fino a sopra, fino al
tetto. Poi cera lo zerbino completamente
accartocciato, va bene, insomma aveva preso completamente
fuoco, poi vi erano le porte degli ascensori
completamente annerite, le porte dellinquilino che
sono due, dellinquilino dirimpetto completamente
annerite, e quelle che portano nella scala, insomma il
tetto, era tutto completamente annerito. Guida Giuseppe (udienza del 21 marzo 2002) GUIDA:
Cioè, la notte
del 30 giugno del 93 dormivo io con limposta
della cucina aperta, quindi cera caldo, poi sentivo
una puzzura di benzina e cose, ho detto ma cosa è
questa puzza di benzina ? e mi sono alzato, sono
andato a controllare una cosa, siccome il balcone della
cucina sporge lato ferrovia, no ?, pensavo, dissi magari
ci sarà qualche macchina che sta bruciando, siccome è
una zona un po diciamo oscura e cose non ho visto
niente. Rientrando poi la puzza si
accentuava sempre di più, al che sono andato nella
saletta, e ho visto che lì cera la porta bruciata
e tutta diciamo la benzina sparsa per terra. PRESIDENTE: Dentro casa ? GUIDA: Dentro casa. Al che ho
fatto, ho telefonato subito alla Polizia, la Polizia ha
ritardato un bel po , ho ritelefonato, al che
quello che ha risposto al telefono ha detto si,
signor Romano, ci stiamo pensando. Al che ho capito
subito, perché anche a Romano glielhanno
bruciata ?. Dice: ma lei non è Romano
?. Ci dissi no, io sono Guida. Va
bene, dice, ho capito, ora veniamo.
Al che, quando ho sentito Romano, ho telefonato subito a
Martinez , ho detto senti Peppino, guarda sono
Guida, non ti spaventare, erano le due e un quarto
di notte. Sono Guida, guarda è
successo così così, vai a controllare anche tu la porta
se è stata bruciata. Lui è andato a
controllare ed ha visto che anche la sua porta era
bruciata, era stata bruciata. Al che poi siamo scesi giù
(DISCORSO INTERROTTO)
PRESIDENTE: Glielo ha
confermato per telefono oppure (DISCORSO
INTERROTTO)
GUIDA: Si, si, per telefono. PRESIDENTE: Quando lei dice
sono andato nella sala e ho visto che cera la
benzina e la porta bruciata, intende dire la porta che
stava bruciando (DISCORSO INTERROTTO)
GUIDA: No, no era già
bruciata. PRESIDENTE: Ed un altro
chiarimento, lei dove abita di preciso ? GUIDA: In via Azolino Hazon 43. PRESIDENTE: Al piano ? GUIDA: Quinto.
. AVV. GALATOLO: Senta, lei ha
parlato di una porta nella sua abitazione quella notte e
ha detto che si era affacciato in un primo momento nel
balcone e poi si è recato credo
nellingresso, no ? GUIDA: Si. AVV. GALATOLO: La porta, su
precisazione del Presidente, lei ha detto era già
bruciata. Quindi le chiedo, non cera più fuoco nel
momento in cui lei è arrivato ? GUIDA: No, era già tutta
bruciata. AVV. GALATOLO: E
intervenuto, nel momento in cui lei è arrivato
nellingresso, qualcuno o era da solo ? Sto parlando
di persone estranee esterne. GUIDA: No, esterne nessuno. AVV. GALATOLO: Cera solo
lei ? GUIDA: Solo io. AVV. GALATOLO: E il fuoco era
spento ? GUIDA: Si, si, spento. Romano Mario (udienza del 21 marzo 2002) ROMANO: Allora, io facevo il
macchinista alle Ferrovie dello Stato e mi sono ritirato
perché il nostro servizio comporta anche fare dei
servizi che si finisce tardi e quindi mi sono ritirato
verso luna di mattina a casa, mia moglie era già
letto, insomma io quando mi ritiro a questora ho la
brutta abitudine non di andare a letto ma di leggere il
giornale. Quindi saranno state luna
e un quarto, luna e mezza, ora non ricordo bene,
siccome la mia, cioè io vado a leggere in cucina, la mia
cucina è messa in un posto che no vede diciamo la porta
di accesso, mentre nella stanza da letto e quindi ho
sentito mia moglie che ha gridato fiamme,
fiamme. Insomma io sono andato là e ho
visto la porta che bruciava in una maniera, insomma
subito mi sono spaventato però subito ho avuto la
prontezza di andare in bagno. A quel tempo tra
laltro mancava anche lacqua nel nostro
quartiere, quindi avevamo diciamo nel bagno raccolto
dellacqua. Ho preso il secchio, insomma lho
spento sto incendio. Insomma subito mi sono
sentito perché, cioè prima di allora non è che avevamo
avuto diciamo delle avvisaglie. Certo il fattore del
quartiere, la realtà che era quella che era, però al di
là di qualche cosa non è che avevamo avuto, quindi
diciamo mi sono spaventato perché (DISCORSO INTERROTTO)
Però subito ho fatto il mio dovere come cittadino
di fare la denuncia.
Un po ci ho
pensato qualche, un po si ci pensa diciamo, non è
che tutti i giorni bruciano le porte, insomma e subito ho
preso il telefono e ho telefonato al 113, ho denunciato
(DISCORSO INTERROTTO)
Al che quello che ho consultato
mi ha detto, dice di nuovo, un altro ?.
Allora subito ho capito che non ero solo io ad essere, ad
avere bruciato le porte, di fatti poi sono sceso, ho
incontrato Guida e subito dopo Martinez che avevano
subito la mia stessa (DISCORSO INTERROTTO)
Io abito
in via Azolino Hazon 51
Al decimo piano. PRESIDENTE: Quindi invece Guida
sta al 42. ROMANO: Al 42 quinto piano. PRESIDENTE: 43, si, 43. Ed
invece Martinez ? ROMANO: Mi pare che al 17
abitava. PRESIDENTE: Quindi vi siete
incontrati sulla strada ? ROMANO: Sulla strada perché la
Polizia diciamo insomma nel frattempo sono venuti. Emerge dunque con chiarezza che le fiamme appiccate dietro la porta dingresso del Martinez si spensero spontaneamente quasi subito, non prima di avere annerito il soffitto e le pareti del pianerottolo e la porta frontistante di un inquilino, laddove i danni arrecati alle abitazioni del Guida e del Romano risultarono invece più gravi. Ed infatti il liquido infiammabile passato sotto la porta dingresso ha consentito alle fiamme di raggiungere il corridoio dellappartamento del Romano mentre la porta dingresso della casa del Guida è stata addirittura interamente bruciata. Ma ciò che emerge con assoluta chiarezza dalla ricostruzione dellepisodio offerta al Tribunale dalle tre vittime è che Guida, dopo avere appreso che anche Romano aveva subito lincendio della porta della sua abitazione, nellimmediatezza del fatto ebbe subito a pensare come possibile terzo destinatario di analogo attentato proprio al Martinez provvedendo quindi a chiamarlo telefonicamente per metterlo sullavviso e scoprendo subito che il suo timore e la sua previsione erano fondate: PRESIDENTE: E lei ha detto a
questo punto ho telefonato subito a Martinez.
Ora
io desideravo sapere, perché ha telefonato a Martinez ?
E poi ha telefonato ad altri oltre che a Martinez ? GUIDA: No, solo a Martinez. PRESIDENTE: Ed allora chiariamo
perché ha telefonato a Martinez. GUIDA: Perché ho
capito subito che eravamo i tre diciamo più in vista
perché collaboravamo con Padre Puglisi.
Quando ho sentito Romano, quindi ho capito allora i tre
che eravamo diciamo (DISCORSO INTERROTTO)
Quelli
che eravamo più diciamo a contatto con Padre Puglisi. Ciò sta a significare che i tre
erano ben consapevoli che qualcosa che li accomunava li
esponeva anche alla concreta prevedibile possibilità di
essere oggetto di minacce ed intimidazioni. Orbene, lunica cosa che accomunava Guida, Romano e Martinez era proprio il continuo impegno civile e sociale nel Comitato Intercondominiale al fianco di padre Pino Puglisi nellintensa opera di rieducazione alla legalità degli abitanti del loro quartiere. Giova invero ricordare che il Comitato stesso era sorto per iniziativa di alcuni degli abitanti del quartiere tra i quali proprio le odierne tre parti offese che si erano pertanto messe in evidenza e fatte conoscere in tutta Brancaccio. In merito allorigine del Comitato, ai primi impegni ed alle prime iniziative assunte il Martinez, escusso alludienza del 31 gennaio 2002, ha così riferito: MARTINEZ:
ci siamo
riuniti, abbiamo deciso di portare avanti questa
iniziativa per cercare di rendere vivibile il nostro
quartiere, la nostra zona. Là vi era una situazione
abbastanza degradata,
per esempio mancava la
fognatura lì a Brancaccio, per cui una delle prime
iniziative che abbiamo preso è stata quella di
promuovere unazione per far sì che si facesse la
fognatura lì nella nostra zona.
Poi altre iniziative sono
state quelle per cercare di realizzare una scuola media a
Brancaccio, altre iniziative ancora cercare di realizzare
un distretto socio-sanitario a Brancaccio, poi anche
altre cose tipo illuminazione, poi promuovere delle
iniziative per far sì che venissero realizzate per
esempio una biblioteca, una palestra. Poi abbiamo cercato di
coinvolgere pure le famiglie stesse del quartiere in
iniziative, che so, in occasione di ricorrenze della
morte di Falcone, di Borsellino, iniziative di questo,
cercavamo di coinvolgere, abbiamo coinvolto famiglie,
bambini.
Tipo anche per esempio
iniziative di tipo sportivo per ricordare Falcone e
Borsellino, questo per esempio labbiamo fatto nel
93, una manifestazione che abbiamo intitolato, nel
luglio del 93, una manifestazione a cui abbiamo
dato il titolo Brancaccio per la vita, tutte queste
attività noi le portavamo avanti insieme al nostro
parroco, padre Puglisi, tutte queste attività.
Era un gruppo nato
spontaneamente, attenzione, non è che ceravamo
costituiti che so come comitato registratola qualche
parte. Noi ci siamo, abbiamo deciso di chiamarci comitato
Intercondominiale in quanto raccoglievamo un poco,
diciamo quelli che erano i responsabili condominiali
delle varie scale, dei vari condomini. E insieme aveva
deciso di affrontare quelle che erano le problematiche
sociali del quartiere, e queste problematiche sociali
ovviamente le volevamo affrontare incontrando le
istituzioni, le istituzioni, le prime istituzioni
presenti sul territorio che era il Consiglio di Quartiere
ma non solo il Consiglio di Quartiere. Avevamo incontrato
Assessori, Sindaci.
Dunque, le attività,
diciamo che io ritengo che come prima attività che
battezzi diciamo linizio del comitato
intercondominiale credo che si possa dire che sia quella
della battaglia per la fognatura, per la realizzazione
della fognatura a Brancaccio.
Dunque, parliamo dei
primi mesi del 90, parliamo; ancora però non
abbiamo incontrato Padre Puglisi, ancora. Questa prima
battaglia va a buon fine dopo circa un anno perché che
cosa è successo ? Siccome io insieme ad unaltra
persona mi sono recato al Comune di Palermo per
incontrare lAssessore Inzerillo che allora era
Assessore alla manutenzione a
rete
avevano trovato una falda
acquifera e quindi per questo motivo avevano interrotto i
lavori.
Chiaramente
noi abbiamo sollecitato più volte per fare ripartire i
lavori, e dopo alcuni mesi, se non ricordo male nel
luglio sempre del 90, sono ripartiti i lavori per
la fognatura e subito dopo unaltra volta si
interrompono perché lescavatrice aveva, si era
rotta la punta dellescavatrice e non riuscivano a
trovare questa punta insomma, per cui passava tempo,
passava molto tempo. Al che noi ci siamo insomma un
po arrabbiati arrivati a sto punto, abbiamo, mi
ricordo che abbiamo fatto un articolo nel Giornale di
Sicilia dove abbiamo denunciato questo fatto e abbiamo
presentato un esposto alla Procura della Repubblica. La Procura della Repubblica ha
preso diciamo in considerazione questa nostra richiesta
ed infatti fu intimato allAssessorato alla
manutenzione, ai servizi di rete fu intimato di
terminare, ricordo, i lavori in quindici giorni.
Noi volevamo muoverci in questo
senso e ci siamo resi conto, visto il palazzo che era
quello della via Hazon 18 che stava là abitato
completamente dagli sfrattati del Comune di Palermo e che
cerano gli scantinati e il locale quello a piano
terra che erano completamente abbandonati nelle mani
della gente che abitava là e anche di bambini, pieno di
rifiuti, pieno di un sacco di cose che tenevano loro là,
va bene, e quindi a noi è venuta lidea di
realizzare qualche cosa che potesse tornare utile diciamo
allambiente nostro, alla società nostra, no ? E abbiamo pensato a una scuola
media da realizzare là, visto che là a Brancaccio non
esisteva la scuola media, era lunico quartiere di
Palermo a non avere la scuola media, lunico
quartiere di Palermo a non avere la scuola media. È del tutto evidente che le pressanti iniziative del Comitato provocano immediatamente malumori e suscitano le prime reazioni in certi ambienti anche politici che mostravano di non tollerare lautonomia decisionale ed operativa dei cittadini del quartiere e soprattutto la decisione di rivolgersi addirittura alla magistratura: MARTINEZ: Chiaramente noi
eravamo contenti di vedere i lavori che ripartivano e mi
ricordo che là cerano, quando sono partiti i
lavori, cerano i dirigenti dellAssessorato
presenti, ed io insieme ad altre persone ci siamo rivolti
a loro per dire finalmente avete cominciato, che cosa
prevedete, e ho visto una risposta da parte di questi
dirigenti nei miei confronti proprio in maniera
intollerante: ah, lo sappiamo che è stato lei a
fare la denuncia, lo sappiamo che è stato lei, lei
scriva, scriva. È chiaro che questa era una
situazione un po che creava tensione diciamo tra
noi e loro. Comunque, i lavori sono stati
portati a termine, in quindici giorni li hanno finiti, mi
ricordo che lavoravano sabato e domenica perché dovevano
finire i lavori, comunque, hanno terminato i lavori e poi
hanno rifatto pure il manto stradale, tutte ste cose di
qua. Però diciamo che questa
iniziativa nostra, questa denuncia, non è stata ben
digerita dai politici diciamo di Brancaccio. Quando parlo dei politici di
Brancaccio mi riferisco un po ai componenti del
Consiglio di Quartiere di Brancaccio e allAssessore
Inzerillo. Mi ricordo infatti che quando
si parlava, quando capitava, insomma quando avevamo
qualche discussione tra noi di parlare dei problemi del
quartiere, insomma rinfacciavano a noi spesso questo
fatto di avere presentato lesposto alla Procura
della Repubblica. Comunque non lavevano digerito
bene. Ogni iniziativa del Comitato nel
segno della riaffermazione della legalità e della tutela
dei diritti in un quartiere dove mancavano le opere
primarie di urbanizzazione come le fognature ed i liquami
si riversavano per strada, rappresentava la conquista di
spazi e consenso degli abitanti, sottratti luno e
gli altri, alla criminalità, al degrado, alla
sudditanza. Era dunque evidente che
lattività dei componenti del Comitato dovesse
subito incrociarsi con lattività pastorale di un
prete come Padre Puglisi che credeva fermamente nel
riscatto della gente del quartiere ed operava
concretamente e quotidianamente in tale prospettiva. Padre Puglisi, parroco della Chiesa di San Gaetano, aveva subito accettato di sostenere la loro causa, dando un contributo pieno ed incondizionato e partecipando in prima persona anche a tutti i loro frequenti incontri: MARTINEZ:
lui
subito si è messo a disposizione nostra, anzi una cosa
che ha immediatamente detto è stata contate su di me,
tutte le volte che voi vorrete io sarò con voi, tutte le
volte che voi dovrete incontrare qualche persona delle
istituzioni io verrò con voi. E così è stato sempre,
in ogni momento.
Padre Puglisi, ogni
volta che noi dovevamo incontrare le figure istituzionali
locali, Sindaco, Assessori vari, Prefetto, Padre Puglisi
ci accompagnava sempre, è stato sempre presente nel
sostenere queste richieste che insieme concordavamo di
portare avanti. Addirittura una volta, quando noi abbiamo
promosso la realizzazione del distretto socio-sanitario a
Brancaccio, addirittura lui ci fece mettere un tavolino
davanti la porta per raccogliere le firme perché abbiamo
portato avanti una petizione. Per raccogliere le firme e
lui durante le messe domenicali di quel giorno, lui
invitava la gente a firmare per quella petizione che
stavamo portando avanti perché significava dare un aiuto
alla gente stessa di Brancaccio e quindi li invitava a
firmare.Questo per dirle quanto cera vicino e
quanto lui era partecipe delle nostre, delle iniziative
che noi portavamo avanti. Lui addirittura, lui
addirittura non aveva esitazione nel dire che era un
componente del comitato intercondominiale. Lui lo disse a
me in unoccasione, quando ci fu un convegno
parrocchiale. Subito dopo la fine del convegno
parrocchiale mi telefonò a casa per scusarsi, ma per
scusarsi di che cosa ? Per scusarsi perché aveva detto
ho fatto male a dire che sono, che noi del comitato
intercondominiale ?. Ma lei mi sta
rendendo felice, Padre Puglisi. Lui si sentiva uno di noi, lui
era sceso in mezzo alla gente, era sceso con noi a
lottare, a rischiare la sua vita fino a pagarla. Anche Romano Mario ha confermato il ruolo centrale che Padre Puglisi aveva assunto in seno al Comitato ed in relazione a tutte le iniziative che venivano promosse: ROMANO: E si è è aggregato
soprattutto Padre Puglisi che poi è stato nominato
parroco nel 1990 della parrocchia di Brancaccio.
Quando abbiamo
cominciato innanzitutto, come avevo detto io, la
fognatura che attraverso delle richieste insomma anche di
persone andando a parlare con Assessori e con Padre
Puglisi diciamo divenuto poi il leader di questa
associazione, abbiamo fatto
richiesta di una fognatura. Appartiene ad un fattore
sociale io penso.
Nel 91.
Sempre diciamo quando già abbiamo visto che il
fattore della fognatura andava avanti, ci siamo chiesti
perché il quartiere Brancaccio è lunico quartiere
di Palermo a non avere la scuola media.
Insomma questo me
lo sono chiesto io, ce lo siamo chiesti quelli che
facevamo parte del comitato e Padre Puglisi che
praticamente era uno di noi, voleva la
scuola per i ragazzi, no per noi, per i ragazzi. Padre Puglisi peraltro, dopo la
commissione dei gravi atti intimidatori ai danni del
Martinez, del Guida e del Romano, ne comprese subito
causale e finalità decidendosi di parlarne durante
lomelia della messa domenicale, condannando
pubblicamente lepisodio e sollecitando i fedeli e
la comunità ecclesiale tutta ad esprimere e far sentire
la loro concreta solidarietà alle tre vittime di atti
che apparivano con tutta evidenza collegati
allattività del Comitato che affiancava il prelato
nellopera di risveglio sociale e di riscatto della
gente del quartiere. Proprio in ragione dellesito positivo di molte delle iniziative assunte dal Comitato con il sostegno concreto di Padre Puglisi cresceva progressivamente il consenso della gente che iniziava a credere nel prete e nella possibilità di riscatto che veniva loro offerta: MARTINEZ: Questo insomma per
dire appunto che cera un consenso che andava
crescendo nei nostri confronti. Il fatto era che,
abbastanza percepibile, che la gente cominciava a credere
in Padre Puglisi e nellattività del comitato
Intercondominiale, la gente cominciava a credere. E questo era abbastanza, come
dire, sentito nel quartiere, era abbastanza sentito nel
quartiere. Per cui si verificava che molte persone
venivano da noi, dal signor Romano, signor Guida, signor
Martinez, signor cè da fare lilluminazione,
queste cose di qua insomma. Chiaramente noi eravamo pure
portatori, come dire, portatori anche di valori, di idee. Noi avevamo scelto, come dire,
una linea da portare avanti ed era una linea che non era
assolutamente condivisibile da certi ambienti nel
quartiere, va bene ? Noi parlavamo di legalità, di
giustizia, noi parlavamo di Falcone, di Borsellino, degli
agenti di scorta uccisi dalla mafia, noi portavamo avanti
delle iniziative per coinvolgere famiglie e bambini nel
nome di questa gente che aveva dato la vita per la
società palermitana e non solo palermitana ovviamente. Ecco, noi oramai eravamo, come
dire, persone abbastanza identificabili, non eravamo
solamente portatori di iniziative che volevano portare
servizi. Certo, quelli erano cose importanti, la
scuola, il distretto, ma anche portatori di valori. Era dunque inevitabile che tali attività e tali valori diffusi tra la gente entrassero in rotta di collisione con il gruppo mafioso e criminale che dominava, fino ad allora incontrastato, nel quartiere imponendo soggezione, omertà e cieca ubbidienza alle direttive ed ai voleri dei capi della cosca. La immediata individuazione della causale dei gravi atti incendiari nella comune attività di impegno sociale svolta dalle tre vittime era peraltro confermata dal fatto che nullaltro poteva giustificare la contemporanea aggressione condotta in pregiudizio del Guida, del Romano e del Martinez che non avevano altri interessi comuni: PRESIDENTE:
Al di là
delle attività di questo vostro comitato che ancora
aveva un carattere di spontaneità, avevate altri
interessi, altre attività comuni a tutti e tre ? MARTINEZ: No, assolutamente.
No, lunica attività comune lho detto poca
fa, era con Giuseppe Guida che eravamo colleghi di
lavoro. PRESIDENTE: E il terzo invece ? MARTINEZ: No, nessuna, nessuna. PRESIDENTE: Che lavoro svolgeva
? MARTINEZ: Impiegato delle
ferrovie. PRESIDENTE: Quindi vi vedevate
e stavate insieme
esclusivamente
Nellambito di questa
attività. MARTINEZ: Si. Orbene, che la causale del grave fatto delittuoso fosse proprio da individuare in quella comune attività svolta dai tre in costante contatto con Padre Puglisi, emergeva con assoluta certezza allorquando veniva tratto in arresto proprio colui che ha confessato di essere lautore materiale dellefferata uccisione del prete e per tale delitto è stato condannato con sentenza ormai irrevocabile. Grigoli Salvatore, invero, componente del gruppo di fuoco del mandamento di Brancaccio con funzioni di killer, al servizio dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, sin dalle prime ore successive al suo arresto avvenuto il 19 giugno 1997 dopo un lungo periodo di latitanza, ha manifestato lintenzione di collaborare con la giustizia, ammettendo subito di essere stato egli stesso lesecutore materiale dellomicidio di Padre Puglisi per il quale indicava causale, mandanti e complici. Orbene già alludienza del 7 luglio del 1997, ovvero solo pochi giorni dopo il suo arresto, davanti alla Corte di Assise di Palermo che procedeva a carico dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e dello stesso Grigoli, imputati dellomicidio di Padre Puglisi, il Grigoli stesso rendeva spontanee dichiarazioni confessando immediatamente anche la propria personale partecipazione agli attentati incendiari alle porte delle abitazioni dei promotori del Comitato Intercondominiale di via Hazon. Ed è quanto mai significativo che il Grigoli abbia immediatamente parlato di tale attentato incendiario, ancora presente nel suo ricordo oltre quattro anni dopo i fatti, proprio perché strettamente connesso nella sua memoria alluccisione del prelato, non a caso avvenuta il 15 settembre 1993, poche settimane dopo i fatti per cui oggi è processo, tanto da dovere essere riferiti allA.G. proprio come premessa della confessione dellomicidio di Padre Puglisi (cfr. pag. 102 sentenza della Prima Sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo del 13.2.2001 prodotta dal PM): Adesso vorrei dire io cosa sono
a conoscenza e le mie responsabilità riguardo il delitto
di padre Puglisi.
Prima
volevo
precisare unaltra cosa, prima
dellomicidio, ho commesso un altro reato, lo dico
perché secondo me è attinente a questo
omicidio . Fummo incaricati io,
Spatuzza e Guido (recte Vito) Federico di bruciare tre
porte di tre famiglie di uno stabile di via Azolino
Hazon, nei dintorni di questa via
perché queste
persone erano vicine a padre Puglisi.
Ammissione di responsabilità anticipata il 7 luglio 1993 nelle dichiarazioni spontanee confermata nel corso del successivo esame formale reso alludienza del 28 ottobre 1997 allorquando, richiesto dal PM di precisare se prima dellomicidio di Padre Puglisi egli avesse compiuto atti intimidatori ai dnni di persone vicine al prelato, il Grigoli testualmente affermava (cfr. pag. 106 sentenza del 13.2.2001 citata): Questa
me la
comunicò lo Spatuzza, questa cosa qui. Dovevamo bruciare
tre porte di tre abitazioni nello stesso
palazzo
nello stesso complesso, erano tre scale ed
ogni scala cera una porta da incendiare. Una, se
non erro, è al decimo piano, una al settimo e una la
quinto, se non erro. Cera un certo Martinez e gli
altri non li ricordo. E andammo io e lo Spatuzza, insieme
anche a Vito Federico, e salimmo tutti e tre
contemporaneamente le scale; abbiamo dato tempo a colui
che doveva arrivare al decimo piano di arrivare prima e
abbiamo dato fuoco a queste porte e poi scendemmo tutti e
tre contemporaneamente e poi andammo
via
Queste tre persone erano vicine a don Pino
Puglisi. Si aggiunga che già il 26 giugno 1997 ai Pubblici Ministeri di Palermo il Grigoli aveva confessato la sua partecipazione allomicidio Puglisi subito ricollegando il grave fatto delittuoso allattentato incendiario per cui oggi e processo (cfr. pag.13 sentenza GUP Palermo 29 maggio 2001 acquisita alludienza dell8.5.2003): confermo di avere
eseguito lomicidio di Don Pino Puglisi.
Lomicidio fu deliberato da Graviano Giuseppe come
ho appreso dallo Spatuzza, in quanto
in
effetti lomicidio fu preceduto da un attentato
incendiario ai danni delle abitazioni di alcune persone
abitanti in via Azolino Hazon. Anche in questo caso
lordine partì da Graviano Giuseppe,
lattentato fu materialmente eseguito da me, da
Spatuzza Gaspare e da Federico Vito. Cascino Carlo come
preciso in sede di verbalizzazione riassuntiva, aiutò il
Federico nella fase successiva allattentato
coprendone la fuga a bordo di un ciclomotore
Peugeot
Le dichiarazioni del Grigoli quindi confermavano immediatamente la pressione decisa ed attuata dalla famiglia mafiosa di Brancaccio, ai massimi livelli, con atti violenti ai danni delle persone più vicine a Padre Puglisi e come lui attive e motivate nel condurre il processo di riscatto morale e civile del quartiere Brancaccio. Lattività del Comitato e di Padre Puglisi, condotta nel segno della riaffermazione della legalità e dei valori cristiani, rappresentava un intollerabile ed inaccettabile pericolo per lorganizzazione mafiosa che non poteva restare inerte dinanzi ad un così evidente attacco alle sue regole, imposte con la violenze, dellomertà e della soggezione. Grigoli Salvatore è stato escusso anche nel dibattimento del presente processo ed ha sostanzialmente confermato la confessione resa e le accuse formulate a carico di tutti gli odierni imputati. Esaminato alludienza del 16 maggio 2002 il Grigoli ha sostanzialmente riferito di avere fatto parte, dopo un primo periodo nel quale si era occupato di attentati a scopo estorsivo, del gruppo di fuoco del mandamento di Brancaccio dedicandosi quasi esclusivamente alla commissione di omicidi. Egli ha tuttavia riferito che in una occasione, trattandosi di unoperazione più delicata, era stato incaricato della esecuzione di un atto intimidatorio ai danni di tre famiglie che facevano parte di unassociazione vicina a Padre Puglisi e che lobiettivo dellazione era quello di convincere i tre destinatari degli atti intimidatori, bruciando le porte dingresso delle loro abitazioni, ad abbandonare la città; che lincarico proveniva dai Graviano ed egli avrebbe dovuto contattare lo Spatuzza il quale era a conoscenza dei tre obiettivi dellazione delittuosa; che le fiamme alle porte delle abitazioni erano state poi materialmente appiccate da lui, dallo Spatuzza e da Federico Vito, questultimo poi allontanatosi con Cascino Carlo a bordo di uno scooter da questi condotto; che lattentato era stato commesso in un periodo certamente anteriore allomicidio di Padre Puglisi. Quanto alle modalità operative il Grigoli ha così riferito: Quindi ci organizzammo in
questa maniera, io con lo Spatuzza a bordo di una FIAT
Uno rubata dovevamo andare via perché erano tra
abitazioni nello stesso stabile. Se non erro adesso perché non
ricordo bene, una era al quinto piano, una al settimo
piano e una al decimo piano, quindi a bruciare le porte
siamo stati io, Gaspare Spatuzza e Vito Federico. Nellordine che lo
Spatuzza andò al decimo piano, io al settimo e Vito
Federico credo al quinto. Quindi ci sincronizzammo
perché dovevamo fare unoperazione sincronizzata,
prima attendemmo che arrivasse lo Spatuzza al decimo
piano e poi io al settimo e così via Vito Federico. Così che bruciavamo le porte
in contemporanea e da fuggire tutti e tre nello stesso
momento. Così decimo, solo che quando
uscimmo dalla portineria dello stabile io salì in
macchina della FIAT Uno rubata di, con Gaspare Spatuzza
ed ad attendere a Vito Federico cera Carlo Cascino
con un peugeottino, uno scooter, un motorino. Di fatti
poi io e lo Spatuzza proseguimmo per Piazza dei
Signori e lì bruciammo una tabaccheria.
PM: Senta, lei ricorda
lesatta ubicazione, la via dove si trovavano
questi, le case dove furono, le cui porte furono
incendiate, furono oggetto di questi atti ? GRIGOLI: In via, nei pressi di
via Azolino Hazon, un complesso di palazzi.
GRIGOLI: Io, Spatuzza , Vito
Federico ed anche Cascino Carlo. PM: Come avete fatto ad avere
ingresso, ad entrare nellimmobile ? GRIGOLI: Lo Spatuzza aveva una
chiave, non mi ricordo fornita da chi
Del portoncino
dellingresso delledificio.
PM: Senta, per raggiungere i
piani delle abitazioni utilizzaste gli ascensori o i
gradini, le scale ? GRIGOLI: No, salimmo a piedi
per evitare e scendemmo più che altro a piedi per
evitare che dopo avere commesso, provocato
lincendio, per un motivo e per un altro si potesse
bloccare lascensore e quindi preferimmo scendere a
piedi.
PM: E lo scooter di chi era ? GRIGOLI: Lo scooter era dello
stesso Cascino. Va peraltro evidenziata, per il suo indubitabile rilievo, la circostanza riferita dal Grigoli secondo cui per appiccare il fuoco alle porte venne usato come liquido infiammabile della benzina contenuta in bottiglie di plastica, confezionate da Gaspare Spatuzza: PM: Senta, quale liquido
infiammabile fu utilizzato come combustibile, che cosa fu
utilizzato per bruciare le porte ? GRIGOLI: Benzina
PM: Chi la fornì ? GRIGOLI: Adesso non mi ricordo
chi fu incaricato di procurarsi la benzina, non mi
ricordo chi. Già nella FIAT Uno comunque avevamo noi
laltra benzina da utilizzare nel tabaccaio, non mi
ricordo chi fu. PM: Questa benzina era
contenuta in che cosa ? In quale recipiente ? GRIGOLI: Sei
bottiglie di plastica PM:
chi aveva messo
la benzina in queste bottiglie di plastica ? GRIGOLI: Non mi ricordo. PM: Senta, lei ha dichiarato lo
stesso giorno, nel verbale citato, ricordo che agimmo
allindomani dellordine del Mangano
utilizzando benzina in bottiglie di plastica confezionate
dallo Spatuzza. GRIGOLI: Si, lo confermo. Giova a tal riguardo rammentare che il Martinez ha precisato di avere sentito odore di benzina e di avere trovato per terra dinanzi la porta dingresso della sua abitazione, ormai annerita e bruciata, proprio una bottiglia di plastica:
Io mi sono alzato e
quando sono entrato nel corridoio ho sentito un odore
temendo di benzina, quindi sono
andato alla porta dingresso, con cautela ho aperto
e mi sono reso conto che cera la porta bruciata, lo
zerbino, quello che era davanti la porta, bruciato, poi
tutti i muri anneriti, le porte dellinquilino
dirimpetto tutte annerite, insomma, e poi ho trovato pure
una bottiglia di plastica,
praticamente ormai vuota, che era la bottiglia
che conteneva la benzina
Che era
nel pianerottolo. È di tutta evidenza che la
conoscenza di un tale dettaglio operativo, puntualmente
riscontrato dalle indagini, deriva al Grigoli che
peraltro ricorda di essersi occupato proprio
dellattentato ai danni del Martinez (Mi
ricordo così vagamente il cognome, se non erro
quello che commisi io Martinez, qualcosa del
genere) proprio dalla diretta e
personale partecipazione al fatto delittuoso (cfr. anche
esame reso in Corte di Assise alludienza del 28
ottobre 1997: Cera un certo Martinez). Si rammenti peraltro che il ricordo del Grigoli si spinge al punto di precisare che i tre appartamenti erano posti al 5°, 7° e 10° piano delledificio (Se non erro adesso perché non ricordo bene, una era al quinto piano, una al settimo piano e una al decimo piano) e che le tre p.o. hanno sostanzialmente confermato quasi integralmente tale ubicazione delle rispettive abitazioni (il Guida abita al quinto piano del civico n. 43, il Romano al decimo piano del civico 51 ed il Martinez al quinto piano del civico 17). Nel corso dellesame reso
dinanzi a questo Tribunale Grigoli Salvatore ha peraltro
chiarito un equivoco sorto a seguito delle sue iniziali
dichiarazioni circa lubicazione dei tre
appartamenti nello stesso stabile o in palazzi diversi (cerano
tre abitazioni nello stesso stabile
nei
pressi di via Azolino Hazon, un complesso di
palazzi). Il collaborante ha in sostanza precisato che ai tre appartamenti le cui porte di ingresso furono oggetto dellattentato si accedeva attraverso tre distinti portoni (portinerie diverse), pur essendo in edifici limitrofi della stessa via Azolino Hazon: PRESIDENTE:
Allora
Grigoli dovremmo chiarire un punto
lei ci ha
riferito, quando è stato sentito, su domanda del PM, che
queste tre porte alle quali avete appiccato il fuoco
erano tutte e tre nello stesso palazzo, ho capito bene,
nello stesso stabile ? GRIGOLI: Non so se definire
cioè era un unico
PM: Partiamo da questo, il
portone dingresso.. il portone.. GRIGOLI: Cera.. PM: Mi scusi il portone
dingresso era unico siete entrati tutti e tre dallo
stesso portone ? GRIGOLI: Siamo
entrati da tre, tre portinerie diverse se non erro. PM: Quindi tre portinerie
diverse quindi avete salito tre scale diverse ? GRIGOLI: IO adesso se non mi
ricordo male si, comunque i piani erano diversi
era uno se non erro il terzo, un altro il settimo, un
altro il decimo qualcosa del genere. PRESIDENTE: Si questo lei lo
aveva detto laltra volta però laltra volta
ci aveva fatto capire che eravate tutti e tre nello
stesso stabile a tre piani diversi. GRIGOLI: no cioè.. ..Cera
un unico.. non so come dire un unico ununica fila
di palazzi non so come spiegarglielo..
.Comunque le scale erano diverse. PRESIDENTE: Quindi
limportante è che lei è sicuro del
fatto che siete entrati da tre portinerie diverse, cioè
tre portoni distinti. GRIGOLI: Credo di si
signor Presidente.
GRIGOLI: Signor Presidente
ripeto a dire sono passati parecchi anni, adesso non mi
ricordo, ma io penso che sicuramente era più
di una portineria.
No io quello che ricordo ora
come ora potrò anche ricordare male.. Però ora come ora
ricordo che le portinerie erano diverse cioè
le scale erano diverse. PRESIDENTE: Le scale erano..
dico ma può esserci anche gli stabili soprattutto quelli
grossi condominiali ci può essere un unico ingresso, ma
con scale diverse. Lei invece ricorda che vi
siete separati tutti e tre e siete entrati da tre portoni
diversi ? GRIGOLI: Qualcosa del
genere mi ricordo io.
GRIGOLI: Perché io
mi ricordo che quando io scesi dalle scale ed uscì fuori
dalla portineria guardai le altre portinerie se già
erano usciti gli altri, mi ricordo qualcosa del genere
ora come ora, ho questa visione così. PRESIDENTE: Senta almeno visto
che sta ricostruendo questo ricordo, questi portoni
dingresso diciamo erano luno accanto
allaltro o poco distanti cioè vi vedevate da un
portone allaltro ? GRIGOLI: Si si ci vedeva
perché erano in linea retta. PRESIDENTE: Tutti
dallo uno stesso lato del marciapiede ? GRIGOLI: Si, si
GRIGOLI: Ed allora siccome
Spatuzza doveva andare al decimo piano chiaramente lui ci
impiegava siccome non dovevamo prendere lascensore
perché per un motivo x poteva andare via la luce si
poteva bloccare lascensore e quello rimaneva lì
dopo avere incendiato la porta, quindi chiaramente
dovevamo fare i piani a piedi. Allora visto che lo
Spatuzza doveva impiegarci di più abbiamo
aspettato che lo Spatuzza entrasse, poi dopo una manciata
di un minuto una manciata di secondi sono entrato io e
così via. Il nuovo esame del Martinez, disposto dal Collegio ai sensi dellart. 507 c.p.p. alludienza del 27 febbraio 2003, ha evidenziato che effettivamente le tre parti offese abitano in complessi edilizi distinti, ma distanti appena qualche decina di metri sullo stesso lato del marciapiede della via Azolino Hazon (il Martinez al civico 17, il Guida al civico 43 ed il Romano al civico 51): MARTINEZ: No, non parliamo di
tre palazzi distinti e separati, ma due palazzi distinti
e separati.
Sullo stesso lato del
marciapiede, a seguire
a seguire
quindi
finisce il palazzo
della via Hazon 17
una
decina di metri, e comincia questaltro edificio,
che è abbastanza lungo. Adesso non ricordo se ci sono
quattro o cinque portoni dingresso, ma è un unico
edificio
PRES.: Si. Tenga conto
che il suo è al numero 17
MARTINEZ: Si. PRES.: Quello successivo di
Guida è al numero 43. MARTINEZ: Guida 43
PRES.: Quindi ci sono dei
negozi
sulla strada ? MARTINEZ:
Sotto ci sono
degli esercizi commerciali. PRES.: E comunque dico,
rispetto al portone di Guida, lei che conosce i
posti
che di stanza cè, diciamo, a piedi dal
suo portone a questo numero 43 dove abita Guida ? MARTINEZ: Dunque il primo
portone che viene è quello dove abita Guida. Ma ci
sarà, che vuole che le dico, un 30/40 metri
50
metri. PRES.:
Tre
da trenta
a cinquanta metri. Va bene. Diceva
poi lei a un
certo punto ha detto: è un unico
Guida e
Romano stanno in un unico palazzo MARTINEZ: Edificio. PRES.: Che però ha portoni
(VOCE SOVRAPPOSTA) MARTINEZ: Ha più portoni. Ha
più scale quindi
PRES.: Senta, e tra il 43 e il
51 dove abita Romano, diciamo sono a seguire ? MARTINEZ: Si, sono a seguire.
Quindi che ci saranno dieci metri
Né si trascuri di considerare che, come già esposto, il Grigoli sin dalle sue prime dichiarazioni aveva ricordato che si trattava di tre distinte scale e dunque di tre diversi edifici ( nello stesso complesso, erano tre scale ed in ogni scala cera una porta da incendiare: esame in Corte di Assise alludienza del 28 ottobre 1997). Le dichiarazioni del Grigoli trovano peraltro riscontro, ancorché siano trascorsi quasi dieci anni dai fatti, anche su alcuni dettagli quali la descrizione (Alluminio con vetrate) del portone di ingresso allo stabile allinterno del quale egli si introdusse quella notte per portare a termine linacarico criminoso ricevuto. Richiesto sul punto in sede di
nuovo esame il 27 febbraio 2003, il Martinez ha infatti
confermato la descrizione del portone del suo stabile
fattane dal Grigoli (in metallo
con
vetrate che si vedeva allinterno). Il giudizio positivo circa lattendibilità del Grigoli si fonda in primo luogo sul fatto la integrale confessione resa in ordine agli innumerevoli delitti commessi costituisce un primo rilevante indice di positivo apprezzamento delle sue dichiarazioni. Relativamente allattentato per cui è processo, peraltro, la collaborazione del Grigoli è assistita dal connotato dellattendibilità intrinseca proprio in forza del diretto e personale coinvolgimento nella vicenda. Il collaborante ha dunque ricostruito analiticamente la fase esecutiva dellattentato della cui commissione egli parla per conoscenza diretta e coinvolgimento personale, avendo svolto funzioni operative dirette ed avendo esposto, con riferimento alla dinamica, alla situazione dei luoghi , alle modalità di esecuzione, particolari conoscibili solo da chi abbia partecipato alla consumazione del delitto. Ciò che preme poi sottolineare è che Grigoli Salvatore, esecutore reo confesso del grave atto intimidatorio, sin dai primi momenti della sua collaborazione ha chiamato in correità, senza esitazioni, contrasti o ritrattazioni, quali esecutori materiali con lui, proprio gli odierni imputati Spatuzza Gaspare e Vito Federico, indicando immediatamente anche Cascino Carlo Santo, come complice dellazione delittuosa di quella notte, ancorché con compiti di appoggio, copertura ed ausilio per la fuga. Giova infatti rammentare che già il 26 giugno 1997 solo pochi giorni dopo larresto avvenuto il 19 giugno ai Pubblici Ministeri di Palermo il Grigoli, nel confessare la sua partecipazione allomicidio Puglisi, aveva parlato dellattentato incendiario per cui è processo accusando subito Spatuzza , Federico e Cascino e specificando quanto fatto da ciascuno di essi quella notte (cfr. pag. 103 sentenza GUP Palermo 29 maggio 2001 acquisita alludienza dell8.5.2003: confermo di avere eseguito lomicidio di don Pino Puglisi. Lomicidio fu deliberato da Graviano Giuseppe come ho appreso dallo Spatuzza, in quanto in effetti lomicidio fu preceduto da un attentato incendiario ai danni delle abitazioni di alcune persone abitanti in via Azolino Hazon. Anche in questo caso lordine partì da Graviano Giuseppe, lattentato fu materialmente eseguito da me, da Spatuzza Gaspare e da Federico Vito. Cascino Carlo, come preciso in sede di verbalizzazione riassuntiva, aiutò il Federico nella fase successiva allattentato coprendone la fuga a bordo di un ciclomotore Peugeot ). Ed il Grigoli ha immediatamente offerto indicazioni specifiche in merito allorigine dellordine impartitogli ed alle modalità ed ai canali attraverso i quali egli ne era venuto a conoscenza. Il Grigoli ha infatti precisato ai PM di Palermo già in quella occasione (26 giugno 1997) che lordine di commettere lattentato era partito, come sarebbe avvenuto anche nel caso dellomicidio di Padre Puglisi, da Graviano Giuseppe, capo del mandamento di Brancaccio del cui gruppo di fuoco esso Grigoli era uno degli esponenti di punta. Nel corso dellesame
dibattimentale dinanzi a questo Tribunale il Grigoli ha
precisato che lordine gli era stato materialmente
comunicato da Mangano Antonino il quale gli aveva
riferito che i Graviano avevano
deliberato di commettere questo attentato che andava
eseguito con Gaspare Spatuzza in quanto costui era a
conoscenza della identità dei tre obiettivi e della
ubicazione delle abitazioni da colpire (..mi
comunicò di questa cosa qui, che i Graviano avevano
fatto sapere di commettere questo atto delittuoso e che
ci dovevo andare con Gaspare Spatuzza che lui era a
conoscenza di chi fossero le tre famiglie e i vari
domicili
mi disse che dovevamo commettere questo
fatto qui e dovevo contattare Gaspare Spatuzza e metterci
daccordo di come commettere la seguente
operazione). Deve peraltro rilevarsi che il
Grigoli in altra parte della sua deposizione
dibattimentale ha riferito invece che lordine
proveniva dal solo Graviano Giuseppe (Questo era
stato deciso innanzitutto da Giuseppe Graviano perché
lui mandò a dire queste cose qui, lui mandò a dire
queste cose, i motivi pe rcui si doveva
fare
). Il Grigoli ha tuttavia precisato che quando Mangano Antonino trasmetteva lordine di azioni delittuose talvolta faceva riferimento, quanto alla provenienza della disposizione, ai picciotti - con ciò riferendosi ad entrambi i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e talaltra a madre natura appellativo utilizzato da Giuseppe Graviano, aggiungendo che non riusciva a ricordare se nel caso in questione lordine di commettere lattentato incendiario per cui è processo fosse stato riferito dal Mangano come provenienza al solo Graviano Giuseppe ovvero ad entrambi i fratelli Graviano: GRIGOLI: Esattamente siccome
quando venivano comunicate tramite Nino Mangano alcune
cose da fare del tipo delittuose, solitamente Nino
Mangano soleva dire i picciotti ficiro sapiri
ecco, i picciotti hanno fatto sapere, quindi i fratelli
Graviano, in questo senso.
PRESIDENTE: La domanda è, le
è stato detto se era stato deciso da qualcuno ? GRIGOLI: Questo era stato
deciso innanzitutto da Giuseppe Graviano perché lui
mandò a dire queste cose qui, lui mandò a dire queste
cose. I motivi per cui si doveva
fare, per quello che mi ricordo io, era perché davano
fastidio a Cosa Nostra con le loro attività di questa
associazione che parlavo prima, che adesso non mi
ricordo, di alcune manifestazioni antimafia, qualcosa del
genere, adesso non mi ricordo con esattezza.
Comunque era gente molto vicina, era gente molto vicina a
Don Pino Puglisi. PM: Lei ha parlato di Giuseppe
Graviano. Filippo Graviano in questa vicenda che ruolo ha
? GRIGOLI: Per quanto riguarda
questa vicenda non so dirle esattamente che ruolo avesse,
se avesse decisioni unitarie a quelle del fratello, però
come ho spiegato prima molte cose venivano comunicate
come i picciotti, ecco nel senso che i fratelli vogliono
che facciamo sta cosa, vogliono che facciamo questa altra
cosa. Specificamente ricordo, io non
so dirle con esattezza, non mi ricordo con esattezza se
fu detto madre natura perché Giuseppe Graviano aveva il
soprannome di madre natura, quindi alcune volte Mangano
mi diceva madre natura vuole che si fa mettere questa
cosa o i picciotti vuonno che si faccia questa altra
cosa. PM: La mia domanda specifica
allora è, lordine dato da Mangano Antonino che le
fu comunicato relativamente a bruciare le porte del
quartiere Brancaccio, quelle di cui ha parlato, in che
termini fu dato ? Cioè ora ha parlato di picciotti. GRIGOLI: Ho cercato di spiegare
questo, appunto, ho cercato di spiegare questo, non mi
ricordo oggi con esattezza perché i fatti risalgono a
molto tempo fa, non mi ricordo con esattezza se
lordine arrivò dai picciotti o fu madre natura,
come madre natura , quindi come singolo Giuseppe
Graviano. Solo a seguito delle contestazione
da parte del PM delle dichiarazioni rese nel corso delle
indagini preliminari al PM il 21 ottobre 1999, il Grigoli
ha confermato la versione fornita a suo tempo secondo cui
il Mangano in relazione allordine di bruciare le
porte fece riferimento ai picciotti e dunque
a Filippo e Giuseppe Graviano (Ribadisco che
lordine ci fu dato da Mangano Antonino come
intermediario di tutti gli ordini delittuosi che posi in
essere in quei tempi; gli ordini partirono dai picciotti
e li comunicarono a Mangano Antonino con il quale parlai
direttamente
Grigoli: Ma io penso di
confermare quella versione che ho dato prima perché è
più vicina alla memoria di quel fatto). Nel prosieguo del suo esame il Grigoli ha poi precisato che in realtà la prima persona che gli aveva parlato dellazione delittuosa da compiere in via Hazon era stato proprio Spatuzza Gaspare e che era stato esso Grigoli a chiederne la conferma a Mangano prima di passare allazione. Il P.M. ha infatti contestato a Grigoli il tenore delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini (prima dellordine del Mangano avevo conosciuto la circostanza della compienda azione intimidatoria dallo Spatuzza Gaspare. Lo Spatuzza infatti aveva avuto un personale incontro con Giuseppe Graviano e dallincontro era nata la comunicazione relativa allatto intimidatorio da compiere. Quando lo Spatuzza mi comunicò che avremmo dovuto agire, invece chiesi conferma al Mangano. Questultimo mi confermò lordine e con esso mi confermò la circostanza che a dare lordine erano stati proprio i picciotti) ed il collaborante ha confermato di avere sostanzialmente chiesto al Mangano conferma dellordine ricevuto ottenendo una risposta affermativa: Si, perché lo Spatuzza come ho
già detto, lui era a conoscenza dei soggetti e cose
varie e mi aveva detto che si doveva fare sta cosa qui,
però chiaramente non è che era Spatuzza a dirmi quello
che dovevo fare io, a me mi doveva dare il via, lo sta
bene, Mangano Antonino. Di fatti io gli dissi a Mangano
Antonino cè Spatuzza che mi ha detto sta
cosa, eventualmente ci devo andare, non ci devo andare
?. E lui mi disse, come ho già
detto prima, mi confermò il fatto che lordine
arrivò, lhanno fatto sapere i picciotti. Nel corso del controesame condotto dal difensore dellimputato Graviano Filippo è stato più volte contestato al Grigoli il fatto che egli, sia nelle prime dichiarazioni rese subito dopo larresto e lavvio della collaborazione con lA.G., sia nel corso del processo a suo carico per lomicidio di Padre Puglisi dinanzi alla Corte di Assise, aveva sempre riferito che il Mangano nel trasmettergli lordine di agire sia per lomicidio del prelato che per il precedente atto intimidatorio ai danni dei tre componenti dellassociazione vicina a Padre Puglisi aveva fatto riferimento al solo Graviano Giuseppe (cfr. dichiarazioni al P.M.: Palermo del 26.6.1997; dichiarazioni spontanee alla Corte di Assise del 7.7.1997; dichiarazioni al P.M. ed alla Corte di Assise di Firenze). Il Grigoli tuttavia, pur confermando tutte le dichiarazioni contestategli dal difensore, ha precisato che seppure lordine fosse proveniente dal solo Giuseppe Graviano, capomandamento, la decisione che lo precedeva era sempre frutto di un preventivo accordo con il fratello Filippo: Grigoli: Bisogna vedere da
prima queste cioè il discorso sarà più lungo in quel
senso perché a me determinati fatti me li ha
commissionati direttamente Giuseppe Graviano in persona
ma con questo.. perché non cera il fratello
comunque, cioè me li commissionava lui ma era
daccordo con il fratello. PRESIDENTE:
Si dico il problema è questo, lavv. vuole sapere
in quella dichiarazione al PM di Firenze, lei ha detto
che comunque il capo mandamento era Giuseppe
Graviano ed era lui che dava gli ordini; quindi
quando le è stato chiesto proprio esplicitamente è
Filippo dice no il capo mandamento era Giuseppe era lui
che dava gli ordini questo lo conferma oppure no ? GRIGOLI:
Si gli ord.. daccordo con il fratello. PRESIDENTE:
Poi ci dovrebbe spiegare che cosa intende
daccordo con il fratello. GRIGOLI:
Le decisioni le prendevano insieme.
PRESIDENTE:
Conferma queste dichiarazioni Grigoli ? GRIGOLI:
Si io confermo tutto signor Presidente. E ribadisco che
il capo mandamento di Brancaccio era Giuseppe Graviano,
però come ho sempre spiegato alcuni fatti venivano
commissionati dicendo che i fratelli Graviano hanno fatto
sapere di commettere questo omicidio, cioè non i
fratelli Graviano i picciotti che è gergo, i picciotti
erano i fratelli Graviano. I picciotti hanno fatto sapere
di fare sta cosa, i picciotti hanno fatto sapere di fare
questaltra cosa, non Giuseppe ha fatto sapere
questo, Giuseppe ha fatto sapere quellaltro. PRESIDENTE:
Va bene specificamente lavv. le aveva chiesto e lei
lha confermato che però sia per lomicidio
Puglisi che per il danneggiamento delle porte le fu detto
Giuseppe e non i picciotti, questo è quello che lei
aveva dichiarato allora quando il ricordo era più
vicino, oggi dice non mi riesco a ricordare come mi fu
dato lordine ma allora aveva fatto queste
dichiarazioni. GRIGOLI:
Esatto. Esatto. Orbene, proprio le dichiarazioni rese in merito alla provenienza da Giuseppe Graviano dellordine di uccidere Padre Puglisi hanno condotto la Corte di Assise di Palermo in esito al giudizio di primo grado ad assolvere con sentenza del 5 ottobre 1999 Graviano Filippo dalla relativa accusa condannando il solo Graviano Giuseppe come mandante dellomicidio. Ma tale pronuncia assolutoria di primo grado nei confronti del Graviano Filippo è stata ribaltata in appello e la condanna allergastolo pronunciata dalla Corte di Assise di Appello di Palermo nei suoi confronti il 13 febbraio 2001, è divenuta irrevocabile il 7 dicembre 2001. Ha ritenuto invero la Corte di Assise di Appello che attraverso laudizione degli imputati di reato connesso Drago Giovanni, Cancemi Salvatore, Contorno Salvatore, Marchese Giuseppe, Mutolo Gaspare, La Barbera Gioacchino, Di Matteo Mario Santo, Pennino Gioacchino, Cannella Tullio, Di Filippo Emanuele, Di Filippo Pasquale, Romeo Pietro, Calvaruso Antonino e Brusca Giovanni, tutti collaboratori di giustizia, è risultato acclarato che i mandanti dellomicidio del sacerdote sono stati indicati unanimemente negli odierni imputati Giuseppe e Filippo Graviano, i quali componevano allepoca i ranghi dellassociazione per delinquere denominata Cosa Nostra con ruoli di promozione, direzione ed organizzazione . Ed è rimasto provato, altresì, dalle dichiarazioni rese nel tempo dai numerosi citati collaboratori di giustizia, oltre che da altre incontrovertibili e certe acquisizioni di natura oggettiva (atti e documenti usciti dal carcere), che i due congiunti sopra menzionati non solo facevano parte in epoca coeva alluccisione del povero prete, ma fanno parte tuttora, con i medesimi ruoli di preminenza, della temibile associazione criminale mafiosa, nonostante il ristretto regime detentivo di cui allarticolo 41 bis dellOrdinamento Penitenziario a cui sono pure sottoposti (cfr. sentenza in atti). È
stato giustamente osservato da quei Giudici che non solo
il Grigoli ma anche altri collaboratori di giustizia non
sono stati spesso in grado di distinguere tra i due
fratelli, per la semplice ragione che tutto
promana indifferentemente ed indistintamente da entrambi,
stante la comunanza dei loro ruoli in seno
allorganizzazione criminale, si che la volontà
delluno non possa non coincidere con quella
dellaltro. È del resto significativo che secondo il Grigoli lo stesso Mangano Antonino, divenuto dopo la cattura dei due Graviano reggente della famiglia e del mandamento di Brancaccio, utilizzava espressioni come i picciotti hanno mandato a dire , i picciotti dicono ed alcune volte madre natura per fare riferimento ai Graviano. Tutti gli elementi acquisiti nel presente processo come del resto tutti i processi celebrati per le innumerevoli e gravissime attività delittuose loro addebitate evidenziano lindiscusso ruolo apicale assunto in seno al sodalizio mafioso nel quartiere di Brancaccio da entrambi i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, allepoca delluccisione di Padre Puglisi e dei fatti per cui è processo nel 1993, ruolo apicale mantenuto sia durante la latitanza sia nel carcere dopo il loro arresto. Giuseppe Graviano si occupava prevalentemente di strategie operative, dirigendo il gruppo di fuoco creato per la commissione dei più svariati reati, mentre Filippo Graviano curava soprattutto , ancorché non esclusivamente, le attività finanziarie dinteresse della famiglia mafiosa , ma entrambi perseguivano costantemente, dintesa e in comune accordo, lobiettivo di mantenere saldo nel quartiere di loro pertinenza il ferreo predominio. La divisione di potere criminale fra i due fratelli non poneva in alcun modo in discussione la collocazione di entrambi in posizione paritaria al vertice del sodalizio mafioso specialmente nella gestione delle attività di più diretto e/o esclusivo interesse della famiglia di appartenenza ovvero di Brancaccio, anche se formalmente il capo mandamento veniva indicato nella persona di Giuseppe Graviano. In conclusione Giuseppe Graviano esprimeva la volontà collegiale dei due fratelli imposta dal ruolo di capi della famiglia mafiosa del quartiere Brancaccio di entrambi, e spesso Giuseppe Graviano era un vero e proprio nuncius di tale volontà proprio in quanto era lui ad essere formalmente il capo mandamento e ad intrattenere diretti contatti con Mangano Antonino, luogotenente operativo sul campo. La volontà dei due fratelli Graviano è dunque necessariamente convergente quando si tratta di ideare, decidere e realizzare azioni criminose da perpetrarsi nella zona di Brancaccio per le necessità funzionali della famiglia in considerazione del ruolo paritario di vertice rivestito da entrambi in seno a quellaggregato mafioso. Risulta pertanto certo che il ruolo di Filippo Graviano era direttivo al pari di quello del fratello Giuseppe, svolgendo anchegli in seno a quel sodalizio criminale mansioni di organizzazione e di direzione. Tutti i collaboratori di giustizia parlano senza distinzione alcuna dei Graviano o genericamente dei picciotti, come di coloro che erano a capo della famiglia mafiosa di Brancaccio e di una loro volontà indistinta nei progetti criminosi da realizzare. Né
può trascurarsi di considerare che nel caso in esame non
si trattava di un qualsiasi attentato incendiario a scopo
estorsivo di quelli che la cosca compiva con frequenza
quasi settimanale, ovvero di una qualsiasi attività
delinquenziale, bensì di una operazione di particolare
importanza e delicatezza come evidenziato dallo stesso Grigoli
(
io cominciai a commettere questi atti
incendiari per motivi estorsivi. Poi dopo di ciò non ne
ho commessi più perché commettevo solamente omicidi.
Però mi fu poi comunicato, siccome era
unoperazione più delicata, non era la classica
intimidazione per quanto riguarda un
commerciante o di questo tipo, era unintimidazione
fatta a tre famiglie che facevano parte di, non mi
ricordo di cosa, unassociazione, qualcosa del
genere, vicini a Don Pino Puglisi, che mi era stato detto
che questi qui dovevano andare via da Palermo e quindi
abbiamo cercato di intimidirli in questo senso, bruciando
queste porte delle abitazioni mentre loro erano dentro
casa). Non è un caso infatti che il Grigoli, componente di spicco del gruppo di fuoco del mandamento di Brancaccio ed abitualmente utilizzato ormai solo per la commissioni di omicidi, sia stato contattato proprio per portare a termine tale attentato incendiario che si inseriva nella programmata strategia di intimidazione ai danni di Padre Puglisi e dei suoi collaboratori, attentato peraltro commesso con la diretta e personale partecipazione di un altro esponente di spicco del gruppo di fuoco quale Spatuzza Gaspare. La particolare importanza e delicatezza della operazione impone dunque di ritenere più che fondata lattribuzione ad entrambi i fratelli Graviano della relativa progettazione e conseguente deliberazione, comunicata successivamente per lesecuzione a due tra i soggetti più fidati della cosca (Spatuzza e Grigoli) tramite il luogotenente ed uomo di fiducia dei due fratelli Graviano sul territorio, Mangano Antonino. I collaboratori di giustizia escussi nel presente processo hanno concordemente confermato il ruolo egemone assunto dai due odierni imputati Giuseppe e Filippo Graviano, nonché dal loro stretto collaboratore Mangano Antonino, nella zona di Brancaccio. E così alludienza del 16 maggio 2002 è stato esaminato Di Filippo Emanuele la cui collaborazione nellestate del 1995, unitamente a quella del fratello Pasquale, ha consentito di pervenire alla cattura del latitante Bagarella Leoluca ed allindividuazione di basi operative come la cosiddetta camera della morte di via Messina Montagne utilizzate dal sodalizio mafioso sia per riunioni che per strangolamenti. Di Filippo Emanuele, in particolare, arrestato nel febbraio del 1994, cognato di Marchese Antonino (uomo donore della famiglia di Ciaculli ed a sua volta cognato di Bagarella Leoluca), ha iniziato a collaborare il 23 giugno 1995 ammettendo di appartenere anchegli alla famiglia mafiosa di Ciaculli. Egli, componente del gruppo di fuoco di Ciaculli nei primi anni 80 (periodo 82 85) ha posto a disposizione dellautorità giudiziaria le sue conoscenze in ordine a Cosa Nostra ed ai delitti commessi da soggetti ad essa appartenenti tra i quali ha indicato anche il proprio fratello Pasquale. Il Di Filippo in particolare, con riferimento al ruolo svolto dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano (nonché dal terzo fratello Benedetto) in seno alla famiglia mafiosa di Brancaccio, ha precisato di averli conosciuti dopo il 1985 in quanto costoro lo ponevano in contatto con il di lui cognato Marchese Antonino; proprio i Graviano peraltro gli consegnavano il denaro da fare pervenire alla di lui sorella ovvero a Totò Riina. Tali contatti, protrattisi dal 1985 fino a poco prima dellarresto intervenuto nel 1994, hanno consentito al Di Filippo di comprendere il ruolo e lo spessore dei fratelli Graviano indicati indistintamente infatti dal collaborante come i capi della famiglia mafiosa di Brancaccio che avevano gli stessi poteri e gestivano ogni attività: PM:
Di Filippo, lei ha fatto parte di Cosa Nostra ? DI
FILIPPO: Si
Famiglia di Ciaculli, periodo 82
85, facevo parte del gruppo di fuoco di Ciaculli.
DI
FILIPPO: Guardi, noi usavamo la zona di Brancaccio per
fare i nostri appuntamenti. Le parlo del periodo 82
85.
Dopo l85 io non faccio più parte
del gruppo di fuoco, resto fuori però sono sempre
inserito nellorganizzazione e conosco nelle persone
Giuseppe
Io esco fuori dal gruppo di fuoco di
Ciaculli, ma resto sempre inserito
nellorganizzazione e conosco questi personaggi nel
nome di Giuseppe Graviano e Filippo Graviano che sono le
persone che mi mettevano in contatto loro con mio cognato
Marchese Antonino che si trovava detenuto e mi davano dei
soldi che io portavo a mia sorella, soldi che mandava
Totò Riina, diciamo ero il contatto tra mio cognato
Marchese Antonino e il mondo esterno. PM:
E questo fino a quando ? DI
FILIPPO: Fino a prima del mio arresto,
si,
intorno al 93 94, si.
PM:
chi ha conosciuto meglio dei fratelli
Graviano ? DI
FILIPPO: Io ho conosciuto, glielo ho detto, nell82
85 Benedetto Graviano che si accompagnava sempre a
Pino Savoca. Dopo di che conobbi Filippo Graviano che era
il tramite con mio cognato Marchese Antonino e spesse
volte vedevo anche Giuseppe Graviano che si accompagnava
sempre a Giovanni Drago, per cui ho avuto rapporti con
tutti e tre posso dire.
PM:
Quale era il rappresentante della famiglia di Brancaccio
? DIFILIPPO:
Per me tutti e tre.
Per me tutti e tre,
però riuscivo a parlare sempre con Filippo Graviano.
Per quanto riguarda le mie conoscenze, le mie conoscenze
si, ma tutti e tre avevano gli stessi poteri, cioè
gestivano tutto loro. PM:
Lei ha mai assistito a riunioni o incontri tra Filippo
Graviano e Salvatore Riina o altri esponenti di spicco di
Cosa Nostra ? DI
FILIPPO: No, Salvatore Riina non lho mai visto
insieme a loro, ma spesse volte mi accompagnavo in
piccoli appartamenti in via , credo, Archirafi,
appartamenti che erano dei Graviano, dove io prendevo dei
bigliettini che Filippo Graviano mi dava per consegnarli
a Marchese Antonino e là cerano vari uomini
donore e spesse volte vedevo anche il fratello
Giuseppe. PM:
E questi bigliettini che contenuto avevano e a chi erano
indirizzati ? DI
FILIPPO: Guardi, spesse volte non vedevo il contenuto,
erano indirizzati a mio cognato Marchese Antonino da
parte di Totò Riina.
AVV.
ODDO: Posso dire che la persona più in carica a livello
di comando era Giuseppe Graviano. PRESIDENTE:
È giusto dire questo ? Per quelle che sono le sue
conoscenze. DI
FILIPPO: Per quanto riguarda le mie conoscenze, le mie
conoscenze si, ma tutti e tre avevano gli stessi poteri,
cioè gestivano tutto loro.
PM:
Di Filippo, lei ha parlato del ruolo di Giuseppe
Graviano e di Filippo Graviano e ha detto comandavano
tutti e tre, gestivano tutti e tre insieme. Io le chiedo,
io le chiedo, avevano dei compiti specifici, diversi ? DI
FILIPPO: Guardi, io in modo logico parlavo sempre con
Filippo Graviano, ma lui mi diceva ed io sapevo che se
non cera lui potevo parlare anche con gli altri
suoi fratelli, per cui tutti e tre erano a conoscenza di
quello che succedeva, ma con chi parlavo io personalmente
era Filippo Graviano e spesse volte lui mi diceva se non
ci sono io cè qualcuno dei miei fratelli, è lo
stesso. Il Di
Filippo ha infine confermato, a contestazione del PM,
quanto aveva più specificamente riferito nel corso delle
indagini preliminari sulla ripartizione di
competenze ed interessi tra i due
fratelli, ovvero che un ruolo particolare
laveva Giuseppe Graviano, nel senso che era lui di
norma a partecipare alle riunioni di vertice in cui si
dovevano adottare decisioni che andavano al di là della
competenza della famiglia e che riguardavano tutta Cosa
Nostra, intendo le riunioni organizzate da Totò
Riina mentre per quanto riguarda
le questioni di interesse della famiglia di Brancaccio,
quello che si interessava attivamente e che si muoveva
per organizzare appuntamenti, per gestire estorsioni, per
raccogliere eventuali lamentele e prendere provvedimenti
era soprattutto Graviano Filippo. Piena conferma dunque del fatto che per le questioni che riguardavano specificamente il territorio e gli interessi della famiglia di Brancaccio come può incontestabilmente ritenersi acclarato in riferimento ai fatti delittuosi per cui è processo il coinvolgimento ed il consenso di Filippo Graviano, dintesa con il fratello capo mandamento, era ineludibile. Anche La Barbera Gioacchino, esaminato alludienza del 18 aprile 2002, ha contribuito a delineare il ruolo dei fratelli Graviano confermandone il carattere paritario. Arrestato il 23 marzo 1993, nel novembre di quello stesso anno il La Barbera ha iniziato a collaborare con lA.G. ammettendo di avere fatto parte di Cosa Nostra sin dal 1981 quale uomo donore della famiglia di Altofonte nel mandamento di San Giuseppe Jato, e di avere conosciuto in particolare Filippo Graviano nel 1992 essendosi presentato più volte ad Altofonte per parlare con Antonino Gioè e portare ambasciate o richiedere incontri con Giovanni Brusca . In quelloccasione Gioè glielo aveva presentato come uomo donore ed esponente della famiglia mafiosa di Corso dei Mille: LA
BARBERA: Io ho conosciuto Graviano Filippo nel
92
In una occasione che è venuto ad
Altofonte a parlare con Nino Gioè che aveva
infatti, è venuto più di una volta che aveva bisogno di
un appuntamento o anche per portare ambasciate e
appuntamento con Giovanni Brusca. PM:
Senta, quale era il ruolo.. era un uomo donore
Graviano Filippo ? LA
BARBERA: In quelloccasione mi ricordo che mi è
stato presentato come uomo donore.
Io mi
ricordo che allora, riferito da Nino Gioè, mi hanno
detto che era della famiglia di Corso dei Mille. Il La Barbera ha altresì precisato, seppure dopo qualche iniziale tentennamento dovuto ai ricordi non più nitidi ad oltre un decennio dai fatti, che successivamente aveva conosciuto personalmente anche Giuseppe Graviano incontrandolo a casa di Salvatore Biondino il quale, in una occasione nella quale egli vi si era recato a portare unambasciata, glielo aveva ritualmente presentato come uomo donore: LA
BARBERA: Adesso si mi sto ricordando, si lho
conosciuto, si è vero in diverse occasioni, infatti a
Fifetto ne ho già parlato al fratello Filippo, mentre a
Giuseppe, adesso che mi sto ricordando, lavrà
detto forse ad altri magistrati non in questo verbale,
lho incontrato a casa di Salvatore Biondino, in una
occasione che stavo portando una ambasciata ho trovato
lì a casa nellabitazione di Salvatore Biondino il
Giuseppe Graviano. In
quelloccasione è stato lo stesso Salvatore
Biondino a dirmi appunto che si trattava del Giuseppe, si
adesso mi sto ricordando, infatti è stata in una
distinta, in una separata occasione che ho conosciuto i
fratelli Graviano.
PM:
Lei alla fine ha dichiarato, alla fine di questo periodo
diciamo, il Graviano Giuseppe fu da me fisicamente
visto presso la casa di Biondino Salvatore e lo stesso
Biondino me lo presentò come uomo donore. LA
BARBERA: Si confermo, infatti è quello che sto spiegando
io adesso, si adesso mi sono ricordato. PRESIDENTE:
Quindi non fu semplicemente una indicazione da parte di
Salvatore Biondino, nel senso quello è Giuseppe
Graviano, ma le fu proprio ritualmente presentato ? LA
BARBERA: Si perché al momento in cui ho suonato al
campanello della casa di Salvatore Biondino ho trovato
dentro la casa appunto il Giuseppe Graviano.
Mi è
stato presentato e poi mi è stato detto, mi è stato
detto da Salvatore Biondino che si trattava appunto di
Giuseppe Graviano. Quanto al ruolo dei due Graviano il collaborante ha confermato la posizione di vertice assunta da entrambi nella zona mafiosa di loro competenza: LA
BARBERA: (incomprensibile) i fratelli che gestivano il
mandamento erano capo mandamento almeno tutti e due
fratelli del capo mandamento di Brancaccio non so se
comprende anche credo che sia anche Corso dei Mille
perché si interessavano per tutta la zona insomma
Brancaccio Corso dei Mille e tutte le cose che
succedevano lì, sia il Fifetto che il Graviano Giuseppe. PRESIDENTE:
Quando dice Fifetto ovviamente intende Filippo Graviano ? LA
BARBERA: Si, Filippo, si. È peraltro assai significativo che il La Barbera abbia anche aggiunto che proprio negli anni 92-93 sia Brusca Giovanni che Bagarella Leoluca elogiavano i fratelli Graviano proprio per la loro gestione del mandamento in ciò confermando una sostanziale parità di compiti e ruoli tra i due odierni imputati senza rilevanti differenziazioni (Allora io ho frequentato il Bagarella dallinizio del 92 fino alla data del mio arresto, quindi Bagarella e Giovanni Brusca e spesso si parlava appunto dei fratelli Graviano e in quella occasione era proprio il Bagarella a parlarne sempre bene, dice sti ragazzi insomma gestiscono bene, insomma gli faceva piacere si parlava anche non in presenza dei Graviano sia il Brusca che il Bagarella elogiavano i fratelli Graviano). Giova inoltre evidenziare come anche La Barbera Gioacchino ha confermato con le sue dichiarazioni il ruolo di portavoce e luogotenente svolto in quel periodo dallaltro odierno imputato Mangano Antonino al quale venivano recapitate le ambasciate e le richieste da fare pervenire ai fratelli Graviano (più volte mi sono recato in Corso dei Mille a portare ambasciate, accompagnavo Nino Gioè a una agenzia di assicurazione in Corso dei Mille per portare ambasciate a Graviano Giuseppe Mangano Antonino si, è proprio il proprietario dellagenzia di cui parlavo poco fa era la persona incaricata mentre erano latitanti sia il Fifetto Graviano che Giuseppe, era la persona che portava le ambasciate appunto ai Graviano). Secondo il collaborante erano stati proprio i Graviano a dire che occorreva fare riferimento al Mangano per tutto ciò che riguardava la ordinaria amministrazione laddove invece per le questioni più importanti era necessario che il Mangano li consultasse preventivamente ricevendone le direttive (gli stessi fratelli Graviano mi dissero che per ogni necessità dellorganizzazione avrei dovuto fare riferimento a Mangano Antonino, che ad ogni effetto era.. li rappresentava per le scelte di ordinaria amministrazione, mentre per quelle più importanti doveva riferire e ricevere ordini in tal senso dai predetti fratelli). Ancora una volta dunque si ha una riaffermazione della intercambiabilità e fungibilità dei due fratelli nella gestione della famiglia mafiosa e degli affari più delicati. Anche secondo il collaboratore di giustizia Marchese Giuseppe, uomo donore della famiglia mafiosa di Corso dei Mille, mandamento di Ciaculli, e nipote del capo famiglia Filippo Marchese, esaminato alludienza del 18 aprile 2002, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano ebbero la reggenza della famiglia mafiosa di Brancaccio dopo larresto di Giuseppe Savoca fino a quel momento rappresentante della cosca: PM:
Senta, lei ha conosciuto Graviano Giuseppe e Graviano
Filippo ? MARCHESE:
Si.
Guardi, Graviano Filippo sono i tre fratelli
che fanno parte della famiglia di Brancaccio, alchè sono
stati affiliati alla famiglia di Brancaccio dopo la morte
del padre Michele Graviano, sono stati combinati da
Giuseppe Savoca attuale era allepoca rappresentante
della famiglia di Brancaccio, e dopo laffi.. diciamo
dopo la morte del padre sono stati diciamo combinati
nella famiglia dei Ciaculli. Io, se non vado errato, mi
sono stati presentati nella tenuta di Pino Abbate da
Roccella, tutti e tre i fratelli perché erano
giovanissimi,
Si
abbiamo Giuseppe e Filippo e poi praticamente dopo
larresto di Savoca Giuseppe hanno subentrato loro
come diciamo reggenza come sostituzione a Pino Savoca
nella famiglia ed anche Giuseppe Graviano come
sostituzione anche a Filippo Graviano (incomprensibile)
la famiglia di Brancaccio in quanto era stato arrestato. PM:
Lei ha parlato di tre fratelli quale era il terzo perché
abbiamo parlato di Giuseppe io le ho chiesto di Giuseppe
e Filippo. MARCHESE:
Si, laltro fratello è Benedetto Graviano. PM:
Senta aveva un soprannome e se era a sua conoscenza
Graviano Giuseppe e Graviano Filippo se avevano un
soprannome. MARCHESE:
Giuseppe gli dicono u martiddruzzu e Filippo
Fifetto. Il
Marchese, tratto in arresto nel gennaio del 1982,
ma la cui fonte di conoscenza in riferimento alle
successive attività mafiose a Brancaccio era costituita
dal di lui cugino Giovanni Drago, già componente
di quel gruppo di fuoco , che lo aggiornava costantemente
durante la sua detenzione, ha altresì precisato di avere
saputo del ruolo assunto da Mangano Antonino e Spatuzza
Gaspare in seno a quella famiglia mafiosa (
Spatuzza
Gaspare diciamo quello che ho appreso faceva parte della
famiglia di Brancaccio era molto vicino a loro e dopo..
Nino Mangano mi sembra che, se non vado errato, era la
persona
Dovrebbe essere uomo donore
della famiglia di Roccella.
Spatuzza era molto vicino ai Graviano faceva parte, io cose che ho appreso io da Drago Giovanni mio cugino faceva parte del gruppo loro del gruppo dei Graviano questo lho appreso successivamente in carcere). Tra i collaboratori escussi nel presente giudizio giova rammentare anche Cannella Tullio, arrestato nel 1995 per favoreggiamento personale nei confronti di Bagarella Leoluca, cognato di Riina Salvatore ed esponente di rilievo di Cosa Nostra. Il Cannella, esaminato alludienza del 7 novembre 2002, ha avuto un rapporto di particolare vicinanza con il Bagarella grazie al quale era riuscito a sottrarsi alle pretese sempre più assillanti ed esose dei fratelli Graviano dovute a questioni economiche. Le sue conoscenze dunque scaturiscono direttamente dalla frequentazione e contiguità a personaggi posti ai vertici del sodalizio mafioso. Anche il Cannella dunque ha confermato che dalla fine del 1985 i fratelli Graviano erano i capi della famiglia mafiosa che orbitava a Brancaccio e Ciaculli ed avevano esteso la loro influenza mafiosa anche sulla vita politica del quartiere non occupandosi soltanto di estorsioni e omicidi: CANNELLA:
Io parlo di Giuseppe Graviano, Benedetto Graviano e
Filippo Graviano. Erano .. perché naturalmente loro
stessi non lo nascondevano ed erano loro stessi a
manifestarsi tali, erano i capi famiglia della famiglia
mafiosa appunto che orbitava a Brancaccio, Ciaculli e poi
in effetti godevano di grandi appoggi o per lo meno
esercitavano la loro influenza mafiosa su tutto il
territorio di Palermo ed anche nella provincia di Palermo
perché erano considerati delle persone molto spietate e
dei killer pericolosi. PM:
A che periodo a quali anni si riferisce quando parla dei
fratelli Giuseppe, Filippo e Benedetto Graviano nei
termini in cui ha parlato ? CANNELLA:
Io mi riferisco dalla fine del 1985, epoca in cui ho
avuto la sfortuna di conoscerli tramite il collaboratore
di giustizia Giovanni Drago che è stato il mio primo
estortore e la prima persona che mi ha sempre minacciato.
Pm:
Senta quali erano le attività nellambito del
territorio di Brancaccio alle quali, per così dire,
soprintendevano i fratelli Graviano ? CANNELLA:
Per quello che mi risulta e per quello che ho potuto
avere io come esperienza personale io ero obbligato ad
esempio a prendere alcuni materiali in ditte vicine ai
fratelli Graviano ad esempio alla Palermitana Blocchetti
e così via di seguito. Poi
i fratelli Graviano avevano una grande influenza a
Brancaccio anche nel settore della vita politica, inoltre
spesso e volentieri i fratelli Graviano, come io del
resto avevo potuto appurare personalmente, erano dediti
ad estorsioni, minacce e cose del genere. PM:
Oltre i fratelli Graviano dei quali ha parlato Giuseppe,
Filippo e Benedetto,
chi aveva dominio sul
territorio, potere di controllo sul territorio di
Brancaccio ?
Lei ha parlato dell85.. Il Cannella ha inoltre confermato che uno dei collaboratori più stretti dei fratelli Graviano era lodierno imputato Mangano Antonino il quale aveva assunto la reggenza del mandamento dopo il loro arresto, operando secondo le direttive comunque provenienti dal carcere, e che tra i killer fidati alle dipendenze dei Graviano vi era laltro odierno imputato Gaspare Spatuzza: CANNELLA:
Poi dopo larresto di Giuseppe Graviano e di
Filippo Graviano, credo nel 1994, io cominciai ad
avere delle pressioni per il pagamento di alcune somme di
denaro e la richiesta di intestare loro degli
appartamenti da parte di Nino Mangano però insomma in
maniera un pochettino più, come dire, educata tra
virgolette. PM:
Senta lei ha conosciuto Spatuzza Gaspare ? CANNELLA:
Lho conosciuto di vista Spatuzza Gaspare, non
ho mai avuto alcun rapporto con lui, so che comunque era
persona legata ai fratelli Graviano e, soprattutto, di
Spatuzza Gaspare come killer me ne parlò il mio amico
signor Antonio Calvaruso.
PM:
E Mangano Antonino ? CANNELLA:
Si, lho conosciuto Mangano Antonino, ripeto perché
avevo appreso che.. da Calvaruso che questo Mangano
Antonino insomma doveva era la persona alla quale i
fratelli Graviano in carcere si riferivano per il
disbrigo di alcune loro .. chiamiamole di loro affari e
quindi lho conosciuto solo in occasione che mi ha
chiesto delle somme di denaro e si era interessato
perché mi era stato imposto nella gestione del villaggio
Euromare, che io avevo realizzato, mi era stato imposto
dai fratelli Graviano un certo Giacalone Michele nella
gestione di questo villaggio e quindi di fatto io ho
ceduto la gestione a questo Giacalone, perdendo gli utili
a decorrere dal 1992 in poi e quindi poi io con Nino
Mangano mi sono.. ho avuto detto che dovevo continuare a
farlo gestire a questo signore, ma a quel punto io dissi
che non avevo come fare per potere pagare, quindi solo
per questo ho conosciuto Nino Mangano, so che si
frequentava con Bagarella, però non so dire
personalmente non mi risulta altro di Nino Mangano non so
se lo stesso faceva estorsioni, se lo stesso era killer,
io non so niente perché non mi risulta niente
personalmente. Il ruolo apicale dei due fratelli Graviano per tutto ciò che accadeva nel quartiere di Brancaccio era circostanza assolutamente nota ed allinterno del sodalizio mafioso ne sono a conoscenza anche coloro che, come Ciaramitaro Giovanni e Trombetta Agostino, altro non erano che manovalanza destinata esclusivamente alla commissione di attentati, minacce e richieste estorsive. Ciramitaro Giovanni (udienza del 23 gennaio 2003), affiliato a Cosa Nostra proprio nel 1993 nella famiglia mafiosa di Brancaccio, ha confessato di essere stato impiegato, fino al giorno del suo arresto avvenuto tre anni dopo (il 23 febbraio 1996), per rubare autovetture da utilizzare per la commissione di omicidi e per eseguire attentati e danneggiamenti per fini estorsivi. Egli ha confermato che la famiglia di Brancaccio, affidata a Mangano Antonino, precedentemente era capeggiata da Graviano Giuseppe pur precisando di non avere mai conosciuto né lui, né il fratello Filippo. Non deve tuttavia trascurarsi di considerare che proprio il livello cui si collocava il Ciaramitaro, dedito a furti e danneggiamenti, lo escludeva da contatti e conoscenze di rilievo in seno allorganizzazione, circostanza confermata dal fatto che lui riceveva ordini operativi dal solo Giuliano Francesco e mediante bigliettini (i cd. pizzini) nei quali risultava annotato il nome del commerciante da intimidire di volta in volta bruciandogli il negozio o facendogli una telefonata estorsiva: PM:
Signor Ciaramitaro le ho chiesto, quindi,ha fatto parte
di Cosa Nostra ? CIARAMITARO:
Si.
Ah
famiglia di Brancaccio, partendo dal
1993. PM:
E quale ruolo aveva in seno alla famiglia che ha
menzionato ? CIARAMITARO:
Eh, io avevo il compito di incendiare i negozi,
i furti di macchina, rapina, omicidio. Un
po di tutto.
PM:
Senta, nel 93, a capo della
famiglia di Brancaccio chi cera ? CIARAMITARO:
Nino Mangano. PM:
Oh. E precedentemente a loro ? CIARAMITARO:
Precedenti
Ci stavano i Graviano. PM:
Che intende dire
CIARAMITARO:
Stava Giuseppe Graviano. PM:
Che intende dire quando dice
i Graviano ?
PRESIDENTE:
Ha detto i Graviano, poi Giuseppe Graviano. Vuol chiarire
questo punto ? Quindi prima di Nino Mangano, chi è che
era capo famiglia a Brancaccio ? CIARAMITARO:
Giuseppe Graviano. PM:
Lei Filippo Graviano lha conosciuto
? CIARAMITARO:
No. PM:
Senta, lei quando compiva questi incendi a negozi, nel
periodo in cui era capo Giuseppe Graviano e poi Mangano,
riceveva disposizione in tal senso ? Ordini di incendiare
quel dato negozio da chi ? CIARAMITARO:
Inso
a me mi
mi dava ordini
mi portava dei bigliettini scritti Francesco Giuliano,
dove ci stavano scritti, nei bigliettini, a chi fare
telefonate, a chi danneggiare il negozio. Cioè a secondo
quello che ci stava scritto mette
AVV.
GIACOBBE:
Lei ha parlato di Giuseppe Graviano. CIARAMITARO:
Si. AVV.
GIACOBBE: Ha detto di averlo conosciuto ? CIARAMITARO:
No. AVV.
GIACOBBE: Quindi non lo conosce lei ? CIARAMITARO:
No. Il Ciaramitaro, pur al livello al quale operava, era a conoscenza del fatto che i due fratelli Graviano erano sostanzialmente fungibili nella gestione degli affari criminali del quartiere: PRESIDENTE:
Ecco, che significa quando comandavano ? Lei fino ad ora
ha parlato che Giuseppe Graviano
che era il capo
famiglia. Filippo che ruolo aveva, se ne aveva ? E se
qualcuno
glielha detto. CIARAMITARO:
Mah, io mintendo quando co
quando
quando erano liberi mintendo io. E
gestivano direttamente loro. PRESIDENTE:
Perché dice gestivano loro ? Lei ha parlato di Giuseppe
Graviano come capo della famiglia. Filippo Che
centra ? CIARAMITARO:
Eh, era il fratello. PRESIDENTE:
E va beh, questo che significa ? Dico, a lei che
CIARAMITARO:
Cioè non è che
non è che comandava
cioè
non è che aveva gli stessi comandi di Giuseppe, però
comandava pure. Erano fratelli Giuseppe. PRESIDENTE:
Perché lei dice comandava
CIARAMITARO:
Se laveva curato ( VOCE SOVRAPPOSTA) PRESIDENTE:
Pure, che cosa le risulta che coman
lei dice:
Comandava pure, non aveva lo stesso ruolo, ma
comanda
CIARAMITARO:
E dato di
dato delle vicende che raccontavano
Francesco Giuliano, Gaspare Spatuzza, e altri componenti. PRESIDENTE:
Che cosa raccontavano ? CIARAMITARO:
Eh, il fatto che si comportavano bene . Se uno aveva
bisogno di soldi glielo diceva, sia che a Filippo che a
Giuseppe, loro problemi economi
loro gli davano
quello che gli servivano, mentre che
Nino
Mangano questo
non lo faceva. PRESIDENTE:
Questo lha già detto. Il Tribunale vuole sapere
lei ha detto comandavano. Filippo-dice non
era come Giuseppe il capo, ma anche lui comandava,
perché era il fratello. Dico, da che cosa
ca
ha
ha capito lei che Filippo comandava pure
? E che si
in che termini comandava ? Per sua
conoscenza. CIARAMITARO:
Cioè comandare io mintendo se
poi se lui
pigliava ordini da suo fratello questo io non lo posso
sapere. Tipo se Francesco Giuliano aveva bisogno
duna notizia, se parlava pure con Filippo era pure
va bene. Poi se Filippo parlava cu fratello, questo
no
no
non mè stato specificato. E poi
non è che io approfondivo i discorsi quando si parlava.
Ascoltavo e basta. Allo
stesso livello operativo e criminale del Ciaramitaro si
collocava anche Trombetta Agostino il quale, esaminato
alludienza del 16 maggio 2002, ha precisato di
avere agito nellinteresse della famiglia mafiosa di
Brancaccio dai primi anni 90 fino al suo arresto
(aprile 1996) dedicandosi prevalentemente a procurare
macchine rubate, macchine, motori, bruciare, fare
estorsioni, bruciare negozi e queste cose, più rapine
per la famiglia Il Trombetta ha in particolare confermato che ai vertici della famiglia mafiosa di Brancaccio vi erano in quel periodo i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano per quanto appreso da Gaspare Spatuzza alle cui dirette dipendenze egli solitamente agiva, ed ha precisato che dopo larresto dei suddetti Graviano che comunque continuavano a comandare anche dal carcere gli ordini venivano dati da Mangano Antonino e dallo Spatuzza che si occupavano di organizzare ciò che esso Trombetta e gli altri componenti della famiglia dovevano quotidianamente fare: PM:
Senta Trombetta, lei ha fatto parte di Cosa Nostra ? TROMBETTA:
Si.
Io facevo parte della famiglia di Brancaccio,
di Gaspare Spatuzza, fratelli Graviano, Giuliano
Francesco e di altre persone che non mi vengono il nome,
(INCOMPORENSIBILE) Pietro. PM:
Lei aveva un ruolo particolare allinterno della
famiglia di Brancaccio ? TROMBETTA:
Si, io gli dovevo procurare macchine rubate, macchine,
motori, bruciare, fare estorsioni, bruciare negozi e
queste cose, più rapine per la famiglia. PM:
Senta, da che periodo a che periodo ha fatto parte di
Cosa Nostra allinterno della famiglia di Brancaccio
? TROMBETTA:
Praticamente da, io ho conosciuto Gaspare Spatuzza
dall87, io ho cominciato alla famiglia nel
90, lanno 90
89 90. PM:
Quando è uscito fuori da Cosa Nostra, quando ha cessato
di farne parte ?
TROMBETTA:
Io nel 96, il giorno che ho collaborato. PM:
Quando è stato arrestato lei ? TROMBETTA:
Il 14 aprile del 96. PM:
Senta, in questo periodo, il periodo quindi in cui lei fa
parte della famiglia di Brancaccio, chi era a
capo di questa famiglia ? Quindi dal 90
al 96. TROMBETTA:
Io tramite Gaspare Spatuzza sapevo che erano i
fratelli Graviano, Giusepe e Filippo. Nino Mangano,
Mangano di Brancaccio. Questi sapevo le persone. PM:
Quindi non vi era un capo ? TROMBETTA:
Il capo per me rappresentavano i fratelli
Graviano, Giuseppe Graviano. PM:
Senta, lei ha detto per me, io le chiedo, qualcuno, lei
come sapeva questo ruolo dei fratelli Graviano del quale
ha parlato finora ? TROMBETTA:
Lho detto, tramite Gaspare Spatuzza.
PM:
Cosa le disse Gaspare Spatuzza ? Prego. TROMBETTA:
Praticamente io avevo una, dovevo aprire un autolavaggio
nella zona dello Sperone dove abitavo, e così dovevo
fare sapere alle persone che intenzione avevo io di
aprire questo locale. Ho parlato con Gaspare, ci ho detto
(INCOMPRENSIBILE) parlare io iri avanti perché dato che
cerano attività che erano vicino alla famiglia, se
io facevo disturbo a qualcheduno. Dice no, non ti
preoccupare che parliamo con Filippo, Filippo e Giuseppe
Graviano, dice che sono loro quelli che comandano la
famiglia. Punto e basta, cos ho capito.
PM:
Senta, lei ha parlato di Gaspare Spatuzza. Chi è Gaspare
Spatuzza ? TROMBETTA:
Gaspare Spatuzza era, faceva parte della famiglia di
Brancaccio che era vicino ai fratelli Graviano che dopo
larresto dei fratelli Graviano comandava Nino
Mangano e Gaspare Spatuzza. Praticamente cioè
organizzava a noi quello che dovevamo fare giornalmente.
AVV.
TRINCERI: Signor Trombetta, lei ha detto che ha fatto
parte di Cosa Nostra dal 90 al 96, chi è che
comandava a Brancaccio ? TROMBETTA:
Come chi comandava ? I fratelli Graviano, dopo
larresto dei fratelli Graviano era Nino Mangano e
Gaspare Spatuzza.
Stavo ripetendo quello che ho
ripetuto poco fa, che larresto dei fratelli dei
Graviano era Nino Mangano e Gaspare Spatuzza, però per
me risultavano sempre i fratelli Graviano pure che erano
in galera. La rilevanza del contributo di conoscenza offerto dal Trombetta, al di là della ulteriore ennesima conferma del ruolo apicale assunto in seno alla famiglia mafiosa dai fratelli Graviano, dal Mangano e dallo Spatuzza, ruolo già individuato grazie alla molteplice e concorde indicazione degli altri collaboratori escussi in dibattimento, attiene specificamente alla posizione processuale dellaltro odierno imputato Cascino Santo Carlo, già accusato da Grigoli Salvatore come uno dei soggetti autori del fatto delittuoso per cui oggi è processo ancorché con ruolo di accompagnatore di Federico Vito che si allontanò con il primo dai luoghi a bordo di un ciclomotore subito dopo che il Federico stesso, il Grigoli e lo Spatuzza avevano appiccato il fuoco alle porte delle tre abitazioni. Orbene, si è già evidenziato che il Grigoli ha indicato come suo complice nella commissione del reato un soggetto quale Cascino Santo Carlo che il Trombetta indica proprio come la persona con la quale egli compiva quasi quotidianamente attentati incendiari solitamente a fine estorsivo e proprio su incarico di Spatuzza Gaspare, altro soggetto chiamato in correità dal Grigoli in relazione allattentato per cui è processo. E non può ritenersi un caso se il Cascino viene indicato dal Trombetta come persona particolarmente vicina allo Spatuzza del quale, oltre che eseguire gli ordini, curava anche la latitanza, in quanto rende ancor più credibile la tesi di accusa secondo cui per lesecuzione della delicata operazione dellintimidazione da compiere ai danni delle tre persone vicine a Padre Puglisi, lo Spatuzza, organizzatore dellazione criminosa per incarico dei Graviano, avesse scelto tra i tre complici proprio una persona come il Cascino che godeva della sua fiducia al punto di affidarsi a lui durante la latitanza: PM:
ha conosciuto una persona di nome Cascino
Carlo nato a Palermo il 23
TROMBETTA:
Si. Era il ragazzo che era vicino a Gaspare
Spatuzza, che con me faceva estorsioni,
bruciava negozi con me. E dopo gli curava pure
la latitanza a Gaspare, laccompagnava, contatti con
la famiglia. PM:
E per conto,visto che ha nominato Gaspare Spatuzza, le
risulta che per conto, per ordine di Gaspare Spatuzza
abbia commesso attività, atti illeciti, azioni illecite
il Cascino Carlo ? TROMBETTA:
Questo non glielo so dire
quello che faceva
illecito non glielo so dire, quello che faceva illecito bruciava
negozi con me, dopo non so se dopo, dietro le
mie spalle faceva altre cose. PM:
Bruciava negozi a quali fini ? Perché bruciava negozi ? TROMBETTA:
Alla fine per pagare il pizzo. PM:
Ricorda qualche episodio in particolare di incendio ai
danni di qualche negozio ? TROMBETTA:
Abbiamo bruciato un negozio io, Ciaramitaro Giovanni
detto u baruni, abbiamo bruciato un fruttivendolo perché
si diceva che era confidente, invece è servito il
negozio al fratello di Salvatore Grigoli.
Io,
Ciaramitaro Giovanni e Cascino detto il barone.
PM:
Ci sono stati altri episodi incendiari ai quali ha
partecipato lei insieme al Cascino ? TROMBETTA:
Mi ricordo solo questo, in quella situazione Cascino si
è bruciato un po il corpo, la faccia e così
labbiamo messo da parte. PM:
Senta Trombetta, il 9 gennaio 98 lei ha dichiarato:
Il
Cascino Carlo era vicino a Spatuzza Gaspare e ha in più
occasioni posto in essere azioni incendiarie ed
intimidatorie di commercianti e altri nel quartiere di
Brancaccio, Corso dei Mille, via Oreto e via Messina
Marine. Ricordo a proposito lincendio ai danni di
un esercizio commerciale di vendita al dettaglio di
frutta e verdura sito in Palermo allincrocio tra la
via Ventisette Maggio e Corso dei Mille partecipato da
Cascino, Ciaramitaro Giovanni. Inoltre incendiammo con
copertoni di auto usate le gelateria Pino sita in Corso
dei Mille nei pressi della stazione centrale, nella
locale via Oreto Nuova incendiammo unagenzia di
trasporti a nome Tarantino e in questa occasione ci
cooperavano Romeo Pietro e Giuliano Francesco detto
Olivetti. PRESIDENTE:
Allora, Trombetta, quindi questi altri due episodi,
questo dellagenzia di trasporti e questo della
gelateria li conferma ? TROMBETTA:
Si, li confermo. PRESIDENTE:
E in tutti e due gli episodi cera pure Cascino ? TROMBETTA:
Non mi ricordo bene. PRESIDENTE:
Quindi lei se lo ricorda con certezza per quanto riguarda
il fruttivendolo. TROMBETTA:
Esatto, perché cè successo loccasione
che in quel negozio si è bruciato la faccia. È significativo peraltro che laccusa del Trombetta nei confronti di Cascino Santo Carlo, indicato come soggetto vicino allo Spatuzza e dedito alla commissione proprio di attentati incendiari (tanto da restare bruciato al viso durante la commissione di uno di tali delitti), faccia riferimento esattamente al periodo nel quale (giugno 1993) venne compiuto lattentato incendiario ai danni di Martinez, Guida e Romano: PRESIDENTE:
E a quellepoca, cioè nel periodo prima
dellomicidio di Padre Puglisi già facevate
attività delittuose insieme ? TROMBETTA:
Si, praticamente custodivamo, sarebbe custodire a
Gaspare, guardargli le spalle. Aiutarlo praticamente. La precisa accusa formulata dal Trombetta nei confronti dellodierno imputato trova peraltro puntuale conferma nelle dichiarazioni di Ciaramitaro Giovanni anchegli indicato dal primo dal primo come uno dei soggetti, unitamente al Cascino, dediti per conto della famiglia mafiosa di Brancaccio alla commissione di attentati incendiari proprio in quel periodo in cui furono bruciate le porte dingresso delle tre abitazioni di via Azolino Hazon: PM:
Senta, ha conosciuto Cascino Santo Carlo ? CIARAMITARO:
Si
era
lho conosciuto tramite Francesco
Giuliano e ha fatto diversi
cioè faceva diversi
incendi con me. Danneggiamenti ai negozi, telefonate,
tutte queste cose. PM:
In che periodo ? CIARAMITARO:
E periodo no
93/94 così.
PM:
Senta, nel 93 invece, nel periodo
in questo
periodo, ha compiuto atti incendiari con
con altri
delle persone menzionate ?
Delle persone che lei ha
menzionato finora nel
io le ho chiesto di
Federico Vito e Cascino. CIARAMITARO:
No, con lui mai. Co Cascino si. PM:
E in quel periodo le disposizioni con chi
veniva
da chi venivano date, in quel
CIARAMITARO:
Sempre da Francesco Giuliano. PRESIDENTE:
Parliamo 93. La domanda del PM è 93. ..PM:
Ne ricorda qualcuno ? CIARAMITARO:
Periodo
no, non mi ricordo. Preme rilevare che Ciaramitaro ha sostanzialmente affermato di avere commesso con Cascino Santo Carlo una serie indeterminata di attentati incendiari ai danni dei commercianti di via Messina Marine e Corso dei Mille con cadenza pressocchè quotidiana proprio nellestate del 1993, ovvero nellepoca di commissione dei fatti oggetto del presente processo, a conferma, dunque, del settore di attività criminose cui lodierno imputato era dedito in quel periodo per conto della famiglia mafiosa di Brancaccio: PRESIDENTE:
Ora io desidero sapere, in concreto, nel periodo del
93 quali sono questi fatti che ricorda di avere
commesso con Cascino Santo Carlo. CIARAMITARO:
93 io avevo uscito subito del carcere. Non ricordo
se era giugno o luglio, comunque a metà anno del
93. Dellestate,
diciamo, in poi. Nel novanta
e mè stato
presentato da Giuliano Francesco di
quasi una sera
e una sera sempre andavamo a incendiare alcuni negozi
co Carlo Cascino. Sempre che ci dava
usando
di un bigliettino Francesco Giuliano.
PRESIDENTE:
Lei ha detto le davano dei bigliettini. Erano scritti lei
lo sa da chi ? CIARAMITARO:
Da
penso da Francesco Giuliano. Si, perché
li faceva piccoli, piccoli, piccoli, scritti piccoli,
piccoli
cioè in modo che se avendo stu bigliettino
ci fermava una pattuglia di controllo, ci trovava stu
bigliettino, diciamo lo faceva talmente piccolo che lo
potevamo mangiare, dovevamo buttare
cioè
ci
diceva sempre: Se vi fermano non vi fate trovare
co stu bigliettino se no so guai. Si, che ci
sono scritti i numeri di telefono di negozianti oppure
i
il nominativo de
del negoziante. Quelli che
erano segnati da loro che dovevano essere danneggiati. PRESIDENTE:
Senta, io volevo capire questo: lei ha detto Penso
che erano scritti da Francesco Giuliano. Ma
lei lo vedeva a Francesco Giuliano che scriveva questi
biglietti o
CIARAMITARO:
Si
tutti i giorni. Si
alcuni si. Alcune volte
scriveva davanti a me, si. PRESIDENTE:
Lei ha detto quindi: Esco dal carcere e
Francesco Giuliano mi presenta a questo Cascino e la sera
andavamo a fa
a fare incendi, a fare telefonate.
Ricorda
in particolare, qualcuno di questi fatti
che ha fatto con Cascino ? CIARAMITARO:
E cu Cascino ne
tutto quello
da Corso dei Mille i bruciavu quasi tutti co
Cascino. Ci stava Cascino. E via Messina Marine erano
quasi tutti, quasi tutti io li ho bruciati i
i
negozi. Con quale persone, no soltanto con Cascino.
Spesso ca veniva il Romeo, veniva
Trombetta, veniva lo stesso Giuliano, qualche
volta
genti veniva.. erano tanti. Non è che
eramo
ero
ero (INCOMPRENSIBILE) io e
il Cascino. PRESIDENTE:
Ciaramitaro, io le sto chiedendo quelli con Cascino.
Quindi parliamo dopo giugno/luglio del 93, perché
lei dice: Lho conosciuto solo dopo che sono
stato scarcerato. Giugno/luglio del 93.
Esatto ? CIARAMITARO:
Si. PRESIDENTE:
Quindi dopo giugno/luglio del 93
CIARAMITARO:
Si. PRESIDENTE:
Ci sono stati degli incendi in
Corso dei
Mille. CIARAMITARO:
Una serie di
di incendi, si. PRESIDENTE:
Quindi questi li ha commessi con Cascino ? CIARAMITARO:
Si. Cascino, Tombetta e altre
persone. PRESIDENTE:
Si, ed altri. Dico, tra gli altri
CIARAMITARO:
No solo con Cascino. PRESIDENTE:
Con Cascino. Unaltra
CIARAMITARO:
Ed altri si. È appena il caso di evidenziare che le accuse del Trombetta e del Ciaramitaro nei confronti del Cascino Santo Carlo quale autore di attentati incendiari hanno trovato incontestabile ed irrevocabile riconoscimento in sede giudiziaria. Il Cascino invero è stato condannato con sentenza ormai divenuta irrevocabile della Corte di Appello di Palermo del 27 luglio 2000, alla pena di anni 10 e mesi 5 di reclusione e lire 5.500.000 di multa perché ritenuto responsabile di vari reati tra i quali proprio estorsioni e plurimi delitti di danneggiamento seguito da incendio commessi nel 1994 (cfr. certificato penale in atti da cui si evince anche una condanna definitiva per associazione mafiosa ed altro ad anni 9 di reclusione). Quanto alle accuse formulate da Grigoli Salvatore nei confronti di Federico Vito, indicato come uno degli altri due esecutori materiali dellattentato, giova ricordare che anche lui è stato condannato definitivamente allergastolo dalla Corte di Assise di Appello di Palermo il 9 novembre 2000 (irrevocabile il 15.7.2002) per il reato di concorso in omicidio pluriaggravato, associazione mafiosa ed altro, nonché con altra sentenza precedente della Corte di Appello di Palermo per il delitto di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) commesso nel luglio del 1991 (cfr. certificato penale in atti). Il Federico, oltre che dal Grigoli, la cui chiamata in correità assume particolare rilievo proprio per la diretta e personale partecipazione al fatto delittuoso per cui è processo, viene indicato peraltro anche da ulteriori collaboranti escussi al dibattimento come soggetto assai vicino al sodalizio mafioso, vicinanza inoltre ormai confermata a livello giudiziario dalla menzionata sentenza irrevocabile di condanna per 416 bis c.p.. E così
il Ciaramitaro, esaminato alludienza del 23 gennaio
2003, ha confermato, ancorché a seguito di rituale
contestazione del P.M., di conoscere di vista Federico
Vito avendolo incontrato in una occasione nella quale
questi era appena uscito dal carcere proprio perché
condannato per avere bruciato un negozio. Si rammenti a tal riguardo che il Federico ha effettivamente riportato una condanna definitiva perché ritenuto responsabile del reato di danneggiamento seguito da incendio commesso in Palermo il 13 luglio 1991 e dunque proprio in epoca anteriore a quella dei fatti delittuosi oggetto del presente processo, aventi non a caso modalità operative simili (incendio delle porte di tre abitazioni). Laccusa del Grigoli dunque va a colpire un soggetto il quale, allepoca del fatto per cui il collaborante lo accusa, era stato già arrestato (e sarà successivamente condannato) per un delitto della stessa specie di quello per cui il collaborante lo chiama in correità: PM:
Ha conosciuto Federico Vito ? CIARAMITARO:
Ma così, di vista.
Lho visto in
o uno o due volte in varie occasioni, così
mi
sembra a Bolognetta, na villa di Francesco Giuliano
o a Misilmeri. Cioè mi ricordo bene precisare. È tanto
tempo. PM:
Ascolti, lei nelle dichiarazioni rese al PM il
l8 gennaio 98, ha dichiarato questo. La
domanda è se ha mai conosciuto una persona a nome
Federico Vito. Ho conosciuto un tale, che si
chiamava così, in occasione di un incontro occasionale
avvenuto in Palermo, nei locali in Corso dei Mille. Il
Federico era appena uscito di prigione, dove aveva
scontato una pena per il danneggiamento di un negozio che
aveva bruciato. Il negozio, a quel che ricordo, si
trovava nella via Messina Marine. Ricordo infatti che il
Federico fu individuato
fu individua
mi lasci
terminare
fu individuato perché si era recato a
bruciare quel negozio con lautovettura di sua
proprietà. Questo aveva permesso agli inquirenti di
risalire alla sua persona. CIARAMITARO:
Si, mi ricordo. Si
si, si confermo. Si
AVV.
GALATOLO: Senta, lei su contestazione
del PM ha
riferito di un particolare relativo a Vito Federico
che in relazione a
a un periodo in cui lui era
uscito di prigione dopo avere scontato una pena,
eccetera, e di un danneggiamento ai questo negozio. Lei,
questo particolare che ha riferito, da chi lha
appreso e come lo ha appreso ? CIARAMITARO:
Da Francesco Giuliano e da Salvatore Giuliano.
Da
tutti e due. Ed il Ciaramitaro ha altresì rammentato di avere visto Federico Vito in occasione di una riunione tenutasi in un villino a Misilmeri alla quale avevano partecipato vari esponenti della famiglia mafiosa di Brancaccio tra i quali Francesco Giuliano che aveva chiesto al Federico se egli ancora si occupasse di riscuotere il pizzo: PM:
L8 gennaio 98 lei ha dichiarato questo:
Nellestate
del 95, allorché eravamo tutti latitanti
lei ha detto ci incontravamo
Spatuzza,
Barranca, Lo Nigro , Romeo, Giuliano, Faia ed altri,
presso un villino in Misilmeri per determinare il da
farsi.
Ad
alcune di queste riunioni partecipò anche il Federico
Vito. In quella occasione il Giuliano Francesco, inteso
Olivetti, chiese al Federico se continuasse
ad incassare danaro dai negozianti che aveva in carico
per il pizzo. Il Federico Vito rispose che in effetti
egli incassava ancora delle somme. Il Giuliano disse
allora che quelle somme dovevano essere date
personalmente a lui, cioè al Giuliano, per distribuirli
allorganizzazione ed a tutti i suoi
componenti.
CIARAMITARO:
Si, si confermo. Si conferma dunque la vicinanza operativa e criminale del Federico alla cosca mafiosa di Brancaccio proprio allepoca dei fatti per cui è processo, vicinanza che ha trovato infine riscontro incontestabile in sede giudiziaria nella condanna irrevocabile patita dal Federico anche per la comprovata partecipazione allassociazione mafiosa (oltre che per omicidio ed altro). Del Federico e dei suoi rapporti con la famiglia mafiosa di Brancaccio ha parlato anche Trombetta Agostino il quale, esaminato il 16 maggio 2002, ha riferito di avere visto limputato parlare in una occasione con Gaspare Spatuzza (del quale il collaborante allepoca curava la latitanza) e di avere poi da questi appreso che il suddetto Federico era vicino alla cosca: PRESIDENTE:
Dice allora a Federico Vito comunque lo ha
conosciuto ? TROMBETTA:
Si. PRESIDENTE:
Il figlio di Giuseppe paralitico, parliamo di questo, del
giovane per capirci. TROMBETTA:
Esatto, si.
PM:
Si, il Federico Vito che lei ha conosciuto.
Il
giovane faceva parte della famiglia di Brancaccio ? TROMBETTA:
Si. Presidente è successo che in via Conte Federico mi
trovavo un giorno io che ci facevo di autista a Gaspare
Spatuzza e si sono incontrati in via Conte Federico il
figlio ru zu Pinuzzu e Gaspare. Si hanno parlato
cinque minuti, è salito in macchina e ce ne siamo
andati. Ci ho detto ma cuè questo,
praticamente ci ho detto se faceva, no,
chistu dice, è uno che appartiene a
mia madre che faceva parte della famiglia, punto e
basta.
PRESIDENTE:
Lei ha detto che lo ha conosciuto Federico Vito e ha dato
una data così, approssimativa, credo che abbia detto il
94. Lei lo ha conosciuto
TROMBETTA:
Come periodi 94, 95. PRESIDENTE:
Si, io le stavo chiedendo, ma lei lo ha conosciuto in
occasione di quellincontro con Spatuzza quando lei
faceva da autista, lui si è fermato, hanno parlato e poi
lei gli chiese ma questo chi è ? TROMBETTA: Si, in quelloccasione ho saputo che facevano parte della famiglia nostra lui. Però io già lo vedevo un po prima tramite lamicizia con suo padre.
PRESIDENTE:
Senta, comunque
allepoca
dellomicidio di Padre Puglisi lei era libero, è
giusto ? TROMBETTA:
Si. PRESIDENTE:
Lei lo conosceva già Federico Vito ? TROMBETTA:
Si. PRESIDENTE:
Però non sapeva che era vicino, a quellepoca non
le era stato detto niente su cosa faceva Federico Vito ? TROMBETTA:
Si, certo. Anche Marchese Giuseppe infine (udienza del 18 aprile 2002) ha parlato della vicinanza di Federico Vito al sodalizio mafioso (si sapeva allinterno di cosa nostra che Vito era vicino a loro) precisando anche che lodierno imputato è nipote di Federico Domenico, costruttore già in società con il noto killer di Cosa Nostra Pino Greco detto Scarpuzzedda, allepoca capo mandamento di Ciaculli, poi ucciso: PM:
Senta lei ha conosciuto Federico Vito nato a Palermo il
19 aprile del 60 ? MARCHESE:
Federico Vito se non vado errato è nipote di Mimmo
Federico altro costruttore di Corso dei Mille che era
socio di Pino Greco u scarpuzzedda.
Mi sembra che
era figlio di Federico u paralitico. PM:
Era uomo donore ? MARCHESE:
Mi sembra che Pino.. no guarda io no per quanto riguarda
uomo donore però era molto vicino
allorganizzazione come Pietro Salerno, come anche
la nostra famiglia di Corso dei Mille e i Graviano pure,
però se era uomo donore e lhanno combinato
questo non mi viene...
PM:
Quindi lei ha detto se non ricordo male; quindi la sua
risposta non è in termini di certezza quanto lei ha
riferito ? MARCHESE:
Si, no, no se Vito Federico perché Federichi ce ne
stanno tanti, se Vito Federico è quello che penso io era
vicino alle famiglie di Corso dei Mille ed anche quelle
di Brancaccio, se è Vito Federico che diciamo è il
padre era quello Peppino Federico che era sulla sedia a
rotelle è quello che praticamente era anche vicino
allorganizzazione. PM:
Senta, il 27 gennaio del 98 al PM lei ha
dichiarato
MARCHESE:
Mi sembra che è stato anche in carcere
nel terzo
braccio e in quel periodo mi ci trovavo anche io
nell82 83. PM:
Senta, lei il 27 gennaio del 98 al PM ha dichiarato
conosco Federico Vito in quanto nipote di Mimmo
Federico uomo molto vicino a cosa nostra. MARCHESE:
Si.
No si è stato anche
un periodo che è stato in
detenzione in carcere all
Ucciardone e stava nel terzo braccio insieme a me.
Mi sembra che erano.. mi sembra o era 83 fine
83 84 così perché ero sceso a
Palermo che avevo un processo.
Presidente:
Senta, lei ha accennato al fatto che ha conosciuto questo
Federico Vito nipote di Domenico il costruttore.. e
figlio di Peppino, il padre a quanto pare era paralitico
quello che ha detto.. MARCHESE:
Si, si nelle sedie a rotelle.. Si allepoca gli
faceva lautista Pietro (incomprensibile) altro uomo
donore della famiglia di Ciaculli. PRESIDENTE:
Si. Lei ha detto anche che siete stati in carcere insieme
in un periodo tra l82 e l83 e l84, in
carcere insieme nel senso che eravate nello stesso
braccio al terzo braccio dellUcciardone. MARCHESE:
Si alla terza sezione dellUcciardone e preciso
anche che non è l82 ma sicuramente fine 83
quando sono ritornato dal manicomio di Reggio Emilia. PRESIDENTE:
lei ha anche aggiunto, questo Federico Vito era
molto vicino allorganizzazione, ora io vorrei che
lei ci chiarisse che significa molto vicino e soprattutto
chi glielo ha detto, in quale occasione
MARCHESE:
Ma vicino in quanto a parte che lui conosceva tutti gli
uomini donore, no come uomini donore ma gente
di un certo spessore di un certo valore, gente diciamo
importante, e in più lui che era spesso anche con Mimmo
Federico che era vicino che si dedicava anche
nellattività dello zio, che lui sapeva che Mimmo u
Federico era socio di Pino Greco allepoca capo
mandamento di Ciaculli, era socio con mio zio in diverse
attività edilizie e conosceva.. si tratteneva spesso con
Mario Presti Filippo altro uomo donore di Ciaculli,
con diversi diciamo uomini donore che praticamente
ci camminava insieme, affiliato è che uno se lo mette
vicino per un domani per determinate situazioni che uno
ha di bisogno, diciamo laffiliazione inizia con il
comportamento della persona su una persona se è
affidabile, se un domani può, può commettere qualche
cosa è una persona che possiamo stare tranquilli,
diciamo laffiliazione si inizia così, purtroppo è
una persona che è nipote di Mimmo Federico a cui è
vicino a cosa nostra diciamo questi sono.. In conclusione il complesso delle risultanze probatorie acquisite evidenzia incontestabilmente come la tesi immediatamente privilegiata di una causale dellattentato incendiario per cui è processo da ricondurre alle attività delle tre parti offese allinterno del Comitato Intercondominiale della via Hazon e vie limitrofe ha trovato riscontro nella circostanziata confessione resa da uno degli esecutori materiali, Grigoli Salvatore. Si consideri che il Martinez già in sede di denuncia alla Polizia, sporta la mattina successiva al fatto, aveva con assoluta chiarezza evidenziato che lattentato era da ricollegare alla sua appartenenza al Comitato (cfr. verbale di denuncia del 29 giugno 1993 alle ore 10,15 e C.N.R. in pari data della Questura di Palermo, atti acquisiti alludienza del 5 dicembre 2002). Il
Grigoli fin dalle prime ore successive allavvio
della sua collaborazione con lA.G. ha subito
inquadrato la causale nel contesto della diffusa
attività di intimidazione deliberata e posta in essere
dalla famiglia mafiosa di Brancaccio ai danni di Padre
Puglisi e dei suoi più stretti collaboratori con
il chiaro obiettivo di bloccare lattività di
sensibilizzazione e promozione sociale e civile
condotta dal prelato e dalle odierne parti offese, e che
sarebbe culminata, solo qualche mese dopo il fatto
delittuoso per cui è processo, commesso a fine giugno
del 1993, con il barbaro ed efferato omicidio
dellinerme prelato, deliberato dai fratelli
Filippo e Giuseppe Graviano e consumato il successivo 15
settembre proprio da Grigoli Salvatore in concorso tra
gli altri con Mangano Antonino e Spatuzza Gaspare (tutti
tranne il collaborante condannati
allergastolo con sentenza irrevocabile), ovvero con
le stesse persone chiamate in correità dal Grigoli per
il fatto delittuoso oggetto dellodierno processo. Stessa causale, stessi mandanti ed organizzatori (i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Mangano Antonino), stessi esecutori materiali (Grigoli Salvatore e Spatuzza Gaspare), coadiuvati da Federico Vito e Cascino Santo Carlo. Il complesso delle prove acquisite impone dunque di ritenere Graviano Giuseppe, Graviano Filippo, Cascino Santo Carlo, Federico Vito, Spatuzza Gaspare e Mangano Antonino penalmente responsabili del fatto delittuoso contestato avendo essi concorso nella commissione dellattentato ai danni di Martinez Giuseppe, Guida Giuseppe e Romano Mario con le condotte già ampiamente esaminate ed evidenziate per ciascuno di loro sulla base delle circostanziate accuse formulate principalmente da Grigoli Salvatore, loro complice nellazione delittuosa e reo confesso separatamente giudicato, dichiarazioni riscontrate nei termini già esposti da altri collaboratori di giustizia e risultanze giudiziarie. A tutti gli imputati è stato contestato sia il reato di cui allart. 423 che quello di cui allart. 424 c.p., aggravati ex artt. 61 n.2 e 5 e 425 n. 2 c.p., ma deve subito rilevarsi che nei fatti così come ricostruiti e provati ad avviso del Collegio sono ravvisabili e giuridicamente configurabili gli estremi del delitto continuato e aggravato di danneggiamento seguito da incendio di cui allart. 424 comma 1 c.p., in relazione al quale va tuttavia esclusa per le ragioni che saranno appresso esposte la circostanza aggravante contestata del nesso teleologico. Lelemento di distinzione tra il delitto di cui allart. 423 c.p. (incendio) e quello previsto dallart. 424 c.p. (danneggiamento seguito da incendio) deve individuarsi nella volontà del soggetto attivo del reato che nella prima fattispecie agisce per provocare un incendio, nella seconda soltanto per danneggiare e lincendio che ne sorge è una conseguenza, non voluta, casualmente riferibile (per colpa) alla sua azione o omissione . Ne consegue che allorquando lagente abbia compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare un incendio, e cioè un fuoco con caratteristiche di intensità e di diffusività tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, dovrà rispondere anche se per motivi indipendenti dalla sua volontà lincendio poi non si sviluppa del delitto di tentato incendio doloso (Cass. Sez. I sent. n. 5362 del 7/6/1997 ud. 7/2/1997). Il reato di danneggiamento seguito da incendio (art. 424 c.p.) richiede invece quale elemento costitutivo il sorgere di un pericolo di incendio, sicchè non è ravvisabile il reato in questione, ma eventualmente il semplice danneggiamento, nellipotesi che il fuoco appiccato abbia caratteristiche tali, che da esso non possa sorgere detto pericolo. In questo caso, ovvero nel caso in cui colui che, nellappiccare il fuoco alla cosa altrui, al solo scopo di danneggiarla, raggiunge lintento senza cagionare né un incendio né il pericolo di un incendio, sussiste il reato di danneggiamento previsto e punito dallart. 635 c.p.. Se, per
contro, detto pericolo sorge o se segue lincendio,
il delitto contro il patrimonio diventa più propriamente
un delitto contro la pubblica incolumità e trovano
applicazioni rispettivamente gli articoli 424 e 423 c.p.
(Cass. Sez. III sent. n. 1731 del 26.11.98
12.2.99). Sussiste il delitto di incendio (art.423) infine quando lazione di appiccare il fuoco è finalizzata a cagionare levento con fiamme che per le loro caratteristiche e per la loro violenza tendano a propagarsi in modo da creare effettivo pericolo per la pubblica incolumità. Orbene, non può revocarsi in dubbio che per le modalità dellazione e per le conseguenze provocate la condotta degli imputati, sulla base delle stesse confessioni di Grigoli, fosse finalizzata non certo a sviluppare un incendio, bensì a danneggiare con il fuoco le porte, e quanto nelle immediate vicinanze delle stesse, degli appartamenti dei tre soggetti presi di mira con il chiaro intento di terrorizzarli per farli desistere dal loro impegno e costringerli ad abbandonare il quartiere. Ma proprio le modalità con le quali essi hanno operato e le conseguenze che hanno prodotto secondo quanto rilevato dalla p.g. e testimoniato dal Martinez, dal Guida e dal Romano evidenzia oltre ogni dubbio che in conseguenza della loro azione è certamente sorto anche un concreto pericolo di incendio. La differenza tra il reato di incendio di cui allart. 423 c.p. e quello di danneggiamento seguito da incendio previsto dallart. 424 c.p. sussiste nel fatto che nella prima fattispecie lagente vuole che si sviluppi un incendio, mentre nella seconda vuole solo danneggiare con il fuoco. Lart. 424 c.p. prevede quindi lincendio come reato che esula dalla intenzione dellagente e, nella struttura di detto reato, lincendio o il pericolo dincendio è solo condizione oggettiva di punibilità, come tale estranea al dolo. Sono fattori idonei a configurare lincendio di cui allart. 424 comma 1 c.p. non solo le fiamme, ma anche tutti gli altri elementi che con le fiamme si pongono in rapporto di causa ed effetto, come il calore, il fumo, la mancanza di ossigeno, leventuale sprigionarsi di gas pericolosi dalle materie incendiate, in quanto, per effetto di tale conseguenze, si verifica ugualmente il pericolo per la pubblica incolumità componente oggettiva della nozione giuridica di incendio senza soluzione di continuità e senza interruzione del nesso causale oggettivo e materiale e che, pertanto, debbono essere attribuite allincendio come una qualsiasi azione od omissione è attribuita materialmente al soggetto che la compie. In particolare, poi, il reato di cui allart. 424 comma 1 c.p. (danneggiamento seguito da incendio), a differenza dellipotesi aggravata di cui al secondo comma, non richiede il verificarsi dellincendio, ma anticipa la soglia della punibilità per motivi di politica criminale rinvenibili nellintento di evitare che venga usato a scopo di danneggiamento un mezzo altamente insidioso quale il fuoco (cfr. Cass. Sez. I sent. n. 5251 del 6/5/1998 ud. 14/1/1998: nella specie la Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto la sussistenza di tale pericolo sia dal fatto che il fuoco era stato appiccato su autovetture poste in un garage condominiale, ubicato in luogo interrato, con vie di uscita anguste e forzate che favorivano la diffusione del fuoco, sia dalla circostanza che il fuoco, al momento del suo spegnimento, aveva già danneggiato il soffitto in muratura, con pericolo per lincolumità delle persone che abitavano nel fabbricato). Ne consegue che solo nellipotesi in cui lagente, pur proponendosi di danneggiare la cosa altrui, tuttavia per i mezzi usati e per la vastità e le dimensioni del risultato raggiunto, ha realizzato un incendio di proporzioni tali da mettere in pericolo la pubblica incolumità (caratteristiche queste non ravvisate nel caso in esame), deve rispondere del delitto di incendio doloso e non già del meno grave reato di danneggiamento seguito da incendio. Lulteriore differenza tra i due reati è poi rappresentata dallelemento soggettivo in quanto lelemento psicologico del delitto di cui allart. 423 c.p. consiste nel dolo generico (volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tenda ad espandersi e non possa facilmente essere contenuta e spenta) mentre il reato di cui allart. 424 è caratterizzato dal dolo specifico (consistente nel voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffato evento). Nel caso in esame va tenuto conto del fatto che al momento dellintervento delle parti offese le fiamme erano già spente e le porte erano già bruciate (Martinez: cera la porta bruciata, lo zerbino, quello che era davanti la porta, bruciato, poi tutti i muri anneriti, le porte dellinquilino dirimpetto tutte annerite; Avv. Galatolo: non cera più fuoco nel momento in cui lei è arrivato ? Guida: No, era già tutta bruciata), salvo che per il Romano che dovette invece spegnere le fiamme con alcune secchiate dacqua (ho visto la porta che bruciava in una maniera, insomma subito mi sono spaventato però subito ho avuto la prontezza di andare in bagno. A quel tempo tra laltro mancava anche lacqua nel nostro quartiere, quindi avevamo diciamo nel bagno raccolto dellacqua. Ho preso il secchio, insomma lho spento sto incendio). Ma che sia sorto effettivamente un pericolo di incendio lo si ricava dalla descrizione della scena fornita dal Martinez il quale ha fatto comprendere quali conseguenze anche più gravi potevano derivare dalla condotta degli imputati: MARTINEZ:
Dunque, aprii la porta e cera la porta di ingresso
che era bruciata, la parte bassa era addirittura bruciata
fino a quasi in fondo, no ?, fino a questi, non a fare il
buco, questo no. Ma per un bel po bruciata sino in
fondo e completamente annerita fino a sopra, fino al
tetto. Poi cera lo zerbino completamente
accartocciato, va bene, insomma aveva preso completamente
fuoco, poi vi erano le porte degli ascensori
completamente annerite, le porte dellinquilino che
sono due, dellinquilino dirimpetto, completamente
annerite e quelle che portano nella scala, insomma il
tetto era tutto completamente annerito. Se dunque per le concrete modalità operative non può ritenersi che gli imputati vollero appiccare un incendio è comunque dimostrato dalle loro stesse azioni e dalle conseguenze che ne derivarono come in ragione della loro condotta sorse indubbiamente il concreto pericolo di un incendio, ancorché come conseguenza non voluta dellazione commessa (mirante ad una finalità esclusivamente intimidatoria), di guisa che è certamente ravvisabile il delitto continuato di cui allart. 424 comma 1 c.p. con tutte le aggravanti contestate ex art 425 n. 2 c.p. (fatto commesso su edifici abitati), 61 n. 5 (fatto commesso in tempo di notte e dunque in circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la pubblica e privata difesa) e 7 D.L. n. 152 del 1991 (finalità di favorire lassociazione mafiosa), ma con esclusione del nesso teleologico che peraltro non è neppure specificato nella formulazione del capo di imputazione. Con riferimento alle ragioni che ispirarono la deliberazione del delitto ed alle finalità che gli agenti perseguirono già ampiamente illustrate sussiste indubbiamente anche la contestata circostanza aggravante di cui allart. 7 D.L. n. 152 del 1991 che prevede un aumento di pena da un terzo alla metà per delitti, punibili con pena diversa dallergastolo, commessi avvalendosi delle condizioni previste dallart. 416 bis c.p. ovvero, come nel caso in esame, allevidente fine di favorire lassociazione mafiosa ed agevolare le attività mafiose. La ratio della disposizione di cui allart. 7 del D.L. 152 del 1991 è quella di punire con pena più grave coloro che commettono reati utilizzando metodi mafiosi o con il fine di agevolare le associazioni mafiose, e dunque essenzialmente quella di contrastare in maniera più decisa, stante la loro maggiore pericolosità e determinazione criminosa, latteggiamento di coloro che pongono in essere una condotta idonea ad esercitare sui soggetti passivi quella particolare coartazione o quella conseguente intimidazione propria delle organizzazioni della specie considerata (in tal senso Cass. Sez. VI sent. n. 582 del 19/2/1998 9/4/1998). Giova
poi evidenziare che secondo la giurisprudenza delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n.10 del
28 marzo 27 aprile 2001, Pres. Vessia) la
circostanza aggravante, prevista dallart. 7 D.L. 13
maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991
n. 203, nelle due differenti forme dellimpiego del
metodo mafioso nella commissione dei singoli reati e
della finalità di agevolare, con il delitto posto in
essere, lattività dellassociazione per
delinquere di stampo mafioso, è configurabile anche con
riferimento ai reati-fine commessi come nel caso
in esame dagli stessi appartenenti al sodalizio
criminoso (cfr. anche Cass. Sez. I sent. n. 5839 del
24/11/1998 26/3/1999; Cass. Sez. 1, 18 novembre
1998 n. 5711; Sez. VI sent. n.3304 del 2/9/1997
18/9/1997; Cass. Sez. I sent. n. 5711
del 18/11/1998 4/3/1999 secondo cui non
sussiste incompatibilità tra la ritenuta appartenenza ad
associazione mafiosa e laggravante di cui
allart. 7 del D.L. n. 152 del 1991, contestata
relativamente ai reati-fine realizzati. E invero non
vè necessaria coincidenza che possa giustificare
lassorbimento dellambito di operatività di
detta norma in quello dellart. 416 bis cod. pen.,
perché da un lato anche il non associato a sodalizi
criminosi può agire con metodi mafiosi o sfruttare
comunque la situazione ambientale da tali sodalizi
realizzata, dallaltro lassociato non
necessariamente deve avvalersi della forza intimidatrice
dellorganizzazione di appartenenza, neanche per
realizzare reati-fine). Laggravante prevista dallart. 7 è dunque applicabile ai singoli reati-fine commessi dal soggetto appartenente ad una associazione a delinquere di stampo mafioso ed è configurabile anche quando il delitto cui accede concorra con quello di cui allart. 416 bis c.p.. Ed
invero una cosa è partecipare ad unassociazione
per delinquere e cosa diversa è commettere un reato,
anche se rientrante nel programma associativo,
avvalendosi del metodo mafioso o al fine di agevolare
lattività dellassociazione: in tali
ipotesi, infatti, la condotta mafiosa caratterizza il
momento specifico della commissione del reato-fine,
mentre nel reato associativo rappresenta una
caratteristica permanente dellazione criminosa
(cfr. anche Cass. Sez. I , 13 giugno 1997 n. 4140,
DAmato e altri; Cass. Sez. I sent. 4117 del 1997
secondo cui la circostanza aggravante prevista
dallart. 7 D.L. n. 152 del 1991 è compatibile con
la qualità di associato ad organizzazione criminale di
stampo mafioso: in motivazione la S.C. ha suffragato il
suo assunto sul rilievo che, da un lato, anche il non
associato a sodalizi criminosi può agire con
metodi mafiosi e, dallaltro, che
lassociato no necessariamente deve valersi della
forza intimidatrice derivante dal vincolo mafioso o agire
per fini propri dellassociazione). Ritiene il Tribunale che gli imputati, tutti gravati da plurimi precedenti penali di rilevante gravità, tenuto conto dei criteri direttivi di cui allart. 133 c.p., ed avuto riguardo in particolare alla estrema gravità della condotta criminosa ascritta concretatasi nella deliberazione e partecipazione ad una azione delittuosa dal grave carattere intimidatorio ai danni di tre inermi cittadini colpevoli solo di essere impegnati nel sociale, azione criminosa riconducibile quale matrice alla più pericolosa e sanguinaria organizzazione mafiosa operante nel paese, vanno dunque condannati ad una pena che si stima congruo determinare in anni sei di reclusione ciascuno (pena base, per il fatto-reato commesso ai danni del Romano ritenuto il più grave, ex art. 424 comma 1 c.p.: anni due di reclusione + art. 425 n. 2 c.p. = anni 2 e mesi 8 di reclusione + art. 61 n.5 c.p. = anni 3 e mesi 6 di reclusione + ½ ex art. 7 DL 152/91 = anni 5 e mesi 3 di reclusione + art. 81 c.p. = anni 6), nonché in solido al pagamento delle spese processuali. I predetti vanno altresì dichiarati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante lespiazione della pena. Graviano Giuseppe, Graviano Filippo, Cascino Santo Carlo, Federico Vito, Spatuzza Gaspare e Mangano Antonino vanno altresì condannati in solido al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili costituite Martinez Giuseppe e Associazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio in persona del suo legale rappresentante pro-tempore nonché alla refusione delle spese processuali, che si liquidano per ciascuna delle predette parti civili, come da note spese depositate, in complessivi euro 2.258,01 di cui euro 30,99 per spese, oltre IVA e C.P.A. come per legge. Ai sensi dellart. 539 c.p.p. va assegnata alle predette parti civili Martinez Giuseppe e Associazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio, ricorrendone le condizioni di legge, una provvisionale immediatamente esecutiva come per legge, rispettivamente di euro 10.000,00 ed euro 20.000,00. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., 29 e 32 c.p. dichiara Graviano Giuseppe, Graviano Filippo, Cascino Santo Carlo, Federico Vito, Spatuzza Gaspare, Mangano Antonino colpevoli del reato continuato e aggravato di danneggiamento seguito da incendio di cui allart. 424 comma 1 c.p. loro in concorso ascritto, esclusa laggravante del nesso teleologico, e li condanna alla pena di anni sei di reclusione ciascuno nonché in solido al pagamento delle spese processuali. Dichiara i predetti imputati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante lespiazione della pena. Visti gli artt. 538 e segg. c.p.p., condanna Graviano Giuseppe, Graviano Filippo, Cascino Santo Carlo, Federico Vito, Spatuzza Gaspare, Mangano Antonino in solido al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili costituite Martinez Giuseppe e Associazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio in persona del suo legale rappresentante pro-tempore nonché alla refusione delle spese processuali, che si liquidano per ciascuna delle predette parti civili, in complessivi euro 2258,01 di cui euro 30,99 per spese, oltre IVA e C.P.A. come per legge. Assegna alle predette parti civili Martinez Giuseppe e Associazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio una provvisionale immediatamente esecutiva rispettivamente di euro 10.000,00 ed euro 20.000,00. Fissa il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. Palermo 25 ottobre 2003 Il Presidente estensore Salvatore Barresi |
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