" La Passione"

 

di wanda piccinonno

 

Le infamie nefande perpetrate ad Abu Ghraib che richiamano il film pasoliniano "Salò ", la decapitazione del giovane americano , i brandelli di corpi esibiti come trofei , lo spettacolo in diretta della barbarie , le quotidiane stragi degli innocenti , evocano la figura di Cristo , deriso , sputato , colpito , lapidato , inchiodato , ucciso sulla croce .

La " Passione " , magistralmente descritta dal film di Mel Gipson , si rivela così un’efficace rappresentazione del corpo globalizzato , palesemente attraversato da orrori , massacri e da un’inquietante drammaticità mortuaria .

Partendo da queste premesse , da non-credente , da materialista e laica , vorrei percorrere le " Stazioni " della Passione postmoderna , valicando gli spazi precipuamente sacri e focalizzando l’attenzione sull’inferno globalizzato .

D’altra parte , l’analogia non è azzardata , perché per negare le pulsioni di morte e per confrontarsi con l’ Amore , la cifra assoluta è la croce di Cristo , che perennemente esprime la disumanità del mondo e , per contrasto , spinge a delineare le fondamenta di un mondo altro .

Vero è che il desiderio di resurrezione dei corpi si imbatte in una dura e complessa realtà fattuale , vuoi perché l’orgia dei poteri celebra i suoi fasti , vuoi perché persiste un fuorviante manicheismo ideologico , che obnubila la capacità critica e che reitera vecchie categorie .

Il dilagare di devastanti pre-giudizi , infatti , conferma che le crudeli lezioni della storia non insegnano alcunchè .

Ciò è suffragato dal fatto che la categoria amico-nemico , sia pure in guise diverse , continua a campeggiare anche in coloro che rivendicano legittime istanze liberatorie . In realtà , un lucido approccio fenomenologico mostra che l’intricata fase odierna richiede una radicale rottura epistemologica e , al tempo stesso , significativi esercizi di senso . In altri termini , la situazione di eccezione , pur stando sempre " dalla parte dei senza parte ", impone una sorta di controrivoluzione preventiva , che sia in grado di penetrare nel complesso coacervo di elementi che caratterizzano il globalismo armato .

Purtroppo , al di là della retorica umanitaria delle "anime belle ", si registra una sorta di coazione a ripetere , che di fatto inficia un autentico orizzonte di liberazione . Difatti , sussistono le suggestioni nefaste di un ideologismo di maniera , che emergono da alcuni articoli pubblicati su giornali di sinistra . Questi ultimi non hanno riservato lo stesso spazio alle vittime torturate ad Abu Ghraib e alla barbara esecuzione dell’americano Nick Berg , che è stata non solo descritta in modo sommario , ma molti articolisti si sono anche soffermati sul dettaglio che l’americano era un appaltatore .

Ciò significa che , in nome di obsolete e fuorvianti categorie concettuali , il "nemico "può essere sgozzato al di là di ogni ragionevole dubbio .

Purtroppo , il manicheismo ideologico si manifesta anche per la spinosa e drammatica questione palestinese , tant’è che sistematicamente si sottovalutano le vittime israeliane . Onde evitare gli strali di qualche mostro sacro della sinistra , e pur riconoscendo la giustezza indiscutibile della causa palestinese , sono necessarie alcune precisazioni . Intanto , tengo a sottolineare che non condivido il " sermone " sulla non-violenza tout court , tanto caro al teatrante Bertinotti . Il suddetto personaggio, d’altra parte, rappresenta l’assurdo del crinale fra bello e brutto , buono e cattivo . Detto ciò , dando per acquisita la condanna perentoria alla politica di conquista israeliana e alla aberrante colonizzazione della Palestina, giova ricorrere alle illuminanti considerazioni di Etienne Balibar , che scrive :" Sul piano della giustizia e del diritto, questo conflitto non comporta una demarcazione assoluta - non si tratta di una guerra dei " cattivi " contro i "buoni " - ma presenta uno squilibrio flagrante , che si è accentuato incessantemente " .

Inoltre , Balibar evidenzia le divisioni ideologiche e le lotte di clan della società palestinese, che sono state sistematicamente strumentalizzate dal governo israeliano . Sulla scorta delle osservazioni fatte , il grande intellettuale aggiunge : " Questa negazione dell’esistenza stessa del popolo palestinese , dalla Naqba al muro in costruzione , giustifica forse tutte le forme di resistenza ed in particolare il terrorismo a cui fanno ricorso , contro la popolazione civile israeliana , diverse organizzazioni , islamiche e non ? E’ doveroso porsi questo interrogativo, non soltanto per rispondere all’argomentazione di Israele e dei suoi paladini , ma per ragioni di fondo . E su un piano non soltanto morale , ma anche politico " . In realtà , sostiene Balibar ," il terrorismo paralizza , all’interno della società israeliana , la massima parte delle forze che potrebbero ribaltare la politica di conquista . Così facendo , mette in pericolo la possibilità di accordi provvisori , come quella di una riconciliazione dei due popoli , il che lascia spazio soltanto a prospettive nichilistiche in entrambi i campi ". E’ bene poi considerare un dettaglio non trascurabile , ossia che questa inquietante situazione alimenta " il concetto sacrificale dell’eroismo " e al tempo stesso reitera la nefasta categoria amico-nemico . Per fermare l’escalation degli orrori , sarebbe opportuno decostruire criticamente il volto minaccioso del nichilismo identitario , le forme estreme di nazionalismo e di etnicismo , la logica del confine , che di fatto distruggono il multiculturalismo e incrementano la potenza ordinativa della guerra .

Non senza ragione E . Balibar sostiene che dopo l’11 settembre , con le guerre in Afghanistan e in Iraq , si è imposta "la legge del peggio ", infatti , "la colonizzazione israeliana e la resistenza palestinese sono state catturate in un’economia di violenza mondiale , che tende a imporre ovunque la logica dello scontro frontale tra le " forze del bene " e le "forze del male " annientando in tal modo il significato intrinseco del conflitto".

Risulta evidente che , oggi , per via di un contesto radicalmente metamorfosato , le griglie interpretative devono essere adeguate e pertinenti , onde evitare la rivisitazione di categorie obsolete , che di fatto si rivelano deleterie per un’analisi controfattuale .

Partendo da questi presupposti , va aggiunto che per quanto concerne la resistenza irachena , peraltro più che legittima , bisogna operare alcuni distinguo . Facendo esplicito riferimento ad Al Sadr conviene rilevare che questo "carismatico " personaggio non può essere percepito come una sorta di eroe della liberazione . Occorre ricordare , infatti , che Al Sadr aspira alla costruzione di una reppubblica islamica all’iraniana . Pur prendendo atto che la pacificazione risulta problematica , è necessario ribadire che le rivendicazioni e il diritto di sovranità del popolo iracheno sono indiscutibili .

A questo punto è quasi doveroso focalizzare l’attenzione sul problema del terrorismo. Quest’ultimo nella fase odierna si inscrive nelle lotte di potere tra le differenti èlites imperiali , sicché il fenomeno va messo in rapporto con la violenza preventiva , con il progetto unilaterale statunitense , con l’imbarbarimento planetario politico ed etico .

In quest’ottica i kamikaze assumono il ruolo di vittime delle complesse e intricate strategie imperiali .

In realtà , demistificando le complicità , le omissioni , il delirante gioco dei poteri , emerge un dato , ossia che le guerre preventive , le guerre sante ,l’ideologia del martirio , il terrorismo , sono fenomeni simmetrici che riducono tutto all’Uno .

Intanto le brutali " Stazioni " della Passione postmoderna si rivelano sempre più cruente e macabre , infatti , l’atroce stillicidio quotidiano mostra l’utilizzo barbaro della forza , corpi dilaniati , teste mozzate , cadaveri ammucchiati , colpi di cannone : in altre parole , le immagini devastanti della morte .

Purtroppo , in questo scenario fosco e drammatico , la legittima e fumante indignazione non riesce a trovare il terreno adeguato per rompere l’oscena spirale di violenza .

La verità è che per evitare la crocifissione dei corpi desideranti e per promuovere la catarsi planetaria , si dovrebbero tracciare dal basso le coordinate di un’autentica liberazione .

Vero è che il desiderio di resurrezione dei corpi si imbatte in un generico pacifismo e nelle complicità della politica ufficiale , e ciò concede solo un esiguo spazio all’ottimismo .

Ma a questo punto è lecito porre i seguenti quesiti : come si può esercitare la compassione per generare una concreta universalità ? Come annientare il nichilismo delirante ? Come sostituire alla globalizzazione dell’odio quella della solidarietà ? Come negare la logica pervasiva del potere ? Come recuperare il senso del mondo ? Al di là delle bandiere equivoche , al di là di ogni pregiudiziale teologica , al di là dell’ideologismo , al di là dell’apparato propagandistico , si dovrebbe optare per una radicale mutazione antropologica .

Ciò detto , conviene risalire alle complesse dinamiche che hanno via via determinato lo status quo . Va sottolineato , però , che il mondo non è mai stato un Eden in cui regnavano sovrani l ‘ Amore e la giustizia . Non senza ragione Marx sostiene che " la storia di ogni società esistita fino a questo momento , è storia di lotta di classi - Liberi e schiavi , patrizi e plebei , baroni e servi della gleba … in breve , oppressori ed oppressi " .

Assodato che tutto l’iter storico offre lo spettacolo osceno del Potere , è opportuno cercare di mettere a fuoco i momenti salienti che hanno via via generato il globalismo armato .

Innanzitutto , per cercare di districare il complesso bandolo dell’odierna matassa bisogna risalire alla metà degli anni Settanta , " alla catastrofe che si è consumata dall’alto dei modi di produrre con un’alterazione dello stesso paesaggio in cui il conflitto si inscriveva " ( P. Virno ) . Successivamente , all’inizio degli anni Ottanta , la rivoluzione conservatrice Reagan-Thatcher , ha contribuito all’estensione della selvaggia globalizzazione neoliberista . Con la mitica caduta del Muro poi si sono celebrati i fasti dell’imbarbarimento planetario .

A questo punto è opportuno insistere sulle caratteristiche multidimensionali del globalismo. Per quanto concerne il termine, va rilevato che esso era stato usato già nel 1972 , da George Modelski per descrivere il colonialismo europeo e la costituzione - attraverso esso- di un sistema commerciale mondiale . Anche gli storici Immanuel Wallerstein e Fernand Braudel avevano usato l’espressione affine di " economia-mondo ".

Ma quali sono gli elementi che differenziano l’ internazionalizzazione dell’economia e la mondializzazione ? La prima era governata dagli Stati-nazione , la globalizzazione , invece, si basa soprattutto sullo sviluppo di imprese multinazionali che trasferiscono capitali e risorse in aree diverse da quelle originarie , costituendo così una fittissima rete di raccordi fra centri direzionali e filiali . Da qui le imprese trans-nazionali , la dislocazione della produzione in zone con bassi salari e lo spostamento delle fonti di profitto dalla sfera produttiva a quella finanziaria , la liberalizzazione dei mercati valutari mondiali e dei flussi finanziari , che rendono i movimenti di capitali indipendenti dal commercio di prodotti e di servizi . Inoltre , la bomba informatica , la virtualizzazione dell’attività economica, l’intensificarsi delle migrazioni di massa , la mobilità trasversale della forza-lavoro , la deterritorializzazione della produzione , la militarizzazione della società , la privatizzazione dei beni e dei sevizi , la logica pervasiva dell’impresa , le politiche della precarizzazione e dell’esclusione , lo smantellamento dello Stato sociale , la scomparsa del sistema westfaliano degli Stati sovrani , hanno generato un’autentica rottura epocale e una nuova geografia del potere . Stando così le cose non può destare stupore che l’odierna barbarie economica –sociale e culturale comporti miseria , contraddizioni , schiavitù , razzismo istituzionale, la proliferazione di elementi di disordine , di instabilità e di rischio .

In questo contesto inquietante e destabilizzante va inscritto il passaggio dalla " guerra moderna " alla guerra globale . La prima era una guerra fra Stati sovrani , sottoposta alle norme del diritto internazionale , con la guerra globale , invece , emerge un autentico salto di paradigma , vuoi perché non è condotta fra Stati , vuoi perché si registra l’espulsione del diritto internazionale , vuoi perché è di fatto ordinativa e repressiva .

Ricostruendo gli avvenimenti si evince che dopo la fine della Guerra fredda gli Stati Uniti assumono un ruolo centrale nella formazione e nella legittimazione dell’ordine imperiale .

Di più , dopo la fine dell’ " Impero del Male " , gli Stati Uniti , consapevoli di essere la sola superpotenza economica e politica , introducono un nuovo codice in cui la guerra globale rappresenta lo strumento più efficace del disegno egemonico planetario .

Va precisato che già con la Guerra del Golfo del 1991 si delinea l’economia di guerra permanente . Ciò è suffragato anche dal fatto che il ministro della difesa Cheney affermò : " La guerra contro Saddam costituisce solo un esempio dei conflitti che sarà inevitabile affrontare nella nuova era " . Da qui , sostenne ancora Cheney , la necessità di " compiere azioni preventive o di debellare rapidamente ogni sorta di minaccia regionale ".

Ma a questo punto è bene menzionare le tappe di questo processo : la Guerra del Golfo del 1991 , la guerra dei Balcani dal 1991 al 1999 , la guerra in Afghanistan del 2001 , la guerra in Iraq .

Da questa sommaria ricostruzione si rileva che la guerra globale viene assunta dagli Stati Uniti prima dell’attentato dell’11 settembre . Quest’ultimo , però , per via degli effetti dirompenti , ha incrementato il disegno di egemonia planetaria e un ‘ obsoleta forma di unilateralismo . Difatti , come ha osservato Michael Hardt , dopo l’attentato dell’11 settembre , Bush ha fatto un colpo di stato per governare il mondo . Giova ricordare , inoltre, che l’ ONU ha autorizzato gli Stati Uniti a prendere tutte le misure utili per debellare il cosiddetto "terrorismo internazionale ".

Ciò detto , conviene evidenziare che , come vuole Antonio Negri , l’espansione imperiale non ha nulla a che fare con l’imperialismo , perché " contro questo imperialismo , l’ Impero estende e consolida il modello della rete dei poteri " .

Al di là di queste considerazioni il dato emergente è che le mire egemoniche degli Stati Uniti continuano ad imporre le guerre preventive contro "l’asse del Male ", contro ogni forma di non-allineamento e di dissidenza . Per quanto concerne il " multilateralismo " europeo , va sottolineato che esso ha assunto provvedimenti , che di fatto si adeguano alla dottrina di Bush . Basti pensare al mandato d’arresto europeo , alla " Decisione quadro contro il terrorismo ", che considera terroristico qualsiasi " atto intenzionale " , teso a destabilizzare "le strutture economiche o sociali di un paese , che determini la distruzione di proprietà private e che generi perdite economiche considerevoli ". Inoltre , l’articolo 40 della Convenzione Europea parla esplicitamente di "prevenzione dei conflitti ".

Intanto mentre un’altra Europa si rivela solo una speranza , si stanno consumando gli abusi più barbari e ripugnanti .

Ma per evitare di cadere nei trabocchetti dell’ideologismo di maniera è bene rimuovere tutte le devastanti forme di settarismo , perché se i dannati della terra hanno il diritto di resistere allo status quo , è altresì vero che guerra e terrorismo sono simmetrici .

Non senza ragione Tahar Ben Jelloun afferma : " Osama Bin Laden rappresenta il segreto di famiglia dell’America . Il doppio mistero del suo presidente . Il gemello selvaggio di colui che si gloria di essere un campione di onestà e di civiltà . Bush e Bin Laden hanno usato la stessa terminologia . Ciascuno rappresenta la testa del serpente agli occhi dell’altro . Ed entrambi non cessano di invocare Dio …".

Vero è che il nome di Dio è stato sempre profanato , basti pensare alle Crociate , alla Santa Inquisizione , ai deprecabili misfatti della Chiesa cattolica .

In realtà , oggi , Dio , Allah e Maometto sono diventati gli strumenti di una cieca violenza planetaria .

Risulta quindi evidente che è proprio l’osmosi dell’orrore globalizzato che spinge a rievocare l’icona insanguinata del Dio-incarnato . Da qui la necessità della resurrezione dei corpi desideranti , che invocano pace , libertà , giustizia , Amore .

Dalle argomentazioni fin qui condotte si evince che sarebbe fuorviante demonizzare il mondo musulmano , così come sarebbe erroneo l’antiamericanismo di maniera . Schivando, invece , tutte le generalizzazioni demagogiche , occorre rimarcare che l’integralismo musulmano non va percepito come l’impero del male , così come Bush non può rappresentare gli americani , anche perché il presidente armato è solo l’espressione degli interessi dell’industria siderurgica e petrolifera . Inoltre , la riproduzione statunitense dell’imperialismo Ancien Règime si rivela fuori tempo rispetto al multilateralismo imperiale , sia perché " si scontra con una configurazione sempre più policentrica dell’economia globale " ( C. Marazzi ) , sia perché la nuova cartografia imperiale contrasta ogni tentativo di egemonia di un unico soggetto statuale .

Ciò è anche suffragato dalla catastrofe della guerra irachena , che , sia pure in guise diverse, rivisita la guerra del Vietnam .

Detto ciò , bisogna ribadire che , oggi , operare un distinguo tra falchi e colombe , tra buoni e cattivi , risulta quanto mai arduo . Difatti , sarebbe puerile fidare in quelle che Antonio Negri definisce "aristocrazie globali "( es. tedesca e francese ) . Pertanto , pur non sottovalutando le posizioni della Francia e della Germania , e pur apprezzando la coraggiosa iniziativa di Zapatero , occorre tener fermo che i suddetti paesi non sono altro che "aggregati di interessi capitalistici nazionali e multinazionali" .

Intanto , mentre i rappresentanti dei poteri globali perseverano nelle pratiche del compromesso e dell’impostura , tradendo la verità e beffando la giustizia , le "Stazioni " della "Passione " mostrano il volto drammatico della tortura , della repressione , della morte .

Ciò non solo richiama gli esempi più beceri dell’imperialismo ottocentesco e del totalitarismo novecentesco , ma rimanda anche alle forme più ancestrali della violenza .

Malgrado le apparenti analogie con i vecchi imperialismi , e nonostante i palesi disegni che intendono controllare i giacimenti petroliferi in Medio Oriente , l’assetto odierno rivela una rottura epocale . Difatti , le ambizioni imperialiste del governo Bush si scontrano con i poteri multilaterali e con le dinamiche del capitale collettivo .

Ma constatando che le risoluzioni onusiane vengono percepite come la panacea di tutti i mali , sono doverose alcune considerazioni .

Notoriamente , dopo la Seconda Guerra mondiale , nacque l’Organizzazione delle Nazioni Unite , che doveva assolvere l’alta funzione di garantire la pace con un governo cosmopolita della terra . In realtà , non solo alcuni paesi rimasero esclusi dall’ambizioso progetto , ma continuò anche a persistere un rapporto sproporzionato tra Primo mondo e Terzo mondo . Inoltre , durante la guerra fredda si manifestò in modo palese che la difesa della pace era intrinsecamente connessa alla superpotenza egemone . Dopo la fine del bipolarismo il ruolo dell’Onu è diventato sempre più evanescente , vuoi perché l’Organizzazione è di fatto subalterna alla volontà di potenza - Usa , vuoi perché si rivela anacronistica e inadeguata rispetto allo scenario globale , vuoi perché non è in grado di governare i complessi conflitti del capitalismo imperiale , vuoi perché "il diritto di ingerenza" viene applicato ai più deboli e non ai potenti .

Il ricorrente appello all’ Onu risulta , dunque , una sorta di foglia di fico illusoria , ma strumentale per i professionisti della politica ufficiale .

Sicché , constatando la delegittimazione e l’erosione del diritto internazionale , è opportuno porre alcuni interrogativi : come annientare la spirale dell’orrore globale ? Come evitare che le " Stazioni " dei dannati della terra si concludano con una crocifissione ? Come espellere dalla storia la cultura della guerra ? Come promuovere una rivoluzione culturale che includa il coinvolgimento civile e razionale dentro / e fuori la storia ? Indubbiamente debellare lo stato di guerra permanente non è un’impresa facile , anche perché la società umana , fin dal neolitico , è stata organizzata in funzione della guerra . Ma considerando che la guerra globale presenta tratti inediti conviene insistere sull’argomento .

Oggi la guerra non è più , come voleva Clausewitz , prosecuzione della politica con altri mezzi , perché è la guerra stessa che assolve funzioni politiche . Difatti l’arbitrio poliziesco imperiale pervade tutto l’assetto sistemico , tant’è che investe le istituzioni , le pratiche militari , l’ideologia della sicurezza . Se l’impianto bellico è globale, è altresì vero che paradossalmente esso viene anche legittimato da forme di patriottismo e di nazionalismo, basti pensare alle missioni di pace e al dilagare di una nuova tipologia dell’eroismo .

Demistificando quindi la retorica patriottica , conviene fermare l’attenzione sul nazionalismo, perché esso contribuisce a rendere illusoria e velleitaria l’idea della pace .

"Il nazionalismo è un’ideologia organica legata a filo diretto con le istituzioni nazionali che si fonda sul principio di esclusione , su " frontiere " visibili o invisibili ma sempre materializzate nelle leggi e nelle pratiche . L’esclusione è l’essenza stessa della forma nazione che si materializza attraverso l’accesso ineguale o " preferenziale " a certi beni e a certi diritti a seconda che si sia nazionali o stranieri , appartenenti o meno alla comunità " ( E . Balibar ) .

E’ evidente che l’deologia nazionalista è intrinsecamente connessa ad una violenza strutturale , che implica l’esclusione , il razzismo , la xenofobia . Pertanto , per evitare " il peggio a venire " , occorrerebbe riflettere sulle competizioni nazionalistiche emerse nell’Unione Europea con la Carta di Nizza . La cultura della pace richiede , dunque , non solo il riconoscimento dell’Altro e della dignità della differenza , ma anche una significativa e dirompente rivoluzione delle dinamiche di emancipazione .

D’altra parte , constatando che la parola " rivoluzione " è stata sempre tradita e stuprata , si impone perentoria l’esigenza di una radicale trasvalutazione di valori , che dovrebbe inglobare una presa di coscienza individuale e collettiva .

Preso atto che l’iter della liberazione è pregno di funghi velenosi e che le rappresentazioni del laido si perpetuano , per tentare di delineare una cultura altra , giova ricorrere a un incisivo racconto dei Fioretti di S. Francesco . Quest’ultimo , nella fiaba della conversione del lupo , dice : " Tu sei degno delle forche come un ladro e un omicida pessimo ….. Ma io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male " . Il dialogo di Francesco e del lupo si rivela via via un autentico patto sociale , perché mette in luce che le malefatte del lupo sono intrinsecamente connesse alla responsabilità del popolo . In altri termini , Francesco è consapevole che il popolo deve ravvedersi e promettere al lupo " ogni dì le cose necessarie" .

La conclusione della parabola è estremamente feconda , perché quando Francesco chiede a frate lupo di scrivere con un gesto pubblico quanto gli aveva promesso nel colloquio privato , e quando il popolo promette di nutrirlo , " allora il lupo levando il piè ritto , sì il puose in mano di Santo Francesco ". La pace era fatta .

Il senso della fiaba , come ha osservato E. Balducci , è chiaro : convertire un nemico vuol dire anche convertirsi , vuol dire che la pace non sta nello spartire da un lato la ragione e dall’altra il torto , vuol dire superare le ragioni unilaterali che alimentano il conflitto e accogliere la ragione comune su cui basare la fraterna convivenza .

La parabola francescana è indubbiamente pregnante e significativa , vuoi perché valica il diaframma spiritualistico , vuoi perché rifiuta ogni logica del potere , vuoi perché mostra che la cultura della pace è connessa ad un processo rivoluzionario che investe la nostra coscienza , la cultura , la politica .

L’istanza rivoluzionaria deve dunque prescindere dalla logica devastante della presa del potere , perché , come sosteneva Elsa Morante , " se in nome della rivoluzione si riafferma il potere , questo significa che la rivoluzione era falsa , o è già tradita . Qualunque rivoluzionario ( foss’anche Marx o Cristo ) che si riadatti al Potere ( o assumendolo , o amministrandolo , o subendolo ) da quel momento stesso cessa di essere un rivoluzionario, e diventa uno schiavo e un traditore " .

In realtà , facendo un excursus storico , si rileva che in nome della rivoluzione si sono perpetrati i più atroci crimini , sicché sarebbe opportuno demistificare vecchie categorie per ridimensionare la statura di alcuni "rivoluzionari ".

Ne consegue che si dovrebbero rimuovere i paradigmi dietrologici e tutte le forme di manicheismo ideologico , che obnubilano il pensiero critico e che inficiano una decostruzione efficace sulla " Passione " del mondo globalizzato .

Pertanto , pur non sottovalutando le condizioni di possibilità odierne , e pur apprezzando il nuovo protagonismo sociale , per evitare di cadere nelle trappole di un acritico ottimismo , bisogna rimarcare che i processi di liberazione continuano ad essere attraversati da una sorta di acuta claustrofobia . Basti pensare all’antiamericanismo , alla recrudescenza dell’antisemitismo , alla rivisitazione della categoria amico-nemico , alle forme di ribellismo autolesionista .

Ciò significa che per negare la metafora manichea del Bene contro il Male , per eliminare il Vangelo dell’odio , per rifiutare la violenza mercificante del Potere , per rendere operante la cittadinanza universale della " Città degli uomini ", bisogna attivare esercizi di senso .

A questo punto , constatando che la questione palestinese si rivela centrale per una possibile soluzione dei problemi , conviene ricorrere alle osservazioni di due ebrei italiani , che hanno vissuto la tragedia delle persercuzioni razziali ad opera dei nazi-fascisti e che hanno espresso due posizioni antitetiche . Natalia Ginzburg sostiene" di aver sempre sperato che Israele diventasse un piccolo paese inerme , raccolto , in cui ogni ebreo fuggito dall’Europa conservasse la propria fisionomia gracile , amara , riflessiva e solitaria . Purtroppo essi non hanno conservato questi tratti che noi amiamo oggi nell’uomo : questa trasformazione è stata una delle cose orribili che sono accadute ; anzi gli ebrei si sono trasformati in una nazione potente , aggressiva e vendicativa di fronte alla quale stanno gli arabi oppressi , poveri contadini e pastori ". Ma alla scrittrice Arrigo Levi rivolge due domande : " Non pensa che le origini della disperazione dei terroristi sono anche colpa degli arabi , né contadini né pastori , ma ricchi borghesi , inquieti intellettuali , ambiziosi militari e politici, che invece di accogliere come fratelli e integrare nella loro terra , i poveri profughi di Palestina , li hanno tenuti per vent’anni nei campi di concentramento ? Non crede che i dirigenti arabi abbiano qualche colpa per aver coltivato nello spirito di quegli avvenimenti sentimenti di disperazione e orrendi propositi terroristici , solo perché di queste cose si nutriva il loro potere ?…..Non sono per niente convinto -soggiunge Levi – che Israele sia , per diritto , sempre nel giusto , per diritto sempre innocente ; mi tormenta l’ingiustizia di fatto subita dagli arabi profughi in Palestina ; mi chiedo ogni momento come si possa correggerla ….. Penso che il solo modo ragionevole e umano perché si possa risolvere al meno peggio un conflitto tra opposte ragioni sia di discutere , di trattare , di ricercare un compromesso ".

Se in entrambe le posizioni emergono elementi veritieri , è altresì vero che oggi la situazione è diventata più complessa . Da qui la necessità di ribadire che nel mondo "uno" e "pieno " della globalizzazione ogni conflitto va contestualizzato .

Il fatto inquietante è che la volontà imperialista dell’amministrazione Bush , le palesi contraddizioni e le ambiguità dell’Unione Europea , la crisi di aggiustamento strutturale che si manifesta su scala mondiale , non concedono spazio all’ottimismo . Sicché , paventando una sorta di "soluzione finale " per tutti i dannati della terra e per tutti i pre-giudicati del pianeta , sarebbe opportuno riflettere su alcune categorie concettuali , per delineare un progetto politico non reattivo , ma creativo . In altri termini , se effettivamente si vuole costruire un mondo altro , occorre ricordare che la storia si configura come un susseguirsi di pratiche di potere rette dalla violenza che prende la forma del diritto . Enfatizzare , dunque, il diritto, o fidare in un vuoto universalismo giuridico , risulta opinabile e fallace . Ciò significa che se non si afferma "senza se e senza ma " l’amicizia sovrana , se non si scardina l’opposizione amico-nemico , se non si realizza la permanenza dell’alterità , allora , come sosteneva Clausewitz , la pace non è altro che il proseguimento della guerra .

Le considerazioni fatte mettono il luce che un unico metodo di demistificazione risulta riduttivo , sicché sarebbe auspicabile avvalersi di una sorta di fenomenologia del sacro , intesa come propedeutica alla rivelazione del senso .

Ciò detto , continuando a smascherare le fandonie globali bisogna negare l’assunto dello scontro di civiltà tra Occidente ed Islam . In realtà , questo paradigma si rivela infondato e strumentale , tant’è che altera e falsifica anche gli avvenimenti storici .

Facendo un excursus storico , si evince che l’attività culturale dell’Occidente nel secolo XII fu stimolata dai rapporti con il mondo orientale , e soprattutto con gli Arabi . Il mondo arabo aveva infatti già assimilato , nei secoli precedenti , l’eredità della filosofia e della scienza greche , che ancora rimanevano in gran parte ignote alla cultura occidentale . Inoltre , e forse appunto per questo , la filosofia araba appariva ai pensatori occidentali come la manifestazione stessa della ragione , e quindi come una forza di liberazione dalle pastoie della tradizione .

La cultura araba , dunque , si inscrive nella tradizione del pensiero occidentale , e non senza ragione Massimo Cacciari , attraverso una rivisitazione storica degli scismi e delle guerre , conclude che " gli occidenti sono una pluralità " e che " nell’Occidente c’è anche l’Islam ".

Assodato che la guerra di civiltà è una delle balle globali e che il terrorismo non discende dall’Islam , è lecito porre alcuni interrogativi : quali pulsioni di morte alimentano i kamikaze? Quali sono i meccanismi che consentono di ridurre la religione islamica ad un codice tribale ? Magdi Allam , esperto del mondo islamico , sostiene che " il musulmano che si getta nell’omicidio-suicidio ambisce una grandezza perduta dell’Islam , cerca la fragranza di un passato che non tornerà mai più ".

Se questa chiave di lettura è convincente , è altresì vero che gli uomini-bomba si rivelano ingenue vittime delle dinamiche perverse della globalizzazione , che di fatto non consentono di stabilire una netta linea di demarcazione tra resistenza legittima e giochi di potere .

" Dobbiamo prendere atto della nascita di un terrorismo nuovo , di una forma di azione nuova che gioca e si appropria delle regole del gioco per meglio sconvolgerlo . Loro non soltanto non lottano ad armi pari , in quanto mettono in gioco la loro stessa morte ….ma si sono appropriati anche di tutte le armi della potenza dominante . Il danaro e la speculazione in borsa , le tecnologie informatiche, la dimensione spettacolare e le reti mediatiche : della modernità e della mondialità hanno assimilato tutto , senza cambiare obiettivo , quello di distruggerle " (J. Baudrillard ) .

Da qui le immagini terrificanti del Male planetario , che destabilizzano e indignano . Intanto , la società dello spettacolo celebra i suoi fasti , tant’è che la verità fattuale viene mistificata da perverse simulazioni e dalla guerra di immagini . Ciò significa che alla globalizzazione poliziesca , al terrorismo , occorre aggiungere il terrorismo dell’ informazione ". Se la "Passione " è attraversata dalla guerra di immagini , è altresì vero che la filosofia del terrore perpetra atroci crimini contro l’umanità , sicché pare quasi che il corpo di Cristo martirizzato , insanguinato , vilipeso ed oltraggiato , invochi pace , giustizia , amore per l’"Altro".

Vero è che la cultura della pace non ha mai avuto pieno diritto di cittadinanza , ma , oggi , il fatto inquietante è che la norma imperiale della violenza , la commistione fra tecno-capitalismo e fanatismo religioso , la mediatizzazione del terrore , rendono estremamente problematica la distinzione tra guerra e terrorismo . Le argomentazioni fin qui condotte evidenziano che bisogna rendere intelligibile la complessità del nuovo " disordine " planetario, vuoi per smascherare le manipolazioni opportunistiche dei professionisti della politica , vuoi per evitare semplificazioni , vuoi per negare i paradigmi dietrologici , vuoi per individuare le connessioni multidimensionali del contesto .

In realtà , al di là delle utopie , la costruzione di una democrazia a venire richiede soprattutto atti di resistenza che siano intellettuali e politici .

Ne consegue che la prassi della liberazione dovrebbe instaurare un rapporto fecondo tra coscienza e mondo . La filosofia della prassi impone , dunque , un inedito approccio antropologico , per recuperare appieno il senso del sé e per capovolgere l’ideologia imperante del mondo globalizzato . Il che evoca l ’idea di rivoluzione e al tempo stesso spinge ad un ripensamento . Difatti , per evitare una sopravvalutazione dell’autodeterminazione collettiva , giova concepire la rivoluzione in termini più ampi , fuori dalla logica della presa del potere e fuori dai paradigmi della formazione di avanguardie .

A questo punto si impone un interrogativo : qual è il ruolo del marxismo nel contesto odierno ? Al di là delle ricorrenti semplificazioni è opportuno ricordare una riflessione critica , avviata negli anni Settanta da Raniero Panzieri e Mario Tronti . Quest’ultimo ha lucidamente osservato che Marx , nella critica dell’economia politica riesce a individuare " gli sviluppi futuri del capitale fino ai giorni nostri " , nella critica della politica , invece, "non riesce ad andare al di là ….delle origini del capitalismo ".

Tronti aggiunge che la svolta storica determinatasi con il crollo dei paesi dell’Est ha posto in modo intensissimo , a coloro che continuano a richiamarsi al marxismo , l’esigenza di aggiornare i propri paradigmi di pensiero , o di definirne di nuovi , guardando , allo stesso tempo , a ritroso e in avanti . Ponendosi , dunque , con " le spalle al futuro", si dovrebbe recuperare " il materiale di pensiero " che la sconfitta storica del movimento comunista consente di salvare , per " mettersi in viaggio " , per "cercare ancora " l’elaborazione di "un altro dizionario politico ". In altre parole , la tesi è che l’opera di Marx debba essere "riguardata non nei suoi esiti , ma nei suoi fondamenti . Solo il pensiero normale è univoco . Le grandi teorie si aprono a opposti sviluppi " .

Purtroppo , al di là delle pseudo-teorie sulla non violenza , al di là del miscuglio di residui arcaici e di virtualità proletarie , al di là delle letture convenzionali della democrazia partecipativa , un mondo altro si rivela una suggestiva utopia .

Sulla scorta delle osservazioni fatte , e senza pretendere di elaborare teorie , conviene sottolineare che un processo autenticamente rivoluzionario , dovrebbe considerare complessi e variegati elementi .

Ciò detto , constatando la drammaticità mortuaria del presente , e da marxista non ortodossa, , vorrei rivisitare , " la sofferenza della crocifissione , intesa come espressione di una sofferenza umana , per ritrovare , nell’apparente assenza di Dio , la presenza di Dio : la croce - sosteneva Simone Weil - è la nostra patria " .

Partendo da questi presupposti , valicando la consueta demarcazione tra sacro e profano , rimuovendo le coordinate di un rozzo e ripugnante materialismo , ed auspicando un’attenta e vitale ricognizione materialialistica , è bene ascoltare la voce del Messia , nella consapevolezza che " la percettibile voce significante del Dio incarnato non spiega o descrive , ma realizza la presenza del Verbo nel mondo , quella presenza che è , a un tempo, pegno di salvezza e salvezza effettuale " ( Paolo Virno ).

Da qui l’esigenza di evidenziare la forte componente etica del " problema dell’Altro " , che riconduce vuoi al tema della differenza , vuoi al rapporto fra diritti individuali e diritti della comunità . Ciò significa che il fondamento dell’etica della liberazione dovrebbe essere l’intersoggettività , intesa in senso lato . D’altra parte , una profonda riflessione sul riconoscimento dell’altro non consente l’uso totalizzante delle nostre categorie interpretative .

Le suddette argomentazioni rimandano all’Alterità , rappresentata dalla donna . Il che comporta il radicale rovesciamento delle categorie di virilità e femminilità . " La virilità è, infatti , il simbolo del soggetto che non vuole farsi alterare dall’Altro , la femminilità è liberazione da questo senso di "proprietà " e di "chiusura " ( E. Lèvinas ).

E’ evidente che le esigenze insopprimibili dell’interiorità personale , dell’Alterità , del multiculturalismo, sono intrinsecamente connesse con l’impegno nel mondo e con l’assunzione di responsabilità politico-sociali .

Ciò presuppone la rimozione della logica del potere , del dogmatismo e di tutte le forme di ortodossia . Per innovare i rapporti tra gli individui e tra le culture, per delineare un compiuto orizzonte di senso , per liberare Sisifo dagli inferi , sarebbe , dunque , necessario un nuovo approccio antropologico che sia in grado , attraverso il riconoscimento dell’Altro , di debellare il perdurante androcentrismo e tutte le forme di ideologismo .

Per restituire voce agli esclusi , ai vinti , ai dannati della storia , si dovrebbe negare ogni residuo metafisico e , al tempo stesso , si dovrebbero espellere le categorie di un obsoleto e riduttivo economicismo .

Da qui la necessità di destrutturare il concetto acquisito di razionalità , per recuperare il senso autentico del mondo e per promuovere una vitale cultura dell’alterità .

Vero è che l’impresa presenta non poche difficoltà , vuoi perché sussistono linguaggi istituzionalizzati , vuoi perché la storia si rivela "un gioco di dominazioni " , e non un processo di senso .

Non senza ragione Foucault , facendo esplicito riferimento alla nozione nietzschiana di genealogia , propone una strategia di smascheramento di quelli che concepiamo come valori, cose in sé . La genealogia , sostiene Foucault , ci porta ad abbandonare il mito delle origini , nelle quali riposerebbe una stabile essenza delle cose . La verità è che il segreto della realtà risiede nel fatto che non ci sono essenze e che queste sono il prodotto di una costruzione storica che , in nome di " identità della ragione " , rimanda all’esclusione del diverso .

La storia quindi altro non è che storia delle differenze e delle lotte .

Pertanto , risulta evidente che il processo storico non può essere inteso come un iter necessario , lineare , deterministico , sicché rivisitare , oggi , l’impianto paradigmatico dell’imperialismo , significa sottovalutare le complesse dinamiche della governance imperiale, che poi definiscono l’attuale forma di sovranità . Preso atto che la madre dell’imbecillità continua a prolificare , tant’è che non mancano i cretini post-moderni , basti pensare allo slogan " 10- 100- 1000 Nassirya " , è bene rimarcare che una nuova narrazione richiede una radicale logica di rottura .

Dalle argomentazioni fin qui condotte emergono dati rilevanti , ossia che solo grazie ad un ampio processo di socializzazione , grazie a una prassi della differenza , e in virtù della politicizzazione dell’amicizia , si può approdare a uno stadio "ultraumano" , che superi le attuali capacità di riflessione per attivare un significativo salto di paradigma , che tenga ferme , però , le possibilità non realizzate della storia .

Una trasvalutazione di valori si impone , perché gli spiriti animali di un capitalismo energumeno , le immagini quotidiane dell’orrore ,la criminalizzazione dei vecchi e dei nuovi "altri ", le prerogative governamentali del potere , l’assoggettamento dei corpi , la mortificazione della carne , le stragi degli innocenti , richiamano il corpo oltraggiato del Dio incarnato , che spinge ad invocare una sovrabbondanza di carità , di solidarietà , di Amore .

E’ proprio l’esperienza del dolore e della sofferenza , quindi , che può rendere possibile la resurrezione dei corpi , e non il formalismo politico della burocrazia .

Onde evitare fraintendimenti , è bene precisare che la "resurrezione della carne " prescinde dalla concezione della immortalità dell’anima , infatti , essa va intesa in senso materialistico. Un’ontologia materiale , dunque , che accomuna " la forza rivoluzionaria del cristianesimo e il materialismo delle origini " . In altre parole , l’idea della divinità deve essere concepita come infinita e perenne potenzialità rivoluzionaria prodotta dal divino .

Non senza ragione Antonio Negri oppone alla tradizione neotestamentaria una linea materialistica , profondamente creazionista , che vede nei corpi e nella materia un sostrato fondamentale della vita . In quest’ottica la risonanza dell’esperienza religiosa è intrinsecamente connessa " all’evento innovatore , redentore , rivoluzionario ". Ciò significa che " il dolore non è solo la chiave che apre la porta della comunità , ma si rivela anche il fondamento democratico della società politica " . Ne consegue che l’etica della liberazione è perennemente connessa alla Passione del Cristo, perché quest’ultima valica tutte le convenzioni e disvela , fuori dalla logica del potere , l’amicizia sovrana . L’apertura illimitata del " Verbo"scongiura così ogni pre-giudizio e, al tempo stesso , scardina ogni tendenza totalizzante , ogni economia dialettica , ogni marchio identitario impresso dalla storia . In tal senso l’esperienza religiosa si sostanzia in un principio ontologico , che svela tutte le istituzioni oppressive , la brutalizzaione del mondo, la congiura della morte, l’assoggettamento dei corpi , e così facendo spinge ad una rifondazione etica e politica .

In realtà , " soltanto la parola religiosa è sempre potente , gravida di effetti , operativa . Dalla preghiera al miracolo , dalla benedizione alla bestemmia , questa parola comunica unicamente ciò che essa stessa fa nel momento in cui viene pronunciata …… l’ambito religioso esibisce in modo concentrato la performatività e la ritualità dell’eloquio umano ". ( P. Virno ) .

Le potenze umane e divine , dunque , collocandosi nello spazio delle vittime , si fondono e si esplicitano nella Passione del Dio incarnato , che , attraverso l’esperienza del dolore , annuncia la realizzazione divina della storia .

E’ evidente che per sostituire alla società dei padri quella dei fratelli , per promuovere il libero gioco della fraternità , per rendere operante il comune , per comprendere che la religione appartiene alla vita immediata , bisogna recuperare il senso del mondo , fuori dai paradigmi della ragione istituzionalizzata , fuori dalle complicità della rete dei poteri . Ciò significa che la costruzione della "Città degli uomini " impone un nuovo dizionario, che sia in grado di espellere la balcanizzazione della ragione e il non-senso .

Per resistere alla barbarie , per rispondere alle arroganti sfide del presente , per scongiurare il pericolo che la parvenza della liberazione si trasformi in un’altra rete di poteri , l’alternativa spinoziana si rivela sempre assai feconda . Essa , infatti , supera l’istanza ascetica e sottolinea il carattere radicale della liberazione .

Non senza ragione A. Matheron ha osservato che nell’anomalia spinoziana la problematica religiosa della salvezza è reinterpretata all’interno di quella laica e materialistica della liberazione .

E’ bene ricordare che per Spinoza , le cose derivano da Dio, " non però dall’arbitrio di una sua antropomorfica volontà , che sarebbe come dire dal suo capriccio , ma dalla sua assoluta natura " . Da tale visione nasce l’amore intellettuale di Dio , che è il risolversi di ogni nostro sentimento " nell’amore eterno con cui Dio ama se stesso e , in se stesso , gli uomini e il mondo ".

Oggi , di fronte alle macabre "Stazioni " della Passione postmoderna e contro la clessidra dell’orrore , bisognerebbe percepire appieno l’amore intellettuale di Dio , perché esso mantiene intatto ed eterno il conatus della liberazione, che irrompe nella storia e muta radicalmente il volto del mondo .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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