Le innovazioni nell’istruzione

LA SCUOLA DELL’AUTONOMIA E LA CENTRALITA’DELLO STUDENTE

Normativa e successo formativo

La normativa scolastica risulta importante per l’operatore educativo solo se acquisita per riflettere relativamente ai contenuti che presenta e predispone fattivamente, modificando il modo di porsi all’interno dell’istituzione di ogni singolo, migliorando le modalità di comunicazione, di apprendimento, di insegnamento e trasmissione dei saperi, incentivando l’aspetto del successo formativo in vista di un’adeguata dimensione di orientamento delle capacità, competenze ed abilità dello studente che lo stimolino innanzitutto al saper essere, al saper fare in un’ottica di flessibilità e centralità della formazione di ogni singolo, per apprendere ad imparare o imparare ad apprendere.

Dunque una normativa che risponda ai quesiti di identità dell’organizzazione scuola, del collegamento imprescindibile dell’istituzione con il territorio al fine di non smarrire gli addentellati con la complessità e la globalità del quotidiano, della vita. Non occorre una mera ed improduttiva, nonché superficiale, lettura delle normative ma un’analisi completa alla luce della quale riflettere con gli altri (docenti e studenti) sulla nostra esperienza di operatori in ambito scolastico, di formatori, perciò condividere il senso ed il sentimento della comunità, della dimensione creatrice, del potenziale energico della collegialità  al fine di collaborare, lavorare insieme nel collettivo, nel collegio docenti, nel gruppo classe, per prestare un servizio efficiente ed efficace all’utente. Egli va considerato innanzitutto come persona, adulto o adolescente, valutando, prendendo coscienza delle esigenze formative all’interno della flessibilità didattica ed organizzativa, prendendo in esame i vari tipi e modalità di processi di apprendimento nell’allievo, così da ripensare globalmente, complessivamente, in modo rinnovato ed innovativo ad una nostra nuova identità professionale, una vigile, attenta, creativa e progettuale professionalità, aperta, flessibile e proteiforme nei confronti di ogni tipo di cambiamento, di transizione, di rivoluzione interna all’apparato scuola.

“saper fare” e “saper essere”

La scuola italiana sta velocemente incontrando processi di trasformazione e cambiamento. Se non intervenissero le disposizioni ministeriali, sarebbe la stessa realtà fattuale ad indurre modifiche forse ancora più radicali. Lo sviluppo dell’informatica, l’estendersi delle reti telematiche, la globalizzazione dei mercati, l’unificazione europea, costituiscono situazioni che richiedono un’istituzione scolastica innovativa, in grado di riconoscere e valorizzare per tempo le caratteristiche intellettuali, cognitive, ma  al contempo emotive, umane e metacognitive dell’individuo, soggetto studente basate sul sapere superiore non solo il pensiero di tipo convergente (raccogliere informazioni, analisi e sintesi) ma anche divergente (produrre ampia gamma di risposte, intuizione e invenzione), mettendo in risalto l’umanità e la centralità del ragazzo in formazione e sviluppo cognitivo ed affettivo/emotivo, all’interno dell’istituzione scolastica, al fine di indirizzare, tutti gli studenti senza discriminazioni e distinzioni penalizzanti di sesso, religione ed etnia/ cultura, verso un globale, completo ed esauriente successo formativo, elemento necessario per un adeguato inserimento non solo nell'ambiente  del mercato impiegatizio, ma nella complessità dell'esistenza che richiede con la globalità delle situazioni ricorrenti, flessibilità, competenze, abilità e capacità di gestione emotiva del proprio pensiero costruttivo. “Ai dirigenti scolastici, agli insegnanti, elementi cardine del sistema scolastico, si richiede ora non solo di dar prova delle loro consuete caratteristiche (passione, fantasia e competenze disciplinari) ma anche di provarsi,  sperimentarsi e spendersi sui terreni dei nuovi saperi, della progettazione educativa, dell’organizzazione, degli scambi interistituzionali in Italia ed all’estero (progetti Socrates, Comenius, Erasmus)”.[1]

La scuola attuale è dunque chiamata ed impegnata a ricercare, riconoscere, rafforzare la propria identità per tradurla in un’offerta formativa che la caratterizzi e distingua. Dunque garantire coerenza tra quanto si dichiara nel P.O.F. (Piano dell’Offerta Formativa) e quanto si pratica quotidianamente nella relazione che ogni docente, in classe, instaura con i suoi studenti per insegnare ad apprendere, raggiungendo un successo formativo che implichi abilità e competenze incentrate sul saper fare e saper essere, oltre vacui obblighi di adempimenti forzosi. Il regolamento dell’Autonomia (DPR 275/99 e legge 59/97) costituiscono sicuramente una fonte di interessanti indicazioni per rinnovare ed arricchire la professionalità del docente che, pur restando sempre insegnante, assume un nuovo ruolo di ricercatore e progettista: dentro questa logica ci si dovrà muovere con la finalità di utilizzare tutto il proprio sapere e le competenze proprie del docente nel progettare attività e percorsi disciplinari, multidisciplinari ed interdisciplinari, futuri possibili tasselli per la costruzione di curricoli flessibili. Risulta necessario dunque accettare di agire per piccoli passi senza eliminare nulla, ed in vista dei nuovi regolamenti ministeriali (Regolamento attuativo art 8, curriculum nazionale) delle attività e del lavoro, delle metodologie che già si sono dimostrate funzionali. La ricerca dovrà condurre a confermare l’intenzionalità di alcune modalità operative consuete ed a porre in evidenza gli elementi ancora fragili intorno a cui riflettere e dotarsi di strumenti adeguati a compiere scelte professionali consapevoli.

Come, quando e perché nasce la Scuola dell’Autonomia

Tale innovazione in campo educativo, nasce nel Settembre 2000 e nei due anni precedenti sotto le direttive dell’allora ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer, anche se le scuole del territorio nazionale non sono ancora autonome a tutti gli effetti, in quanto l’istituzione scolastica indipendente è ancora tutta da realizzare e costruire. Nel 1996, periodo della vittoria delle elezioni politiche dell’Ulivo, il ministro Berlinguer incontra i capi di istituto di Milano e Provincia sostenendo di avere idee innovative per la riforma scolastica dopo aver raccolto gli umori della base. In passato (nell’87, 88, 89) già il ministro Galloni presentò un disegno di legge al governo inerente l’autonomia della scuola in Italia, ed anche lui incontrò i capi d’istituto (i dirigenti scolastici), ma si trattava di una proposta di legge senza intenzione di seguito parlamentare da convertire in decreto ministeriale a tutti gli effetti, probabilmente perché riteneva che i tempi non fossero maturi.

Comunque anche nel 1996 i capi d’istituto si presentarono piuttosto scettici di fronte a Berlinguer pensando ad una molto probabile sospensione del disegno di legge per la fine del mandato ministeriale, della maggioranza politica di centro sinistra e la fine della legislatura. Ma per ovviare al dilagante scetticismo ed alla sfiducia generale in un potenziale futuro cambiamento, il Ministro Berlinguer dichiarò anche il come sarebbe stata attuata l’autonomia. L’unica sessione parlamentare certa è costituita dal bilancio, parte della legge finanziaria, che viene approvata dal governo ogni anno, entro il 31 dicembre, e se non entra in vigore, per l’inammissibilità degli emendamenti richiesti dalla base, scade in esercizio provvisorio che ricade sull’intero sistema economico. Quindi sulla base di tali premesse il Ministro decise di inserire il disegno di legge sull’autonomia nell’ambito più generale della finanziaria, comprendendo l’articolo di conferimento di delega, al governo: la delega dell’autonomia. Quindi si intuisce che il percorso efficace e vincente è proprio la delega, attuata con la legge del 15 Marzo n.1 59/97 proposta dal ministro Bassanini, la cui dicitura era “Delega al governo per il conferimento delle funzioni e dei compiti a regioni ed enti locali per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione delle procedure amministrative”, in cui è contenuto l’articolo 21 che dichiara l’autonomia di tutte le istituzioni scolastiche entro il 31 dicembre 2000 con l’approvazione della legge finanziaria. Da questa normativa le scuole risultano ridimensionate

Perché si è voluta l’autonomia?

Lo Stato incarica il Governo di concedere l’autonomia perché la scuola italiana non poteva dipendere ed essere governata e controllata sempre dal centro, da Roma: occorreva decentrare per snellire le procedure burocratiche ed amministrative, ma non solo…con la scuola dell’autonomia ogni istituto deve rispondere in modo efficiente, pratico, veloce alle esigenze dell’utenza, delle differenti tipologie di territorio, delle agenzie culturali, educative, formative operanti in esso,  dell’intero sistema formativo integrato. Lo Stato riconosce ancora il valore legale ai titoli di studio, rilasciando ed approvando però una legge quadro, una normativa cornice entro cui ogni singola scuola si deve muovere, gestire ed organizzare tramite appunto la legislazione dell’autonomia. Dunque ci si sofferma su questo termine la cui accezione non implica il significato di indipendenza anarchica, emancipazione e piena libertà totale dalle leggi in senso anticostituzionale, ma si intende per “autonomia” non più dipendenza da:

-strutture gerarchiche (ministero, provveditorato, preside)

-relazioni ed organizzazioni verticali (non più gerarchie tra preside e docente)

-automatismi organizzativi (libertà di stesura del calendario scolastico)

I capi di istituti, basandosi sulle precedenti normative, erano abituati ad una cultura dell’adempimento, retaggio di una organizzazione burocratica e gerarchica di stampo verticale: dal Governo, al Ministero, ai Provveditori, alle scuole con le circolari ministeriali che stabilivano date e scadenze di esami, licenze, iscrizioni, lezioni, curricoli, programmi. Dalla riforma Gentile la scuola è fortemente monolitica ed accentrata in Roma, come un’istituzione dove non si riscontra movimento, creatività, iniziativa perché tutto è rigido: un sistema scolastico tolemaico. L’autonomia è una sorta di rivoluzione copernicana degli apparati e delle istituzioni preposte alla formazione, che si svincolano dalle dipendenze accentratrici delle normative governative, imposte dall’alto, ma spesso non condivise dalla base, perché basate su rigidità e discriminazioni. Dunque si intravede finalmente un passaggio, una transizione dall’accentramento monolitico (Roma) al decentramento (singolo istituto scolastico) in cui i capi d’istituto assumono un profilo e delle funzioni totalmente dirigenziali, dichiarandosi a tutti gli effetti “dirigenti scolastici”. Contemporaneamente dalle nuove normative non sono appunto previste strutture gerarchiche (es. riordino del Ministero riguardante i provveditori ed i direttori regionali tra cui non vige più uno stretto rapporto di subordinazione e gerarchia)

Ambiti e limiti dell’Autonomia

L’esplicazione della normativa relativa all’autonomia scolastica prevede un campo  d’azione che innanzitutto viene determinato dalla Costituzione della Repubblica italiana. Infatti in Italia nessuna norma deve essere contraria o incompatibile ed incongruente rispetto alla Costituzione. L’attività parlamentare prevede che il disegno di legge cominci un iter giuridico al fine di essere suscettibile d’esame valutativo da parte della Commissione Affari Costituzionali, ed in seguito risulta passibile di una prova d’esame e valutativa preventiva da parte della Camera e del Senato.

Il rimanente campo d’azione della normativa sull’autonomia si esplica nell’ambito della legge 15 marzo 59/97 (Bassanini), relativa al decentramento amministrativo ed il conseguente articolo 21 inerente l’autonomia scolastica, che si ricollega consequenzialmente ai provvedimenti e regolamenti derivati dalla legge Bassanini 59/97 come il DPR 275/99 che al capo secondo, nell’articolo 3 prevede le disposizioni relative al Piano dell’Offerta Formativa scolastica.

Per quale motivo si è voluta l’autonomia? Certamente per rendere la scuola più efficiente ed efficace dal punto di vista qualitativo. Precedentemente alle normative inerenti l’autonomia, la scuola italiana risultava abituata ad una mera cultura dell’adempimento che comprendeva come finalità ultima l’obbligo di terminare il programma dettato dal Ministero della Pubblica Istruzione. Dunque l’insegnante era completamente concentrato sul compito dell’adempimento del programma disciplinare annuale istituzionale. Ma la scuola dell’autonomia, risultando più efficace ed efficiente, dovrebbe fare in modo che il programma sia efficace e produttivo e che realizzi le competenze e le abilità degli allievi.

Tra gli obiettivi cardine dell’autonomia sono presenti le seguenti voci:

·        Garantire processi didattici significativi da attivare all’interno dell’istituzione.

·        Utilizzare al meglio le risorse (POF).

Rispondere ai bisogni del territorio, gestendosi in base all’utenza ed al sistema formativo territoriale di influenza.

I regolamenti derivati: il DPR 275/99. Autonomia organizzativa ed autonomia didattica

Le scuole concretizzano gli obiettivi nazionali in percorsi formativi per il diritto ad apprendere e la crescita educativa, valorizzando le diversità e promuovendo iniziative utili al raggiungimento del successo formativo (anche in assenza del successo scolastico), tramite un’interazione più coesa tra scuola, enti educativi ed amministrativi (es corsi di educazione stradale, di educazione ambientale con enti locali, regioni, province) ed individuo (es. psicologi, assistenti sociali). Le istituzioni scolastiche, in base alle nuove normative, devono regolare i tempi dell’insegnamento e lo svolgimento delle discipline in modalità adeguate ai ritmi di apprendimento degli allievi, con la prospettiva e maggiori possibilità di mediazione tra i bisogni, le esigenze e le individuazioni di esigenze soggettive in rapporto agli obiettivi nazionali (es. mediazione tra utenza e programmazioni, curricoli). La scuola dell’autonomia si pone precisi interventi educativi di formazione ed istruzione adeguati ai diversi contesti socio-culturali, partendo dalle esigenze delle famiglie e dei soggetti coinvolti all’interno del sistema formativo integrato. Il P.O.F. prevede una logica di responsabilità di flessibilità, di coerenza ed integrazione che unisce i vari progetti. Si denota flessibilità interna alla singola istituzione scolastica:

·     Riordino cicli (legge sospesa)

·     Gestione indipendente dell’orario delle lezione e della data di inizio delle stesse

·     Superamento rigidità oraria (settimana corta suddivisa in spazi orari, vale a dire unità di insegnamento non coincidenti con l’unità oraria)

·     Articolazione modulare (inter-pluridisciplinarità)

·     Percorsi didattici individualizzati:

-RCP

-Percorsi inter-pluridisciplinari

-progetti speciali

-progetti opzionali

-tutoraggio

·        Classi aperte e parallele

·        Lingua straniera (progetti Comenius/Socrates/Erasmus)

·        Riconoscimento crediti e debiti scolastici formativi (attività extra certificate) con il recupero dei debiti tramite corsi di recupero pomeridiani o studio individualizzato

·        Interventi facilitatori per la presenza di stranieri

-Laboratori linguistici

-attività di intercultura

-alfabetizzazione e integrazione alunni stranieri

·        Interventi facilitatori per l’handicap (P.E.I. o P.E.P.)

·        Impiego docenti differenziato

·        Reinserimento e riorientamento studenti in tempi utili (passerelle)

Tutti questi interventi prevedono l’individualizzazione e la personalizzazione del curricolo. Già la legge 517/77 prevedeva l’unitarietà delle discipline allo scopo del conseguimento di un obiettivo globale di formazione, nell’ambito dell’unitarietà del sapere tramite l’educazione permanente e ricorrente che prevede il continuo autocambiamento per tutto il ciclo della vita, in cui il sapere è speso come abilità e diventa un saper essere in formazione.

L’autonomia è stata impostata per il successo formativo (tutti per proprie potenzialità possono raggiungere un determinato obiettivo attraverso diversi tipi di intelligenze, es “Intelligenze Multiple” di Gardner). La centralità dell’alunno è il fulcro dell’autonomia, infatti la scuola ha ragione di esistere dove è presente la difficoltà di integrazione, di apprendimento, il disagio.

La legge del 21/12/1962 prevede la nascita della scuola media unica ed obbligatoria, per cui si passa dalla scuola d’élite, alla scuola di massa a portata di tutti.

Le leggi del 1979 e dell’85  stipulano i programmi della scuola media ed elementare in cui si stabilisce che “la scuola è di tutti e di ciascuno” prevedendo, con questo motto, il recupero e l’integrazione di ogni tipo di diversità e anche tramite interventi di recupero, consolidamento, ma concedendo contemporaneamente la possibilità del potenziamento, per cui ogni alunno è libero di agire ed apprendere secondo le proprie abilità e capacità.

Dunque l’istituzione scolastica prevede:

·        Libertà progettuale

·        La promozione ed il sostegno dei processi innovativi

·        Il miglioramento dell’offerta formativa che prevede un processo di autovalutazione della scuola, accompagnato dalla verifica ad opera di esterni (ispettore tecnico, dirigente amministrativo, utenza)

Le istituzioni scolastiche si sviluppano anche con collegamenti con:

·        Centro europeo di educazione

·        BDP

·        IRRE (IRRSAE)

·        Università, per potenziare le documentazioni e le informazioni utili all’ampliamento dell’offerta formativa ed all’aggiornamento delle risorse umane interne.

Il fondamento della nuova normativa scolastica: il Documento dei Saggi.

Con la Circolare Ministeriale del 7 Aprile 1998, si propone all’attenzione del sistema scolastico il Documento dei 44 saggi, alla base della formazione e delle  leggi relative a:

·        Autonomia scolastica

·        Curricoli flessibili

·        Modularità

che prevede l’intervento sulla persona, nella sua globalità e complessità, volto al conseguimento di un integrale successo formativo differente dal mero successo scolastico.

Primo Principio: l’insegnamento deve basarsi sull’impostazione e l’acquisizione di saperi socialmente spendibili, per cui i ragazzi devono assumere competenze impiegabili, attuabili e praticabili nella società, in quanto cittadini, con ricadute fondamentali su di essa. Non bisogna partire da un a-priori idealizzato di studente, perché la formazione deve avvenire indipendentemente

·        dalla religione,

·        dall’estrazione sociale,

·        dall’etnia,

·        dal sesso,

·        dalla diversità in generale,

 per una globale e complessiva integrazione dei cittadini nella realtà sociale.

Secondo principio: nella scuola non occorre ragionare esclusivamente ed univocamente di materie e programmi, ma occorre valutare le attese ed i comportamenti della società civile:

·        aspettative

·        mercato del lavoro

·        dimensione dei bisogni, delle relazioni affettive all’interno della comunità, delle attese dei professionisti della scuola

Tutto questo prevede una nuova modalità organizzativa e la stesura dei programmi per il conseguimento di Finalità Irrinunciabili, vale a dire, Macroattese derivanti da tematiche portanti che riserbino, per il resto, libertà d’azione, perché risulta necessario operare un forte alleggerimento dei contenuti tramite la programmazione per moduli, la modularità, e la metodologia di progetto, attraverso i cui metodi si compiono scelte significative di irrinunciabili finalità

·        studiare

·        pensare

·        parlare

Questa innovativa concezione dell’insegnamento prevede un forte investimento da parte dei docenti per l’aspetto di coscienza di tale missione, sentimento di solidarietà e di vocazione che l’istruzione e la trasmissione della stessa comporta, del valore della tradizione educativa, del senso morale della cultura ed il gusto e piacere del far conoscere, discutere, sapere.

Il tanto atteso CURRICOLO NAZIONALE.

La normativa dell’autonomia scolastica non è ancora completa. Si attendono, in aggiunta al preesistente, regolamenti dal 1999 che devono essere ancora emanati, in seguito alla legge n. 59/97 relativa al decentramento amministrativo in cui compariva l’articolo 21 riguardante l’autonomia ed il successivo Regolamento d’autonomia, il DPR n. 275/1999. Le aspettative sono ancora enormi, tanto che le leggi sull’autonomia sembrano superate ed alcuni docenti continuano ad insegnare senza considerare la svolta, la transizione, il cambiamento che tali provvedimenti ministeriali hanno indotto e innescato nei meccanismi del sistema didattico nazionale. Dunque la scuola non è rimasta assolutamente invariata. I docenti di lettere hanno operato per anni in base al riferimento delle programmazioni risalenti al 1979. Le scuole elementari, nel programmare, si rifanno invece ai piani di lavoro e di programmazione dell’anno 1985. Ammettendo che non esistono più regolamenti di programmazione, non si vuole sostenere che la Scuola italiana stia scadendo in una sorta di anarchia improduttiva, vacillante e precaria, perché nell’istituzione rinnovata gli insegnanti creano e costruiscono i programmi. Il docente diventa ricercatore e progettista. Le parole chiave del concetto di indipendenza da un centro governante da cui la scuola italiana si svincola sono:

 

·        flessibilità,

·        integrazione,

·        coerenza

·        responsabilità.

Un tempo il docente svolgeva la programmazione didattica e disciplinare attenendosi strettamente ai vincoli prestabiliti direttamente dal Ministero della Pubblica Istruzione. I programmi, anche se non prescrittivi, costituivano comunque delle indicazioni basilari, insostituibili quindi si presentavano come limitativi. Attualmente, invece il docente crea e progetta il programma che vuole adottare, appellato e richiamato dalle normative innovative ad un motivante senso di responsabilità in base a cui i programmi non devono risultare errati, limitati o incompleti, non costruendo percorsi inadeguati rispetto all’analisi dei bisogni di partenza del gruppo classe. Comunque nella stesura dei percorsi programmati didattici, organizzativi e disciplinari, il docente non si trova isolato, ma deve vivere in una dimensione collettiva con i colleghi, emersa nel concetto di collegialità indicato nel P.O.F., in cui il collegio docenti risulta sovrano, le cui decisioni comuni, complessive, generali, unanimi sono basilari ed importanti perché impegnano l’intero istituto. La dimensione collegiale risulta imprescindibile e ricollegata al concetto di responsabilità in base a cui si definiscono i curricoli che non provengono dal governo centrale, come per le desuete normative, ma vengono emanati, costruiti, progettati dai singoli istituti presenti ed operanti sul territorio nazionale, all’interno del complessivo Sistema Formativo.

Ma sono state già emanate tutte le leggi relative all’autonomia dopo la legge Bassanini n. 59 del 1997?

L’intero sistema scolastico nazionale sta attendendo l’elemento più importante, indispensabile ed imprescindibile: l’articolo numero 8 del DPR 275 del 1999. Il Ministero della Pubblica Istruzione dovrebbe emanare un prossimo regolamento in cui esplichi le materie e l’aggregazione di discipline obbligatorie su tutto il territorio nazionale, a livello di istituti scolastici di ogni ordine e grado. Le leggi relative all’autonomia non determinano un’anarchia collettiva, ma sanciscono il diritto di libertà e di indipendenza all’interno di una legge quadro che funge da cornice normativa e costituisce il limite invalicabile oltre a cui si assumerebbero dimensioni e posizioni illegali ed anticostituzionali. Il confine primario è proprio il Curricolo Nazionale che il sistema scolastico attende dal 1999, quando è stato emanato il DPR 275. Tale nuovo regolamento dovrebbe stabilire la quota del curricolo nazionale. Attualmente la scuola italiana rilascia titoli di studio con valore legale. Dunque è ulteriormente necessario uniformare le scuole del territorio relativamente agli aspetti didattici tramite un curricolo nazionale. Lo Stato, il governo centrale deve garantire un minimo di uniformità relativa all’ambito didattico/disciplinare, dato appunto dall’atteso curricolo nazionale che rappresenta l’85% dell’intera programmazione scolastica, con attività e curricoli stabiliti da Roma, dal Governo centrale, in seguito al quale il Ministero stabilisce un curricolo elettivo, opzionale, alternativo, accessorio, costituito da tutta quella gamma di attività scelte e predisposte liberamente da ogni singola scuola per il restante 15% e sancite dal P.O.F.

I singoli istituti in aggiunta al curricolo nazionale (85%) e opzionale (15%), hanno la possibilità e facoltà di aggiungere ancora attività extra, incentivando così le risorse interne e le capacità progettuali di quanti operano nella scuola.

Tale innovativo provvedimento (Art 8) tarda ad essere emanato per ragioni politiche e per spinte, decisioni, opinioni divergenti o convergenti da parte delle forze governative e politiche in generale. Dunque si delineano prospettive di estrema difficoltà gestionale del problema a livello nazionale, soprattutto nel definire e stabilire le discipline comuni all’interno dell’operato del sistema unitario didattico. L’impasse risulta ulteriormente complicata dal problema del riordino dei cicli, prospettiva divenuta legge n 30 del 10 Febbraio 2000 che è stata bloccata dal governo Berlusconi che non condivide il settennio di base.


[1] Cfr. Bollettino IRRSAE,  n. 66/67 marzo-giugno 1999.