LA SCUOLA ITALIANA: UNA LUNGHISSIMA MALATTIA, QUALCHE POSSIBILE TERAPIA

di - Francesco De Ficchy

insegnante, Rappresentante Sindacale Unicobas

La crisi profonda – profondissima e forse finale – della Scuola italiana, giunta ormai, causa la controriforma in atto, ad un tale grado di evidenza che ormai nessuno più osa negarla (salvo poi disinteressarsene bellamente) non è dato recente o contingente, bensì attraversa centralmente tutta la storia d’Italia quantomeno lungo tutto il Novecento: lo sfacelo attuale, l’attacco durissimo e violentissimo cui essa è attualmente sottoposta, non è che il culmine (purtroppo solo temporaneo) di un lungo percorso patologico di degrado e svilimento. In Italia non vi è quasi mai stata una cultura di governo realmente interessata alla crescita culturale, formativa, civile, professionale dei cittadini, e il potere ha sempre temuto la Scuola più che tenuto ad essa.

In generale, andando molto per sommi capi, si può sinteticamente dire che il potere politico in Italia ha tenuto, verso la Scuola, due tipi di atteggiamento diversi; diversi, ma similmente ostili. Se con il fascismo (Riforma Gentile), e poi nel dopoguerra con tutti i monocolori democristiani fino ai primi governi di centrosinistra, il potere si preoccupava principalmente di contenere tutte le forme di dissenso e opposizione che soprattutto nella cultura e dalla cultura traevano origine (culminando nel ’68 e nella contestazione globale), dagli inizi degli anni ’70, e poi maggiormente con i governi Craxi (quel Craxi di cui appunto l’attuale capatàz è erede politico) e via via sempre più sino alla presente, sinistra Ministra, il potere, rappresentando sempre più gli interessi della ricca borghesia professionale, imprenditoriale e tecnocratica, orientata molto più verso la scuola privata e d’elite che non verso quella pubblica e di massa, ha cominciato ad attaccare, scaricare e smantellare quest’ultima non solo e non tanto in quanto sede di possibile pensiero critico e antagonista, ma soprattutto in quanto spesa sociale inutile per chi può permettersi la scuola privata, magari in Inghilterra, l’università privata, magari negli USA, la clinica privata, magari in Svizzera, il taxi piuttosto che l’autobus, e così via.

Perciò, se negli anni del secondo dopoguerra – e persino in quelli precedenti – il potere combatteva certi aspetti politici della Scuola pubblica,ma ne riconosceva l’importanza comunque insostituibile, oggi esso semplicemente nega tale rilevanza centrale, equiparando dichiaratamente la Scuola a qualsiasi altra possibile fonte di sapere ed apprendimento e declassandola ad attività e competenza secondaria ed accessoria dello Stato, nella quale quindi investire ed impegnarsi sempre meno. E’ così che si arriva che si arriva oggi ad un sinistro Ministro della Distruzione dell’Istruzione.

Ma se, come accennavo prima, il ritiro dello Stato riguarda anche altre attività fondamentali della sfera pubblica (si pensi anche a come questo governo di estrema destra attacca anche l’attività pubblica per eccellenza di qualsiasi Stato moderno, cioè l’esercizio della Giustizia ), l’attacco alla Scuola è particolarmente grave in quanto, se attività quali Giustizia e Sanità riguardano essenzialmente il presente e ad esso si rivolgono, l’Istruzione (Scuola e Università) si riferisce e mira al futuro, alla formazione e preparazione dei cittadini, degli uomini, dei lavoratori di domani; se la dimensione degli altri settori, beninteso anch’essi essenziali e fondamentali, è contingente, quella inerente alla trasmissione dei saperi è strategica, prospettica, lungimirante. Attaccare la Scuola pubblica (come fa questo governo con mille trucchi e inganni, riducendo di molto le ore di insegnamento settimanali ed annuali, trasformando le elementari in asili-nido in cui l’apertura ai bambini di due-tre anni trasformerà i maestri da pedagoghi in balie che anziché assolvere ad una funzione culturale ne avranno una cul puliturale, la riduzione degli organici di docenti ed ausiliari, del tutto ingiustificata in una fase in cui la popolazione scolastica sta tornando a crescere grazie agli immigrati – e molti altri capitoli si potrebbe qui aggiungere a questo libro nero dei crimini del neoliberismo)significa dunque uccidere il futuro, preparare per il Paese un domani di masse prive del livello e del tipo di istruzione necessario a sviluppare non solo quell’antico spauracchio di ogni potere che è lo spirito critico, la facoltà di ragionare autonomamente, ma anche la capacità – oggi sempre più necessaria – di apprendere continuamente, di aggiornarsi e riciclarsi, capacità imprescindibile dal momento in cui si parla in tutti i luoghi di lavoro di flessibilità, riconversione, aggiornamento e mobilità.. Se, al momento in cui il sistema economico richiede ai lavoratori di saper cambiare lavoro a seconda delle esigenze produttive, il sistema politico non garantisce più una Scuola capace di imparare ad imparare, allora questo sistema politico di fatto prepara una generazione di futuri disoccupati o sottooccupati cui mancherà la capacità dell’autoaggiornamento e dell’ apprendimento continuo, conducendo quindi il Paese verso il declino economico e il degrado sociale. Ciò è esattamente l’opposto di quanto si fa oggi nella maggior parte degli altri Paesi del mondo, che destinano alla Scuola, all’Università e alla formazione professionale risorse pubbliche molto maggiori di quanto si faccia da noi, con percentuali sui loro PIL doppie o anche triple rispetto alle nostre: e ciò, si badi bene, non solo nei Paesi ricchi del Nordeuropa o del Nordamerica, ma anche in moltissimi Paesi del Terzo Mondo che hanno ben capito il fondamentale ruolo strategico, per un domani migliore, dell’istruzione, e su questa hanno puntato con sforzi enormi per uscire dalla miseria: ciò che appunto in molti casi, (Cina, India, Corea etc.) sta puntualmente verificandosi.

In Italia, no: in Italia la sempiterna cultura politica dell’emergenza ha sempre portato a occuparsi in “zona Cesarini” del contingente, dell’oggi e dell’immediato, e mai a guardare un po’ più in là, alla costruzione del futuro. Ma proprio di questo abbiamo bisogno; e se la nostra sinistra vuole tornare al governo, questo deve essere in grado di proporre agli elettori: un’alternativa al presente ed un futuro.

Portato nello specifico della Scuola, ciò, insieme a moltissime altre considerazioni e proposte che da molti sono state portate avanti, e da un punto di vista insieme professionale e sindacale, può significare:

1)Abolire senza mezze misure i provvedimenti legislativi, normativi e organizzativi introdotti e contenuti nell’attuale processo di riforma (peraltro tuttora in corso e dall’esito tutt’altro che sicuro); da autorevoli esponenti del centrosinistra si sente dire che “non si può fare una riforma al giorno” . Ciò non è vero, perché in altri campi le hanno fatte e disfatte ad ogni nuova legislatura: ma ci troviamo, al solito, davanti al miope disinteresse dei nostri politici per l’istruzione e la cultura. Questa riforma è uno dei capitoli più detestati dell’attività di questo governo da chiunque vi abbia avuto a che fare, genitori o lavoratori delle scuole: e siccome questi ultimi sono circa un milione, tradotto in termini di consenso elettorale…

2)Aumentare le disponibilità finanziarie a disposizione delle scuole, in particolare per il sostegno agli alunni in situazione di handicap, per l’acquisto e l’aggiornamento di strumenti di studio e di lavoro degni almeno di un Paese del Terzo Mondo (la maggior parte delle scuole medie italiane dispone – tanto per dire - di carte geografiche in cui fanno ancora bella mostra di sé l’URSS, la Germania Est, la Cecoslovacchia, la Yugoslavia e tutto il blocco comunista – da far prendere un infarto al nostro adorato capatàz!), per ammodernare e mettere a norma gli edifici scolastici, aumentando le aule e diminuendo gli alunni per classe;

3)Operare su più fronti per una riqualificazione professionale e sociale delle figure presenti nella Scuola (docenti e non ), attraverso:

a)l’aumento, progressivo ma ragionevolmente rapido, del salario, operato non solo tramite incrementi non pensionabili (come imposto dal Decreto Legislativo n.29del 1993 firmato da Bassanini) e il suo adeguamento al livello medio europeo, oscillante attualmente tra il doppio e il triplo di quello italiano;

b)l’uscita del comparto Scuola nel suo insieme (docenti e non) dal Pubblico Impiego (cui l’ha relegata lo stesso DLgs. Bassanini) e dall’attuale contratto di lavoro di tipo privatistico, e il riconoscimento – come previsto dalla Costituzione – della specificità della Scuola, basata sulla libertà di insegnamento. Con quel decreto, infatti, si aboliva la figura del docente di ruolo, trasformato in docente a tempo indeterminato (a tempo determinato sono invece i docenti supplenti, altra vergogna tutta italiana che pure va sanata al più presto con la loro immissione in ruolo); ma trasformare in questo modo il loro contratto espone i docenti al pericolo di venir licenziati per il loro metodo di insegnamento, per la loro maggiore o minore disponibilità a piegarsi ad eventuali diktat della dirigenza, in ultimo per loro idee politiche, religiose o quant’altro: il che confligge patentemente con l’indispensabile libertà nell’insegnamento, senza la quale non si fa cultura ma solo indottrinamento;

c)la costituzione (già avvenuta in parecchi altri Paesi) di un Ordine Professionale dei Docenti: pur con tutte le giustissime riserve che non si può non avere sugli Ordini Professionali, è innegabile che la categoria degli insegnanti sia oggi la categoria forse più disgregata e priva di identità professionale e sociale esistente in Italia, ciò che costituisce un grave danno non solo per i docenti, ma per tutta la società, per almeno due motivi. Il primo è che una categoria priva di identità è anche priva di precisi modelli e punti di riferimento, di una chiara consapevolezza deontologica,metodologica e civica che non imposta dall’alto o scaturisca da improvvisazioni individuali; il secondo è che mancando tale organismo non c’è modo di valutare, ed eventualmente correggere e sanzionare, il comportamento dei docenti in quei casi in cui esso appaia discutibile pur senza raggiungere livelli di gravità tali da richiedere l’intervento degli organi di Giustizia.

4)Andando in direzione diametralmente opposta a quella degli ultimi ministeri, accrescere il potere deliberativo degli organi collegiali della Scuola, sempre più sottomessi alle decisioni e all’arbitrio di Presidi e Segretari, incautamente promossi, rispettivamente, a funzioni manageriali cui sono del tutto impreparati sia tecnicamente sia culturalmente, con i soliti pomposi titoli italioti di Dirigente Scolastico e di Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi – vacue, magniloquenti espressioni borboniche le quali celano spesso una realtà di improvvisazione, inefficienza diffusa,prepotenza per la quale spesso le dirigenze, basandosi sulla cosiddetta autonomia scolastica, nei propri Istituti fanno sempre più il bello e il cattivo tempo, creando spesso situazioni e climi di lavoro pesanti e difficili, in cui si vive e si lavora male, con evidenti danni per tutti.

Queste sono solamente alcune opinioni e suggerimenti, che ovviamente non pretendono né di esaurire la vastissima materia, né di essere completamente spiegati in quanto sopra scritto – troppo spazio ci vorrebbe per esaurirli; si tratta semplicemente di alcune questioni da aggiungere, partendo da un’ottica particolare e molto interna al lavoro scolastico, ai molti validi contributi critici prodotti, anche in questa sede, in opposizione alla pessima, attuale controriforma.