Semplicismo ideologico e necessità di un nuovo spazio politico

di wanda piccinonno

Il detto latino " mala tempora currunt " si attaglia alla perfezione per esprimere la barbarie dilagante e la palese regressione culturale . Le stragi degli innocenti , le immagini quotidiane del terrore , lo stato di guerra permanente , l’aberrazione della politica , il deterioramento della res publica , mostrano che siamo immersi in una realtà davvero sconvolgente . Il fatto inquietante è che il caos generalizzato e l’orgia dei poteri globali rendono estremamente problematiche le griglie interpretative , anche perché la diffusa barbarie linguistica contribuisce a creare una perniciosa confusione semantica , basti pensare all’ambiguità di termini come " pace ", " guerra ", "democrazia ", "cittadinanza ", "laicità ".

Stando così le cose e rilevando il perpetuarsi di semplificazioni ideologiche , è lecito optare per una decostruzione critica preventiva , onde evitare che le parole diventino vuote categorie dello spirito .

Sicché , constatando che , oggi , al pari di tanti altri concetti , anche la nozione di "laicità" è stata usurpata , vale la pena fermare l’attenzione sulla legge francese contro l’uso del velo e degli altri segni di appartenenza religiosa .

Intanto , per cercare di restituire senso alle parole , conviene rivisitare il significato del termine "laicismo ", che deriva da làos , ossia popolo .

Nella tradizione cristiana è detto laico chi fa parte del popolo di Dio senza appartenere al clero . Quando , in epoca moderna , la cultura laica si contrappose a quella ecclesiastica, la parola "laico" assunse una connotazione anticlericale e il laicismo propugnò l’autonomia della società dalle Chiese . In breve , dall’anticlericalismo si passò via via ad una forma più articolata di laicismo , cioè la laicità , strettamente collegata al giusnaturalismo , all’illuminismo , al liberalismo dell’800 . Va aggiunto che le ragioni del laicismo sono state ampiamente condizionate dalla cultura occidentale e dall’espansione coloniale .

E’ bene precisare che l’egemonia culturale dello stato moderno ha di fatto espulso o relativizzato alcune comunità religiose . Ne consegue che la parola "laicità" risulta piuttosto controversa . Basti pensare alla " catto-laicità francese " e a quella italiana , pesantemente attraversata dal confessionalismo e dal moralismo catechistico .

Ciò detto , è importante rilevare che nella società transnazionalizzata le categorie del moderno vanno reinterpretate e contestualizzate nel mondo "uno " della globalizzazione . Considerando quindi la complessità delle problematiche attuali , si dovrebbero evitare semplificazioni per delineare una riformulazione teorica pertinente . In altri termini , per cercare di squarciare il velo delle menzogne bisogna prendere coscienza che oggi si perpetrano attentati anche alla logica e al buon senso .

Purtroppo demistificare le imposture colossali del biopotere imperiale comporta non poche difficoltà , perché imperversa un pressappochismo culturale davvero sconcertante . Nel marasma generale, però , non mancano analisi feconde ed efficaci. Tra queste brillano quelle del grande Etienne Balibar . Quest’ultimo , a ragion veduta sostiene che " la dimensione storica caratteristica di tutta l’Europa oggi non è più tanto il conflitto tra confessioni e appartenenze religiose molteplici quanto tra metodi eterogenei di controllo sociale di queste molteplicità ". Ciò significa che la legge del velo non può essere percepita , sic et simpliciter, come crisi della laicità , perché di fatto denota soprattutto " il rigurgito nazionalista occidentale ". Per fare un po’ di chiarezza si dovrebbe tener presente che il mondo globalizzato è attraversato da dinamiche inedite e da variabili ignote , che ovviamente fanno vacillare tutte le categorizzazioni acquisite .

Pertanto , fuori dai parametri dell’ideologismo e di un rozzo materialismo , si dovrebbe ricorrere ad argomentazioni controfattuali adeguate .

Partendo da questi presupposti è lecito porre alcuni interrogativi : perché la legge sul velo è stata varata in un particolare momento storico ? Perché il divieto per l’ostentazione dei simboli religiosi non è stato imposto precedentemente ? Perché le ragioni della laicità hanno tollerato le croci esibite sul collo , o altri simboli come quelli del Tao e del Giudaismo ?

In realtà , la legge sul velo rimanda alla recrudescenza del nazionalismo , all’islamofobia dilagante , all’equazione Islamismo-terrorismo .

Di più : risulta riduttivo affermare che il velo va eliminato perché segno del patriarcato islamico . Difatti , pur riconoscendo che il velo è un simbolo vessatorio , occorre rimarcare il diritto di tutte le donne di percorrere autonomamente un itinerario di liberazione peculiare e "differente " . In altre parole , il carattere oppressivo del fondamentalismo islamico e dell’ideologia politica integralista non consente di reiterare l’impianto paradigmatico dell’eurocentrismo e dello sciovinismo occidentale . D’altra parte , se la democrazia non può essere esportata , è altresì vero che tutte le istanze liberatorie richiedono un iter autonomo e creativo .

Ne consegue che per rigettare la logica del laicismo nazionalista e tutti i modelli integrazionisti , sarebbe opportuno prendere atto che le donne islamiche sono vittime " di una lotta di potere fra uomini islamici da una parte e uomini ( e donne falliche ) occidentali dall’altra " ( E. Balibar) .

Purtroppo il falso universalismo sta obnubilando la responsabilità di un impegno militante autenticamente "eretico " e controfattuale . Una rivoluzione democratica dovrebbe , invece, implicare sia una filosofia della cittadinanza globale , sia un progetto innovativo e dirompente . Ciò non può , però , prescindere dalla dura realtà fattuale e da un problema estremamente spinoso , ossia la degenerazione politica . Sarebbe quindi auspicabile riscoprire il senso della politica , ricordando che essa , intesa nell’accezione più alta , è la costante critica della realtà , è un processo di cambiamento , è libertà organizzata , è filosofia politica libera e liberante , è umanesimo rivoluzionario , e non un meccanismo di conservazione o di sussunzione . Inoltre , la politica così concepita , non può essere strumento di potere , perché intrinsecamente incorporata ai fondamenti della coabitazione umana ed immune dall’erosione del tempo : in altri termini , essa è perennemente legata ad ogni progetto di liberazione .

Vero è che quest’ultimo oggi incontra non pochi impedimenti , perché la globalizzazione delle comunicazioni e della finanza procedono a braccetto con la frammentazione e balcanizzazione politica . Che fare dunque per affermare la libera e sovrana volontà politica dei cittadini globali ? Per cercare di dare risposte adeguate si dovrebbe innanzitutto espellere la privatizzazione della politica e ricorrere alla " prassi del vero " , perché essa , come voleva Machiavelli , è la potenza , che fa sorgere dall’occasione temporale , la virtù costitutiva del politico . Questa preziosa virtù , purtroppo , viene costantemente defraudata dai giochi di potere e dalle forme razionalizzate di dominio . Va precisato che " non c’è della politica solo perché i poveri si oppongono ai ricchi " , infatti la politica dovrebbe definire " il comune della comunità " e costituire la partizione delle voci , della pluralità delle differenze e degli esseri singolari . Da qui la necessità di negare ogni certezza precritica per favorire anche il ritorno del rimosso .

Ma considerando la devastante mediocrità dei nostri politicanti , e per demistificare i ricorrenti modelli di consumo politico , vale la pena fare un sommario excursus storico sulla " scienza politica " . Essa presenta due aspetti : uno teorico , che si propone lo studio critico delle forme di governo , delle regole con cui si esercita di fatto il potere politico ; e un aspetto pratico , che utilizza l’analisi teorica per lo studio dell’azione diretta al conseguimento del potere politico e al mutamento dei fini e delle strutture di questo . In ambedue i casi , alla scienza politica si giustappongono altre scienze , quali il diritto , l’economia politica , la scienza delle finanze , la sociologia , la storia . Va aggiunto che anticamente non esisteva una scienza politica autonoma , essendo la politica intimamente legata alla religione , alla morale e , più tardi , alla filosofia . Per quanto concerne quest’ultima è bene ricordare che Aristotele per primo elaborò una classificazione delle differenti forme di governo . In epoca romana fu data prevalenza all’aspetto giuridico dei rapporti politici senza pervenire tuttavia a una riflessione più approfondita . Con l’affermarsi del cristianesimo , il pensiero politico nel medioevo fu essenzialmente sviluppato dalla Chiesa , che pose l’accento sull’origine del potere e sulla sua legittimazione . Successivamente l’attenzione degli studiosi si concentrò sul diritto naturale e la questione dei titoli di legittimità del potere politico assunse primaria importanza . I pensatori del XVIII sec . , invece , incentrarono l’interesse sull’azione pratica . Nel periodo che vide lo scoppio delle rivoluzioni americana e francese si ebbe una precisazione di contenuti che stabilì un più stretto legame del pensiero politico sia con la critica storica , sia con la gestione dello Stato .

Una svolta decisiva fu operata dopo la Restaurazione con l’affermarsi dei primi movimenti operai organizzati ( Cartismo ) . Mentre da un lato il liberalismo si scompose in varie tendenze dottrinarie , dall’altro , in contrapposizione , giunsero a maturare le prime teorizzazioni socialiste che legarono in modo indissolubile il problema dello Stato e delle strutture politiche allo sviluppo della società civile .

Notoriamente un salto di paradigma avvenne con Marx ed Engels, perché ambedue posero al centro della loro analisi non più la società intesa nella sua caratterizzazione giuridico-formale così come era stata concepita sino allora , bensì la rete dei rapporti economici che costituiscono la società civile e determinano le basi essenziali .

Negli anni tra la fine del XIX e l’inizio del XX sec. si affermò una commistione tra le dottrine tipiche di un certo conservatorismo e le forme più esasperate delle dottrine della razza e del nazionalismo . Da qui una concezione autoritaria dello Stato che ebbe il suo compimento storico nel fascismo e nel nazismo .

Si può obiettare che i ricorrenti riferimenti storici sono inutili ma ovviamente non è così. Difatti , oggi si registra un destabilizzante oblio della storia e , al tempo stesso , una logica dell’eterno presente che si rivela assai perniciosa . Ciò è suffragato sia dal " nuovismo " politico , sia dalle confusioni dilaganti : elementi questi che alimentano il caos generalizzato e che contribuiscono ad incrementare un universo simbolico decisamente deformante . Per non banalizzare il concetto di oblio della storia , è utile sottolineare che non si intende proporre uno storicismo privo di realismo , anche perché esso si è sempre tradotto in un’arma per " giustificare " le più diverse ( spesso aberranti ") realtà storico-istituzionali . Si tratta , invece , di superare le metafisiche relativistiche che premiano sempre i vincitori momentanei , per rileggere la storia , intesa come una sorta di contro-storia .

In quest’ottica l’excursus sulla scienza politica può essere proficuo sia per rievocare l’alta valenza dell’impianto marxiano , sia per prendere coscienza che , oggi , per via della complessità del contesto , occorre , partendo sempre da una visione materialistica, creare una nuova scienza politica che vada al di là dell’aspetto dottrinario e convenzionale .

Ciò detto , dal momento che stanno emergendo , in versione riveduta ma sempre scorretta , le categorie del nazionalismo , e considerando che le problematiche inerenti la pace e il diritto si ripropongono quotidianamente , è bene decostruire criticamente il passato vuoi per evitare ulteriori degenerazioni , vuoi per non rivisitare fatti e misfatti storici .

Da qui l’esigenza di ricordare che " la guerra ha presieduto alla nascita degli Stati : il diritto , la pace e le leggi sono nati nel sangue e nel fango delle battaglie ….La legge non è pacificazione , perché dietro la legge la guerra continua ad infuriare all’interno di tutti i meccanismi di potere …..E’ la guerra a costituire il motore delle istituzioni e dell’ordine " ( M. Foucault ) . Inoltre , per quanto concerne il razzismo, si evince che siamo passati " dalla guerra delle razze al razzismo di stato " . Ciò rimanda alla biopolitica della specie umana , ai meccanismi di controllo , al discorso sicuritario , ad un impianto paradigmatico punitivo .

In quest’ottica , il razzismo istituzionale odierno e l’apartheid globale crescente si collegano , sia pure in guise diverse , alle tecniche del biopotere e al " diritto di morte e potere sulla vita " .

Lo scenario attuale è indubbiamente inquietante ma mostra anche una situazione di eccezione che richiede una rottura epistemologica radicale . Il che dovrebbe spingere a rimuovere i parametri di un volgare dogmatismo marxista . Non senza ragione Bloch , respingendo il materialismo deterministico , afferma che " lo slancio in avanti " si produce dalla materia come " essere in possibilità " .

Analizzando quindi le condizioni di possibilità , e non prescindendo da argomentazioni controfattuali , si dovrebbe elaborare una inedita filosofia politica . Ma quale filosofia politica ? Il riferimento alla filosofia può risultare privo di senso , soprattutto per i politicanti ex –stalinisti . In realtà , invece , il mondo d’oggi richiede un dialogo fecondo tra filosofia , scienze e società . Purtroppo , per alcuni opinionisti e intellettuali della domenica, rozzi e grossolani , parlare di filosofia significa cazzeggiare . Ma , al di là di un vetusto ideologismo , forse , qualcosa si sta muovendo . Difatti , alcuni filosofi e scienziati , perseguendo l’obiettivo di costruire una nuova comunità , hanno inventato la formula-Festival . I risultati sono eclatanti , basti pensare che al Festival di filosofia dello scorso anno sono state registrate 75 mila presenze .

Se le cifre confortano perché denotano interesse per il discorso filosofico , è altresì vero che il modello di marketing culturale potrebbe essere sussunto dai riflettori mediatici della società dello spettacolo . Rimane il fatto che la filosofia , intesa come ricerca di senso , e non come disciplina di nicchia , può offrire coordinate illuminanti sia per leggere il presente , sia per progettare un mondo altro . Ciò rimanda all’esigenza di una rivoluzione culturale , che dovrebbe tener ferma la prassi della verità .

La filosofia , dunque , può costituire un elemento efficace per trovare l’accesso a un nuovo spazio pubblico . Ma constatando che il chiacchiericcio mediatico e una retorica nauseante stanno offuscando la capacità di elaborare concetti , conviene chiarire che " la filosofia non è affatto comunicativa più di quanto non sia contemplativa o riflessiva : è creativa e rivoluzionaria per natura nella misura in cui non cessa di creare nuovi concetti " ( G. Deleuze ) . Il grande filosofo aggiunge : possiamo pensare benissimo senza concetti , ma non appena c’è un concetto c’è veramente filosofia - Nulla a che fare con un’ideologia . Un concetto è pieno di forza critica e politica , di libertà " .

Ne consegue che in un’ottica così concepita si dovrebbero valicare i parametri di una filosofia aprioristica e normativa , per attivare , invece , una rivolta antisistemica contro ogni forma di dogmatismo politico e religioso .

In altre parole , si dovrebbe evitare la dietrologia , nella consapevolezza che una inedita e dirompente rivoluzione culturale non può riproporre il cosiddetto "libro delle guardie rosse ".

Al giorno d’oggi , invece, è indispensabile un approccio filosofico , perché la nuova scienza politica della democrazia globale non può prescindere da un nuovo impianto teorico- concettuale . Ciò è opportuno anche perché attualmente la linea di demarcazione tra l’economico, il sociale , e il culturale tende sempre più a svanire .

Inoltre , per non adagiarsi in riposanti certezze , come voleva Merleau-Ponty , si dovrebbe ricorrere ad un’idea di filosofia intesa come costante vigilanza critica nei confronti di tutte le concezioni del mondo che pretendono di essere esaustive e totalizzanti . Da qui l’esigenza di sviluppare una pratica politico –teorica libera dalle illusioni dell’ottimismo gratuito marxista e dalla tentazione del disimpegno tipico del pensiero liberale . D’altra parte , il fallimento del cosiddetto socialismo reale dovrebbe spingere a considerare che " il socialismo non è più certezza e felicità , ma un avvenire ignoto non prevedibile secondo un disegno storico prestabilito "( M . Ponty ) . " La mancanza di certezze - aggiunge Merleau-Ponty - deve rendere gli uomini più responsabili nella lotta per l’abolizione della miseria e dello sfruttamento ".

A questo punto , tornando al tema centrale del discorso , è bene porre alcune questioni elementari : che cosa è la politica ? Quale rapporto esiste tra etica e politica ? La politica concerne solo il sistema normativo ? I criteri di valutazione delle istituzioni svolgono il ruolo di criteri di giustificazione ? La politica può essere intesa come razionalizzazione del potere costituito ? La giustizia sociale può esserre concepita solo come efficienza sociale ? Innanzitutto va detto che il rapporto tra etica e politica si rivela al tempo stesso solenne e vago . E’ un’espressione vaga , perché molte e differenti sono le interpretazioni che sono state formulate sull’argomento . Dall’esercizio del dubbio si può passare , però , ad una certezza inconfutabile , ossia che il sistema politico ricorre sempre all’autorità, sia pure in guise diverse , per l’allocazione dei valori sociali . E’ evidente quindi che , se i sistemi teorici si sviluppano sulla base di un sé " vuoto " , inevitabilmente le presunte ragioni neutrali finiscono col restringere il campo alle descrizioni e alle prescrizioni. Ciò significa che un’etica astratta e formale non è in grado di fornire le coordinate per attivare i cantieri di una democrazia sostanziale e radicale .

Per quanto concerne poi il cosiddetto " obbligo politico " , Alessandro Passerin d’Entrèves poneva i seguenti interrogativi : perché obbedire ? A quali condizioni ? In realtà solo la disobbedienza può sortire effetti positivi . D’altra parte , le lezioni della storia insegnano che sono stati sempre i disobbedienti a rompere i meccanismi di potere .

Un altro tema spinoso è quello del pluralismo organizzato . Per cercare di sciogliere alcuni nodi è importante rilevare che la tensione tra pluralismo e individualismo genera non poche difficoltà , soprattutto perché le presunte organizzazioni indipendenti e i circuiti dei poteri inficiano di fatto l’eguaglianza politica . Di più : la rievocazione della lista dei costi del pluralismo mette in luce problematiche inquietanti . Difatti , il pluralismo organizzato stabilizza le ineguaglianze , rafforza le mappe delle ineguaglianze , frammenta l’istanza pluralistica dei bisogni , erode l’idea di una autentica cittadinanza . Non senza ragione Alessandro Pizzorno osserva che " l’orgoglio dell’invenzione politica occidentale , ci appare destinato ad accrescere impotenza e , quindi , cinismo e collusione fra i governanti , erodere le basi dell’eguaglianza politica fra i governati , e generare quindi l’apatia , l’indifferenza e l’egoismo razionale come orientamento civico fra i membri della polis . In questa luce , il problema centrale resta quello della rappresentanza e delle sue trasformazioni " .

In realtà per costruire una democrazia altra , occorre espellere " senza se e senza ma " tutti i miti della rappresentanza e della sovranità . Lucidamente a questo proposito M. Hardt e A. Negri sostengono che " la distruzione della sovranità deve essere organizzata in parallelo con la costituzione di nuove istituzioni democratiche fondate su condizioni reali ". Bisogna quindi prendere coscienza che le soluzioni attraenti della tradizione democratica si rivelano inconsistenti e fuorvianti rispetto alla complessità del mondo globalizzato . Ciò significa che è bene passare dalle preferenze date e da una democrazia incompiuta ad una filosofia politica e pubblica che sia in grado di capovolgere radicalmente la situazione esistente .

Il momento rivoluzionario , dunque , non si può appiattire in una struttura formale , perché così facendo le vitali energie della rivoluzione vengono addomesticate dalle procedure costituzionali .

Ma le argomentazioni controfattuali e anticonvenzionali non possono ignorare un altro tema di grande rilievo , ovvero lo statualismo . Si impone quindi un quesito : qual è il ruolo dello Stato nella società postmoderna ? Per cercare di dare risposte esaurienti sono necessarie alcune considerazioni . L’archiviazione del compromesso tra capitale e lavoro , il nomadismo del capitale , lo smantellamento dello stato sociale , la divaricazione tra potere e obblighi sociali , la depoliticizzazione del mondo , la deterritorializzazione della produzione , la dislocazione dei poteri dello Stato , le reti capitalistiche transnazionali , ridimensionano di fatto le funzioni dello Stato-nazione . Ciò detto , va aggiunto che lo Stato snello postmoderno , lungi dal garantire libertà e diritti , assolve la funzione di guardiano repressivo dell’ordine imperiale . A ragion veduta Gianni Vattimo registra la fondamentale connessione tra la nozione postmoderna di Stato e il Leviatano di Hobbes .

La verità è che ci troviamo di fronte ad una situazione di eccezione , sicché anche l’idea kantiana di moralità risulta decisamente inattuale . D’altronde l’imperativo categorico di Kant , che prescrive di trattare ciascuna persona come fine a sé , è indubbiamente suggestivo ma trascura un elemento imprescindibile , ossia la base empirica di eguale rispetto . In altre parole , astrarre le persone dall’ambiente sociale di ineguaglianza , significa eludere un problema di fondo, cioè l’eguaglianza di opportunità .

Per radicalizzare un’idea esaustiva di eguaglianza e di libertà , occorre evidenziare che sotto la condizione di una ineguale distribuzione di risorse le presunte politiche dell’eguaglianza assumono una valenza ambigua , contraddittoria , controversa .

A questo punto si pongono alcuni interrogativi : eguaglianza per chi ? Chi deve essere eguale a chi ? "Eguaglianza di che cosa "? Questi quesiti non sono privi di fondamento dal momento che il socialismo reale , in nome di un riduttivo senso dell’eguaglianza , ha perpetrato crimini di particolare efferatezza e gravità . Ne consegue che non basta postulare semplicemente il bisogno della giustizia sociale , o rivendicare solo l’eguaglianza delle condizioni economiche , se non si risponde al seguente interrogativo : come conciliare la naturale differenza tra gli uomini con l’equa distribuzione dei beni ? A questo proposito l’economista e filosofo , Amartya Sen scrive : " In termini pratici l’importanza della domanda - " eguaglianza di che cosa ?"- deriva dalla effettiva diversità degli esseri umani , di modo che la richiesta di eguaglianza rispetto a una variabile tende ad entrare in conflitto – nei fatti , non soltanto in teoria – col desiderio di eguaglianza rispetto a un’altra variabile. Noi siamo profondamente diversi nelle nostre caratteristiche proprie ( quali età , sesso , capacità generali , talenti particolari ecc ) , così come in certe circostanze esterne ( quali proprietà di beni , provenienza sociale , condizioni ambientali ecc ) . E’ precisamente per tale diversità che l’insistenza sull’egualitarismo in un ambito è in contrasto con l’egualitarismo in un altro " . Abbandonando , pertanto , vecchi preconcetti e schematismi ideologici , si dovrebbe negare " ogni immagine normativa del pensiero ". Di più : risulta discutibile l’assunto di Hannah Arendt , che in nome del " dispotismo della libertà " , introduce una forte dicotomia tra libertà ed uguaglianza . In realtà , per allontanare tutte le forme di puro feticismo , occorre ricordare che , come voleva Carlo Cattaneo , " la libertà non deve piovere dai santi del cielo , ma scaturire dalle viscere del popolo ".

Ciò detto , giova ribadire la necessità impellente di un programma di liberazione , perché le relazioni normative sono sospese dalle politiche dell’emergenza , dagli interventi eccezionali, dal razzismo istituzionale , dalle guerre asimmetriche , dalla globalizzazione poliziesca , dal rapporto inclusione-esclusione che caratterizza ogni organizzazione politica .

Che fare , dunque , contro gli eccessi quotidiani del potere ? Che fare contro i fenomeni di "microfascismo "? Come avversare i controlli polizieschi sempre più insistenti ? Come costituire una filosofia politica che sia incorporata all’ontologia? Come rifondare l’intera cultura su basi desideranti e pluralistiche ? Si potrebbe rispondere ovviamente che la resistenza rappresenta il presupposto indispensabile per capovolgere lo status quo . Questo assunto più che legittimo può diventare vago, però , se si prescinde dalla situazione di eccezione . In altre parole , la situazione di eccezione richiede strumenti preventivi di eccezione . Da qui l’esigenza di rifiutare sia alcuni stereotipi legati al concetto di resistenza, sia alcune chiavi di lettura che contrappongono il mondo hobbesiano statunitense a un presunto Eden europeo .

Occorre , quindi , ancora una volta rimarcare che la complessità del contesto non consente argomentazioni semplicistiche o visioni schematiche e riduttive .

In un ‘ottica altra una filosofia politica pertinente dovrebbe superare il modello di un’unica comunità inclusiva per tutta l’umanità . Sarebbe opportuno , invece , partire , come vuole Balibar , da una " idea di cittadinanza senza comunità ", o " da una cittadinanza al di là della comunità " . Va ricordato , aggiunge Balibar , che è stata la nazione moderna a inventare l’alterità antropologica con le sue variabili escludenti e differenzianti basate sul sesso , sulla razza , sulla morale , sulla salute , sull’età .

Per evitare il "peggio a venire " conviene negare sia i fuorvianti retaggi culturali , sia il populismo demagogico di alcuni ciarlatani , sia le istanze di un nuovo avanguardismo , sia le visioni sentimentali sul " fraternalismo".

A questo punto , constatando , come sostiene Massimo Cacciari , che con le atrocità di Beslan il male radicale sembra manifestarsi senza più " veli " , senza " pudore ", giova fermare l’attenzione sul concetto di fraternalismo , anche perché la barbarie odierna reitera la logica di Caino .

Rigettando la diffusa retorica della fratellanza e rilevando la valenza ambigua del fraternalismo, sono doverose alcune considerazioni .

" Fraternalismo , confraternita , comunità di confratelli che fraternizzano : vi si privilegia al tempo stesso l’autorità maschile del fratello ( che è anche un figlio , un marito , un padre ), il genealogico , il familiare , la nascita , l’autoctonia e la nazione " ( J. Derrida) .

Dopo aver fatto un’attenta e minuziosa decostruzione critica sul concetto di "fraternalismo", Derrida precisa che vuoi il motivo della filiazione o della genealogia , vuoi quello della nascita , non hanno nulla di sospetto e o di preoccupante in sé . " Questi due motivi diventano invece " critici " , e richiedono una lettura critica decostruttiva , quando il loro incrociarsi diventa politico , quando in esso si politicizza un modello , una figura , un’egemonia - per esempio paterna , fraterna o materna ".

Le illuminanti argomentazioni di Derrida spingono ad optare per un approccio critico , onde evitare che le parole "libertà ", "eguaglianza " e "fraternità " assumano le caratteristiche della santissima trinità , cioè " Padre , figliolo e spirito santo " .

Ciò comprova che si dovrebbero rimuovere le analisi elusive e semplificative , perché un nuovo empirismo della differenza e della singolarità non può prescindere da una volontà filosofica che sia in grado di rendere intelligibili le complesse dinamiche della condizione postmoderna .

Le drammatiche scadenze del presente impongono , dunque , una nuova sintassi teorico-politica , che ovviamente non si può limitare a formulare vuoti imperativi di eguaglianza , astratte regole giuridiche , o frammentarie proposte di riforme globali . Si tratta , in altre parole , di effettuare una radicale rottura epistemologica . D’altra parte , come ha osservato il filosofo della scienza Thomas Kuhn , il passaggio da un paradigma ad un altro , richiede una nuova analisi conoscitiva , che non sia astorica , ma che sia in grado di orientare la ricerca in connessione con lo sviluppo storico .

Il che implica la rimozione della cecità ideologica e di ogni schema mentale precostituito e predisposto . In altri termini , un programma di liberazione dovrebbe smascherare tutte le forme di asservimento . In tal senso , come vuole Deleuze , si dovrebbe rivedere la dialettica , perché essa di fatto riesce a integrare e neutralizzare le differenze creando "generalità " e "principi universali ".

In sintesi , un nuovo impianto teorico-politico dovrebbe partire da un approccio interdisciplinare , in modo tale da coniugare le analisi teoriche e gli elementi pratico-empirici . Ciò è estremamente importante , perché il passaggio dalla fase solida a quella liquida della modernità , lo smantellamento della forma panottica di dominio , le complesse dinamiche del mondo globalizzato , non consentono di rivisitare le categorie convenzionali della politica , del diritto , della giustizia , della sovranità . Per attivizzare un nuovo lessico politico e per avviare un nuovo corso , è indispensabile ricorrere ad un’attenta indagine decostruttiva e ad un fecondo realismo critico .

Innanzitutto, si dovrebbe demolire la rappresentazione politico-mediatica inerente lo scontro di civiltà . Conviene mettere in chiaro che questo funzionale paradigma offre un efficace ancoramento politico per legittimare l’attuale stato di guerra globale . Va aggiunto poi che " parlare di scontro di civiltà significa ostentare un disprezzo insopportabile per tutti i governi che , nei paesi musulmani , si sforzano , non senza difficoltà e resistenze , di far valere una politica che vuole esattamente il contrario " ( M. Crèpon) .

Ciò rimanda al problema del terrorismo , alla recrudescenza della categoria del "nemico ", al sistema canagliacratico del biopotere imperiale : elementi questi che incrementano lo stato di guerra permanente .

A questo punto , ribadendo che ci troviamo immersi in una situazione di eccezione , e constatando che le guerre globali presentano tratti inediti , sono doverose alcune considerazioni inattuali sulla equazione postmoderna resistenza –terrorismo .

In realtà , il terrorismo odierno non consente di rievocare lo schema classico di rappresentazione dei conflitti . Pertanto , per evitare di operare perniciose confusioni tra Bin Laden e Che Guevara è bene porre alcuni interrogativi .

Non è forse vero che la sovranità imperiale del non-luogo e le gerarchie di potere attravesano tutto il mondo globalizzato ? In un contesto tanto metamorfosato il terrorismo può essere definito , sic et simpliciter , resistenza ? Esistono le condizioni per creare analogie tra le lotte di liberazione dei partigiani e i meccanismi della guerriglia odierna ? Pur riconoscendo che penetrare nella genealogia delle resistenze postmoderne non è un’impresa facile , è opportuno optare per una radicale logica di rottura .

Da qui la necessità di rilevare che , oggi , la geografia del dominio , per via della complessa e variegata commistione di elementi , spinge a parlare di " resistenze " e, al tempo stesso, di lotte per la conquista di un potere egemonico . Per cercare , dunque , di rendere intelligibile il nuovo disordine , sarebbe opportuno prendere coscienza che attualmente il terrorismo mostra sia il volto rugoso del nichilismo identitario , sia forme di conflitto intrinsecamente connesse alle diverse èlite globali .

Ne consegue che per annientare la filosofia globale del terrore bisogna rigettare alcune fuorvianti analogie . A ragion veduta Massimo Cacciari sostiene che " l’orcio si è scoperchiato e i mali scorazzano "liberi" in tutte le direzioni - Anzi , è il male radicale che sembra manifestarsi , senza più veli , senza più " pudore " . " E’ proprio questo "l’indicibile " che esula dalle nostre categorie di pensiero . Ma che va comunque affrontato " .

Il che impone la rimozione di tutte le forme di giustificazionismo ideologico e di manicheismo demagogico .

In realtà , la visione schematica che opera una netta linea di demarcazione tra "buoni " e "cattivi " si rivela politicamente scorretta .

Difatti , se le capacità manipolatorie dell’assetto sistemico creano funzionali ed evanescenti nemici , è altresì vero che sia i criminali occidentali , sia i terroristi-resistenti seminano morte e distruzione , uccidendo civili inermi e bambini innocenti .

E’ evidente che l’onnipresenza del nemico , l’imbarbarimento planetario , la totalità sistemica, la generalizzazione della corruzione , la rete dei poteri , il comando imperiale , richiedono la radicale negazione di opinabili certezze e di facili sentimentalismi ideologici .

Ciò vuol dire che lo slogan " contro la guerra e contro il terrorismo " risulta riduttivo , se non è supportato da pertinenti argomentazioni controfattuali . In altre parole , per cercare di sciogliere alcuni nodi non è sufficiente condannare le guerre preventive e le strategie dei neoconservatori statunitensi , ma occorre anche decostruire le ragioni storiche del terrorismo odierno .

Purtroppo , invece , la logorrea mediatico-politica , offrendo una visione riduzionistica della realtà , incentiva gli effetti ottici della distorsione . Da qui i miti neo-resistenziali e l’assimilazione strumentale Islam-terrorismo .

Illuminanti a questo proposito sono le osservazioni di Tahar Ben Jelloun . Lo scrittore originario del Marocco sostiene che il 1978 è stato un anno decisivo per chi voleva implicare la religione nella politica . Purtroppo , aggiunge T. B. Jelloun , il rovesciamento del regime filo-occidentale e feudale dello Scià veniva confuso con la rivoluzione che avrebbe dovuto liberare il popolo . Inoltre , la guerra civile libanese , l’accordo di pace tra Israele e Palestina , la guerra tra Iraq e Iran , la crisi algerina , hanno contribuito a fare dell’Islam un’ideologia politica . Di più : giova ricordare che gli Stati Uniti non solo hanno appoggiato l’islamismo politico durante la Guerra fredda , ma hanno anche supportato la creazione del Congresso islamico mondiale .

A questo punto , per ridimensionare l’incantatoria promessa di un mondo altro e per non barattare la libertà intellettuale , ritengo che sia opportuno assumersi la responsabilità di dire cose dure e indigeste .

Ciò si impone , perché , come vuole Jeremy Rifkin , bisogna liberarsi dalla presa virtuale di una cultura mediatica che muovendosi alla velocità di un nanosecondo alimenta un tipo di sindrome da deficit di attenzione collettiva .

D’altra parte , l’attentato biopolitico alla sacralità della vita richiede non solo la demistificazione della catena di montaggio delle menzogne istituite , ma anche una riflessione critica sulla ridondante retorica resistenziale .

Difatti , per liberare i popoli dalle guerre preventive e dalle oppressioni , occorre creare " un ponte per" incentivare una coscienza collettiva globale .Da qui la necessità di operare significativi distinguo tra resistenza legittima e conflitti tribali , tra resistenza autentica e forme estreme di nazionalismo e di etnicismo . Basti pensare alla complessità dell’inferno iracheno . Per evitare , dunque , la semplicistica equazione terrorismo-resistenza , sarebbe bene meditare sul fatto che il caotico scenario bellico è disseminato dalla presenza di curdi , sunniti , ex baathisti , terroristi provenienti da altri paesi , servizi segreti , criminali comuni, mercenari , affaristi ,tagliatori di teste e spie. Il che non consente di parlare di una generica resistenza , né permette la beatificazione di presunti eroi ed eroine .

Kantianamente parlando , per promuovere il risveglio dal sonno dogmatico e per progettare una "città futura " diversa dal presente , bisogna essere autenticamente eretici .

Considerato l’argomento un breve cenno alla liberazione delle cosiddette due Simone è d’obbligo . Va precisato che , se il linciaggio della destra è decisamente riprovevole e ripugnante , è altresì vero che il "misterioso " episodio merita alcune considerazioni inattuali . Innanzitutto , al di là di una retorica populista e al di là dei ricorrenti ed enfatici slogan, conviene rimarcare che "la liberazione della pace " non si può ridurre al pagamento di un riscatto , né all’intervento di ambigui mediatori . Di più : pur non sottovalutando l’operato delle due volontarie , sarebbe conveniente ridimensionare la popolarità francamente eccessiva, anche perché le due fanciulle non possono essere percepite come le staffette partigiane del postmoderno .
Inoltre , la misteriosa liberazione pone un problema inquietante , ossia che esistono rapiti di serie A e rapiti di serie B , Baldoni e Ayad Anwar Wali docent .

A questo punto è bene porre alcuni interrogativi impertinenti ed indigesti : perché le ONG non ingaggiano iracheni per la ricostruzione e per gli aiuti umanitari ? Perché le ONG ricorrono al supporto di cooperanti internazionali ? Questi quesiti non sono vani , perché , per non intorbidire e atrofizzare le coscienze , è necessario eliminare tutte le forme di complicità e di ambiguità .

Da qui l’esigenza di insistere anche sulla equazione terrorismo –resistenza . Innanzitutto bisognerebbe prendere atto che i tratti inediti del terrorismo contemporaneo non consentono false analogie con contesti storici precedenti . Non c’è , infatti, alcuna analogia col terrore dei Giacobini , con quello anarchico , o con quello degli anni Settanta . In realtà , il terrorismo odierno , lungi dall’essere antisistemico , è " una forma di conflitto tra le differenti èlite imperiali che lottano per il dominio "(A . Negri ).

Per negare , dunque , il film quotidiano del terrore , occorre demistificare l’arte combinatoria dell’inganno e rifiutare al tempo stesso un’opinabile retorica resistenziale . In altre parole, la logica globale del terrore che non risparmia bambini , donne , civili , esige la radicale condanna di ogni forma di giustificazionismo ideologico . In realtà , la recrudescenza della categoria del " nemico" è devastante , vuoi perché rafforza le tecnologie politiche di controllo , vuoi perché tende a incentivare la paura . Ciò conferma che la situazione di eccezione non consente di operare un netto distinguo tra bene e male , tra "buoni " e "cattivi " . D’altra parte , a rigore di logica alle forme inedite di guerra devono necessariamente corrispondere forme di terrorismo anomale . Di più : è lecito sottolineare che i kamikaze e gli uomini-bomba , lungi dal destabilizzare lo stato di guerra permanente , finiscono col consolidare il comando imperiale .

Per non alimentare il caos e la raccapricciante confusione , va aggiunto che , oggi , le popolazioni oppresse assistono ad un’invasione piuttosto bizzarra . Difatti , il grande carrozzone bellico paradossalmente semina morte e distruzione e allo stesso tempo offre supporti umanitari . Ciò è suffragato dalla mescolanza di interventi militari e "soldati di pace", dalla commistione tra armi e medicine , tra bombardamenti e attività operative delle ONG . Queste ultime ,quindi ,sia pure in modo ibrido , fanno parte dell’assetto sistemico . Non senza ragione Yves Delazay e Bryant Garth hanno osservato che , per via del successo della strategia mediatica , le ONG sono integrate nella logica di impresa . " Esse sono in concorrenza per attirare l’attenzione dei media così per ottenere il finanziamento delle grandi fondazioni filantropiche , senza le quali non potrebbero sopravvivere " . Inoltre , va detto che la maggior parte delle ONG sono finanziate e patrocinate da organismi che ricevono fondi dai governi occidentali , dalla Banca mondiale , dalle Nazioni unite e da alcune multinazionali .

Ciò vuol dire che il nuovo universalismo simbolico richiede la problematizzazione del presente e una profonda riflessività critica per penetrare nelle complesse dinamiche dell’ideologia globalista . D’altronde , come voleva Foucault , il superamento possibile non può prescindere da " un’analisi storica dei limiti che ci sono posti ".

In realtà , ricusando le coordinate dell’ottimismo storico , si dovrebbe constatare che ,oggi, emergono ambigue complicità che non consentono l’assunzione di idee chiare e distinte , sicché le ipotesi e i teoremi sull’origine di alcuni rapimenti risultano azzardati . Basti pensare che sono stati rapiti i neonati dalle culle 24 ore dopo la nascita .

La verità è che il dramma iracheno , rappresentando l’emblema del caos odierno , dovrebbe spingere ad abbandonare i modelli interpretativi della modernità .

Di più : va aggiunto che in un contesto siffatto il tema dei diritti dell’uomo non solo è strettamente collegato agli sconvolgimenti geopolitici , ma è anche esposto ad inquietanti fraintendimenti . Pertanto , pur riconoscendo che l’attivismo filantropico ingloba strategie di contropotere , non si può negare che esso manifesta tratti ambivalenti e controversi .

A questo punto , rilevando che sovente si prendono lucciole per lanterne , è bene insistere su alcune tematiche , ricorrendo sempre ad argomentazioni controfattuali .

Innanzitutto , va detto che il nuovo universo simbolico , occultando la sua intrinseca violenza, crea una collusione implicita fra tutti gli agenti delle dinamiche globali . Si tratta , in altri termini , di un’ambigua coincidenza tra habitus ed habitat , che viene poi fortemente supportata dalla società dello spettacolo mediatico-politico . Da qui forme inedite di idolatria e di culto per la celebrità , che peraltro risultano effimere , tant’è che i presunti idoli cadono velocemente nell’oblio .

Ne deriva che la politica si riduce ad una serie di eventi che vengono consumati e mischiati all’insegna della contingenza . Il dettaglio non trascurabile è che in questo quadro il pubblico assolve la funzione di bulimico consumatore di eventi , sicché pare quasi che il megaschermo globale offra ininterrottamente fotografie e spezzoni di film . Il dato inquietante è che il baluginare di immagini , illusioni , rapidi lampeggiamenti , incentiva la falsa coscienza e perpetua la logica dell’eterno presente .

Ciò spinge a ridimensionare le condizioni di possibilità positive e , al tempo stesso , rimanda ad un problema imprescindibile , ossia l’atonia politica . In breve : abbondano le armi e mancano invece le armi politiche .

Inoltre , va aggiunto che purtroppo , oggi, la logica di impresa è tanto pervasiva che tende a sussumere ogni rapporto sociale . Basti pensare che " un concetto come quello di lavoro socialmente utile , finisce col ritrovarsi contiguo alla realtà del lavoro forzato " ( M . Bascetta) .

Dalle osservazioni fatte si evince che l’impianto coattivo dell’ideologia globalista cinge d’assedio tutta la società , anche perché i perversi meccanismi globali manipolano l’urgenza , depoliticizzano la realtà fattuale , e così facendo rendono problematico un pensiero autenticamente sovversivo .

Che fare dunque ? Come delineare un concetto a venire della politica ? Come demolire la società dei simulacri ? Come annientare l’imperio della disumanità ? Come promuovere una inedita filosofia politica della democrazia ? Come rendere etica l’ingegneria economica ? Come attivare le politiche della differenza e dell’amicizia ? E soprattutto come fermare la spirale del terrore? Nella consapevolezza che le suggestive manifestazioni con le candele accese non sono sufficienti , anche perché tra le candele non mancano quelle di D’Alema , Bertinotti , Rutelli , ecc. , ritengo che sia necessario un nuovo approccio della scienza politica . Quest’ultimo , in verità incontra non pochi impedimenti , dal momento che persiste un devastante ideologismo, tant’è che addirittura personaggi come Chàvez vengono percepiti come partigiani postmoderni della liberazione .

Occorrerebbe , invece , trovare un quid , una linea peculiare di interpretazione , per creare un rapporto tra le parole e le cose , tra le parole e la verità effettuale . Partendo da questi imprescindibili presupposti , sarebbe conveniente adottare una nuova metodologia , che dovrebbe essere decostruttiva , decostruzionista e costitutiva .

Ovviamente , per perseguire questi ambiziosi obiettivi , si dovrebbe mettere in discussione tutto un impianto paradigmatico consolidato e , nel contempo , bisognerebbe rifiutare tutte le forme di asservimento ideologico.

Josè Saramago , che ha magistralmente descritto l’ipocrisia e l’arroganza del potere nel suo romanzo "Cecità " , da vedente attento e caustico , mostra l’insostenibilità dell’assetto odierno e parla di caricatura della democrazia attuale , ormai sussunta dal potere economico e finanziario . Negando l’accettazione di modelli precostituiti , il grande scrittore portoghese sostiene : " il problema principale che , da che mondo è mondo , si pone qualsiasi tipo di organizzazione umana è quella del potere . Il problema principale consiste nell’identificare chi lo detiene , e verificare con quali mezzi lo ha ottenuto , come l’utilizza , di quali metodi si serve e quali sono le ambizioni" .

Le lucide osservazioni di Saramago confermano che solo un approccio controfattuale può disegnare una nuova cartografia biopolitica. L’approccio suddetto richiama una ricognizione materialistica che dovrebbe esplorare più territori , per negare le nuove retoriche culturali , per demolire tutti i pre-giudizi , per mettere in luce tutti i condizionamenti storico-sociali e le innumerevoli costruzioni concettuali che si sono sedimentate nel tempo .

Basti pensare al lungo ciclo di teologia politica patriarcale e fallocentrica , alle mistificazioni di concetti , come "eguaglianza " e "libertà " . Incentrando l’attenzione su questi ultimi e superando stereotipi e facili definizioni , si evince che essi si rivelano di fatto indeterminati e riduttivi , sia per via di una "secolarizzazione ambigua " , sia perché sono stati fortemente deformati dal cancro poliziesco del socialismo reale .

Per evitare funesti fraintedimenti , conviene precisare che una feconda e adeguata ricognizione materialistica non si può ridurre alle baggianate e alle "robinsonate " del camaleontico e funambolico " Infausto " , che addirittura vuole reinventare il comunismo .

Assodato che il termine "comunismo " viene usato dai professionisti della politica in modo demagogico e strumentale , è opportuno fare alcune considerazioni sul suddetto "Parolaio".

Notoriamente l’acrobatico e narcisista "Infausto" , commentando la incisiva e pertinente vignetta di Vauro, ha affermato : " Qui si colpisce il fondamento morale ed etico del mio agire politico".

L’opinabile e supponente dichiarazione conferma che ,oggi , anche concetti come "morale" ed "etica " assumono una valenza decisamente riduttiva , sicché vale la pena rievocare Kant .

Ciò si impone anche perché l’armata Brancaleone del centro-sinistra offre quotidianamente uno spettacolo ripugnante e grottesco .

Sempre per evitare di prendere lucciole per lanterne , giova ricordare che il filosofo di Konigsberg opera un netto distinguo tra il "moralista politico ", che si foggia una morale secondo gli interessi dell’uomo di Stato , dal "politico-morale " che interpreta i principi della prudenza politica in modo ch’essi possano coesistere con la morale . Condanna il primo ed approva il secondo .

Inoltre , Kant , denunciando " i raggiri di una immorale dottrina dell’abilità ", ritiene che la presenza del moralista-politico intralci anche la " pace perpetua " .

Pur condividendo l’assunto kantiano , ma riconoscendo anche che il filosofo parla di un soggetto trascendentale , mai riducibile a soggetti empirici , va aggiunto che , come vuole Spinoza , il carattere radicale della liberazione del mondo richiede una prassi costitutiva di liberazione , che palesemente è lontana anni-luce dai pateracchi bertinottiani .

Ciò detto , riprendendo il filo del discorso e constatando che le presenti professioni di fede risultano ingannevoli , è lecito porre alcuni interrogativi : come squarciare il velo delle tartuferie globalizzate ? Come rigettare gli eccessi devastanti della politica-spettacolo ? Come neutralizzare le dinamiche imperiali della sovranità ? Come negare la mercificazione culturale e politica incorporata in tutta la produzione sociale ? Per rompere il rapporto tra ingannatori ed ingannati , si dovrebbe decostruire innanzitutto la doppiezza della vulgata planetaria , che implica anche il perpetuarsi di nuovi inizi .

Oggigiorno pare quasi che " il Grande Fratello absconditus " rappresenti " la società abscondita " . Da qui un individuo condizionato dalle forze del mercato , che esercitano il loro dominio propagando insicurezza e paura .

Senza indulgere al pessimismo paralizzante e fidando nelle possibilità positive , è lecito ipotizzare un mondo altro . L’inebriante desiderio rivoluzionario assume , però, tratti utopici se non è supportato da una coscienza rivoluzionaria e da una nuova scienza politica .

In quest’ottica , uno dei temi più spinosi da affrontare è quello della democrazia , anche perché tutti i modelli che si sono manifestati nella storia si rivelano riduttivi e inadeguati .

In realtà , infatti , il discorso sulla democrazia è stato sempre estremamente problematico sia perché " è difficile discernere nel libero arbitrio , tra il bene della libertà democratica e il male della licenza democratica ", sia perché si pone perennemente un interrogativo : chi garantisce la democrazia ? Per quanto concerne l’ultimo quesito , bisogna sempre tener presente che Hitler ha preso il potere attraverso libere elezioni democratiche regolarmente vinte . Pur riconoscendo la complessità dell’argomento , giova ribadire la necessità di una democrazia radicale , soprattutto perché " la guerra sta diventando il principio organizzativo fondamentale della società ". Ma per evitare che il legittimo desiderio di democrazia assoluta si traduca in un’astrazione , o in un pappagallesco slogan, è bene fare alcune considerazioni .

L’idea di democrazia assoluta , spinozianamente parlando , esige la rimozione di ogni relativismo , del culturalismo , della logica della presa del potere , del fondamentalismo religioso , del nazionalismo , e soprattutto di concetti , come quelli di "rappresentanza ", "sovranità " , " delega " .

Il che rimanda ad una tensione culturale e politica , che ovviamente non può prescindere da una riflessione metodologica , da un approccio situazionista , e da una frattura materiale-concettuale .

Da qui l’esigenza di respingere le coordinate di un bieco economicismo , nella consapevolezza che un’alternativa autenticamente rivoluzionaria deve inventare la rifondazione permanente della sfera pubblica . Ne consegue che bisogna riesaminare categorie consolidate per promuovere una cittadinanza attiva , per redimere le speranze tradite, per incrementare significativi legami transindividuali . Altrimenti detto : si dovrebbe ripensare tutto un ordine simbolico trasmesso di generazione in generazione , negando anche l’assurda dicotomia antropologica tra "natura " e "cultura " . Di più : " occorre che vi siano delle lotte di classe in grado di assorbire o soffocare altri tipi di conflittualità sociali (tribalismi , illegalismi , regionalismi etc . ) – ( E. Balibar ) .

Onde evitare equivoci va precisato che le osservazioni fatte non intendono caldeggiare un modello illusorio di cosmopolitismo . Difatti , condividendo le posizioni di Danilo Zolo, ritengo che il neocosmopolitismo kantiano , pur essendo suggestivo , non può essere percepito come la panacea di tutti i mali .

A questo punto si pone perentorio un quesito : esistono i cantieri di un nuovo spazio politico ? A onor del vero la realtà fattuale mostra che i temi inerenti la democrazia radicale , la cittadinanza globale , il reddito universale , la democratizzazione delle frontiere etc. , sono stati via via assorbiti da un vuoto esercizio di retorica . Ne consegue che, se le istanze alternative e l’ottimismo della ragione non sono supportati da una proficua e pertinente progettualità culturale e politica , allora inevitabilmente le condizioni di possibilità positive rischiano di diventare preda del politicismo di maniera .D’altronde , se l’impresa postfordista incrementa la potentia loquendi , è altresì vero che l’intellettualità di massa è fortemente condizionata dalla logica di mercato .

In breve , una nuda verità priva di orpelli , mostra anche , come sostiene Benedetto Vecchi , "la crisi rimossa del movimento " .

Considerando , dunque , il chiarore pallido della liberazione , vorrei aggiungere alle illuminanti argomentazioni di B . Vecchi un altro elemento , ovvero l’entrismo bertinottiano , che a mio avviso ha contribuito a generare l’involuzione del movimento .

Stando così le cose , se non si vuole rievocare la scommessa pascaliana , bisogna rifuggire dalle credenze preriflessive e da un materialismo ingenuo che concepisce la realtà in modo acritico e dogmatico.

Il punctum dolens risiede nel fatto che le panacee inadeguate si rivelano riduttive per la costruzione di una democrazia economica , culturale e politica .

D’altra parte , il mondo "uno " della globalizzazione , pur essendo rizomatico , è diventato sempre più repressivo sul piano politico , sul piano del lavoro e su quello culturale .

Che fare dunque ? Come attivare un radicale mutamento sociale ? Ovviamente un significativo salto di paradigma non può scaturire da una trascendenza metafisica , dall’ingenuità populista , da entusiasmi velleitari , o da una fantomatica " ideologia " della non-violenza , ma solo da un approccio controfattuale e da un lavoro teorico - empirico pregno di senso .

Ciò si impone, perché la realtà fattuale mostra una politica istituzionale corrotta e compromissoria , la frammentazione delle istanze alternative , la rivisitazione in versione postmoderna della doppiezza togliattiana e di un rozzo machiavellismo della cosiddetta "sinistra radicale " . Ma valicando i confini del Belpaese , giova aggiungere che in questo grande gioco della storia non si può essere schiavi di funzionari imperiali , di ideologie , di istituzioni : in altre parole non si può essere subordinati al potere reticolare della globalizzazione armata .

Lo scenario miasmatico e desolante spinge quindi a cogliere il negativo e , al tempo stesso, a opporre un risoluto e adrenalinico rifiuto a ogni complicità con il potere costituito e con l’Impero usurpatore .

Assodato che non tutti i dominati sono rassegnati , fidando nella virtus rivoluzionaria e nell’arte della diserzione , occorrerebbe adottare strategie democratiche feconde vuoi per redimere il passato oppresso e tutte le rivoluzioni tradite , vuoi per dare forma alla mobilitazione totale della vita .

Per non cadere , però , nelle trappole di una effimera utopia , bisogna cercare di dare risposte concrete ed efficaci al problema del "che fare ".

Per resistere al presente e per rendere operante una nuova scienza della democrazia , penso che un suggerimento particolarmente incisivo sia quello di Josè Saramago . Lo scrittore portoghese sostiene che una ipotesi di rivoluzione democratica dovrebbe partire dall’uso della scheda bianca . Quest’ultima , ovviamente , non va percepita come resa , ma come manifestazione di lucidità ,sia per superare i perversi e farraginosi meccanismi delle routine elettorali, sia per demistificare le ingannevoli manovre delle istituzioni , sia per sabotare le forze del comando imperiale.

Per comprendere appieno la valenza della scheda bianca , sarebbe proficuo e illuminante leggere il romanzo di Saramago , " Saggio sulla lucidità " . Questo prezioso libro descrive in modo magistrale come " in occasione di ripetute tornate elettorali , in un Paese non meglio identificato , si verifica lo strano caso che la popolazione della capitale voti massicciamente scheda bianca " . Ciò genera " sconcerto e stupefazione nelle forze governative ", soprattutto perché il numero delle schede bianche risulta significativo :" partito di destra , otto per cento, partito di sinistra , uno per cento , partito di mezzo , uno per cento , astenuti , zero , schede nulle , zero , schede bianche , ottantatre per cento".

Per passare , dunque , dalla " cecità " alla "lucidità " sarebbe bene formare il movimento della scheda bianca , perché , pur non rappresentando la panacea di tutti i mali , potrebbe sortire effetti dirompenti .

E allora , per non essere complici di una " caricatura di democrazia " , fuori dai miti della rappresentanza , fuori dai perversi riti di istituzione , fuori dai parametri di una retorica velleitaria , cerchiamo di coprire la barbarie globale con " un mare di bianche bandiere " .