Romano Prodi alla manifestazione
"Il futuro ci unisce" di Milano
di
cimarelli lina
Milano,
11 dicembre 2004
Fare crescere unItalia Unita
Romano Prodi
Testo
integrale del discorso di Romano Prodi alla
manifestazione "Il futuro ci unisce". Milano,
Palalido.
Care Amiche,
Cari Amici
Grazie di essere qui oggi Così numerosi Così calorosi
Grazie a coloro che sono Venuti da più vicino, da Milano
e dalla Lombardia e a coloro che sono venuti da lontano,
da tutto il resto dItalia.
Grazie a coloro che Hanno maturato e Vissuto la loro
passione politica Allinterno dei partiti.
Grazie agli uomini e alle donne di tutti i partiti qui
rappresentati da Luciana Sbarbati,
Clemente Mastella, Antonio Di Pietro, Francesco Rutelli,
Enrico Boselli, Piero Fassino, Alfonso Pecoraro Scanio,
Oliviero Diliberto e Fausto Bertinotti.
E grazie a tutti voi che nei
movimenti, nelle associazioni, nei sindacati, nelle
scuole, nei posti di lavoro vi battete e donate con
generosità il vostro tempo e il vostro impegno per la
costruzione di unItalia migliore.
Abbiamo
ascoltato le domande, abbiamo compreso i problemi,
abbiamo condiviso le speranze dei nostri amici che hanno
parlato qui di fronte a noi. Ad essi dobbiamo dare una
risposta. Per questo voglio parlare del futuro. Del
futuro da costruire tutti assieme per unItalia
protagonista in Europa.
Il mondo nel XXI secolo
Il
mondo del XXI secolo è un mondo ancora carico di rischi
e di paure: i terrorismi, le guerre e le povertà. Ma è
anche un mondo carico di straordinarie opportunità nel
quale un terzo dellumanità si è svegliato, è
uscito dallisolamento ed ha trovato la strada dello
sviluppo. Nel quale, tra la Cina e lIndia, oltre
due miliardi di persone, stanno scoprendo e provando che
la povertà e la miseria non sono una maledizione eterna.
Un mondo nel quale listruzione è più preziosa
delle materie prime. Un mondo che sta imparando a
riconoscere il valore dellambiente. Un mondo al
quale i progressi della scienza, della medicina, delle
biotecnologie schiudono nuovi orizzonti e nuove speranze
di vita.
LEuropa
Un mondo nel quale cè lEuropa.
UnEuropa di 25 paesi, di 450 milioni di abitanti e,
ora con una Costituzione, con politiche comuni per
sostenere le regioni più povere, per promuovere la
ricerca scientifica, per tutelare lambiente,
lagricoltura, la concorrenza e i diritti dei
consumatori. UnEuropa che è un continente di pace,
di libertà, di sicurezza. UnUnione costruita con
la democrazia e che, aprendosi a nuovi popoli e a nuovi
Stati, ha esportato e sta esportando la democrazia. Un
caso unico ed un esempio in unepoca nella quale
cè chi cerca e si illude che la democrazia si
possa esportare con la forza delle armi. LEuropa è
la carta sulla quale lItalia, uscita distrutta
dalla guerra, ha scommesso il proprio avvenire. E fino a
quando ha fatto questa scommessa ha vinto. LItalia
può ancora avere un grande futuro perché è parte della
nuova e grande Europa delleuro e
dellallargamento. Perché è il ponte naturale tra
lEuropa e il Mediterraneo. Perché il Mediterraneo,
passaggio obbligato delle merci che arrivano da
unAsia in crescita esplosiva, sta tornando, dopo
cinquecento anni, al centro del mondo.
Il futuro dellItalia
LItalia ha le risorse potenziali che
contano nel mondo di oggi: lavoratori straordinari e
imprenditori, piccoli e medi, che sono il nostro
biglietto da visita nel mondo. I nostri successi sono
stati il frutto di una sola ricetta. Di ingredienti
semplici. Imprenditori coraggiosi, apertura alla
concorrenza e ai mercati internazionali, grande
attenzione alle risorse umane e ai lavoratori, legame col
territorio e con le sue tradizioni produttive, scommessa
sullinnovazione. Questa è la ricetta che dobbiamo
promuovere e sostenere. Per rilanciare le nostre poche
grandi imprese e per fare diventare grandi quelle di
media dimensione. E una sfida che ancora possiamo
vincere. Ma ad una condizione: che non inganniamo noi
stessi, che cominciamo col dire la verità. Gli italiani
sentono il bisogno di parole di verità e di coerenza. E
la verità, e lo dico con preoccupazione e dolore, è che
lItalia sta perdendo colpi e rischia di mancare
laggancio con leconomia mondiale e con
lEuropa. Siamo allultimo posto per la
crescita tra tutti i 25 paesi dellunione.
Allultimo posto. Il nostro reddito pro-capite è
caduto sotto la media europea. Non era mai successo
prima. Stiamo perdendo quote di mercato nel commercio
mondiale: dal 4,5% al 3% tra il 1995 e il 2003. E questo,
mentre sia Francia che Germania hanno mantenuto la loro
competitività. In ricerca e sviluppo investiamo
l1% del reddito nazionale, la metà di quanto
fanno, in media, gli altri paesi europei. Se guardiamo
allistruzione, il confronto è ancora più
negativo. Solo il 57% dei giovani tra i 25 e i 34 anni ha
completato le scuole secondarie, il 20% in meno dei loro
coetanei negli altri paesi più industrializzati. E la
qualità della scuola, come la competitività delle
imprese, cade sempre più in basso in tutte le
classifiche internazionali, mentre gli insegnanti
soffrono la difficoltà di capire e di risolvere i
problemi degli studenti. A partire dagli adolescenti.
Le ragioni del declino
Il rischio si fa ora drammatico. Non credete a
chi vi dice che la colpa è solo del mercato del lavoro.
Non credete a chi vi dice che la colpa è solo delle
tasse. Le ragioni sono più profonde, sono più serie. Il
mondo è cambiato: non è più quello del 1996 e le
politiche non possono essere le stesse. Sono cambiati i
modi della produzione. Sono cambiati i fattori del
successo. Oggi, vince chi riesce a restare sulle
frontiere dellinnovazione. Uninnovazione
fatta di ricerca, di scuola, di università, di mercati
aperti allingresso di nuovi protagonisti. Ma fatta
soprattutto di una nuova voglia di provarci. Per questo
al centro del nostro programma dovranno essere i giovani.
I giovani
LItalia non ha scommesso sui giovani:
eppure solo scommettendo su di loro potrà riprendere il
cammino dello sviluppo. I nostri giovani stanno peggio
dei loro genitori. Hanno meno speranze di quante ne
avevamo noi alla loro età. Eppure potrebbero avere
davanti a loro orizzonti sempre più ampi. Eppure, nei
pochi casi in cui vengono date loro delle occasioni sono
bravissimi. Nella ricerca nei settori più avanzati dalle
biotecnologie alle nanotecnologie, nellarte
moderna, nella produzione di qualità. Ma in genere i
nostri giovani sono costretti a restare in parcheggio
sempre più a lungo. Anni sprecati perché dai 20 ai 35
anni la nostra società li spinge a vivere come
adolescenti. Dovremo lavorare insieme ai giovani per una
nuova scuola, più seria, più severa, più formativa,
per portare anche lItalia sulla frontiera
dellinnovazione dalla quale è quasi assente, ma
anche per dare nuova dignità al loro lavoro. I giovani
hanno bisogno di conoscere diverse esperienza, di
viaggiare e studiare allestero, di studiare fianco
a fianco nelle università italiane con decine di
migliaia di coetanei di altri paesi. Voi giovani avete
bisogno di conoscenze e di esperienze. Certo avrete anche
bisogno, come si dice in linguaggio moderno, di
mobilità. Ma qui si è confusa la mobilità con la
precarietà in cui nulla è certo, nulla è previsto come
stabile, nulla è pensato come duraturo. E il giovane
anche quando trova un lavoro è perennemente angosciato
dalla paura di perderlo e nulla può investire nel
migliorare se stesso. Togliendo la sicurezza ai giovani,
negando loro le occasioni di cui hanno diritto, noi
togliamo ad essi e allItalia la possibilità di
rescere.
La stagnazione
E nella stagnazione tutto diventa impossibile. E
noi siamo nella stagnazione. Non solo perché siamo
lultimo nella crescita tra i 25 paesi europei, ma
perché le nostre famiglie sono diventate più povere.
Chi era già ricco lo è diventato ancora di più, mentre
anche chi si riteneva più fortunato di altri fatica ad
arrivare alla fine del mese. Non sorprende che oggi
questo governo e questa maggioranza si ritrovino soli. La
stagione delle illusioni è finita. Le famiglie, i
giovani, gli anziani, i lavoratori, le imprese hanno
fatto i conti. Hanno fatto i conti e si sono trovati,
tutti, più poveri. Più poveri, soltanto
questanno, di 31 miliardi di euro. 60 mila miliardi
delle vecchie lire.
Il
deficit pubblico
Il calcolo è semplice. A giugno cè stata una
prima manovra di 7,5 miliardi. A questa, si è aggiunta,
in settembre, una seconda di 24 miliardi. Infine, pochi
giorni fa, il governo ha deciso di tagliare le tasse,
così hanno detto loro, di 6, 5 miliardi. Ma, poiché i
soldi per finanziare questi 6,5 miliardi di tagli non ce
li avevano, hanno aggiunto alla manovra un carico di 6
miliardi. Vogliamo fare la somma? Niente di più facile.
7,5 + 24 = 31,5
31,5 - 6,5 = 25
25 + 6 = 31
Sono 31 miliardi di euro. Questo è il conto. Ed è il
conto solo per questanno. Tanto che lex
ministro dellEconomia quanto un ministro ancora in
carica hanno già detto che nella prossima primavera
sarà necessario un nuovo intervento. E i risultati non
cambiano anche se ci limitiamo alla sola parte fiscale.
Il Presidente del Consiglio ha parlato del più
significativo taglio delle imposte degli ultimi decenni.
Strano, molto strano. Addirittura sorprendente. Se si
prendono per buone le cifre ufficiali del governo, il
prossimo anno avremo non un taglio ma un aumento delle
imposte. E non si tratta di un aumento di poco conto. Nel
2005 le imposte aumenteranno di quasi 4 miliardi di euro.
Sempre, naturalmente, che non ci siano nuove sorprese.
Sono tasse pesanti, ingiuste, inutili e dannose. Sono
tasse ingiuste perché colpiscono i più poveri e
premiano i più ricchi. E sono tasse inutili e dannose
perché non aiutano le imprese ad essere più competitive
e leconomia a crescere di più. Per questo il
governo ha deciso di chiedere la fiducia quando in
Parlamento, si tratterà di approvare la sua Legge
Finanziaria. Il governo pensa che, liberi di esprimere il
proprio voto, gli stessi deputati della maggioranza
potrebbero anche dire no a questa
Finanziaria. Per una volta, credo che il governo abbia
ragione. Una manovra che pesa per 31 miliardi di euro e
che impone nuove tasse per quasi 4 miliardi non è facile
da digerire. Forse è per questo che il partito del
Presidente del Consiglio ha organizzato per oggi una
manifestazione contro le tasse, un no tax
day. Vogliono dire di no alle nuove tasse del
governo.
Noi e le imposte
Hanno cercato di dipingerci come il partito delle
tasse. Sbagliano. Noi pensiamo semplicemente che le tasse
siano uno strumento per finanziare lazione dello
stato e dare ai cittadini la protezione e i servizi di
cui hanno bisogno. Ciò a cui certo non possiamo
rinunciare è il criterio che informa tutti i sistemi
fiscali dei paesi democratici: la progressività. Questo
vuole dire una cosa semplice: chi ha più possibilità è
chiamato a contribuire in misura maggiore di chi ne ha
meno. I beni pubblici, i servizi, la sicurezza ecc.
debbono essere finanziati in misura crescente al crescere
del reddito. Il fisco serve quindi a due cose: 1.
regolare la crescita 2. ridistribuire il reddito Nel
nostro Paese la distribuzione del reddito si è
squilibrata al punto da diventare un freno allo sviluppo;
basta guardare i dati sul consumo delle famiglie. Anche
le tasse contribuiscono al nostro squilibrio. Esse
gravano in maniera eccessiva sul lavoro. Questo deve
essere il punto di attacco di una manovra fiscale che
voglia ridare fiato alle famiglie e competitività alle
imprese. Meno tasse e meno contributi sul lavoro e sui
redditi da lavoro medio-bassi.
I
tre NO
Per questo dobbiamo dire tre NO. Il primo è allo
stravolgimento della Costituzione. No ad una riforma
della Costituzione che è una vera e propria
controriforma. Che punta a spaccare il paese nella sua
unità istituzionale, culturale e civile. Si rompe
lequilibrio dei poteri, si spezza lunità del
paese. Di nuovo una concessione alle bandiere di qualche
partito regionale. Un modo di intendere la politica, che
per accontentare qualcuno compromette il disegno di
tutti. Il secondo no è ad una riforma della Giustizia,
che punta a spezzare il senso della legge. Si umiliano i
giudici, si fanno le leggi ad personam, si schierano gli
avvocati delle proprie cause nella battaglia
parlamentare. Il risultato è che non solo si indebolisce
gravemente lordinamento giudiziario italiano, ma si
toglie ogni fiducia dei cittadini verso la legge, perché
la legge viene identificata nellinteresse di una
persona o di un gruppo e non nella tutela del diritto e
della giustizia. Il terno no è ad un cambiamento delle
regole del confronto elettorale e delle norme che
garantiscono un livello minimo di parità nelluso
delle risorse della comunicazione. Ma non ci dobbiamo
stupire che questo governo e questa maggioranza siano
contrari alla parità.
Il viaggio dellascolto
Il viaggio che oggi iniziamo in
tutto il paese è un viaggio di ascolto. LItalia è
più grande e più forte della rappresentazione che molti
ne vogliono dare. Una rappresentazione che non ne
riconosce le risorse e lo vuole portare sulle strade
pericolose della divisione e del conflitto, in cui le
parole sono sempre gridate e sempre vuote. Noi vogliamo
capire le risorse e i problemi del nostro paese e
presentare in modo pacato e sereno le soluzioni, che
questo viaggio nella fatica e nelle speranze
dellItalia ci avrà suggerito. Questo non è più
il tempo delle gelosie, delle vecchie discussioni tra
partiti e società civile, della ricerca di piccole
rendite di posizione. Oggi come sessantanni fa
siamo chiamati ad una nuova ricostruzione.
Il tempo corre più veloce dei
ritmi della politica.
E allora, senza lasciare in
dietro nessuno, dobbiamo cambiare marcia e dare un grande
segnale di unità. Questo oggi ci viene chiesto dalla
parte migliore del paese, che non tollera più un mondo
politico litigioso e diviso.
Il cantiere è aperto. Tutti sono chiamati a lavorare in
questo cantiere. Vinceremo se sapremo innovare la
politica, se parleremo agli italiani dei loro problemi.
Se ogni energia sarà mobilitata.
Ciò che ci deve distinguere e che alla fine ci
farà vincere è il linguaggio della verità e della
coerenza.
Ed è con la verità e la coerenza che faremo crescere
unItalia Unita.
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