Le mille delusioni dell'altro Afghanistan
Viaggio
nella «società civile» di Kabul
Le voci degli afghani che si sono battuti contro talebani
e signori della guerra e che oggi soffrono l'occupazione
occidentale. E la corruzione del governo Karzai. Che si
nutre degli aiuti internazionali per arricchirsi,
abbandonado a se stesso il paese.
Vittorio
Agnoletto
di ritorno da Kabul
«Possibile che non abbiate ancora capito che
l'alternativa è scegliere tra il popolo afgano, i
talebani e il governo Karzai e non solo tra gli ultimi
due? Gli Usa dicono di sostenere gli afghani ma
sostengono un governo e un parlamento pieno di signori
della guerra» Incontro il dr. Bashardost Ramazan nel
parco di Kabul dove da mesi ha montato una tenda, passa
qui intere giornate ad ascoltare le richieste e le
proteste di chiunque gli chieda un colloquio, e cerca di
farsi portavoce delle esigenze dei suoi concittadini in
Parlamento, dove è stato eletto come indipendente.
Ha molte cose da denunciare e da chiedere a chi
rappresenta un paese coinvolto nell'alleanza militare:
«Non molto tempo fa un incaricato d'affari
dell'ambasciata Usa ha dichiarato in un dibattito con
Dostum su Aina Tv che costui, famoso signore della guerra
nonché proprietario della stessa televisione, è 'una
brava persona'. Due settimane fa Ronald Neumann,
ambasciatore USA, è stato ricevuto a casa sua da
Rabbani, altro criminale di guerra e dopo l'incontro ha
dichiarato pubblicamente che il suo ospite 'ha fatto
molte cose buone per il popolo afgano'. L'ambasciatore
tedesco l'aveva preceduto a casa di Rabbani circa due
mesi fa. Rabbani anche per Human Rights Watch è un
criminale. Gli ambasciatori Usa e dell'Ue sostengono i
signori della guerra. Gli afghani non capiscono qual'è
la politica della comunità internazionale».
Bashardost è un fiume in piena: «Inoltre, non è un
mistero che le forze internazionali, soprattutto inglesi
e statunitensi, non rifiutano accordi con i talebani,
quando lo reputano vantaggioso per le loro strategie
nazionali o per la sicurezza dei loro uomini». Circa sei
mesi fa il generale David Richards, dal 4 maggio 2006
comandante inglese delle truppe internazionali in
Afghanistan, ha consegnato senza combattere il distretto
di Musa Qala, nella provincia di Helmand ai talebani che
l'hanno occupato senza sparare un colpo; Richards aveva
dichiarato che aver raggiunto un accordo coi capi tribali
della zona, ma tutti sanno che invece erano talebani.
L'ambasciata Usa protestò ma
le potenze occidentali hanno anche strategie differenti
fra di loro; l'Uk ha forti rapporti con il Pakistan che
discendono ancora dai tempi coloniali. Il distretto di
Musa Qala fu riconquistato con le armi quando le forze
internazionali sono passate sotto comando Usa. Non è
nemmeno un mistero che più di una volta gli Usa hanno
pagato i talebani per evitare che attaccassero i soldati
americani».
«Voi - continua Bashardost - con le vostre tasse
finanziate, attraverso gli aiuti, i signori della guerra
che sono oggi al governo e mentre gli impiegati ricevono
40 $ di stipendio al mese questi personaggi girano con
auto da 40.000 $ e hanno stipendi anche di migliaia e
migliaia di dollari spesso pagati loro direttamente da
Ong occidentali o da governi della coalizione militare».
Giri finanziari
Il mio interlocutore mi fornisce della documentazione:
una compagnia inglese, la Crown Agent versa i soldi a una
fondazione Usa, l'Open Society Institute che formalmente
ha lo scopo di promozione della governance, dei diritti
umani e delle riforme economiche e sociali. L'Osi li
versa alla Banca Centrale Afghana sul conto n.26097 che
risulta essere un conto per lo sviluppo e da qui i soldi
vanno direttamente nelle tasche degli alti dirigenti
ministeriali ad aggiungersi ai loro «regolari»
stipendi. Guardo la lista che Bashardost ha in mano: sono
coinvolti i ministeri delle Telecomunicazioni, della
Cultura, del Commercio, della Giustizia ecc. fino al
gabinetto del presidente Karzai. Dal luglio 2003 al
gennaio 2005 sono transitati solo su quel conto 814.821 $
i pagamenti mensili personali vanno da 300 a 3000 $; un
medico guadagna in un ospedale di Kabul 50 $ al mese. Non
credo sia difficile comprendere a quali interessi interni
ed esteri questo governo, così ben foraggiato, sia
fedele.
Il dr. Martin Masood è il leader di Hambastagi un
partito fondato nel 2002 che si pone come obiettivo «la
costruzione di una società democratica, in un sistema
secolare contro il fondamentalismo e i signori della
guerra». Hambastagi nasce dai Freedom Fighters Against
Soviet dal nome che usavano gruppi di combattenti contro
l'occupazione sovietica; ma già allora, mi racconta
Massod, nonostante questi gruppi fossero i più vicini
alla mentalità occidentale, «gli Usa preferirono armare
e finanziare gli integralisti».
Questa situazione continua
anche ora: l'Unione Europea, in occasione delle prime
elezioni parlamentari, aveva garantito loro un aiuto e
dei computer, ma non è arrivato nulla. «L'Ue qui segue
la politica Usa, ignora i partiti democratici. Gli Usa,
secondo quanto riferito dalla stesso Karzai, hanno dato
7,5 milioni di $ a Fahim, uno dei signori della guerra,
il responsabile del massacro realizzato nei primi anni
'90 a Fashar in Kabul con 700 morti e oltre un centinaio
di donne violentate. Fahim ex ministro della difesa di
Karzai è stato rimosso dalla stesso presidente essendo
impresentabile per il popolo afgano che lo ritiene un
criminale, ora è maresciallo, il più alto grado
militare qui in Afghanistan, gira in rolls-royce ed è il
consigliere militare del presidente che lo ha nominato
direttamente senatore, non è stato infatti eletto dal
popolo che lo detesta. Ma è potente...».
Hambastagi alla sua nascita aveva 20.000 iscritti, e nel
suo primo congresso elesse democraticamente i propri
dirigenti. Oggi per l'assenza totale di fondi ha dovuto
chiudere le proprie sedi ed il proprio giornale. Il
rappresentante di Hambastagi a Helmand è stato
decapitato dai talebani.
Denunciare la corruzione e le responsabilità dei capi
talebani o dei signori della guerra può essere molto
pericoloso, e infatti Malalai Joya, deputata democratica
politicamente legata all'associazione di donne Rawa ha
dovuto, proprio in questi giorni, abbandonare velocemente
l'Afghanistan e rifugiarsi molto lontano perché le
minacce contro di lei avevano superato il livello di
guardia.
Vi è un argomento sul quale tutti i nostri interlocutori
hanno insistito con forza in ogni nostro incontro.
L'assoluto rifiuto dell'amnistia votata dal parlamento
per tutti coloro che si sono macchiati di crimini nei due
decenni passati: provvedimento chiesto e nei fatti
imposto con forza dai signori della guerra che per
l'occasione hanno anche organizzato una manifestazione a
Kabul e contro il quale nulla ha finora potuto l'appello
delle vittime della guerra civile lanciato da Hawca
(un'associazione umanitaria per l'assistenza alle donne e
ai bambini afgani) attraverso un'iniziativa pubblica
svoltasi con oltre 250 persone il 6 marzo.
La rappresentanza speciale dell'Ue in Afghanistan ha
parole molto dure verso la proposta di amnistia,
ufficialmente chiamata Reconciliation declaration:
prevarrebbe su tutte le convenzioni internazionali, anche
su quelle relative al rispetto dei diritti umani, ma
vincolerebbe anche i media a non pubblicare nulla che
possa creare problemi ad una supposta riconciliazione
nazionale. Una forma esplicita di censura.
I «signori» e la guerra
L'Ue critica, ma non si espone pubblicamente «per non
apparire invasiva». O forse per non innervosire i
signori della guerra fortemente insediati in un
parlamento e in un governo che l'Ue, con una posizione
totalmente subalterna agli Usa, continua a sostenere.
Praticamente unanime è la condanna delle azioni della
coalizione Isaf/Nato. «La soluzione non è raggiungibile
attraverso le azioni militari. Le bombe nel sud producono
un aumento di consenso e di forza degli insorgenti».
«Volevamo una presenza di una forza delle Nazioni Unite
di Peace Keeping, non di militari pronti a fare la
guerra». «La comunità internazionale anziché spendere
per la guerra dovrebbe investire in capacity building
nella costruzione di strade, nel fornire acqua potabile
ed energia alla popolazione»:
Le proposte dei miei interlocutori sono precise, anche se
sempre più lontane dalle idee di chi oggi ha il comando
dell'Isaf/Nato: «I talebani non sono un'unica realtà
omogenea, né rispondono a un solo comando militare;
possono essere suddivisi in tre differenti entità pur
sapendo che non esistono linee di demarcazione
rigidissime; ma vi sono comunque profonde differenze che
devono essere conosciute per poter agire consapevolmente
verso l'obiettivo dichiarato della pace. La prima realtà
raccoglie i gruppi pro-Isi, i servizi segreti pakistani;
il secondo gruppo raccoglie i militanti e i simpatizzanti
di Al Qaida; il terzo viene definito quello degli
Ordinary Afghan Taliban.
Quest'ultimo gruppo è sicuramente quello più ampio e
raccoglie tantissimi cittadini afghani che non sostengono
il fondamentalismo integralista, ma che sono disgustati e
spaventati dal comportamento delle truppe Usa e in
generale della coalizione militare e che vedono negli
insorgenti sia una forma di riscatto nazionale, sia la
speranza di costruire un futuro dove maggiormente sia
garantita la sicurezza e i principali servizi. Con questo
terzo gruppo è assolutamente necessario avviare dei
colloqui, in tal modo si prosciuga il mare nel quale si
muovono i talebani collegati ad Al Qaida e ai servizi
pakistani. Da questo percorso devono essere esclusi,
ovviamente, i criminali di guerra presenti sia tra i
talebani, sia tra i signori della guerra. Per loro ci
può essere solo un processo».
Un'altra missione
A dispetto dei tanti che sostengono che siamo in questo
paese per aiutare le donne afghane, queste affermazioni
mi sono state continuamente ripetute dai gruppi di donne
che ho incontrato. In sintesi dicono: abbiamo necessità
di una presenza internazionale per evitare di sprofondare
nuovamente in una guerra civile, ma di una presenza
totalmente differente da quella attuale. L'idea è quella
di una forza dell'Onu per garantire la sicurezza e
avviare un percorso di pace che non sia composta «né
dai paesi che oggi sono qui con una presenza militare,
né da quelle nazioni che continuano ad interferire nella
vita dell'Afghanistan come l'Iran, il Pakistan, l'Arabia
Saudita».
Un percorso che per quanto possa apparire estremamente
difficile forse potrà avere qualche possibilità di
successo; possibilità che certamente non sembra poter
avere l'attuale missione internazionale che, attraverso i
bombardamenti, le stragi di civili e l'eradicazione
forzata dell'oppio riuscirà solo a spingere masse sempre
più ampie verso il sostegno ai talebani.
Nel dibattito italiano si è cercato di rappresentare il
rinnovo della missione militare (con l' aggiunta di una
debole e incerta presenza civile) come un passo verso la
conferenza di pace. Ma la realtà è diversa dai
desideri. «La popolazione - mi dice una funzionaria
dell'Ue - comincia a paragonare la presenza Usa e dei
suoi alleati all'invasione sovietica contro la quale ha
combattuto per anni». Credo di aver trovato la risposta
alla domanda che mi ponevo partendo per questa missione.
Vista da Kabul non sembrano esserci dubbi. Questa strada
non ci porta verso la pace e non avvicina nemmeno la
possibilità di una conferenza per un futuro senza
guerra.
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