Unalluvione
di firme nella settimana per lacqua! di Marco Bersani - Attac Italia Dal 17 al 25 marzo, il Forum dei Movimenti per lAcqua ha lanciato una settimana di mobilitazione straordinaria in tutto il Paese. Lobiettivo è ambizioso: aggiungere altre 100.000 firme alle già oltre centomila sin qui raccolte per la legge diniziativa popolare per la ripubblicizzazione dellacqua. Contemporaneamente, dal 18 al 20 marzo, al Parlamento Europeo di Bruxelles si riunirà lAssemblea Mondiale dei Cittadini e degli Eletti per lAcqua, con lobiettivo di dichiarare lacqua bene comune e diritto umano universale. Oggi lacqua è considerata un bisogno da comprare, non un diritto da garantire. E il servizio idrico un ramo del business finanziario, non un servizio pubblico di interesse generale. É così che oltre un miliardo di persone nel mondo non ha accesso allacqua potabile e due miliardi e mezzo non hanno adeguati servizi igienico sanitari. É così che dovunque lacqua sia privatizzata si hanno aumenti della tariffa, diminuzione e precarizzazione del lavoro, riduzione della qualità del servizio, espropriazione dei saperi e del controllo democratico. La privatizzazione dellacqua si ammanta di parole come modernità o innovazione. Finge di dimenticare che non cè niente di più antico della gestione privata dei servizi idrici, che nacquero come bisogno delle elites verso metà del XIX secolo, ma che furono trasformati dalla grande stagione delle municipalizzate di inizio 900, quando ci si accorse - grazie al proliferare delle epidemie che non facevano distinzioni di class e- della necessità di un servizio idrico generalizzato e accessibile a tutti, che i privati non potevano certo garantire. Nella normativa vigente in Italia, lacqua è considerata un bene economico e la gestione del servizio idrico può avvenire attraverso ununica forma societaria, la società di capitali, che possono essere privati, misti o interamente pubblici. Occorre un di più di chiarezza: la SpA è un ente di diritto privato, tenuta, secondo il Codice Civile, ad avere come obiettivo il profitto. La gestione dellacqua attraverso SpA, anche a totale capitale pubblico, comporta una torsione economicistica del servizio e la mercificazione del bene comune. Può non essere formalmente presente il privato, avremo tuttavia un pubblico che si deve comportare come tale. Grazie alle decine di vertenze territoriali aperte e al Forum dei Movimenti per lAcqua, londa della ripubblicizzazione dellacqua è diventata una vertenza nazionale. Proprio il timore di quellonda sta provocando in diversi territori unaccelerazione dei processi di privatizzazione. In barba alle richieste dei movimenti e dei comitati popolari di gestione pubblica e partecipativa dellacqua, in Sicilia si procede con diktat dei commissari, nominati direttamente dal governatore Totò Cuffaro. Ma anche in Lombardia, nonostante la legge regionale voluta da Formigoni sia stata impugnata per incostituzionalità dal Governo, gli ATO accelerano nellapprovazione di convenzioni che recepiscono lobbligo alla privatizzazione; mentre in Campania la mobilitazione permanente dei comitati prova ad impedire ulteriori processi di privatizzazione. Il 10 marzo a Palermo, benedette da una pioggia battente, oltre diecimila persone hanno sostenuto la legge di iniziativa popolare e chiesto a gran voce una moratoria sui processi di privatizzazione in corso. Il programma dellUnione ha scritto a chiare lettere La proprietà e la gestione dellacqua devono rimanere in mano pubblica. Il Governo non può sottrarsi, né limitarsi a periodiche dichiarazioni ad uso dei mass-media. Esigiamo subito un decreto ad hoc che stabilisca una moratoria immediata su tutti i processi di privatizzazione in corso. Lo chiedono i movimenti che stanno raccogliendo firme per la legge diniziativa popolare in tutto il Paese, lo chiedono i tanti Enti Locali che si stanno ribellando a processi che esautorano il proprio ruolo di rappresentanti delle comunità locali. Anche per questo, in centinaia di piazze, strade e mercati delle città si raccoglieranno firme per lintera settimana dellacqua. Dal riconoscimento dei beni comuni, come in Val di Susa, a Vicenza, nelle decine di realtà territoriali in lotta, nascono nuove forme di partecipazione sociale dal basso. In quelle esperienze - e non nellautismo istituzionale dei dodici punti di Prodi - risiede la possibilità di rifondare una democrazia sostanziale. L'Europa? Tutto va ben, madama la marchesa di Alejandro Teitelbaum Nel decennio a partire dal 1970 si assiste alla fine dello Stato del benessere, caratterizzato dalla produzione di massa e dal consumo di massa; quest'ultimo ha tratto vigore dall'aumento tendenziale dei salari reali e dall'estendersi generalizzato della previdenza sociale e di altri benefici. E' quello che gli economisti chiamano il modello "fordista", di ispirazione keynesiana, inaugurato negli Usa ed esteso all'Europa, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. L'esaurirsi del modello dello Stato del benessere è dipeso da varie ragioni: per esempio, bisogna rilevare che l'espansione economica iniziata con la ricostruzione del dopoguerra ha raggiunto i propri limiti, che il consumo di massa, come pure gli utili delle imprese, sono andati verso il ristagno o la regressione, mentre allo stesso tempo si sono prodotte grandi innovazioni tecnologiche (robotizzazione, microelettronica, ecc.). Per dare un nuovo impulso all'economia capitalista è stato necessario incorporare nella produzione di beni e servizi la nuova tecnologia e ciò ha richiesto ingenti investimenti di capitali. Così ha avuto inizio l'epoca dell'austerità e dei sacrifici (congelamento dei salari e aumento della disoccupazione) che hanno accompagnato la riconversione industriale. Nello stesso tempo, la rivoluzione tecnologica, nei Paesi più sviluppati, ha favorito la crescita del settore servizi e si è verificato lo spostamento di una parte dell'industria tradizionale verso i Paesi periferici, dove i salari erano - e continuano ad essere - molto più bassi. Si è accentuato il passaggio da un sistema basato sulle economie nazionali ad un'economia dominata da tre centri mondiali: gli Usa, l'Europa e il Giappone, più il gruppo formato dalle "4 tigri dell'Asia": la Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore. I "vantaggi comparativi" degli Stati sono diventati i "vantaggi comparativi" delle società multinazionali con dislocazione territoriale differenziata. Grazie all'incorporazione delle nuove tecnologie, la produttività è enormemente aumentata, cioè, a parità di lavoro umano, la produzione di beni e servizi è risultata molto maggiore. A questo punto si sono aperte due possibilità: da un lato incentivare su scala planetaria il consumo di massa dei beni tradizionali e dei beni di nuovo tipo grazie ad una politica salariale espansiva, rivitalizzare la politica sociale nello stile dello Stato del benessere, ridurre la giornata di lavoro in funzione dell'aumento della produttività per tendere ad una situazione di pieno impiego e garantire prezzi internazionali equi alle materie prime e ai prodotti dei Paesi poveri; dall'altra parte, conservare ed anzi aumentare i margini di profitto, tenendo bassi i salari, il livello di occupazione e i prezzi dei prodotti dei Paesi del Terzo Mondo. La prima opzione sarebbe stata praticabile in un sistema di economie nazionali, nelle quali la produzione ed il consumo in linea di massima avvengono all'interno del territorio e, di fatto, è possibile il patto sociale fra i capitalisti e i salariati, contemporaneamente in veste di consumatori. Ma nel nuovo sistema globalizzato, la produzione viene destinata ad un mercato mondiale di "clienti solventi" e il potere di acquisto degli abitanti del luogo di produzione non ha più alcuna importanza. Nelle condizioni di globalizzazione accelerata, i detentori del potere economico e politico su scala mondiale con la loro visione di "economia-mondo" e di "mercato globale" hanno optato per la seconda alternativa, al fine di innalzare il proprio margine di benefici, mantenendo bassi i salari, alti i livelli di disoccupazione, tagliando le spese per la previdenza sociale, pagando prezzi irrisori per le materie prime, ecc.. Questa scelta ha avuto la conseguenza di accentuare le disuguaglianze sociali all'interno di ogni Paese e a livello internazionale, e si è creata una netta differenziazione nell'offerta e nella domanda di beni e di servizi. La produzione e l'offerta dei beni si sono rivolte non a tutta la gente in generale, ma solo ai cosiddetti "clienti solventi". Si è avuto così un enorme incremento nel mercato dei beni di lusso, e l'offerta di nuovi prodotti - come computers e cellulari - ha trovato una gran massa di clienti nei Paesi ricchi, nonché molti clienti non troppo poveri nell'immediata periferia. I beni essenziali per la sopravvivenza (generi alimentari, salute, medicine) sono praticamente rimasti fuori della portata del settore più povero della popolazione mondiale. L'idea del servizio pubblico e dell'irrinunciabile diritto ai beni essenziali per garantire un minimo di dignità di vita è stata rimpiazzata dal principio che tutto dev'essere sottoposto alle leggi del mercato (Nel rapporto dell'Alta Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani - - - documento E/CN.4/Sub.2/2002/9 del 25 giugno 2002 - si afferma, in riferimento al commercio di servizi, che un investimento privato straniero può avere come risultato la fornitura di servizi a due diversi livelli, uno per i sani e i ricchi, e l'altro per i poveri e i malati, nonché l'allontanamento del personale specializzato dai servizi pubblici, un'eccessiva insistenza sugli obiettivi commerciali a spese degli obiettivi sociali e un settore privato sempre più ampio e potente che può minacciare la funzione del governo come principale garante dei diritti umani). I ritmi di crescita economica si sono mantenuti bassi, perché un mercato relativamente ristretto imponeva limiti alla produzione: da qui è scaturito il fenomeno delle grandi masse inattive di capitale (petrodollari compresi), che non potevano essere investite nella produzione stessa. Tuttavia, per i detentori di questi capitali (persone, banche, istituzioni finanziarie) era impensabile lasciarli in un angolo senza farli fruttare. Così il compito tradizionale delle finanze al servizio dell'economia - con l'intervento sia nel processo di produzione sia in quello del consumo (tramite crediti, prestiti, ecc.) - è stato limitato dal nuovo ruolo del capitale finanziario: produrre sì utili, ma senza prendere più parte al processo produttivo. Questo fenomeno si traduce secondo modalità diverse: tramite l'acquisto di azioni di società industriali, commerciali e di servizi da parte degli investitori istituzionali - gestori di fondi pensione, compagnie di assicurazione, organismi di investimento collettivo, come i fondi d'investimento (i fondi di investimento riuniscono fondi provenienti dai fondi pensione di imprese, di compagnie d'assicurazione, di privati, ecc., che li usano per l'acquisto di imprese industriali, commerciali o di servizi; queste imprese possono venire conservate quando si rivelino molto redditizie oppure per motivi strategici; in alternativa possono essere rivendute con un considerevole margine di guadagno. Gli acquisti vengono realizzati usando il sistema detto Leverage Buy-out (LBO): il termine potrebbe essere tradotto "operazioni con effetto leva", e consiste nel finanziare l'acquisto in parte (generalmente il 30%) con capitale proprio e per il resto (70%) con prestiti bancari, garantiti dal patrimonio dell'impresa acquistata. Si calcola che i fondi di investimento nel mondo ammontino a circa 350 mila milioni di dollari da investire e che, nel 2005, soltanto in Europa si siano raccolti 72 mila milioni di dollari di fondi pensione e di grandi fortune) ecc. - i quali, dunque, intervengono direttamente nelle decisioni di politica delle imprese affinché i loro investimenti, come sperato, producano rendite elevate. Il movimento di capitali in questa attività improduttiva ha acquisito proporzioni gigantesche: nel 2006 sono stati battuti tutti i records annuali nelle fusioni e negli acquisti di imprese: in effetti il loro volume ha raggiunto i 3.610.000.000.000 dollari, il 30% in più rispetto al 2005. Il professor Michel Drouin afferma: "Gli anni "80, per l'aumento dei flussi di capitali internazionali, conseguente alla deregulation e alla destrutturazione quasi generale dei mercati finanziari, sono stati il decennio della globalizzazione finanziaria. Le operazioni finanziarie, il cui volume era già scollegato da quello delle transazioni in beni e in servizi, sono diventate totalmente autonome, ossia influenzate non più dalla logica delle transazioni correnti, ma da quella dei movimenti di capitali. Il settore finanziario ha fondato il suo sviluppo su se stesso, ricercando un beneficio che scaturisse eslusivamente dalla variazione dei prezzi dei propri strumenti. Per il carattere speculativo di questa logica di crescita si può parlare della nascita di un'economia internazionale della speculazione"( Michel Drouin, Il sistema finanziario internazionale, Edit. Armand Colin, Parigi, gennaio 2001, Cap. V). Gli Usa e una parte della loro popolazione sono i primi beneficiari del processo di globalizzazione finanziaria, che consente loro di appropriarsi del prodotto del lavoro e dei risparmi dei popoli di tutto il pianeta. Ronald Mc Kinnon, professore titolare del Dipartimento di Scienze Economiche dell'Università di Stanford, in un articolo pubblicato nel Bollettino del Fondo Monetario Internazionale (Fondo Monetario Internazionale, Finanze e Sviluppo, giugno 2001) scrive: "Nell'ultimo decennio, il risparmio delle famiglie (negli Usa) è diminuito più di quanto il risparmio pubblico (espresso dalle eccedenze nei budgets) non sia aumentato nello stesso periodo. L'enorme deficit nella bilancia dei pagamenti (esportazioni contro importazioni) delle transazioni correnti Usa - circa il 4,5% del prodotto nazionale lordo del 2000 - riflette questo squilibrio nel risparmio. Per finanziare un livello normale d'investimento interno - storicamente attestato attorno al 17% del prodotto nazionale lordo - gli Usa hanno dovuto attingere largamente ai risparmi del resto del mondo. 'Cattive" riduzioni di imposte - quelle che diminuiscono il risparmio pubblico senza stimolare il risparmio privato - potrebbero incrementare questo debito con l'estero. Da oltre 20 anni (cioè da prima del 1980), gli Usa fanno ricorso con ampiezza alle riserve limitate del risparmio mondiale per sostenere il proprio alto livello di consumo - quello dell'amministrazione federale negli anni "80 e quello delle famiglie negli anni '90. Le entrate nette di capitali attualmente superano quelle dell'insieme di tutti i Paesi in via di sviluppo. E così gli Usa, che all'inizio del 1980 erano creditori del resto del mondo, sono diventati il maggior Paese debitore al mondo: circa 2 miliardi 300 mila milioni di dollari nel 2000. I bilanci delle famiglie e delle imprese negli Usa mostrano l'effetto cumulativo dei prestiti privati ottenuti all'estero da 10 anni a questa parte. Il debito delle imprese è molto elevato anche in relazione ai flussi di cassa. Tuttavia, non c'è di che preoccuparsi. Gli Stati Uniti si trovano in una situazione unica e, di fronte al resto del mondo, dispongono di una linea di credito praticamente illimitata, prevalentemente in dollari. Le banche e le altre istituzioni finanziarie Usa sono relativamente al riparo rispetto ai tassi di cambio, in quanto i loro attivi (...) e i loro passivi sono in dollari. Al contrario, altri Paesi debitori devono adattarsi alla disparità delle divise: i passivi internazionali delle loro banche e delle altre imprese sono in dollari, mentre gli attivi sono in valuta nazionale (i Paesi dell'Asia continuano ad acquistare in quantità massiccia i buoni del Tesoro statunitensi, e proprio grazie a ciò gli Usa riescono a coprire il proprio deficit fiscale. Quasi i 4/5 dei finanziamenti richiesti sono stati ottenuti in questo modo. Nell'anno 2006 il deficit fiscale è salito a 247.700 milioni di dollari Usa, circa il 1,9% del PIL). Questa "economia internazionale della speculazione" ha accelerato il processo di accumulazione di grandi capitali in poche mani, soprattutto a spese dei lavoratori, dei pensionati e dei piccoli risparmiatori, creando l'illusione che il denaro potesse riprodursi da solo, senza intervenire nel processo di creazione di valore. Nel caso specifico delle partecipazioni del capitale finanziario (fondi pensione, compagnie di assicurazione, fondi di investimento, banche, ecc.) nelle industrie e nei servizi, la rendita elevata che questi capitali esigono ed ottengono si fonda sul peggioramento delle condizioni di lavoro nelle industrie e nei servizi stessi. E" ben noto il fenomeno per cui, quando un'impresa annuncia dei licenziamenti, le sue azioni salgono (tramite queste risorse esterne si son potute finanziare le riduzioni di imposte grazie alle quali Bush ha favorito settori altamente redditizi, ottenere le risorse necessarie a portare avanti il costoso intervento militare in Iraq e in Afghanistan e a mantenere lo spiegamento di forze attorno al mondo, e inoltre si son potute concedere delle esenzioni tributarie discriminatorie. Hugo Fazio (CENDA) : gli Usa sono finanziati dal resto del mondo. Argenpress 17/10/2006). Sono state proprio queste le modalità grazie a cui il capitale multinazionale ha mantenuto e continua a mantenere un alto tasso di benefici e un ritmo accelerato di accumulazione e di concentrazione, malgrado la crescita economica al rallentatore e il mercato ristretto. Tra l'altro, gli scandali finanziari smascherati nel corso del 2002 hanno causato perdite enormi ai più grandi fondi pensione statunitensi, che hanno deciso di fare causa ai responsabili, tra cui Enron e il suo auditor Arthur Andersen; WorldCom ecc.. Calpers, che amministra il denaro di 1.300.000 funzionari californiani, CalSTRS (687000 docenti dello stesso Stato) e Lacera (132000 impiegati di Los Angeles) hanno perduto 318 milioni di dollari per il fallimento di WorldCom (oltre 7 mila milioni di dollari andati in fumo). Il fondo pensione dei funzionari dello Stato di New York (112 mila milioni di dollari di attivo) ha perso 300 milioni di dollari nel fallimento di WoldCom, etc. (Vedi Le Figaro économie, 18/7/02, p. I y VII). Si percepisce anche la recente tendenza dei grandi fondi pensione ad acquistare le imprese, invece di limitarsi a investire in esse e cercare di controllarle, cosicché l'esigenza di assicurare agli azionisti una rendita più elevata- a spese delle condizioni di lavoro, dei salari e della stabilità nell'impiego del personale delle imprese - si fa sempre più imperativa. Comunque il problema sta nel fatto che il denaro NON E' un valore ma RAPPRESENTA un valore. Il valore si crea soltanto attraverso la produzione e per se stesso il denaro non può generare valore né produrre utili. Nel giugno 2001, Sergio Tchuruk, presidente di Alcatel, una grande società multinazionale francese, ha annunciato la sua intenzione di creare un'impresa senza fabbriche. Commentando questa dichiarazione sul giornale francese Le Monde del 3 luglio 2001, Jean-Marie Harribey(*), professore di scienze economiche e sociali dell'Università di Bordeaux IV, sottolineava che la frase di Tchuruk era l'espressione più calzante dell'attuale utopia capitalista, che teorizza la creazione di valore per l'azionista. Imprese del genere non sono un progetto futurista di Tchuruk, ma esistono già nella realtà: sono quelle che tengono per sé l'attività finanziaria e subcontrattano o controllano l'attività produttiva che viene realizzata da altre imprese. Secondo il professor Harribey, tali imprese dovrebbero creare per l'azionista un valore corrispondente al valore generato dal processo di produzione, del quale sono le imprese finanziarie ad appropriarsi. Questa appropriazione di valore - afferma Harribey - può assumere due forme. La prima prevede un peggioramento delle condizioni di impiego (salari bassi, orari di lavoro flessibili, impieghi precari, disoccupazione), ciò significa che l'aumento della produttività non arreca beneficio ai lavoratori e può avere effetti positivi soltanto nell'aumentare il rendimento del capitale. La seconda forma in cui si traduce questa appropriazione di valore ha luogo attraverso una ripartizione disuguale tra il capitale produttivo e il capitale finanziario, a tutto beneficio di quest'ultimo, dato che i gestori di capitali finanziari con partecipazioni in attività produttive esigono un tetto minimo di rendita, che in molti casi non potrebbero raggiungere mantenendo condizioni decenti di lavoro e un'equa distribuzione dei benefici tra il capitale produttivo e il capitale finanziario. ARGENPRESS Info (24.01.07) Traduzione a cura di Cinzia Vidali (*) NDR Jean-Marie Harribey è oggi co-presidente e membro del Consiglio Scientifico di Attac Francia Automobile o tortillas? Di Matilde Giovenale Il nuovo fronte dello scontro fra Stati Uniti e Messico si chiama tortillas, o meglio mais. Un terreno di conflitto che si è aperto già da qualche settimana ma che ha registrato nella nottata di oggi una recrudescenza significativa, con decine di migliaia di messicani scesi nelle piazze e nelle strade della capitale, Città del Messico, per protestare contro il grande stato del Nord. E con il presidente Felipe Calderon, intervenuto pubblicamente per annunciare un giro di vite contro speculatori e accaparratori che sfruttano la situazione. Alla base della manifestazione e del clima di tensione fra i due paesi, la crescita di prezzo che ha investito il tradizionale alimento messicano, la tortilla, arrivato a costare oltre il 400% in più rispetto al suo costo tradizionale: sette pesos al chilo (0,50 euro) oggi arrivati ai 18. A rendere così esosa la focaccia di granturco ci sarebbe l'accresciuta domanda di mais, elemento base di composizione della piadina sudamericana, da parte degli Usa, i quali utilizzano il cereale per produrre il biocombustibile etanolo. Il punto critico è che gli States non sono solo il primo produttore ed esportatore al mondo di mais, ma anche il maggior produttore di etanolo. Da parte sua, il Messico ne produce invece soltanto 21 milioni di tonnellate non soddisfacendo il suo fabbisogno, che si aggira intorno ai 39, e rendendo così necessario il ricorso all'importazione dal gigante a stelle e strisce. Una necessità, quella messicana, che permette agli Stati Uniti di imporre un aumento del costo del mais, con grave danno per le tasche della popolazione messicana. Del resto i dati in materia parlano da soli: l'aumento di 650mila tonnellate di mais importato dagli Stati Uniti a prezzo calmierato rappresenta infatti solo il 3% della produzione nazionale e le ripercussioni sui prezzi e le tensioni sociali appaiono dunque inevitabili. Una soluzione al problema, che però non trova d'accordo gli Usa, sarebbe quella di ridurre i sussidi a favore degli agricoltori americani. Secondo la Casa Bianca, come ha sottolineato recentemente il presidente George Bush parlando al Congresso, l'etanolo è infatti la fonte alternativa al petrolio per il prossimo futuro, per tanto la prospettiva di diminuire l'uso del mais appare impraticabile; al contrario, gli Usa hanno già fatto sapere che per il 2008 la produzione del cereale dovrà salire fino a 65 milioni di tonnellate, consentendo la conseguente crescita dell'estrazione del biocombustibile. Ora, il rischio che si profila per il Messico è quello di una vera e propria insufficienza alimentare, che da sempre in realtà ha gravitato come una minaccia sul Paese. Uno stato che, come ha spiegato al Sole 24 ore in una sua intervista recente Marcello Carmagnani, professore ordinario di storia dell'America Latina all'università di Torino, non ha mai avuto una vera e propria autosufficienza in materia. Unica categoria che potrebbe trarre vantaggio da questa "crisi della tortilla" appare per ora quella dei produttori agroalimentari messicani di transgenico. Jaime Yesaki, presidente del Cna (Consejo nacional Agropecuario), un organismo che raggruppa più di 500 produttori, ha infatti prospettato l'ipotesi che la coltivazione di semi di mais transgenico venga impiegata come una prima risposa all'emergenza vissuta dal Messico. La sua proposta appare però di difficile realizzazione, anche per via della contrarietà già manifestata da organizzazioni come Geenpeace, tradizionalmente avversi agli ogm. Per non parlare poi del divieto che da otto anni esiste in Messico e che proibisce la semina di mais geneticamente modificato. Non è un caso infatti che la stessa organizzazione sospetti che la crisi attuale sia stata volutamente innescata per poter giustificare la cancellazione di quel divieto e favorire la produzione transgenica. Il caso della tortilla messicana assume però un significato ben più globale, trasformando una vicenda locale in un fenomeno di ben più vasta portata. "L'alternativa, il trade-off, tra cibo e combustibile - spiega infatti Lester Brown, direttore dell'Earth policy institute - rischia di provocare un caos nel mercato mondiale degli alimenti". La battaglia del mais infatti testimonia come sia ormai necessaria una politica di superamento della dipendenza dal petrolio, una nuova epoca in materia energetica che ha il suo futuro proprio nella produzione di biocarburanti. In proposito, Brown stesso ha dichiarato in occasione del recente World economic forum di Davos, come "nessun Governo, né quello di Washington né altri, è cosciente della gravità della crisi che entro breve potrebbe riprodursi in Indonesia, Algeria, Nigeria o Egitto, Paesi in via di sviluppo dipendenti dalle importazioni di cereali". www.aprileonline.info 2/2/2007 El Salvador: 15 anni dopo la firma degli Accordi di pace abbiamo qualche motivo per celebrare? di Celia Medrano Per il giorno 16 gennaio è stata ufficialmente proclamata la celebrazione dei 15 anni trascorsi dalla firma degli Accordi di Pace nel Salvador - un evento promosso dal governo salvadoregno insieme all(ora) partito politico Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Martí (FMLN), dovè attesa la presenza del Segretario Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Diversi settori sociali, tra i quali gli invalidi di guerra, gli ex pattugliatori e gli ex combattenti, hanno manifestato il proprio disaccordo sul fatto che un avvenimento politico e storico di questa natura possa meritare una celebrazione, considerando la stasi o addirittura il regresso che si rilevano rispetto ad importanti obiettivi delineati dagli Accordi, e visto che continuano ad esistere invariate le condizioni strutturali che dettero origine al conflitto armato. Inoltre, malgrado il fatto che le Nazioni Unite abbiano dichiarato conclusi gli Accordi di Pace del Salvador nel 1997, in realtà taluni propositi degli Accordi stessi non sono stati tradotti in atto, mentre importanti raccomandazioni relative ad istanze scaturite dai negoziati sono rimaste lettera morta. Lo stesso segretario Generale dell'ONU dellepoca, Boutros Ghali, nel rapporto finale di verifica 1997, ha sottolineato significativi aspetti rimasti incompiuti, non solo nell'ambito della pubblica sicurezza, ma anche in quello dei diritti umani e dell'amministrazione della giustizia, ponendo l'accento specialmente sulla mancata attuazione delle raccomandazioni formulate dalla Commissione per la Verità. I risultati più notevoli degli accordi, senza dubbio, sono stati la cessazione dello scontro armato, la smobilitazione degli apparati della violenza statale tradizionale, che sono rimasti attivi per decenni, e la trasformazione della forza guerrigliera militare del FMLN nella figura giuridica di un partito politico. Tuttavia, più che la celebrazione della firma di un accordo politico tra due parti a confronto che ha posto fine ad un conflitto armato, questa può essere piuttosto un'occasione propizia per compiere un'analisi sugli Accordi di Pace, vedere se sono stati più o meno attuati, e individuare il reale contributo apportato dagli stessi al presente scenario nazionale. Il periodo di 15 anni è sufficientemente ampio per dare una valutazione più adeguata del processo, degli attori e delle possibili evoluzioni, a partire dalle aspettative che a suo tempo la firma degli Accordi aveva generato nella società salvadoregna, e dall'impulso a creare uno spazio che consentisse di progredire nella profonda trasformazione dello Stato, in vista della 'democratizzazione, del rispetto senza vincoli dei diritti umani e della riunificazione della società salvadoregna" - questo l'obiettivo finale del processo, formulato dalle Parti negozianti nel cosiddetto Accordo di Ginevra dell'aprile 1990. Con gli Accordi di Pace è nata l'idea di costruire lo Stato democratico salvadoregno e si è inaugurato un nuovo periodo, in cui si è fatta strada lidea che progressivamente si sarebbero potuti coinvolgere diversi settori fino ad allora politicamente esclusi e che, in un secondo tempo, si sarebbero potuti promuovere dei cambiamenti per il benessere socioeconomico della popolazione. In genere si afferma che gli Accordi hanno segnato l'inizio di un nuovo sistema politico e che hanno consentito di "esprimere il nuovo consenso della Nazione, cosa che implica un nuovo patto sociale, una sorta di rifondazione dello Stato e della Nazione salvadoregna". Una delle formulazioni più integrali di questi obiettivi è stata quella pronunciata dal Professor Pedro Nikken, Esperto Indipendente per El Salvador della Commissione per i Diritti Umani dell'ONU: "Gli Accordi di Pace... non si sono limitati a risolvere le questioni militari, ma hanno delineato un denso programma di riforme destinate ad affrontare alcune delle cause profonde del conflitto, a garantire il rispetto dei diritti umani e a dare impulso alla democratizzazione del Paese....". Ciononostante, la traduzione in pratica degli Accordi di Pace, aldilà della cessazione dello scontro armato e dello smantellamento del conflitto, non ha mai realmente portato la sperata trasformazione democratica dello Stato salvadoregno. I cambiamenti - contemplati negli Accordi - maggiormente disattesi e incompiuti sono stati quelli che miravano a forgiare una nuova istituzionalità democratica. Sono state rilevate involuzioni nelle strutture della Polizia Nazionale Civile (PNC), nella Procura per la Difesa dei Diritti Umani (PDDH), nel Pubblico Ministero Generale della Repubblica, organo giudiziario, nella Corte dei Conti, nel Tribunale Elettorale Supremo e nell'Assemblea Legislativa, come pure una tendenza verso pratiche autoritarie e lesive dei diritti umani, come la "Legge per la Difesa Nazionale", la "Legge speciale contro gli atti di terrorismo" e la "Legge contro il crimine organizzato e i delitti di realizzazione complessa", tutte approvate di recente. Analogamente, il processo di deterioramento degli Accordi viene accentuato dal coinvolgimento dei militari, che dal 1993 svolgono funzioni di pubblica sicurezza, e dal rifiuto reciso degli stessi di fronte al rapporto della Commissione sulla Verità. Questo processo è andato avanti fino al momento attuale, che ha visto le Forze Armate ottenere maggior controllo sulla PNC. Conseguenze innegabili per il Paese riveste anche la circostanza che El Salvador sia l'unica nazione latinoamericana a mantenere contingenti militari in Iraq. Il governo salvadoregno spiega che la presenza militare in Iraq risponde allappello delle Nazioni Unite, dando ad intendere che l'aggressione militare contro questo Paese sovrano ha l'appoggio legale del Consiglio di Sicurezza dellorganismo internazionale. E tuttavia, in una recentissima conferenza tenutasi nella sede dell'ONU a Ginevra, prendendo congedo, Kofi Annan avrebbe ammesso che "...la guerra in Iraq è stata l'avvenimento più triste dei suoi 10 anni in carica, fra l'altro perché le Nazioni Unite non sono riuscite ad evitarla...". L'anno scorso, mentre era in visita nel Salvador, l'ex Segretario Usa della Difesa, Donald Rumsfeld, ha lodato il progresso del Paese, affermando che "L'umanità si muove verso la libertà. Lo abbiamo visto nel Salvador, lo abbiamo visto in Afghanistan, e credo che lo vedremo in Iraq". Il Paese è emerso da una guerra civile appoggiata dagli Usa, non solo, è anche il secondo, nell'ordine, a riceverne aiuti militari ed è l'undicesimo nella lista di acquisto armi, investendo tra il 2000 e il 2003 un totale di 46.8 milioni di dollari in armamenti. Durante la guerra civile, nella quale, in 12 anni, sono state assassinate 75,000 persone, Washington ha assicurato un apporto giornaliero di 1.5 miliardi di dollari in aiuti economici e militari. Il fallimento maggiore degli Accordi di Pace è quello relativo alla protezione dei diritti economici e sociali della popolazione, nonostante fosse stata decisa la creazione del Foro di Concertazione Sociale. Il compimento degli Accordi di Pace in tema economico e sociale è indispensabile, particolarmente per quel che si riferisce alla distribuzione delle terre, alla concessione di credito e di appoggio tecnico alla piccola produzione contadina e alle piccole e microimprese, alla soppressione delle pratiche monopolistiche, all'investimento sociale, al funzionamento reale del Foro di Concertazione Economica e Sociale e ai programmi per gli invalidi di guerra. Per raggiungere questo obiettivo è necessario aumentare il prelievo fiscale, combattendo l'evasione - praticata principalmente dai grandi imprenditori - il cui ammontare è quasi pari al prelievo annuale del governo. È particolarmente importante ribadire che l'attuale Consiglio Superiore del Lavoro non è un sostituto del Foro di Concertazione economico-sociale, poiché non ha carattere risolutivo, non affronta i temi segnalati dagli Accordi di Pace e appoggia la politica del governo. La fine della guerra è una conquista inestimabile del popolo salvadoregno. Ma, aldilà della loro rilevanza storica, gli Accordi di Pace aspiravano a fondare uno Stato rispettoso e garante dei diritti umani, basato su un'istituzionalità nuova o riformata che desse concretezza alla cornice costituzionale del Paese. Nonostante il successo nella cessazione della lotta armata, il processo democratico salvadoregno ha subito una stasi, dovuta a gravi deterioramenti, regressioni e intolleranze e molte delle istituzioni statali hanno visto minata la loro indipendenza rispetto a poteri di fatto, soprattutto politici o economici. I vuoti più sensibili, 15 anni dopo la firma degli accordi di pace, sono quelli relativi all'inosservanza delle raccomandazioni scaturite da rapporti fondamentali, come quelli della Commissione sulla Verità, del Gruppo Ad Hoc e del Gruppo Congiunto per l'Investigazione dei gruppi armati illegali con motivazione politica. I responsabili degli Squadroni della morte che hanno operato nel decennio '80 non sono stati inquisiti, i loro membri non sono stati sottoposti a giudizio e non è stata offerta alcuna riparazione alle vittime. In questo senso, tali strutture si sono mantenute potenzialmente attive per la violenza politica degli anni successivi. Nel decennio '90, sia il Segretario Generale sia l'Esperto Indipendente della Commissione per i Diritti Umani, hanno espresso la loro preoccupazione per la persistenza di esecuzioni estragiudiziarie nel Salvador. Lo Stato non ha mai promosso serie ed efficaci investigazioni riguardo a questo tipo di omicidi e, in generale, ha sempre dimostrato la sua incapacità nel far luce sulle centinaia di omicidi che ogni anno avvengono nel Salvador, per i quali, anzi, dai decenni '70 e '80 si è configurato uno scenario di impunità quasi assoluto. La legge di Amnistia, decretata dall'Assemblea Legislativa nel 1993, attualmente costituisce uno degli ostacoli principali al superamento di questo problema. Annullare e rendere inapplicabile questa legge è un imperativo che è stato ribadito dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, dal Comitato per i Diritti Umani dell'ONU e dalla stessa Sala de lo Constitucional della Corte Suprema di Giustizia del Salvador. Nel 1994 e nel 1995, il Paese ha raggiunto il tasso allarmante di 150 e 160 omicidi ogni 100 mila abitanti, diventando il Paese più violento dell'America Latina per questo tipo di reato. Nel 2005, la cifra totale degli omicidi è stata di 3.761 (54,71 ogni 100 mila abitanti) per cui El Salvador, in questo campo, ha di nuovo raggiunto il discutibile primato geografico di Paese più violento della regione. Al centro di tutto c'è il problema dell'impunità; finché esisteranno la tendenza alla rimilitarizzazione della società e liniquità, i responsabili delle istituzioni create per compiere le missioni previste dagli accordi contro l'impunità, la corruzione e a favore di uno Stato di diritto, continueranno a muoversi nell'impotenza, nella frustrazione, nella debolezza o nella connivenza. Le cause della guerra sono state principalmente economiche. Cionostante, le cause strutturali che, indiscutibilmente, hanno causato il conflitto armato non erano oggetto di negoziato. I potenti e circoscritti interessi economici e politici tradizionali hanno saputo imporsi anche nell'attuale nuovo contesto "smilitarizzato" del Salvador; proprio per questo è importante demistificare l'ideologia che esalta il processo di pace salvadoregno come un successo quasi totale e ricordare invece il carattere integrale degli Accordi. 15 anni dopo, questo percorso permette di visualizzare i diversi risultati e quanto non è stato compiuto, così come evidenzia l'assenza di una agenda comune della Nazione, elemento pendente irrisolto della democrazia che il Paese continua a reclamare. Servicio Informativo "Alai-amlatina" Traduzione a cura di Cinzia Vidali 2006: fusioni per 4 miliardi di dollari. La concentrazione economica nella sua massima espressione A cura della Redazione di APM Nel 2006 è stato stabilito un nuovo record mondiale nel campo delle fusioni e degli acquisti di imprese. I difensori di questo fenomeno dicono che il consolidamento economico è positivo, tuttavia leffetto economico degli acquisti è nullo. Il mondo sta vivendo unondata di fusioni e di acquisti già da alcuni lustri. Lanno scorso è stato raggiunto un nuovo record negli acquisti di corporazioni, per un valore complessivo, a livello globale, di 3.980.000.000.000 di dollari, pari - più meno - al Prodotto Interno Lordo del Giappone. Gli specialisti non si stancano di assicurare che il consolidamento è un segno salutare, ma la sua ricaduta sulla creazione di ricchezza e di impiego è nulla, ed esso serve soltanto a tagliare dei costi amministrativi. Alla fine del 2006 la concentrazione corporativa prodotta attraverso acquisti e fusioni tra imprese, in tutto il mondo, ha raggiunto la cifra record di quasi 4 miliardi di dollari statunitensi, secondo gli studi effettuati dalle società di consulenza Thomson Financial y Dealogics. Secondo la ditta di analisi di mercato Thomson Financial, il valore totale delle fusioni e degli acquisti di imprese, nel 2006, a livello globale ha toccato i 3,79 miliardi di dollari statunitensi, cioè un aumento del 38% rispetto al 2005 su questo genere di operazioni . Per la società Dealogics il valore totale sarebbe addirittura superiore, e, secondo lagenzia Telam, raggiungerebbe i 3,89 miliardi di dollari. Questo significa che le imprese sono sempre di meno, ma sempre più grandi, che hanno maggior potere per imporre i propri prodotti e le proprie norme di consumo, per determinare le condizioni lavorative o la disoccupazione e per esercitare pressioni di ogni tipo su congressisti, governi o istituzioni internazionali al fine di ottenere le norme e le legislazioni che ad esse paiano necessarie. Inoltre, quello che le imprese non possono ottenere attraverso i meccanismi di mercato lo possono imporre attraverso leggi a proprio favore, come in molti casi è successo lanno scorso e gli anniprecedenti. Il fenomeno della concentrazione corporativa non è nuovo, anzi, è insito nella logica intrinseca del capitalismo: le imprese tendono a divorarsi a vicenda per eliminare la concorrenza e controllare meglio sia i prezzi ed i mercati, sia i lavoratori e i consumatori, che hanno di fronte a sé sempre meno opzioni - assicura Ribeiro. Nel decennio 90, il ritmo delle fusioni e delle acquisizioni è accelerato in misura mai vista in precedenza: allinizio del 1990 lammontare complessivo era di 462 mila milioni, mentre alla fine del 2000 si era toccato lincredibile picco di 3,5 miliardi di dollari, settuplicando così il valore iniziale. Durante questo decennio ci sono stati gli acquisti e le fusioni di grandi società petrolifere (Chevron e Texaco; Exxon y Mobil Oil; BP y Amoco; Total, Petrofina y Elf), che, in questo tipo di operazioni, hanno rappresentato una percentuale importante del volume totale. Tuttavia, il settore tecnologico ha scalzato i baroni delloro nero grazie al volume complessivo degli acquisti nelle imprese di comunicazioni e in quelle di alta tecnologia. Sono state proprio queste ultime le responsabili del picco del 2000. Il nuovo record del 2006 supera il livello del 2000. Sebbene gli analisti facciano notare che stavolta il volume è suddiviso tra un numero maggiore di imprese, di nuovo tra gli attori principali si annoverano il settore delle telecomunicazioni con lacquisto dellimpresa BellSouth da parte di AT&T e il settore dellalta tecnología (computer, Internet e elettronica). Tra le operazioni che hanno dato il la nel 2006, cè lacquisto dellimpresa di Internet YouTube da parte di Google, un gigante che, a quanto pare, ha molta influenza nella vita della gente. YouTube è un sito ampiamente conosciuto a livello mondiale, su cui si possono guardare e scaricare video che vengono visti da molti altri utenti, e in molti casi è lunica fonte di diffusione possibile di fronte ai monopoli delle telecomunicazioni. La prima azione di Google, quando ha comprato YouTube, è stata quella di cancellare più di 30 000 video di quelli presenti nel sito - a detta della compagnia, per proteggere la proprietà intellettuale delle parti interessate in questi video. Nonostante la diversità degli esempi, essi ci mostrano uno stesso atteggiamento di fondo: lintenzione sempre più sfacciata di controllarci, per aumentare i guadagni di persone sempre meno numerose ma sempre più potenti - mette in guardia Ribeiro. E alcuni si allarmano per le nazionalizzazioni in Venezuela e in Bolivia. Traduzione a cura di Cinzia Vidali Un sacerdote condannato a 15 anni di prigione per il genocidio nel Ruanda Il primo sacerdote cattolico giudicato dal Tribunale penale internationale per il Ruanda (TPIR), labate Athanase Seromba, è stato condannato mercoledì 13 dicembre. "La Corte, deliberando pubblicamente ed in prima istanza, dopo averLa dichiarata colpevole di genocidio e di sterminio, La condanna alla pena unica di 15 anni di reclusione" ha dichiarato la presidentessa della Corte, la senegalese Andrésia Vaz. "Con le sue azioni, egli (labate) ha contribuito in maniera sostanziale" alla distruzione della propria chiesa di Nyange, nella parte occidentale del Ruanda, dove, nellaprile 1994, hanno trovato la morte almeno 2000 Tutsi che vi si erano rifugiati, ha aggiunto la presidentessa. I giudici hanno tratto la conclusione che labate non aveva ordinato personalmente la distruzione della chiesa, tuttavia aveva approvato la decisione delle autorità comunali in tal senso. Il sacerdote, attualmente 43enne, si era dichiarato non colpevole. Secondo laccusa, egli avrebbe ordinato a un conducente di bulldozer di distruggere la propria chiesa di Nyange. Testimoniando per la difesa, il conduttore del mezzo - condannato allergastolo in Rwanda - ha dichiarato che lordine di demolire era stato dato dalle autorità amministrative e non dal giovane prete. ALTRI DUE PRETI CATTOLICI IN ATTESA DI GIUDIZIO Dopo il genocidio del 1994, il religioso, per un breve periodo, si era rifugiato nello Zaire - oggi Repubblica Democratica del Congo - poi in Kenya, per poi essere accolto in Italia, nella diocesi di Firenze, che gli aveva consentito di esercitare in un paese della Toscana. In seguito alle pressioni internazionali e ad un mandato darresto del TPIR emanato nel 2001, a cui lItalia aveva rifiutato di dar corso, nel febbraio 2002 il prete ruandese si era presentato al TPIR "affinché la verità venga alla luce". Altri due preti cattolici, gli abati Emmanuel Rukundo e Hormisdas Nsengimana sono detenuti dal TPIR. Un altro uomo di chiesa, il pastore avventista Elizaphan Ntakirutimana, è stato rilasciato la settimana scorsa dal centro di detenzione del tribunale, dopo avere scontato la pena di 10 anni di reclusione. Il TPIR, che ha base ad Arusha, in Tanzania, è stato creato dallONU per ricercare e giudicare i principali responsabili del genocidio nel Ruanda, che, secondo lONU, ha causato circa 800mila morti nella comunità tutsi e tra gli Hutus moderati. www.lemonde.fr 13/12/2006 Traduzione a cura di Cinzia Vidali Gli iracheni non accetteranno mai questa svendita alle multinazionali petrolifere di Kamil Mahdi Oggi l'Iraq è ancora sotto occupazione, e il divario fra coloro che affermano di governare e coloro che sono governati è pieno di sangue. Il governo è obbligato verso le forze di occupazione che sono responsabili di una catastrofe umanitaria e di una impasse politica. Mentre i cittadini inermi vengono uccisi a piacimento, il governo continua a essere impegnato a proteggere se stesso, raccogliere i proventi del petrolio, dispensare favori, giustificare l'occupazione, e presiedere al collasso della sicurezza, del benessere economico, dei servizi essenziali, e della pubblica amministrazione. Soprattutto, la legalità è quasi scomparsa, sostituita da demarcazioni confessionali sotto una facciata parlamentare. Il settarismo confessionale promosso dall'occupazione sta facendo a pezzi la società civile, le comunità locali, e le istituzioni pubbliche, e sta lasciando la gente alla mercé di leader comunitari che si sono autonominati, senza alcuna protezione legale. Il governo iracheno non sta assolvendo nel modo adeguato i suoi doveri e le sue responsabilità. Sembra perciò incongruo che esso, con l'aiuto di USAID, della Banca Mondiale, e delle Nazioni Unite, stia forzando una legge petrolifera generale perché venga promulgata in prossimità di una scadenza del Fondo Monetario Internazionale per la fine dello scorso anno. Ancora una volta, un calendario imposto dall'esterno ha la precedenza sugli interessi dell'Iraq. Prima di imbarcarsi in misure controverse come questa legge, che favorisce le società petrolifere straniere, il Parlamento e il governo iracheni devono dimostrare di essere in grado di proteggere la sovranità del Paese, e i diritti e gli interessi del popolo. Un governo che non sta riuscendo a proteggere le vite dei suoi cittadini non deve imbarcarsi in una legge controversa, che lega le mani ai futuri leader iracheni, e che minaccia di sperperare la risorsa preziosa, finita, degli iracheni in un orgia di sprechi, corruzione, e ruberie. I funzionari governativi, fra cui il vice Prime Ministro, Barham Salih, hanno annunciato che la bozza di legge è pronta per essere presentata al Consiglio dei ministri per l'approvazione. Salih era entusiasta dell'invasione dell'Iraq guidata dagli Usa, e l'amministrazione guidata dalle milizie kurde che egli rappresenta ha firmato accordi illegali sul petrolio che adesso sta cercando di legalizzare. Dato che il parlamento non si sta riunendo regolarmente, è probabile che la legge sarà approvata in fretta, dopo un accordo raggiunto con una mediazione sotto gli auspici della occupazione Usa. L'industria petrolifera irachena è in uno stato precario in conseguenza delle sanzioni, delle guerre, e dell'occupazione. Il governo, attraverso l'ispettore generale del ministero del Petrolio, ha pubblicato rapporti schiaccianti di corruzione su vasta scala e ruberie in tutto il settore petrolifero. Molti alti funzionari tecnici competenti sono stati licenziati o degradati, e l'organizzazione di stato per la commercializzazione del petrolio ha avuto parecchi direttori. I ministeri e le organizzazioni pubbliche stanno operando sempre più come feudi di partito, e prospettive private, confessionali, ed etniche prevalgono sulla prospettiva nazionale. Questo stato di cose ha risultati negativi per tutti, tranne per quelli che sono corrotti e privi di scrupoli, e per le voraci multinazionali petrolifere straniere. La versione ufficiale della bozza di legge non è stata resa pubblica, ma non c'è dubbio che essa sarà concepita per consegnare la maggior parte delle risorse petrolifere alle multinazionali straniere in base ad accordi di esplorazione a lungo termine e di produzione congiunta [production-sharing agreements]. La legge petrolifera probabilmente aprirà la porta a queste multinazionali in un momento in cui la capacità dell'Iraq di regolare e controllare le loro attività sarà molto limitata. Essa perciò metterebbe la responsabilità di proteggere l'interesse nazionale vitale del Paese sulle spalle di pochi tecnocrati vulnerabili in un ambiente in cui sangue e petrolio scorrono assieme in abbondanza. Il senso comune, la giustizia, e l'interesse nazionale dell'Iraq impongono che non sia consentita l'approvazione di questa bozza di legge in questi tempi anomali, e che contratti a lungo termine di 10, 15, o 20 anni non debbano essere firmati prima che tornino pace e stabilità, e prima che gli iracheni possano essere sicuri che i loro interessi siano protetti. Questa legge è stata discussa in segreto per gran parte dello scorso anno. Bozze segrete sono state esaminate e commentate dal governo Usa, ma non sono state diffuse al pubblico iracheno - e nemmeno a tutti i membri del Parlamento. Se la legge verrà forzata in queste circostanze, il processo politico ne sarà ulteriormente discreditato. I discorsi su un fronte moderato che superi le divisioni confessionali sembrano concepiti per facilitare l'approvazione della legge e la svendita alle multinazionali petrolifere. Gli Usa, il Fmi, e i loro alleati stanno utilizzando la paura per portare avanti i loro piani di privatizzare e liquidare le risorse petrolifere irachene. L'effetto di questa legge sarà quello di marginalizzare l'industria petrolifera irachena e di erodere le misure di nazionalizzazione intraprese fra il 1972 e il 1975. Essa è concepita come un capovolgimento della Legge 80 del dicembre 1961 che riprese la maggior parte del petrolio iracheno da un cartello straniero. L'Iraq pagò caro per questa mossa coraggiosa: l'allora Primo Ministro, il Generale Qasim, venne assassinato 13 mesi dopo, in un colpo di stato a guida ba'athista che fu sostenuto da molti di coloro che fanno parte della attuale alleanza di governo - compresi gli Usa. Ciò nonostante, la politica petrolifera nazionale non fu capovolta allora, e il suo capovolgimento sotto l'occupazione Usa non sarà mai accettato dagli iracheni. Guardian, 16 gennaio 2007; www.unponteper.it Traduzione di Ornella Sangiovanni |