Lettera aperta (comunicato stampa) al Direttore Padellaro, dal periodico on line www.democrazialegalita.it in risposta all'articolo Omicidio Fortugno: le tesi di Veltri e i fatti. Di Enrico Fierro, LUnità 19 marzo 2007 (articolo riportato a piè di pagina) con preghiera di pubblicazione Gentile direttore Dott.Padellaro per conoscenza Dott. Enrico Fierro La prima cosa che ci dispiace, che non può che farci piacere, è l' allusione alla possibilità che Veltri (e quindi noi) possa essere in possesso di parti segrete della commissione Basilone. Proprio per averla pubblicata integralmente, Veltri (e quindi anche noi) ha subito una perqisizione, un sequestro, ed è indagato, con noi. Il nostro giornale, (che non ha la storia né la fama dell'Unità, ma che è comunque al suo pari livello in fatto di diritti e di garanzie costituzionali) fu sequestrato ed oscurato per una decina di giorni. Non ci pare di ricordare un intervento di Fierro a favore della legalità democratica, allora. Veltri (e quindi anche noi) non possiede né occulta alcunchè: Veltri, e quindi anche noi, ha cercato e cerca di fare chiarezza. Poi entreremo nel merito. La seconda cosa che ci dispiace, è la inopportuna ricerca dell'appartenenza politica e dello schieramento acritico delle opinioni che dovrebbero invaee essere laicamante riconosciute come tali : dire che in tanti, "soprattutto a destra" da troppo tempo stanno chiedendo a Maria Grazia Laganà di mettersi da parte sembra significare che da sinistra o da altrove questo non lo si debba né possa neanche pensare e chi osasse pensarlo non potrebbe che essere un collaborazionista della peggior specie. Invece, pubblicamente, apertamente (l'Unità ne ha dato notizia?) noi e www.genovaweb.org abbiamo con convinzione chiesto le dimissioni dell'on. Laganà non da destra ma da cittadini. Cittadini inquietati dal molteplice e inestricabile assommarsi di ruoli della Onorevole: vittima; parente di una vittima; dirigente della ASL sciolta per mafia dove le due vittime lavoravano; parlamentare; commissaria antimafia; e in tale veste, inquirente; inquisita dalla magistratura che lei stessa ha contestato provocando le irritate reazioni dell'ANM. Troppi ruoli, troppe parti in commedia, la on.Laganà dovrebbe sua sponte dimettersi, anche per favorire il lavoro, tanto da lei invocato, della magistratura. Ma quale destra, ma quale sinistra: chiarezza, caro Fierro, chiarezza, ci vuole, in commissione Antimafia, in Parlamento, nella società. E' vero: il nome di Francesco Fortugno e quello di Maria Grazia Laganà non compaiono nella relazione prefettizia che ha portato allo scioglimento per mafia l'ASL 9 di Locri e Siderno. Noi, e Veltri, lo sappiamo bene: la abbiamo letta, senza cercarvi pregiudizialmente nulla. vi si parla però di dirigenti, e fino a prova contraria sia Francesco Fortugno che la consorte dirigenti , e di primo piano, lo erano e come. Ed è vero anche che c'è una macroscopica ed insanabile diversa opinione su ciò che in quella ASL (l'ha letta, dott. Fierro, la Relazione?) accadeva e ciò che la Laganà riferì di saperne alla giornalista Annunziata il 30 /10/05: alla domanda se l'ospedale fosse entrato nell'interesse della 'ndrangheta, la Laganà rispose con un secco e deciso NO . Quindi, non si era accorta mai di nulla, mai. E non era solo un medico, in quell'ospedale e in quella asl, ma, come rispose sempre nella stessa trasmissione MezzOra, il mio ruolo è quello della gestione del personale e rilascio degli atti sanitari . Quindi Veltri , con noi, non teorizza alcunchè, chiede, domanda, attende precise risposte. Noi, con Veltri, tentiamo di capire una situazione tragicamente ingarbugliata, senza interessi di parte, senza niente e nessuno da difendere e tanto meno da diffamare o ammuscare. Capiamo che possa essere difficile credere che in un paese in cui nessuno fa niente per niente, in cui c'è sempre una 'partito' da prendere o una cosca ( nel senso ironico) da difendere o una emergenza che deve coprire il diritto al libero esercizio delle opinioni e delle idee, in un paese come questo spesso si decida d'ammascare chi esce da questa logica. Per finire, caro Fierro, la continua citazione di Falcone e Borsellino e tutti i martiri di mafia non vi sembra che sia un modo per renderli martiri inutili, santini vuoti, sotto cui riparare ogno tentativo di andare avanti, di capire e di combattere realmente la mafia, quella di oggi, quella che si è insinuata nella destra, nella sinistra magari partendo dal centro e che gode delle coperture e dei riti e dei miti che la avvolgono nel bene e nel male. Non se lo meritano loro, i veri 'eroi', non se lo merita il paese, non ci meritiamo noi le accuse che ci sono state rivolte in nome loro. Roberta Anguillesi Marco Ottanelli redazione www.democrazialegalita.it Firenze. Omicidio Fortugno: le tesi di Veltri e i fatti. Di Enrico Fierro, LUnità 19 marzo 2007 Lomicidio del vicepresidente del Consiglio regionale Calabrese, Francesco Fortugno (16 ottobre 2005), è uno degli ultimi omicidi politico-mafiosi avvenuti in Italia. E questa sarebbe già una buona ragione per essere prudenti nel dare giudizi, emettere sentenze anticipando il lavoro dei magistrati, offrire suggerimenti ad organismi istituzionali la cui funzione è delicatissima, come, ad esempio, la Commissione parlamentare antimafia. Forse, mai come in questo caso, si farebbe cosa utile, per la verità e la democrazia, attenersi ai fatti. Cosa che il professor Elio Veltri non fa. Lo dimostra il contenuto della sua lettera aperta al Presidente della Commissione parlamentare antimafia pubblicata domenica scorsa da questo giornale. Veltri contesta, nei fatti, che l'omicidio Fortugno sia un omicidio politico mafioso deciso dalle alte sfere della 'ndrangheta con l'assenso di entità politiche. Contesta, cioè, la tesi della vedova Fortugno, Maria Grazia Laganà, anticipata suo tempo da due magistrati di altissimo valore: Vincenzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia («si tratta di un delitto di sistema») e Piero Grasso, numero uno della Dna che in un atto ufficiale si spinse a paragonare l'omicidio Fortugno al delitto Moro. Come i lettori sanno, si tratta di due magistrati seri da anni impegnati nella lotta alle mafie. Ma, scrive Veltri, «in effetti, se quanto è stato scritto subito dopo il delitto fosse vero. Se, com'è stato più volte ribadito e testimoniato da tutto lo stato maggiore del centro sinistra, il delitto fosse stato concepito e organizzato al più alto livello di responsabilità delle cosche, il rinvio a giudizio di manovali e di mandanti tanto modesti, non corrisponderebbe alla verità e gravita dei fatti» Veltri si riferisce al recente rinvio a giudizio del presunto killer, Salvatore Ritorto, del suo presunto autista, Peppe Marciano, e del di lui padre, Santo, caposala all'ospedale di Locri e ritenuto il mandante dell'omicidio. Veltri, inoltre, ricorda le proteste dei familiari dei Marciano davanti al Tribunale di Reggio. L'Unità ne ha dato conto, ci da atto il professore, che però omette di ricordare cosa c'era scritto sui cartelli che la moglie di Marciano (imparentata con alcune «famiglie» di Africo) sventolava a beneficio delle tv. Un attacco a chi aveva parlato (i pentiti Piccolo e Novella, quest'ultimo nipote dei Cordi) e ai cittadini di serie A, dicasi la vedova Fortugno. Nella sua foga accusatoria, Veltri - profondo conoscitore della realtà calabrese omette di dire che quelle cose scritte sui cartelli sono un chiaro segnale, contro i pentiti (gli infami che hanno parlato) e contro la vedova, parlamentare e quindi privilegiata. Segnali, come è noto, che contribuiscono al pericoloso isolamento degli uni e dell'altra. E in Calabria isolati si muore. Ancora, Veltri ricorda «le telefonate di Fortugno ai capi della cosca Morabito». Si tratta di una accusa grave e pesante contro un morto. i notizie avvelenate uscite pochi giorni dopo l'assassinio del vicepresidente del Consiglio regionale calabrese. Quei contatti telefonici con Giusepe Pansera, genero di Peppe Morabito, 'u tiradrittu, e medico incensurato al tempo in servizio all'ospedale di Locri, spuntarono miracolosamente dalle carte di un processo milanese contro la 'ndrangheta: «su 464 utenze telefoniche portate all'attenzione della magistratura dal consulente tecnico, quelle 12 tracce telefoniche non sono state né trascritte né presentate al pubblico ministero di Milano perché assolutamente ininfluenti per le indagini», scrisse La Repubblica. Veltri ritoma su quella storia, dimenticando che alla mafia non basta aver ucciso la vittima designata, la deve anche demolire, infangare. Accadde per Pio La Torre quando si parlò di pista intema al Pci, per Piersanti Mattarella, accadde per Giovanni Falcone dopo l'attentato alla villa dell'Addaura. Veltri parla anche della Relazione Bastione, quella che ha determinato lo scioglimento per mafia della Asl di Locri, omettendo di dire che né Francesco Fortugno, né la signora Laganà, entrambi medici in quella struttura, vengono mai citati. Forse Veltri ha altre parti della Relazione che noi non conosciamo. Se è così le pubblichi. Infine, Veltri sostiene che l'onorevole Maria Grazia Laganà, indagata dalla procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria per frode, dovrebbe dimettersi dalla Commissione parlamentare antimafia di cui fa parte per evidente conflitto d'interessi. Questa è materia che attiene alla sensibilità dell'onorevole Laganà (che già oggi, giova ricordarlo, si astiene dall'essere presente ogni volta che in "Commissione si parla dell'omicidio del marito). Colpisce il fatto che in tanti (soprattutto a destra) da troppo tempo stanno chiedendo a Maria Grazia Laganà di farsi da parte, di limitarsi a recitare il ruolo di vedova dolente e di mamma in nero. E forse farebbe bene a farlo, altrimenti - come lei stessa teme - dopo aver distrutto il marito distruggeranno lei. |