Gandhi e la non violenza. Un approfondimento di David Bidussa

La non violenza è stata spesso guardata come una condizione estetica, come un atteggiamento vissuto interiormente di coerenza orgogliosa, talora supponente. Come ricorda e insiste Thomas Merton nella sua introduzione a questa raccolta di riflessioni gandhiane, la non violenza nasce dalla consapevolezza di trovare e fare proprio un fondamento autentico della politica: quello legato al campo della verità. Verità e politica sono spesso assunte come due dimensioni opposte, irriducibili. Introiettare la verità significa dedicarsi a una pratica non disposta al compromesso; ingaggiare una dimensione politica significa assumere la dimensione del compromesso come consustanziale alla propria sopravvivenza. La politica avrebbe nel confronto inquieto e insofferente con la verità il senso e il fondamento del proprio spazio di azione. La non violenza in quanto scelta per la verità disinnesca e disarma la forza della politica come discorso solo apparentemente razionale. La politica infatti si presenterebbe come demagogia, come macchina retorica finalizzata alla persuasione, ma autonoma e talora anche indifferente alla verità. In breve come discorso senza valori. In questo senso il digiuno è un’arma politica perché si propone non come strumento di pressione, ma come decisione irrevocabile da parte del militante non violento. Soprattutto in quanto strumento che per la politica non è mediabile perché percepito come atto non utilitaristico e dunque per la politica "inutile". Per il non violento non è così. Si interrompe il digiuno solo perché si è vinto o solo perché si è consapevoli che è stato scelto come arma di violenza politica e dunque in una dimensione opposta alla non violenza che si dichiara di praticare. Di nuovo non c’è compromesso nel proprio agire pubblico. La non violenza è in per certi aspetti lo scacco matto alla politica.

 

 

 

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