Manuel Vazquez Montalban: È la loro guerra Tratto

da "il manifesto", 10 febbraio 2003

Che il Vaticano mandi il cardinale Etchegaray a far da mediatore nella guerra irreversibile contro l'Iraq dimostra la sua volontà di mettere in campo un negoziatore di successo, un cacciatore di impossibili esiti diplomatici con alle spalle risultati molto importanti in Indonesia, nel Chiapas o a Cuba. Etchegaray fu uno dei promotori del viaggio che portò il Papa nelle braccia di Castro, colui che permise a sua Santità di conoscere la migliore infermiera della Croce Rossa che abbia mai avuto e a Castro di recuperare i tempi della scuola dai gesuiti quando era un atleta sul piano fisico e mentale. Per esempio, scriveva articoli contro la nefasta istruzione pubblica e a favore di quella privata e religiosa. Tuttavia pochi confidano nel fatto che il cardinale negoziatore riesca a ottenere qualcosa che vada oltre la dimostrazione degli intenti pacificatori della chiesa cattolica. Gli Stati Uniti non vogliono che niente e nessuno li privi di questa guerra e hanno più paura dei caschi blu o dei cardinali che dei soldati iracheni. È la loro guerra, quella che, dopo l'operazione di polizia contro l'Afganistan, gli consentirà quel controllo strategico che le grandi potenze non avevano più dalla II Guerra Mondiale. La guardiola israeliana al suo posto, l'esercito talebano prigioniero e sotto sequestro, l'Iraq snervato dopo la futura guerra, Washington si assicura il dominio del lago di petrolio che giace nel sottosuolo di quella zona e stabilisce una frontiera militare e ideologica nei confronti della Cina, con l'aiuto delle repubbliche islamiche dell'Asia Centrale e con il modello turco come referente privilegiato. Se la capacità di automodernizzazione della Turchia era un canone da seguire per quasi tutte le repubbliche islamiche ex-sovietiche, la recente vittoria dell'islamismo moderato e filoamericano in Turchia rappresenta la sintesi desiderata per sbaragliare l'islamismo ortodosso e per stabilire trincee adeguate alle prossime guerre fredde o calde che siano.
Salvo nel vocabolario dei pacifisti o di coloro che semplicemente negano la validità di questa guerra, le considerazioni umanitarie sono assolutamente scomparse.
Dalla Guerra del Golfo, gli Stati uniti e i loro alleati sono riusciti a cancellare la morte propria e altrui dall'immaginario bellico e hanno trasformato la guerra in una semplice operazione di logoramento della capacità aggressiva del nemico.
Nessuno sa ancora quanti iracheni morirono nella Guerra del Golfo, e neppure quanti jugoslavi in quella del Kosovo e, relativamente all'Afganistan, non è stato neppure reso noto il risultato dei massacri dei prigionieri talebani nelle carceri dirette dai loro oppositori e controllate dall'esercito statunitense. Dove sono i testimoni del trattamento ricevuto dai presunti terroristi rinchiusi a Guantanamo? Di fronte ad alcune considerazioni
pacifiste sui costi umani di una guerra freddamente imposta, Blair ha risposto che avrebbero cercato di ammazzare poca popolazione civile e la colomba Powell è ricorsa ai calcoli comparativi: Sadam Hussein ha fatto sparire o ha ucciso più gente di quella che possano sterminare i missili intelligenti dell'Impero del Bene. Deformati gli obiettivi, falsificato il linguaggio, snaturata la stessa immagine della guerra, il secolo XXI inaugura l'uso dell'energia spirituale della contraddizione democratica. Circa il novanta per cento dei turchi è contro la guerra, ma il loro governo passa sopra questa constatazione. In Spagna, quasi l'ottanta per cento della popolazione non vuole lo scontro bellico, ma Aznar utilizza la sua maggioranza assoluta per non accettare alcuna obiezione. Le proporzioni di cittadini contrari alla guerra sono simili in Italia e nel Regno Unito, ma Berlusconi e Blair non rispetteranno quella coscienza popolare astensionista. Come mai e perché? In alcuni casi, la maggioranza parlamentare permette ai governi di imporre la decisione bellica e in altri casi una semplice maggioranza relativa sarà articolata e strumentalizzata per poter raggiungere un compromesso più o meno grande con gli obiettivi militari statunitensi. L'amministrazione Bush ha rifiutato qualsiasi ingerenza significativa e ha tollerato di lasciare un po' di tempo per le ispezioni nelle mani dell'Onu, cosciente del fatto che niente e nessuno le avrebbe impedito l'impiego delle sette portaerei che stanno già operando nel Golfo Persico. Siccome è prevedibile che la guerra sia vinta con una certa rapidità, che questa volta si ottenga la caduta di Sadam Hussein senza permettergli di fuggire in moto come al capo dei talebani, che i benefici ottenuti con la vittoria vadano da una netta rivitalizzazione dell'economia statunitense e della sua zona d'influenza, al sicuro sfruttamento dei pozzi di petrolio e dei gasdotti presenti nella zona, si suppone che nel giro di sei mesi gli oppositori alla guerra si saranno ridotti al minimo, si saranno ritirati e torneranno a svolgere il ruolo di consumatori delle politiche possibili, anche come votanti delle formazioni politiche adesso favorevoli alla guerra. Ormai non si può più parlare della memoria collettiva con la serietà di cinquant'anni fa. La memoria collettiva soffre di continui bombardamenti informativi e a malapena ha il tempo di selezionare e immagazzinare il necessario rispetto al superfluo. Chi si ricorda adesso che l'esercito dell'Iraq fu presentato come il quarto del mondo prima della Guerra del Golfo per poi scoprire che il quarto posto forse lo occupava iniziando a contare dal fondo? Chi ha messo sul piatto che tutti gli armamenti che si presume siano in mano a Sadam Hussein gli vennero procurati dagli Stati uniti, la Francia, l'Inghilterra e la Germania quando si trattava di fare la guerra batteriologica, per esempio, in Iran? Chi ha avuto memoria sufficiente per ricordare che i talebani furono alimentati sul piano religioso, economico e militare dagli Stati uniti e dal Pakistan per lottare contro il pericolo sovietico in una fase decisiva della Guerra Fredda?
È possibile che la mobilitazione mondiale per la pace del giorno 15 febbraio aiuti a radicalizzare il fronte critico che in tutto il mondo lo sfacciato pragmatismo del capitalismo multinazionale sta creando, sfacciataggine che lo porta a controllare lo stesso governo degli Stati uniti mediante alcuni favoriti che rappresentano interessi guerrafondai finanziari e industriali. I vincoli fra il potere economico e quello politico stabiliti sui campi di golf, secondo Wright Mills ne
L'èlite del potere, riflettevano una situazione di cinismo a misura di Guerra Fredda che sembrerebbero ingenui cinquant'anni dopo quando si tratta di ottenere o una giustizia infinita o una libertà duratura universali. Mancherebbe l'elaborazione di un'Elite del potere attualizzata, come uno degli strumenti per comprendere quanto siamo lontani dalla possibile attuazione della proposta neozapatista per cui il potere deve comandare obbedendo, secondo i progetti e le necessità della società civile.

 

 

 

 

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