Nadine Gordimer: Rileggere Tolstoj ai tempi del rais

Tratto da "la Republica"; 21 febbraio 2003

Arriva un momento in una vita di letture in cui ti accorgi di avere sugli scaffali libri che forse non rileggerai mai. Libri che un tempo hanno cambiato il tuo senso dell´esistenza. Che ti hanno aperto gli occhi, il contesto della tua consapevolezza nel mondo. Proponendo la letteratura dell´immaginazione come verità al di là della portata dei resoconti storici, ho ripetuto spesso: "Per sapere della famosa ritirata da Mosca di Napoleone, bisogna leggere Guerra e Pace, non un libro di storia".
Oggi davanti al monumentale volume consunto di Guerra e Pace mi chiedo quand´è stata l´ultima volta che l´ho letto e se - mai - tornerò a leggerlo.
L´ho fatto. E capisco che come scopriamo nuovi significati nelle situazioni ricorrenti nella nostra vita, così ogni volta che rileggiamo un grande libro scopriamo qualcosa che ci era sfuggito perché noi e quel primo momento non eravamo pronti a coglierlo: un messaggio nascosto per questo particolare presente. Non è l´interpretazione ardita e sottile dei conflitti personali a rendere contemporaneo questo romanzo scritto 139 anni fa. È la sorprendente preveggenza della natura della violenza senza fine, continuamente utilizzata in modo confuso e disperato per risolvere i problemi umani tra popoli e nazioni, moltiplicandoli attraverso i secoli.
Il conte Lev Nikolaevic Tolstoj nacque nel 1828 e il romanzo fu pubblicato nel 1864. Copre l´arco temporale delle campagne napoleoniche in Russia dal 1805 al 1812. Avvenimenti accaduti prima che l´autore nascesse.
Tolstoj non scriveva della sua epoca e io non leggo della mia. Ci accomuna il fatto che illuminiamo, ciascuno la propria epoca, con segni premonitori del presente contenuti nel passato. A 52 anni di distanza per lui, 191 per me, nel 2003. Lo splendore del racconto parte dai saloni della buona società intorno allo Zar Alessandro I, con gli intrighi d´amore, e il suo concomitante potere contrattuale in denaro e titoli nobiliari, per arrivare ai campi di battaglia dove nulla di tutto ciò conta più in mezzo alla neve, alla sofferenza alla fame e alla morte. I temi si intersecano, i personaggi fittizi si mescolano a quelli storici, le chiacchiere inventate con autentici dispacci militari. Tolstoj era un post-modernista quasi due secoli fa. Il suo romanzo si appropriava in modo geniale di qualunque cosa avesse bisogno: la vita stessa è incongruenza.
Tra i personaggi che emergono dai saloni delle feste, Pierre Bezuchov è per me il più straordinariamente attuale. Ricco, porta il titolo di conte anche se grazie alla relazione extraconiugale di un nobiluomo. Educato all´estero non ha particolari ambizioni di carriera. Fa a sua volta un matrimonio sbagliato innamorandosi della femme fatale Hélèn. La scelta del nome è un tocco dell´umorismo ironico di Tolstoj.
Elena è infedele e da qui inizia ciò che era latente nel personaggio di Pierre, la vita interrogata alla ricerca di un significato esistenziale. Prova con la massoneria (negli anni '60 sarebbe sceso in strada a pieni nudi a cantare Hare Krishna). Prova a fare opera di bene tra i contadini schiavi, il disinganno rispetto al materialismo è presagio delle insoddisfazioni dei benestanti che sniffano ecstasy nel nostro millennio di grandi ricchezze e di più grande povertà.
Per Pierre la guerra contro l´invasione della Russia da parte di Napoleone fu la salvezza. Dapprima prigioniero dei francesi, poi lacero e affamato tra le rovine di Mosca, scopre tra i suoi compagni di sventura che la felicità nella vita è la voglia stessa di vivere.
Tolstoj mette in discussione l´atteggiamento di attribuire la causa degli eventi catastrofici ad un singolo individuo simbolo. Un Napoleone, un Hitler... ora per noi un Bin Laden, un Saddam Hussein. "Riguardo a quale sia la vera causa degli avvenimenti storici... il corso del mondo dipende dalla coincidenza delle volontà di tutti gli interessati...". Il mondo, nel 1812, era fatto come lo facevano i suoi popoli, non Napoleone o Alessandro I, così come il nostro è ciò che ne facciamo e ne faremo.
L´inutilità delle vittorie ottenute con la violenza è evidente quando Napoleone si ritira da Mosca e i contadini russi arrivano dalla campagna a saccheggiare i beni della loro stessa gente. È evidente quando assistiamo allo stesso spaventoso crollo morale in Congo, Costa d´Avorio, Kosovo, Burundi ogni mese da qualche parte nuova. Nel giorno in cui 80.000 uomini, russi e francesi, vennero uccisi a Borodino, "Napoleone non sparò un colpo né uccise un uomo". Non è la vecchia realtà di fatto che i capi se ne stanno al sicuro e mandano l´uomo della strada ad uccidere o ad essere ucciso. Tolstoj vuol dire (al di là del tempo e del mutare delle circostanze, i giorni dell´impero diventano i nostri giorni della globalizzazione) che come individui portiamo il peso della responsabilità del nostro mondo, che crea politici e leader messianici simbolo i quali ci trascinano nel caos e sono profezia della nostra stessa corruzione.
Rileggere il romanzo di Tolstoj significa accorgersi che non viviamo un coraggioso nuovo millennio quanto un epilogo di ciò che quel libro rivela dell´assurda continua sofferenza e depravazione della violenza intesa come condizione inumana.

 

 

 

prima pagina.

 

 

 

contatore http://artenamir.interfree.it - WWW.NAMR.IT

e forum