Gli otto ostaggi occidentali: «Eravamo sicuri di morire»

IL momento peggiore «martedì mattina, quando hanno sfondato la cella e pensavamo fosse la nostra fine», racconta Georg, che ha ancora addosso la barba lunga da mullah. Il più bello? «Un minuto più tardi, quando abbiamo capito che eravamo quasi liberi». Forse adesso, alle sei del mattino, mentre scendono dall’elicottero Usa che è andato a prenderli, è ancora più bello. E poi mezz’ora dopo, nelle ambasciate, dove gli otto volontari dell’organizzazione umanitaria «Shelter Now International» possono abbracciare i parenti, telefonare a casa, pregare ancora volta assieme e ringraziare chi di dovere. Tre mesi nelle galere dei taleban, arrestati il 3 agosto e quasi liberi da martedì: fanno 100 giorni giusti. Liberi da ieri e l’ultima sequenza afghana sembra davvero un film.

L’elicottero che li cerca nel buio, il gruppetto dei volontari cristiani che ha appena una lanterna mezza spenta. L’elicottero non li trova. Che fare? Heather Mercer brucia il burqa azzurro, la sua seconda pelle dei cento giorni. «Siamo qui, grazie a Dio!». Avrà un pessimo ricordo in meno, Heather. Un’accusa da lasciarci la testa nel cappio, «propaganda religiosa e proselitismo cristiano». La detenzione di Bibbia e un libretto per bambini, «Gesù ti ama». Per il mullah Omar roba pericolosamente sovversiva, da galera e processo. Presi in otto: quattro tedeschi, due australiani, due americane. Cinque donne e tre uomini più altri sedici afghani, complici e traditori di Allah.

Georg Taubman, 39 anni, è il loro capo missione e alle due del pomeriggio non ha più la barba da mullah, altro brutto ricordo in meno, altro obbligo che non vale più: ne ha appena un accenno, come il giorno dell’arresto. E’ lui, all’ambasciata tedesca, a raccontare per tutti e tutte. Anche perchè Kati Jelinek è al telefono con il padre. le aveva inviato un messaggio dalla prigione di Kabul, «appena liberata spero di continuare a lavorare in Afghanistan». Il padre non è tanto d’accordo: «Tanto per cominciare vedi di tornare a casa», le sta dicendo. Da lunedì sera, quando Kabul ha cominciato a cadere, non si avevano più notizie degli otto «Shelter Now». Spariti con i taleban, ostaggi.

Martedì mattina nelle celle non c’erano, e davanti alla telecamera della Bbc il loro carceriere piangeva, «ma perchè non li hanno lasciati andare?». Georg spiega perché: «Avevano tentato di usarci come merce di scambio, però la trattativa si era bloccata». Fuga a mezzanotte dalla prigione e da Kabul. «Non hanno detto nulla e ci hanno messo in un container montato su un camion. Faceva un freddo terribile e non avevamo una coperta, niente, solo i nostri vestiti e i burqa delle ragazze». Viaggiano fino all’alba, quando il container si ferma davanti a un’altra prigione. Non lo sanno, ma sono a Ghazni, 80 chilometri a Sud-Ovest di Kabul, ancora 350 chilometri per arrivare al capolinea, a Kandahar.

«Ci siamo ritrovati in una nuova cella». Una stanza vuota in attesa del buio e di un’altra tappa verso Kandahar. «Appena si è fatto giorno abbiamo sentito il rumore degli aerei e delle bombe, dalla strada sentivamo una grande agitazione, le voci, gente che gridava, spari». La porta della cella si spalanca. «Eravamo terrorizzati, andare a Kandahar a morire». Dev’essere stato proprio bello, «il giorno più grandioso della mia vita», giura Georg. Altro che taleban e Kandahar. «Erano quelli dell’Alleanza del Nord e ci hanno messo poco a capire chi eravamo. «Allora venite con noi a festeggiare... In strada ci hanno trattato da eroi, uscivano dalle case per salutarci, applaudivano, volevano sapere chi fossimo». Quasi liberi, dunque.

Il comandante dell’Alleanza del Nord che si mette in contatto con la Croce Rossa Internazionale, che già stava trattando la liberazione dei «Shelter Now» con i taleban di Kandahar. Poi contatti con l’ambasciata americana, l’attesa del buio e dell’elicottero, Heather che manda in fiamme il burqa e finalmente sono davvero liberi. Anche George Bush può esultare in diretta Cnn. Loro non ancora. «Sapete qualcosa dei nostri 16 amici afghani?» Certo che sì, li hanno portati nella prigione di Pol-i-Charkhi: dove l’Alleanza del Nord è arrivata martedì, e sono già liberi. Il «giorno più grandioso» della loro vita. E senza rancore, da bravi cristiani: «Non ci hanno mai trattato male...».

 

 

 

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