Interviste contro la guerra tratte dal Guardian

Autori Vari

Sul Guardian dello scorso 27 Febbraio sono state pubblicate numerose interviste a attivisti contro la guerra. Proviamo ad organizzare in modo significativo una raccolta delle affermazioni più forti.

Ci comportiamo in modo ipocrita con l’Iraq

Zadie Smith

Al cuore delle argomentazioni dei sostenitori della guerra c’è l’idea del tutto erronea che le argomentazioni di coloro che sono contrari abbiano il dovere di contenere un’alternativa alla guerra. Sono invece loro ad avere l’onere di spiegare la giusta causa. Le ragioni contrarie sono chiare. Tanto per cominciare la guerra all’Iraq inaugurerebbe la pratica dell’attacco preventivo contro un paese che temiamo possa attaccarci in un imprecisato momento futuro, in un modo sconosciuto, con armi che non siamo stati in grado di trovare. Stabilirebbe il più straordinario precedente nelle relazioni internazionali. Sarebbe in contraddizione col diritto internazionale e con lo statuto dell’ONU. Consoliderebbe il sentimento di ingiustizia percepito in Medio Oriente, i cui frutti malati verranno raccolti per generazioni. Sarebbe, semplicemente, illegale.

Appare chiaro che il punto sul quale le argomentazioni a favore della guerra diventano più pressanti, più appassionate, è proprio quello più insostenibile, cioè, si interviene in risposta all’11 settembre. Quegli eventi non possono essere considerati non connessi alla guerra (come si è ammesso) e allo stesso tempo il motore di tutte le iniziative (come si insinua continuamente). Ancora una volta, sono i sostenitori della guerra che devono chiarire la loro posizione. Ci dicono che "puliremo a fondo l’Iraq", "metteremo in piedi le nostre attività commerciali", dopo di che cominceremo a "risolvere" la questione mediorientale.

In realtà la televisione ci dirà che abbiamo "ripulito", ma, come nel primo conflitto nel Golfo, ci saranno ingenti vittime civili, inevitabili quando si attacca militarmente una nazione la cui popolazione è rappresentata per il 50% da bambini. Se riteniamo che una vittima civile in occidente ha lo stesso valore di una vittima civile in oriente, allora ci comportiamo con l’Iraq in modo ipocrita e vigliacco – e il resto del mondo lo sa. Questo è ciò che intendono le persone quando dicono "Non nel mio nome" – non si tratta nonsense libertari o di fantasie di menti senza capacità critica. È il ripudio delle responsabilità derivanti dal versamento di quel sangue. Sono i sostenitori della guerra che fantasticano quando immagino guerre veloci o "intelligenti".

I sostenitori del no alla guerra sono accusati di essere senza alternative, il che è più o meno come sentirsi dire da un giovane teppistello: "Sto per svaligiare questa casa, e sarò giustificato, a meno che tu non abbia un’idea migliore su come possa fare mille sterline in un ora". L’assenza di alternative ad un’azione illegale non rende l’azione legittima. "Perché adesso? Perché lì?", non sono domande futili, ma richiedo spiegazioni sul perché una guerra preventiva e illegale sia improvvisamente diventata più accettabile dello stallo diplomatico che la precede. Piuttosto che folle retorica da cowboy, sarebbero necessari fatti politici. Le seguenti domande sono state poste due settimane fa in parlamento dal Senatore Byrd, un discorso di cui non si è fatto alcun cenno nella stampa americana. A chi stiamo offrendo il potere nel dopo-Saddam Hussein? La nostra azione non creerà forse il caos nell’area con il risultato finale di un orrendo attacco ai danni di Israele? Nella rappresaglia israeliana non sarà forse impiegato l’arsenale nucleare? I governi della Giordania e dell’Arabia Saudita non saranno forse fatti cadere dagli estremisti, sostenuti dall’Iran che dopotutto ha legami ben più stretti dell’Iraq col terrorismo?

Spero non sia considerato anti-americano suggerire che quando domande così significative sono oscurate nei media americani, forse il contingente di sostenitori della guerra manifesta il bisogno di aggiungere la soppressione della libertà d’informazione agli altri atti di questa sua incredibile procedura illegale e irrazionale. Perché non si forniscono le risposte alle domande del Senatore Byrd? Perché tali domande non sono oggetto di discussione nella stampa americana? Cosa sta succedendo precisamente? I movimenti contro la guerra spesso sono idealisti, confusi e politicamente ingenui. Questo movimento vuole soltanto una spiegazione.

Perché dovremmo essere a favore di una gendarmeria discriminatoria?

Tariq Ali

La rapidità con la quale un programma politico formulato a Washington per perseguire i propri scopi (in questo caso si tratta del rovesciamento di un regime e dell’occupazione di un paese ricco di petrolio che vende le proprie riserve in euro e non in dollari) diventa un’imposizione per la Gran Bretagna può non essere considerata una novità, ma resta qualcosa di fastidioso.

Cosa dobbiamo fare con Saddam? Ma chi diavolo siamo "noi"? E perché "noi" dovremmo essere a favore di un’attività di polizia discriminatoria determinata dagli interessi USA in quella regione? Gli irakeni hanno bisogno della democrazia, e né Saddam né gli USA gliela daranno mai.

La democrazia in un paese ricco di petrolio è qualcosa di pericoloso per l’occidente (vedi i recenti tentativi di far cadere Hugo Chavez in Venezuela). Se eleggessero un governo pronto a sfidare l’occidente (com’è avvenuto in Iran), cosa succederebbe? Un altro cambio di regime.

Saddam era già cattivo quando era un fedele alleato degli USA, libero di agire contro i comunisti interni, i kurdi e i sindacalisti, e in seguito contro l’Iran, apertamente appoggiato dall’allora rappresentante di Regan, Donald Rumsfeld, e dalla britannica Margaret Tatcher.

Oggi, è un dittatore debole e fiaccato. Se il suo popolo non fosse stato così devastato dalle sanzioni dell’Occidente, l’avrebbe già spodestato. Questa è la ragione per la quale la decisione tardiva di Blair di invocare i motivi umanitari suona fittizia.

Il concetto che l’Iraq rappresenti una minaccia per gli USA, o per il loro caro Israele, è vero solo per i creduloni. Vogliono l’Iraq, in parte per il petrolio e in parte per ridefinire strategicamente la regione. Ariel Sharon ha già chiesto che venga attaccato l’Iran dopo la "liberazione" di Baghdad.

Soluzioni

Kamil Mahdi

Non è nell’interesse del popolo irakeno ritornare alle posizioni pre-crisi. Guerra, imponenti sanzioni e repressione danneggerebbero la società irakena e sarebbero nocive per la capacità delle persone di opporsi alla tirannia. Ci ritroviamo, a pochi giorni da un eventuale cataclisma e dalla certa sconfitta militare, con le strutture del regime pressoché intatte.

L’alternativa alla guerra non è la minaccia di guerra, che è implicita e ben percepita. L’alternativa è avviare un processo politico che rafforzi il popolo irakeno e faccia pendere la bilancia della politica interna a loro favore. La guerra e le sanzioni annullano il ruolo del popolo irakeno e lo trasformano in obiettivo. Il modo per rafforzare il popolo il popolo irakeno consiste sia nel cambiare il programma politico sia nel promuovere la credibilità e l’autenticità delle preoccupazioni della comunità internazionale. La propaganda e la distorsione dell’informazione a favore della guerra non convinceranno gli irakeni del fatto che non si stia attuando un progetto imperialista. La strada per uscire dallo stallo attuale è la seguente:

1 Continuare con le ispezioni per rassicurare l’Occidente.

2 Introdurre osservatori per i diritti umani.

3 Revocare il blocco economico e richiedere professionalità e trasparenza nelle operazioni economiche attuate sotto il controllo dell’ONU.

4 Attuare la Risoluzione 688, compresa la fine della repressione.

5 Sostenere sul serio gli irakeni, senza imporre programmi politici e candidati fantoccio all’opposizione

6 Dare inizio ad un processo di ricerca della verità e di riconciliazione

7 Cancellare il debito e rimuovere le sanzioni riparatorie per rafforzare il processo di democratizzazione

8 Promuovere dopo un certo periodo elezioni supervisionate dall’ONU

9 Porre limiti ad Ariel Sharon e promuovere una pace giusta in Medio Oriente sulla base della Risoluzione 242, con il riconoscimento dei diritti dei palestinesi.

Il regime di Saddam è in fase di ripiegamento e il suo progetto ha il destino segnato. Questa è un’opportunità per minare il suo sostegno di base interno e limitare gli estremisti. L’alternativa a questo processo politico è una devastante guerra imperialistica, seguita da una sanguinosa lotta di liberazione.

Kamil Mahdi è un rifugiato politico irakeno e professore di Economia del Medio Oriente presso l’Università di Exeter (UK).

Hans von Sponeck

Ero responsabile del programma umanitario ONU in Iraq, e mi sono dimesso in segno di protesta verso quella che ritengo una politica delle sanzioni ONU fallace e criminale. Ora è stato ampiamente documentato che la politica delle sanzioni è una delle maggiori cause di morte e impoverimento in Iraq. I fatti sono lì a dimostrarlo. Inoltre, le sanzioni non hanno affatto indebolito Saddam, e lo sappiamo.

Dire che sono contro la guerra è superfluo. C’è bisogno di dialogo e disarmamento, con una contemporanea revoca delle sanzioni economiche e degli eccessivi controlli nei punti d’ingresso nel territorio irakeno. Il modo migliore è continuare con l’applicazione della Risoluzione 1441. Sono completamente d’accordo con la proposta della Francia, della Germania e della Russia di andare avanti con l’attività di disarmamento e controllo sistematico.

L’Iraq è il paese più passato ai raggi X del mondo. Dobbiamo ammettere che non rappresenti una minaccia per nessuno, anche se sarebbe auspicabile un nuovo governo. Bisogna continuare col processo di disarmamento, rafforzare i controlli, e revocare le punizioni inflitte al popolo irakeno che non ha fatto nulla di sbagliato, controllando con estrema attenzione l’uso che farà il governo irakeno della maggiore libertà economica. Ma non esiste alcuna ragione per ritenere l’Iraq una minaccia imminente tale da giustificare un attacco preventivo – che in ogni caso sarebbe contrario al diritto internazionale.

Hans von Sponeck è un ex-osservatore umanitario ONU in Iraq

Harold Pinter

"Cosa dobbiamo fare?"La domanda dovrebbe essere: "Cosa abbiamo fatto?" Agli USA e al Regno Unito non potrebbe importare meno del popolo irakeno. Li abbiamo uccisi per anni, tramite bombardamenti ingenti e le sanzioni brutali che hanno privato centinaia di migliaia di bambini di medicinali essenziali. Molti di loro sono morti o stanno morendo a causa degli effetti dell’uranio impoverito usato nella Guerra del Golfo. L’Occidente si è mostrato completamente indifferente rispetto a questi fatti.

Ulteriori uccisioni di massa sono state pianificate. Dire che salveremo gli irakeni dal loro dittatore uccidendoli e distruggendo le fatiscenti infrastrutture del loro paese è un insulto all’intelligenza. Non esiste alcuna posizione morale in questo problema.

La guerra imminente riguarda i test di nuove armi di distruzione di massa (le nostre) e il controllo del petrolio. Le industrie belliche e le compagnie petrolifere saranno le beneficiarie. Gli Stati Uniti compieranno un enorme passo verso il controllo delle risorse mondiali. Si tratta soltanto di "dominio a pieno spettro" – un’espressione coniata dagli USA non da me.

Noam Chomsky

È proprio la domanda esatta e, secondo me, conosciamo l’esatta risposta ad essa. È utile ricordare che Saddam Hussein non è l’unico mostro sostenuto dalle persone attualmente in carica a Washington fino a quando non abbia compiuto un atto contrario ai loro interessi. Esiste una lunga lista di personaggi sostenuti fino alla fine del loro sanguinario dominio – Marcos, Duvalier e molti altri, alcuni dei quali crudeli e brutali quanto Saddam, a capo di tirannie del tutto comparabili con la sua: Ceausescu, ad esempio. Sono stati rovesciati dall’interno, nonostante il sostegno degli USA. Ciò è stato impedito in Iraq dal regime di sanzioni assassine, che ha devastato la popolazione rafforzando Saddam, e costringendo la popolazione a diventare disperatamente dipendente da lui per la sopravvivenza.

Soluzioni? Diamo agli irakeni una possibilità di sopravvivenza, e si può ben credere che si libereranno di lui come gli altri hanno fatto in passato. Intanto, rafforziamo i controlli per esser sicuri che Saddam, o qualche sostituto, non sviluppi un capacità militare significativa. Un problema non certo serio attualmente, dato che, come è risaputo, l’Iraq è il paese economicamente e militarmente più debole dell’intera regione, ma che potrebbe diventare serio, e con Saddam lo sarebbe ancora di più, anche senza eventuali forniture dagli USA e dal Regno Unito.

Noam Chomsky è professore ordinario nel Dipartimento di Linguistica e Filosofia del MIT

 

 

 

 

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